[Il 5 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Tupini. [...] Se i Patti Lateranensi saranno inseriti nella nuova Costituzione repubblicana, un nuovo e definitivo passo potrà essere compiuto verso il consolidamento della pace religiosa nel nostro Paese. Sarà questo un atto opportuno e giusto, perché riconsacrerà nel piano democratico la fine del dannoso divorzio tra la coscienza cattolica e la coscienza nazionale del nostro popolo, che nella sua quasi totalità rimane fedele alla religione dei Padri. (Approvazioni al Centro e su vari banchi).

È appunto l'appartenenza della grande maggioranza dell'Italia alla religione cattolica che giustifica appieno la nuova posizione di natura costituzionale che si dovrebbe fare e che, io spero, si farà ai Patti del Laterano.

L'onorevole Togliatti ha detto in un suo recente discorso all'Assemblea che i comunisti e i democratici cristiani hanno collaborato senza eccessiva difficoltà nelle varie Commissioni per la Costituzione, fino a che non si venne alla discussione di un grave problema, quello dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, cioè dei Patti lateranensi.

Questo modo di porre la questione già delinea, onorevoli colleghi, in modo sufficientemente chiaro la diversità di posizioni fra i vari gruppi. Vi era infatti e vi è tutt'ora la tendenza da parte di taluni a passare oltre questi rapporti, senza affrontarli. La Democrazia Cristiana invece ha creduto e crede di doverli affrontare ed ha portato e porterà nella discussione in proposito il peso di questo suo atteggiamento.

Per altri questo era ed è un problema che non interessa o che si preferisce evitare. Per noi involge la libertà spirituale dei cattolici italiani. Nessuna meraviglia, onorevoli colleghi: non per nulla sono diverse le dottrine che individuano, sul piano ideologico, i vari partiti e che sono alla base della dinamica delle competizioni democratiche. Io non trovo di meglio per raffigurare questa diversità di dottrine che appellarmi a quanto scriveva qualche mese fa il giornale dell'onorevole Nenni: «La differenza fra noi socialisti ed i democristiani (scriveva press'a poco l'articolista) è questa: noi, cioè il socialismo, accompagniamo l'uomo dalla culla alla bara; loro, cioè i democristiani, lo accompagnano pure come noi dalla culla alla tomba, ma non lo lasciano senza speranza oltre la tomba».

Esatto, onorevoli colleghi; per questo, altri si disinteressano dei Patti Lateranensi o li avversano, e per questo noi li difendiamo. Il segretario generale del Partito comunista ha auspicato che alla firma... (Interruzioni a sinistra Commenti).

Mi spiace di non poter sentire le vostre interruzioni, perché altrimenti risponderei volentieri.

Tonello. Il Patto lateranense è però di questa terra.

Tupini. Mira però a finalità superiori e tutt'altro che materialistiche, come pensa l'onorevole Tonello. (Approvazioni al centro). Dicevo, dunque, al momento in cui sono stato interrotto, che il segretario generale del Partito comunista ha auspicato che alla firma del fascismo, che è in calce ai Patti, si sostituisca la firma della Repubblica italiana.

Noi non desideriamo altro, onorevoli colleghi. I Patti firmati dal fascismo non sono nati come funghi sotto la pioggia della dittatura, ma furono preparati nell'attesa ansiosa di tutto il popolo italiano e dall'opera lenta e lungimirante di statisti egregi, tra i quali vedo ancora con soddisfazione in mezzo a noi gli onorevoli Nitti e Orlando, che con la loro presenza conferiscono prestigio e decoro alla nostra Assemblea. Inserendoli nella Costituzione, la Repubblica vi apporrà la sua firma solenne, che sarà la firma di una nazione credente, che vede nella pace religiosa la premessa e la garanzia della sua unità politica e della sua ricostruzione democratica. Non bisogna vedere in essi tutto nero, come avete fatto voi, onorevole Calamandrei, attraverso le lenti affumicate del vostro, non dirò bizzarro, ma arguto spirito fiorentino. (Ilarità).

Questi Patti hanno segnato la fine di un dissidio tra la coscienza cattolica e quella nazionale del Paese. Hanno cancellato — bisogna ricordarlo — una ipoteca, prima di essi sempre accesa, sull'unità del nostro territorio; e poiché sono due, Trattato e Concordato, di cui uno condiziona l'altro, non credo che debba essere così pesante, anche per uomini come voi, che vi mostrate contrari ad uno solo o a qualche parte di uno di essi, quella che chiamate — e vorrei che non fosse — la «sopportazione dell'ospitalità di entrambi nella Carta costituzionale». (Approvazioni).

D'altra parte, onorevoli colleghi, essi non costituiranno mai alcuna anchilosi o cristallizzazione di posizioni. Lo abbiamo detto molte volte in sede di discussione alla prima Sottocommissione: la Chiesa cattolica è sempre talmente saggia che, intransigente nella difesa del suo patrimonio spirituale e religioso, mostra, come ha sempre dimostrato, di tenere esatto conto della varietà successiva o progressiva delle condizioni storiche dei vari Paesi, con uno spirito di adeguamento che desta sorpresa e meraviglia nei profani e, comunque, negli estranei alla dinamica della sua perenne vitalità.

Se ciò dovrà verificarsi a proposito dei Patti lateranensi, nessuna difficoltà di ordine costituzionale potrà opporvisi, in quanto l'articolo 5 del nostro progetto prevede che qualunque eventuale modificazione dei Patti bilateralmente negoziata ed accettata, esclude il procedimento di revisione costituzionale.

Né essi contraddicono, onorevole Calamandrei, alla libertà religiosa degli altri culti e delle altre confessioni, che avete ieri ricordato a proposito dell'incontro, tra l'onorevole De Gasperi e i gruppi protestanti di America, perché i loro diritti sono ampiamente assicurati dall'articolo 16 del progetto, mentre, secondo l'articolo 5, viene anche ad esse data la possibilità di trattare con lo Stato italiano e di stabilire i reciproci rapporti in apposite intese. Si attua così sul terreno costituzionale quello che Jacques Maritain ha definito un pluralismo anche nel campo religioso.

[...]

Della Seta. [...] L'articolo 5 del progetto dice che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Giusto. Ma perché nel progetto non si è inserito quanto troviamo nella relazione dell'onorevole Ruini? Ordine interno ovvero ordine esterno? Bisogna ben chiarire se questa indipendenza, se questa sovranità concernano, semplicemente, l'ordine interno dello Stato e l'ordine interno della Chiesa ovvero concernano per ciascuno anche l'ordine esterno; il che porterebbe uno di questi poteri ad invadere illegittimamente la sfera dell'altro.

Bisogna precisare dunque che la Chiesa e lo Stato sono indipendenti, ciascuno, nel proprio ordine interno.

[...]

Ma, sia lecito il domandare, come armonizzare il suddetto conclamato principio dell'eguaglianza sancito nella Costituzione con quanto è stabilito nei Patti Lateranensi inseriti nella Costituzione e con quanto si trova in altri Codici, in altre leggi, come logica esplicazione dei Patti stessi?

Primo esempio: l'articolo 5 del Concordato dice che un ecclesiastico, se irretito da censura, se apostata e quindi non più appartenente alla Chiesa e quindi tornato ad essere un cittadino italiano qualsiasi, non può concorrere a pubblici impieghi nei quali sia messo a contatto col pubblico, non può concorrere ad una cattedra, non può aspirare al pubblico insegnamento, anche se fosse un'arca di scienza, ponendolo così al bando dal mondo civile, condannandolo alla miseria, infliggendogli la pena della interdizione perpetua dai pubblici uffici, quella pena che il Codice penale contempla come appendice alla pena dell'ergastolo, per i più gravi reati infamanti.

Una tale disposizione, in una tale Costituzione che si vuol chiamare umana e cristiana, non solo contraddice col principio dell'eguaglianza, ma è in contraddizione anche con l'articolo 27 che nella Costituzione stessa sancisce la libertà dell'insegnamento.

Secondo esempio: l'articolo 36 del Concordato. Dice questo articolo che anche nella scuola pubblica tutto l'insegnamento — non solo l'insegnamento religioso — deve avere per fondamento e per coronamento la dottrina cristiana secondo la prassi cattolica.

Quindi delle due, l'una: il cittadino non cattolico, o dovrà rinunziare, pure avendone le attitudini, a concorrere al pubblico impiego come insegnante, oppure dovrà essere reticente, dovrà insegnare contro la sua coscienza; e parimenti un alunno non cattolico o dovrà rinunziare a frequentare la scuola pubblica, oppure contro coscienza dovrà subire un insegnamento conforme alla prassi cattolica. Anche questo non è eguaglianza.

V'è di più. Vi sono alcune disposizioni nel Codice penale che sono il risultato logico dei Patti Lateranensi, del carattere della confessionalità dello Stato. Tali disposizioni vogliono punire, e giustamente, il delitto di offesa al sentimento religioso. Giusto, perché chi offende il sentimento religioso è un cittadino che mostra di non essere un cittadino, in quanto manca degli elementi primi della educazione civile.

Ma che cosa si deve punire? Il fatto immorale per se stesso dell'offesa al sentimento religioso, ovvero deve esservi nel Codice penale una discriminazione confessionale per cui, se il maleducato offende il sentimento religioso di un appartenente alla religione della maggioranza, la pena sarà tanto, cioè più grave, mentre se offende un cittadino appartenente alla minoranza religiosa, allora la pena sarà minore?

Voglio lusingarmi che molti cattolici, molti demo-cristiani sentano la incongruenza, sentano la non moralità, la non giuridicità di tali disposizioni. Ciò che si deve punire è il fatto immorale dell'offesa per se stessa, non può essere un criterio di giudizio il contenuto teologale della religione dell'offeso.

Nelle leggi, in tutte le leggi, e specialmente nel Codice penale, non vi possono, non vi debbono essere discriminazioni di carattere confessionale. Se queste discriminazioni vi sono, non parliamo più di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

È proprio un democristiano, l'onorevole Cappi, che, prendendo la parola sulle comunicazioni del Governo e rivolgendosi all'onorevole Togliatti, ebbe giorni or sono, a dire: quando ci troviamo dinanzi ai grandi problemi dello spirito, quando è in giuoco il grande problema della giustizia, allora queste distinzioni, in nome della democrazia, fra maggioranza e minoranza non contano, non valgono, perché altri sono i criteri, cioè i criteri morali con i quali tali problemi debbono essere posti e risoluti.

Quindi, concludo: a proposito di questa logicità interiore che deve animare una Costituzione, vi sono ancora in questo progetto delle incongruenze, delle illogicità, per cui, se si vuole realmente affermato il principio dell'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, bisogna togliere alcune disposizioni che si trovano nel Concordato e nel Codice penale, tuttora vigente.

Un'ultima osservazione: una Costituzione non deve essere reticente, deve dire esplicitamente quello che afferma.

Noi potremmo distinguere le Costituzioni pavide dalle Costituzioni coraggiose. Parlo come se fossi un cattolico fervente. Non qui è questione di problemi religiosi. All'articolo 5 del progetto si dice che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa sono disciplinati dai Patti Lateranensi. Io conosco tanti, anche fra gli onorevoli colleghi, ed anche fra gli uomini di legge, che sono venuti a dirmi: hai letto i Patti Lateranensi? Io non li conosco.

Orbene, mettete questa Costituzione nelle mani di un cittadino qualsiasi, il quale ha pure il dovere di conoscere la legge fondamentale dello Stato. Cosa potrà apprendere e comprendere nel leggere che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa sono disciplinati dai Patti Lateranensi? Nulla, assolutamente nulla.

Bisogna distinguere (parlo, ripeto, come se fossi un convinto e fervente cattolico) bisogna distinguere, in questi Patti, quelle norme che disciplinano dati rapporti particolari, da quelle, più generali, che scolpiscono, per così dire, la stessa fisionomia dello Stato, quelle che ci dicono se lo Stato ha o non ha una sua religione, se è o non è confessionale. Si comprende che, in una Costituzione, la norma, cioè il principio basilare, si riferisca alla legge posteriore che, nei particolari, avrà il compito di esplicarla e di disciplinarla; non si comprende che in una Costituzione, un principio basilare, taciuto, si riporti, per la conoscenza, ad una legge, ad una convenzione anteriore, di cui si ignori, all'istante, il contenuto.

Se dunque si vuole che il nuovo Stato abbia il carattere confessionale, se si vuole che esso abbia una sua propria religione, se si vuole che questa religione sia la cattolica apostolica e romana, ebbene, si abbia il coraggio di consacrare tutto questo in un esplicito articolo della Costituzione.

Una Costituzione reticente non è una Costituzione convincente.

Bisogna che il cittadino, senza riferimenti sibillini, possa conoscere immediatamente i principî basilari cui s'informa la costituzione.

Bisogna che una costituzione, sin dal suo primo articolo, riveli, lealmente, quale sia il suo reale volto, la sua propria fisionomia.

Bisogna che una Costituzione — come espressione della educazione civile e politica di tutto un popolo — possa esporsi al libero giudizio delle nazioni.

Lo spirito, purtroppo, che pervade questa Costituzione — lo avete udito già tante volte e lo udrete ancora — è, per quanto si cerchi di negarlo, lo spirito del compromesso. Nessuna meraviglia: esso è la risultante logica, non dirò del modo col quale è stata composta la Commissione, ma della situazione politica che ha portato a tale composizione.

Il compromesso è nei partiti, è nel Governo, è nella Commissione, è nella Costituzione. Si è voluto tra le due forze divergenti, evitare quel contrasto che avrebbe portato ineluttabilmente a due soluzioni, a due progetti: uno di maggioranza ed uno di minoranza. Ma il contrasto è rimasto indiscutibile od irriducibile.

Si ha in questo progetto una Costituzione bifronte; è progressiva e retriva. Da una parte, per la costituzione repubblicana, per le fondamentali libertà, per le autonomie regionali, per le norme economico-sociali essa va oltre il liberalismo, va verso la democrazia; dall'altra, per lo Stato confessionale, pel ritorno allo Statuto albertino, cioè, su questo punto, allo Stato fascista (Rumori al centro); dall'altro, nelle menomazioni morali e giuridiche delle minoranze religiose, essa assume posizioni anacronistiche ormai superate dalla coscienza moderna, perché più non rispondenti alla ragione storica dei nuovi tempi.

[...]

Mastrojanni. [...] Due parole sui rapporti fra Chiesa e Stato. Non ne avrei parlato, se tutti indistintamente i colleghi che mi hanno preceduto, non avessero fermato la loro attenzione su questa enunciazione, che noi riteniamo felice, inserita nella Costituzione.

Per la storia, si era originariamente proposta in sede di discussione davanti alla prima Sottocommissione, una formula che, apprezzabilissima nella sua alta concezione, fu da me, come sempre, garbatamente non avversata, ma criticata sotto alcuni riflessi che, a mio avviso, meritavano considerazione. Si era proposto, cioè, che lo Stato italiano e la Chiesa, riconoscendosi parte della comunità internazionale, egualmente esercitavano i loro diritti di sovranità. Dimostravo allora che, con tale formula, noi Stato italiano per primi ci saremmo definiti in senso negativo, nel senso cioè di riconoscerci parte della comunità internazionale.

Premetto che, secondo le ideologie che il mio partito persegue, vi è quella, utopistica forse oggi, ma realizzabile domani, degli Stati Uniti di Europa. Considerate, pertanto, con quale entusiasmo noi avremmo aderito a quella formula per le finalità particolaristiche nostre! Ma il nostro dovere innanzitutto è quello di essere italiani, fedelissimi, fanaticamente devoti alla Patria italiana, e considerato, pertanto, che la coesistenza nello stesso territorio di due Stati, i quali derivano la loro sovranità dalla originarietà dei loro diversi ordinamenti, avrebbe potuto portare a conseguenze complesse di carattere internazionale, meglio sarebbe stato trovare una formula meno complessa. Si addivenne così a quella formula che noi pienamente approvammo ed accettammo. Siamo lieti che nella Costituzione abbia trovato posto questa solenne affermazione e siamo lieti che riconoscendo, nel suo ordinamento, la sovranità della Chiesa, il popolo italiano abbia voluto nella Costituzione darle l'onore che le compete.

Già ho pubblicamente espresse le ragioni per le quali dissentivo dalle critiche che dimostravano la opportunità di non fare menzione in Costituzione dei rapporti fra Stato e Chiesa. Anche il professor Jemolo, luminare in tema di diritto ecclesiastico, assumeva che, essendosi il Trattato ed il Concordato stipulati da un Governo detestato oggi dalla coscienza collettiva, sembrava incongruente che questo atto di nascita venisse oggi riconosciuto

Obbiettavo che non è alla forma alla quale bisogna avere esclusivo riguardo, ma alla sostanza, e che sarebbe grave errore attribuire al Governo fascista tanta grandiosa concezione negli eventi storici e nella comprensione dello spirito nazionale. Era un fatto che doveva quel Governo registrare; una situazione matura che era impellente nella coscienza collettiva del popolo italiano, il quale da tempo si dibatteva, tra l'agnosticismo dello Stato per la questione religiosa e l'intimo desiderio e la convinta necessità della manifestazione, anche esteriore e formale, di questo sentimento. Il cittadino cattolico, il credente, specie se di elevata cultura, specie se investito di pubblici poteri, si trovava costantemente di fronte al dilemma fra l'esaudimento di quello che era l'imperativo categorico della sua coscienza, per manifestare anche pubblicamente la sua fede religiosa, e gli ordinamenti agnostici e legalitari dello Stato che impedivano queste manifestazioni; impedivano, preciso, non legalmente, ma impedivano in una ipocrita consuetudine protocollare e formale.

Se, malauguratamente, un Governo, che oggi logicamente detestiamo, ebbe la ventura di registrare un evento storico-spirituale, noi dobbiamo attribuire la paternità di quell'evento, come conquista della pace religiosa, al popolo italiano, che giustamente aspira di vedere riconosciuto nella sua Costituzione l'esistenza del patto fondamentale fra Chiesa e Stato italiano.

Onorevoli colleghi, ho seguito con attenzione le osservazioni dell'onorevole professor Calamandrei sulle contraddizioni esistenti in tema di riferimenti ai Trattati Lateranensi; se noi, esaminando quei trattati, dobbiamo riferirci allo Statuto Albertino e, in sede di coordinamento, a situazioni che oggi non sono coerenti colle libertà individuali e politiche, l'amico e collega onorevole Tupini, poco dianzi ha anch'egli, su questo argomento, diradate le nebbie affermando che la Chiesa Cattolica, come sempre saggia e previdente, non disdegna di adeguarsi e adattarsi, per quanto può, nella sfera delle sue competenze, alle necessità storiche e ambientali. Fu detto anche in sede di discussione davanti alla prima Sottocommissione che se alcuna incongruenza esiste che possa preoccupare la coscienza di alcuno, dobbiamo essere certi che rapidamente sarà eliminata, di modo che l'inserzione dell'esistenza di questa pace religiosa tra il popolo italiano e la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, rappresenta una conquista spirituale del nostro popolo che non adombra in modo assoluto alcuna coscienza, né desta in alcuno preoccupazioni di sorta.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti