[Il 10 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Orlando Vittorio Emanuele. [...] E passiamo a quest'altra definizione — qui mi avvicino ad una zona infiammabile: — «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Badate, questa definizione io l'accoglierei; però, non come deputato che fa una Costituzione, bensì come un cultore di diritto. Se con essa si vuol dire che ogni ordinamento giuridico, in quanto si costituisce, è per se stesso indipendente e sovrano, io vi dico di sì; ma la portata di tale riconoscimento è ben più ampia e generale. Dovunque c'è una forma di gruppo sociale, che arriva a darsi un ordinamento, ivi c'è una indipendenza, e, in un certo senso, una sovranità. Si può arrivare sino alle associazioni a delinquere: una banda di briganti si sente indipendente, sovrana — e come! — ed ha il suo diritto penale, ed ha il suo ministro del tesoro. Da un punto di vista, diciamo, di studio, di speculazioni teoriche, io mi accosto effettivamente a questa teoria. Ma perché metterla nella Costituzione, dando luogo ad equivoci, ad interpretazioni, che potrebbero essere false ed erronee per chi non si è, direi, specializzato in questo genere di studi? Si può essere una persona coltissima, eppure ignorare o non capire una qualche cosa. Io non ho mai capito la dottrina di Einstein, per quanto l'abbia studiata. E così via.

[...]

E così, precipitando, vengo alle ultime cose, che mi proponevo di dire. Qui il tecnico finisce, se Dio vuole. Qui sono l'uomo politico, e desidero trattare o meglio accennare a due argomenti; il primo di essi è la inclusione dei Patti lateranensi nella Costituzione.

Badate, io tengo a dichiarare e ad affermare — anche se ciò debba essermi rimproverato, come mi è stato da taluno rimproverato — che sono stato io l'autore o, dico meglio, colui che consentì al patto centrale dell'accordo e della pacificazione. Questo ormai è storico: quella che è la base degli Accordi lateranensi era stata definitivamente conclusa con me. Il mio non fu un tentativo, come tanti ne registra la storia: effettivamente a Parigi, nel giugno 1919, tra la fine di maggio e i primi di giugno, quegli accordi poteron dirsi conclusi.

Quando terminò il mio colloquio, che si collegava con altri colloqui, con Monsignor Cerretti — che diventò poi cardinale — mandato a Parigi da Benedetto XV con credenziali autografe di Gasparri messe a mia disposizione, alla fine del colloquio, scambiammo così il pensiero conclusivo. Egli mi chiese: «Siamo dunque d'accordo?». Io dissi: «Sì, assolutamente». «Allora, possiamo pubblicarlo?». «No. No, per una ragione, che non tocca l'accordo in se stesso, il quale per me è definitivo, bensì il tempo; fo una questione di quando, non di se». Desidero insistere su questo ricordo, perché è un tratto, che è proprio di tutta la generazione cui appartengo: allora non si subordinava tutto alla gloria. In quel momento potevo passare alla storia come colui che aveva raggiunto la pace, data la pace religiosa al suo Paese, e tuttavia dissi: non ancora, giacché avvertivo che non era sicura una condizione essenziale. Ancora non sapevo come finissero le cose a Parigi — o, meglio, già una situazione preoccupante si delineava — sebbene fosse tuttora in corso il compromesso Tardieu, quel compromesso, che io avevo accettato e che Wilson aveva accettato, e per il quale mi aveva abbracciato: quel compromesso, che ci dava su per giù quello che ci diede poi il Trattato di Rapallo, qualche cosa di più o qualche cosa di meno, ma c'era compenso fra quel più e quel meno.

E con tutta franchezza esposi il pensier mio a Monsignor Cerretti: «Vediamo come finiscono le cose qui, a Parigi. Se qui va bene, se posso tornare in Italia con una pace che il Paese accetta, ed accettabile è il compromesso Tardieu (io me ne ero assicurato in anticipazione), allora sarà un momento di euforia, di contento, la guerra vinta, la pace conclusa ed allora, questo provvedimento posso farlo approvare dal Parlamento (perché avevamo il Parlamento con cui fare i conti (Si ride): i dittatori vanno per le spicce). Ma, in caso contrario, no; perché, in caso contrario, se qui la pace non è conclusa, si avrà il Paese in agitazione (fui profeta, ma non era difficile), la irrequietudine dei partiti accentuata, inasprita, determinerà uno stato di stanchezza, di esasperazione, di rivolta. E volete che, in questo stato degli animi, noi presentiamo un progetto di tale gravità con un capo di Governo di un diminuito prestigio (come prevedevo, e come poi fu e come doveva essere)? In una tale situazione, chi vorrà combattere Orlando, combatterà il vostro progetto. Aspettate: non vi chiedo che un tempo breve». A proposito del famoso memoriale Cerretti, che fu poi stampato per iniziativa del Vaticano, il curioso è che Mussolini accennò a lungo, nel discorso che fece allora alla Camera, a quel mio accordo; ma non io gli avevo dato gli elementi; io non lo avevo detto mai a nessuno. Noi Siciliani non amiamo di parlare delle cose da noi fatte o dette: c'è, se volete, un certo fondo della cosiddetta omertà. E, difatti, non mi vedete mai interloquire, non pubblico memorie, ed avrei tante cose da dire anche contro certe accuse stolte, false, che mi sono state rivolte. Dunque, allora Mussolini le cose che disse non le seppe da me, perché non lo rividi mai dal 1925; da allora non l'ho incontrato mai più. Ci teneva, però, naturalmente la Santa Sede a far valere questa azione del rappresentante dello Stato precedente, legittimo.

Dopo tutta questa piuttosto diffusa premessa, potete ben figurarvi come io non abbia alcuna riserva da opporre circa il riferimento fatto dal progetto di Costituzione ai Patti lateranensi: quindi, qui il mio dubbio non è politico, è tecnico, perché l'includere qui una rinunzia al diritto sovrano di denunziare un trattato, mi sembra che costituisca un limite della sovranità. Questo, ripeto, è il punto di vista tecnico. Ma vi è il punto di vista politico, che in me prevale.

Ho letto in un giornale che avrei voluto portare; ma l'ho perduto, perché — disgraziatamente sono disordinatissimo — se avessi conservato tutto, avrei un bell'archivio — ho letto, dicevo, una intervista dell'onorevole Togliatti. Recentissima. E l'onorevole Togliatti, parlando in via generale diceva: «Noi, come partito comunista, deprechiamo di aprire un periodo che interrompa o turbi la pace religiosa». Non so se quella intervista fosse esatta; essa, inoltre, aggiungeva: «Noi non assumeremo questa responsabilità, non lo desideriamo, non lo vogliamo».

Ora io, francamente, non posso aspirare alla possibilità audace di trovarmi più a sinistra dell'onorevole Togliatti! (Si ride). E quindi, non vorrei, anzi spero, invoco che non mi trovi di fronte alla necessità di dover sacrificare il mio tecnicismo ad una esigenza politica superiore. Mi auguro perciò che, nell'interesse delle cose, il quale deve stare molto al di sopra degli interessi dei partiti, si trovi quella formula che possa dirimere il dubbio tecnico e consentire una votazione d'accordo.

[...]

Nenni. [...] Affronto ora, signori, il terzo argomento del mio discorso: in che misura il progetto di Costituzione si accorda con lo spirito laico che ha animato la lotta di liberazione del Paese, la lotta contro il fascismo prima, la lotta contro i tedeschi poi. Qui è giocoforza riconoscere che l'articolo 5 è in aperta violazione con questo spirito laico.

Signori, io vorrei premettere a questa parte del mio discorso una dichiarazione di carattere preliminare. Vorrei dire ai colleghi della Democrazia cristiana che noi siamo interessati certamente quanto loro, e probabilmente più di loro, a che la pace religiosa non sia turbata. Quando si desidera, come noi desideriamo, mettere all'ordine del giorno della Nazione la riforma agraria e la riforma industriale, non si vanno a cercare farfalle sotto l'Arco di Tito, non si vanno a resuscitare i vecchi fantasmi dell'anticlericalismo. Forse potrebbero essere interessati a un tale diversivo dei borghesi di formazione voltairiana, i quali volessero porre una pietra sepolcrale sulle più urgenti questioni sociali.

Noi no. Noi non abbiamo a ciò nessun interesse, né soggettivo, né obiettivo, perché, ripeto, quando si vuole affrontare e risolvere una questione sociale di importanza capitale come la riforma agraria, non si va nelle campagne ad aizzare i contadini contro i preti, né si dà ai preti l'occasione di difendere gli interessi degli agrari, aizzando i contadini contro gli anticlericali. A questo proposito mi permetto di ricordare ciò che dissi al Congresso socialista di Firenze: «Nessuno di noi pensa di rimettere in discussione il Trattato del Laterano, né di promuovere la denuncia unilaterale del Concordato».

Signori, la più piccola delle riforme agrarie mi interessa, e ci interessa, più della revisione del Concordato, anche se questa ci apparisse utile.

Non vogliamo, quindi, promuovere una lotta di carattere religioso e di mettere in pericolo quella che l'onorevole Tupini ha chiamato la pace religiosa.

Sennonché, signori, questa iniziativa l'avete presa voi, la state prendendo voi. È la Democrazia cristiana che chiede di introdurre nella Costituzione del Paese, con una specie di sotterfugio, i Patti Lateranensi. Siete voi, quindi, che ci obbligate a discutere la natura di questi patti, ciò che hanno significato nella storia del nostro Paese, la portata che avrebbe la loro inserzione nella Costituzione. Ora, come dico che non abbiamo l'intenzione di sollevare la questione dei Patti Lateranensi, così aggiungo che non possiamo accettare che, in aperta violazione con lo spirito laico, i Patti Lateranensi siano inseriti nella Costituzione. Se sarà necessario, discuteremo a fondo la questione, quando verrà in discussione l'articolo 5.

Penso che da parte democristiana, più ancora che da parte liberale, si commetterebbe un errore di valutazione storica e politica se si venisse meno ai due principî fondamentali del Risorgimento che hanno tanto concorso alla pace religiosa. Signori, la pace religiosa non si è fatta con gli accordi del Laterano; la pace religiosa esisteva in Italia da molto tempo; la pace religiosa si può dire che esisteva fino dal 1905, quando la Chiesa rinunciò al «non expedit», e quando, via via, si formarono i partiti cattolici che si posero sul piano del riconoscimento dello Stato. La pace religiosa è stata opera della vecchia borghesia liberale, da Cavour a Giolitti, e poggia su due principî ancora interamente validi: il principio di libertà applicato ai rapporti fra la Chiesa e lo Stato, ed invocato da Cavour nel suo discorso del 27 marzo 1861, ed il principio dell'agnosticismo del Governo costituzionale in tutti i problemi dello spirito e, specialmente, nel problema della fede.

Queste sono state le premesse della pace religiosa nel nostro Paese. Capisco che, in regime di dittatura fascista, Mussolini da una parte e la Chiesa dall'altra abbiano sentito il bisogno del Trattato e del Concordato. Ne hanno avuto bisogno proprio per le condizioni create dalla dittatura mussoliniana. Mussolini aveva bisogno del Trattato del Laterano e del Concordato per fare della Chiesa il suo «instrumentum regni», ne aveva bisogno perché, non essendo né cattolico né cristiano, intendeva però servirsi della Chiesa ai fini della sua dittatura, e sbandierare la Conciliazione come la prova del suo accordo col Vaticano.

Anche la Chiesa, in regime di dittatura, può aver sentito il bisogno di cautelarsi col Trattato del Laterano e col Concordato. Si viveva un'epoca in cui si poteva temere che Mussolini o un qualsiasi Farinacci si alzassero una mattina di cattiva voglia meditando non si sa quali attentati contro il Vaticano e contro la Chiesa. Si viveva un'epoca nella quale i cattolici avendo perduto, come la collettività dei cittadini, i diritti politici, non avevano nessun mezzo per difendere la loro Chiesa e il prestigio della loro religione. Che, in una situazione di questo genere, la Chiesa abbia pensato di tutelarsi col Concordato, è comprensibile. Ma oggi, credete davvero, onorevoli colleghi, che per assicurare il prestigio della religione e del Vaticano sia necessario che il Sommo Pontefice sia sovrano sui 44 ettari di territorio che costituiscono lo Stato del Vaticano? O non si è avuta invece durante la guerra la dimostrazione di come avesse ragione Cavour, allorché, nel discorso del 1861, metteva in guardia il Vaticano contro la tentazione del potere temporale che serve a qualche cosa se poggia su una forza militare e non serve a niente se il sovrano deve chiedere l'aiuto straniero per poter resistere ad un attentato organizzato contro la sua sovranità? E, onorevoli colleghi di parte democratico-cristiana, credete davvero che la tutela dei valori cristiani, che costituiscono la ragione stessa della vostra vita, voi l'ottenete attraverso il Concordato? In verità è attraverso la vostra azione di Partito politico, è con le vostre associazioni culturali e religiose che, nell'ambito della Costituzione democratica, voi avete la possibilità di difendere la dignità della Chiesa e della religione.

Una voce al centro. E la scuola? (Commenti).

Nenni. Parlerò anche della scuola. Prima vorrei evocare quella che io ritengo una parola definitiva sulla questione della pacificazione e della conciliazione, la parola che, da uno di questi banchi, fu detta da Giovanni Bovio nella seduta del 10 giugno 1887. Eccola: «Che significherebbe dunque una legge di conciliazione? Se a far sapere ai cattolici che il Papa può liberamente pontificare nella sfera della religione dominante, non occorre legge; se a far sapere ai liberali che non darete mai un palmo di territorio nazionale, e questi vi risponderanno: «e neppure una linea dell'anima nazionale». Se infine a riaffermare e a riscaldare il sentimento cattolico, nessuna legge crea, riafferma e risuscita la religione, anzi tanto le religioni perdono di sacro, quanto acquistano di ufficiale e di politico».

Se fossi un cattolico, farei mia la tesi di Giovanni Bovio. (Commenti).

Signori, qualcuno mi ha chiesto: «E la scuola?» Da una concezione laica dello Stato deriva necessariamente una concezione laica della scuola. Anche nella scuola il laicismo è la condizione della pace religiosa, politica, sociale. Direi, anzi, che sovrattutto nella scuola il laicismo garantisce la Nazione contro ogni lotta di carattere religioso.

Noi non crediamo che la questione della scuola si debba risolvere nella Costituzione. La risolveremo, quando dovremo dare uno statuto definitivo alla scuola italiana. E saremo saggi se allora ci ricorderemo che le scuole confessionali — parlo al plurale ma in Italia si potrebbe usare il singolare — dividono, mentre la scuola laica unisce, in quanto rispetta tutte le idee e tutte le credenze.

Alla scuola noi non domandiamo di essere socialista o marxista. Il socialismo ed il marxismo lo insegniamo coi mezzi molto modesti che sono a nostra disposizione. Il cattolicesimo insegnatelo voi, colleghi cattolici, coi mezzi immensi che sono a vostra disposizione. E lasciate la scuola dello Stato al di sopra d'ogni confessione e d'ogni partito. (Applausi a sinistra).

Io ho la coscienza, onorevoli colleghi, di tenere in questo momento un linguaggio utile a tutto il Paese; lascio ai cattolici di giudicare se utile anche a loro. Ad ogni modo, non si potrà far ricadere in nessuna guisa su di noi la responsabilità d'un dibattito o di una lotta, che si aprissero su questa questione. Per la Democrazia cristiana non è necessario che i Trattati del Laterano trovino la loro consacrazione nella Costituzione. Rinunziando a questo proposito, il centro compirà un atto di lealtà e di pacificazione verso l'insieme del popolo.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti