[L'11 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

La Pira. [...] Passo poi all'articolo 5: la Chiesa. Non importa se siamo o non siamo credenti; è un problema subiettivo questo. Io guardo le cose dal punto di vista obiettivo e vi domando — osservate la storia umana; noi effettivamente non dobbiamo avere più quegli idola fori che erano caratteristici della mentalità illuministica; dobbiamo avere una visione storica, anche se non storicistica, delle cose — vi domando: «Esistono o no storicamente organismi nei quali, in concreto, gli uomini si associano religiosamente?». Esistono: è un fatto. Guardate in campagna; cosa vedete in un piccolo villaggio? C'è il campanile, la Chiesa, c'è il palazzo del comune; c'è la scuola, c'è la camera del lavoro, la casa del popolo; esistono tutte le varie forme di attività sociale. Esistono. Quindi una Costituzione pluralista, la quale è il vestito di questa realtà concreta, deve per forza tener conto di questa struttura sociale religiosa che è la Chiesa.

Lussu. Le Chiese!

La Pira. Ho detto la Chiesa, per dire le Chiese.

Calosso. C'è il Cristianesimo, in questa Costituzione, non c'è l'Islam.

Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, non interrompano.

La Pira. Vedete, dicevo, questa Costituzione deve per forza rispecchiare questa struttura associativa religiosa; ma siamo al solito punto: è frutto di libertà della personalità umana che si associa. Allora c'è uno statuto originario, un diritto originario; lo Stato non può che riconoscere; senza contare che, se poi volgiamo lo sguardo al panorama storico della Chiesa cattolica, questa originalità, questa struttura giuridica, indipendente, sovrana, internazionale, questa complessa struttura sociale è evidente. Ormai non esiste nessun giurista, nessun uomo di pensiero serio, che disconosca questa originarietà di ordinamento giuridico. Quindi, in conclusione, lo Stato e la Chiesa esistono; e se i due ordinamenti esistono come ordinamenti originari, è evidente che fra questi due ordinamenti, parimenti originari, i quali incorporano a diverso titolo la realtà umana, non può non esistere un rapporto; e questo rapporto, per definizione, è un rapporto bilaterale, è un rapporto concordato. Qui entriamo nella questione...

Io qui effettivamente non parlo come un cattolico; parlo obiettivamente, come lo storico, come il giurista, e dico: se abbandono la mentalità illuminista e mi trasferisco a questa mentalità storica, concreta e sociale, devo riconoscere che questa struttura esiste e debbo metterla, come la famiglia, nella Carta costituzionale.

E c'è la questione dei Patti lateranensi. Io ne parlerò pochissimi minuti. Badate, a proposito della struttura giuridica della Chiesa, io debbo richiamarmi ad una frase di De Victoria, che è veramente il fondatore del diritto internazionale. C'è poco da dire, è una cosa immensa. Ad un certo punto egli disegna la struttura giuridica della comunità internazionale, e la disegna, egli dice, ricalcando la struttura giuridica della Chiesa cattolica. Come la Chiesa cattolica fa del mondo una unica res publica religiosa, così, esiste una res publica civile, che è la res publica Christianorum, che fa sì che totus mundus est quasi unica res publica, cioè tutto il mondo è coordinato come un'unica città. Ed io richiamo anche l'attenzione sugli articoli 3 e 4 del nostro progetto. L'articolo 3 dice: «L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», e l'articolo 4, con una maggiore audacia, dice, in sostanza, che la sovranità dello Stato va considerata nell'ambito della comunità internazionale.

Io vi chiedo: che cosa significa tutto questo? Significa che la nostra Costituzione intende ispirarsi alla concretezza dei rapporti di cui abbiamo parlato e riconosce che esiste una comunità internazionale — totus mundus est quasi unica res publica — e la rispecchia nel suo ordinamento e ne fa uno dei pilastri della Carta costituzionale.

La famiglia delle genti umane si modella sulla Chiesa cattolica.

[...]

Ora, rispondo con brevissimi accenni a quanto ha detto l'onorevole Nenni ieri sera. L'onorevole Nenni dice: «Lo Stato deve o non deve essere laico?». Vedete, la cosa mi ha impressionato. È vero che altre volte l'avevo letta, ma ieri sera mi ha colpito e mi sono chiesto: che significa Stato laico?

Stiamo sempre alla precisazione dei concetti. Stato laico? Perché, vedete, per quel famoso principio che esiste sempre una base teoretica di tutte le cose, anche inconsapevolmente (perché l'azione è sempre diretta dall'idea) non esiste uno Stato agnostico: come si concepisce la realtà umana, come si concepisce la società, così si costruisce la volta giuridica. Ora, se l'uomo ha questa orientazione intrinsecamente religiosa, senza una qualifica, ed allora, che significa Stato laico, se lo Stato è l'assetto giuridico della società? Se l'uomo ha questa intrinseca orientazione religiosa, se necessariamente questa intrinseca orientazione si esprime in comunità religiose, non esiste uno Stato laico. Esiste uno Stato rispettoso di questa orientazione religiosa e di queste formazioni religiose associate, in cui esso si esprime. Il termine è contraddittorio: non c'è Stato laico, non c'è Stato agnostico: non dobbiamo fare uno Stato confessionale (Commenti), uno Stato, cioè, nel quale i diritti civili, politici ed economici derivino da una certa professione di fede; dobbiamo solo costruire uno Stato che rispetti questa intrinseca orientazione religiosa del singolo e della collettività e che ad essa conformi tutta la sua struttura giuridica e la sua struttura sociale. (Applausi al centro e a destra).

[...]

E ora brevemente due osservazioni relative ai Patti lateranensi. Sarò brevissimo. Poiché la questione è stata discussa e impostata così abbondantemente, permettetemi un cenno su di essa.

Vi dico: esistono o no in questa visione pluralista i due ordinamenti giuridici — Stato e Chiesa — indipendenti e sovrani? Esistono, e tutti siamo d'accordo nel riconoscere questa esistenza. Nella prima Sottocommissione ci fu unanimità su questo punto.

Se esistono, la conseguenza è logica: i due ordinamenti mantengono fra loro dei rapporti. Ora, questi rapporti concordati esistono. C'è un sistema di rapporti che è stato creato e sulla sostanza del quale tutti siamo d'accordo che non c'è proprio nulla da ridire. Sulla sostanza di questi rapporti siamo d'accordo; ché se la analizzassimo, essa risulterebbe conforme alla visione concreta della realtà. Non Stato confessionale, ripeto. Se esistono questi rapporti e se rispondono sostanzialmente ad una unanimità di consenso messa in rilievo da tutti i partiti, la conseguenza è ovvia: rispecchiarli nella Costituzione: e ciò anche se c'è qualche punto che potrebbe essere sottoposto a revisione bilaterale. La Chiesa è maestra in questa concretezza di adattamento alle varie situazioni storiche.

Ed a parte il principio di proporzionalità che esige questa trascrizione costituzionale, resta sempre la questione politica. Perché inferire un colpo alla Chiesa cattolica? Esistono delle delicatezze politiche, esistono delle sensibilità storiche che vanno osservate. (Si ride Commenti).

Ieri l'onorevole Nenni ha avuto un'osservazione felice. Diceva: «La Chiesa si è difesa nei confronti della tirannia e nei confronti del mondo illuminista». Mi ricordo che da ragazzo facevo l'anticlericale anch'io. (Si ride — Commenti).

Ora, dico, la Chiesa si è difesa. Ma quando la Chiesa vede uno spirito democratico di sincerità, di realtà, di concretezza storica nei suoi confronti, essa allora viene incontro a tutte le legittime aspirazioni di questa democrazia: noi avremo in essa una preziosa collaboratrice. Perché devo ricordarvi una cosa che non possiamo dimenticare, che la Chiesa cattolica ha in Roma il centro mistico e giuridico di una comunità internazionale che si estende da un polo all'altro: essa ha nell'Italia, in Roma, il suo centro propulsore, destinato ad imprimere il moto al corpo mistico della Chiesa.

Perché non volete tener conto di questa condizione storica, ed avere questa sensibilità politica nei confronti della Chiesa cattolica? Credo ormai che una quantità di pregiudizi, siano venuti meno. La Chiesa — che nella sua struttura interiore è la comunione dei santi, e che nella sua struttura esterna costituisce una magnifica e universale struttura giuridica — può fare e fa tanto bene, anche politicamente, pel nostro Paese (Vivi applausi al centro Interruzione dell'onorevole Lussu Proteste al centro).

Presidente Terracini. Onorevole Lussu, non interrompa.

La Pira. Io tengo molto a dichiarare che vi parlo con tutta la sincerità del mio cuore e della mia mente: non ho la faccia di bronzo. (Applausi al centro Rumori a sinistra).

Ho finito davvero, chiedendovi scusa, se, purtroppo, l'ampiezza del problema mi ha costretto a perdere tanto tempo. Ma finisco come ho cominciato, con quella bella parabola «costituzionale» che è la parabola dell'Evangelo relativa al costruttore che costruì sopra la pietra e venne la tempesta e la casa non crollò. Questa è la nostra preoccupazione: di scavare questa pietra, di costruire questi muri maestri, di costruire questa volta e di fare in modo che vi sia una casa umana, fatta per fratelli, per uomini che cooperano per uno stesso fine, che è lo sviluppo della personalità umana sino ai vertici della sua vita religiosa. E che per questo ci assista la benedizione di Dio e della Vergine Immacolata. (Vivissimi applausi Moltissime congratulazioni).

[...]

Togliatti. [...] Non condivido l'opinione di chi ha detto in quest'aula che la questione del mantenimento della pace religiosa non esiste. Non è vero: questa questione esiste. Tutti coloro che hanno fatto la campagna elettorale precedente al 2 giugno lo hanno sentito. È meglio dunque riconoscerlo e sapere che la pace religiosa del nostro Paese si mantiene attraverso l'azione meditata dei Governi e di quei partiti che hanno una responsabilità di Governo o, se non altro, una funzione di direzione della vita nazionale, in quanto partiti di massa.

L'onorevole Lucifero ci ha proposto l'invocazione a Dio. Questa è veramente una delle proposte che hanno suscitato in me i maggiori dubbi, perché effettivamente Dio votato a maggioranza in una Assemblea politica ed approvato con 20 e con 50 o anche con 200 voti di maggioranza, non lo capisco. (Si ride). Quando poi ho sentito il nostro collega parlare di Dio nel tono con cui i nostri oratori di comizio parlano alla fine dei loro discorsi, quando si tratta di avere gli applausi degli elettori riuniti, mi sono ricordato del primo e secondo comandamento. (Si ride).

Il problema della pace religiosa, in ogni modo, esiste e bisogna riconoscere che la pace religiosa è fondata su due colonne: il Trattato lateranense e il Concordato, uniti assieme nel modo che tutti sappiamo. Nessuno di noi aveva chiesto che venisse aperto il problema del Trattato e del Concordato; nessuno del nostro partito in particolare. Fin dall'anno scorso, in occasione del nostro V Congresso, noi facemmo un'affermazione precisa in questo senso. Ma quando voi ci avete chiesto l'inserimento del Trattato e del Concordato nella Costituzione, attraverso il richiamo dell'articolo 5, allora il problema si pone e siamo costretti a discutere.

E siamo costretti a discutere per parecchi motivi. Prima di tutto, onorevole Orlando, tengo a precisare che non è vero che io abbia detto di essere favorevole all'inserimento dei Patti lateranensi, attraverso il richiamo dell'articolo 5, nella Costituzione. Ho votato contro questo richiamo e anche qui, sino a che il problema sarà posto nel modo come adesso è posto, voteremo contro. Attraverso quel richiamo così esplicito, infatti, ritorniamo all'articolo primo dello Statuto. Ora non dimentichiamo che l'articolo primo dello Statuto, in tutte le discussioni che ebbero luogo prima nel Parlamento subalpino, dal 1849 in poi, e quindi nei successivi Parlamenti italiani, venne sempre considerato come qualche cosa di decaduto. Basti ricordare in proposito il discorso di Marco Minghetti nel dibattito sulla legge delle Guarentigie, dove egli dice la cosa apertamente, e aggiunge che l'articolo primo viene lasciato nello Statuto unicamente per non aprire un procedimento di revisione costituzionale. È soltanto nel Trattato lateranense che questo articolo viene riesumato e rimesso in circolazione, ed è principalmente per questo che l'inserimento dei Patti lateranensi nella nuova Costituzione non è da noi approvato. Quando volete farci tornare alla religione di Stato, ci volete fare tornare a qualche cosa che la nostra coscienza non può accettare.

Voi dite: si tratta della nostra libertà, cioè della libertà della Chiesa.

No, nessuno offende la vostra libertà; nessuno ha proposto e nessuno propone di ritornare a un regime giurisdizionalista, nessuno sogna in questa Assemblea di proporre una costituzione civile del clero: quindi la vostra libertà è salva.

Ma voi dovete riconoscere che nel Trattato e nel Concordato vi è qualche cosa che urta la nostra coscienza civile e che sarebbe bene — lo stesso onorevole La Pira accennava a questa possibilità — che venisse al momento opportuno eliminata. Perché dunque inserirli in modo così solenne nella Carta costituzionale?

Vorrei dire però che un'altra questione ci preoccupa. L'ho sollevata in un mio precedente discorso in questa Assemblea, parlando di un eventuale rinnovo dei Patti allo scopo di eliminare la firma del fascismo e introdurre i necessari ritocchi. Badate però che questo problema l'ho posto di riflesso: non l'avremmo probabilmente posto di nostra iniziativa, se non vi fosse stata la proposta di inserimento dei Patti nella Costituzione, o non lo porremmo con urgenza il giorno in cui fossimo riusciti a trovare, in sede costituzionale, quella soluzione, che l'onorevole Orlando si augurava ieri che noi trovassimo, e cioè una soluzione che raccolga l'unanimità dei suffragi dell'Assemblea.

E qui si inserisce una questione abbastanza grave e profonda, quella dei rapporti della Chiesa cattolica col regime democratico repubblicano. Il nuovo giuramento dei vescovi sta bene; ma Concordato e Trattato sono qualche cosa di più del giuramento, sono un impegno e un grande impegno.

Ora, in cerca di una documentazione sopra questo tema, mi è accaduto di sfogliare un testo autorevolissimo di Diritto delle Decretali, manuale d'insegnamento nella Pontificia Università Gregoriana in Roma, e a proposito dei concordati, delle condizioni e del momento in cui la Santa Sede li conclude ho trovato una affermazione assai sintomatica che mi permetterete di citare: «...Sedes Apostolica, ne evidenti ludibrio exponatur, conventiones in forma solemni inire non solet, nisi gubernium civile necessitate petendi consensus comitiorum publicorum non sit adstrictum...».

Una voce. Vuol tradurre? (Si ride).

Togliatti. Per i colleghi che non sono democristiani posso anche fare la traduzione (Si ride), la quale suona così:

«La Sede Apostolica, per non correre il rischio di gravi delusioni, di solito non stipula convenzioni solenni, se non con quei governi i quali non sono costretti a chiedere l'approvazione di un corpo rappresentativo».

Onorevole Orlando, forse in questa formulazione autorevole vi è una spiegazione più pertinente di quella che cercava di dare lei, relativa al momento in cui i Patti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica vennero conclusi. È evidente che di fronte ad affermazioni simili, ci sentivamo dubbiosi.

Ad ogni modo, concludendo su questo punto, ripeto che il problema della pace religiosa esiste e che deve esser fatta qualche cosa di comune accordo in questa Assemblea e fuori di questa Assemblea per garantirne la soluzione, cioè per dare alla pace religiosa del popolo italiano un carattere solido e permanente. Noi vogliamo una Costituzione la quale guardi verso l'avvenire. I problemi già risolti nel passato non ci interessano più; cerchiamo però che quelle posizioni di libertà, che hanno conquistato i nostri padri e i nostri avi attraverso lotte memorabili, non vadano perdute. E voi, colleghi della Democrazia cristiana, credo che farete opera buona, favorevole al consolidamento dell'unità politica e morale della Nazione, se non porrete noi e altre parti importanti dell'Assemblea di fronte ad alternative troppo gravi e invece cercherete insieme con noi la forma o la formula migliore per risolvere questa questione col soddisfacimento di tutti e con la più larga maggioranza possibile.

[...]

Croce. [...] Un esempio, e insieme la diretta prova, del metodo tenuto è (e sebbene già altri parecchi ne abbiano altamente parlato, qui non posso tacerne neppure io) nella proposta di includere nella Costituzione i Patti lateranensi e l'impegno contro una possibile legge del divorzio. E che cosa c'è di comune tra una Costituzione statale e un trattato tra Stato e Stato, e come mai a questo trattato in sede di Costituzione si può aggiungere l'irrevocabilità, cioè l'obbligo di non mai denunciarlo o (che vale lo stesso) di modificarlo solo con l'accordo dell'altra parte, mentre l'una delle due, cioè l'altro Stato, non interviene e non può intervenire come contraente in quest'atto interno e quell'obbligo resta unilaterale, ossia appartiene a uno di quei monologhi che, come argutamente è stato osservato, nel testo presente si alternano coi dialoghi.

Parlai io solo in Senato, nel 1929, contro i Patti lateranensi; ma anche allora dichiarai nettamente che non combattevo l'idea delle conciliazioni tra Stato e Chiesa, desiderata e più volte tentata dai nostri uomini di Stato liberali, perché la mia ripugnanza e opposizione si riferiva a quel caso particolare di conciliazione effettuato non con una Italia libera, ma con un Italia serva e per mezzo dell'uomo che l'aveva asservita e che, fuori di ogni spirito di religione come di pace, compieva quell'atto per trarne nuovo prestigio e rafforzare la sua tirannia. (Vivissimi applausi). Ma nelle presenti terribili difficoltà, nell'affannosa problematica di tutta la vita italiana, nessuno e neppure io penso a riaprire quella questione, né penso ad agitare l'altra del divorzio che non attecchì le altre volte in cui fu proposta, sicché si direbbe che il costume italiano non ne senta il bisogno e la convenienza, e d'altronde l'indissolubilità del matrimonio sta nel Codice civile. Si dirà che la strana inclusione nella Costituzione vuol essere una assicurazione verso l'avvenire; ma quando mai parole come quelle legano l'avvenire? Lo legano così poco quanto il famoso biglietto di impegno che Ninon de Lenclos fece a Le Chastre allorché partì per la guerra. E se mi consente l'onorevole Togliatti che più volte mi ha fatto segno dei suoi motti satirici, che lo ricambi col semplice motto scherzoso, io quasi sospetto che la parte di Ninon De Lenclos abbia in mente di farla questa volta lui coi comunisti, che un giorno sperano di poter dire ai loro colleghi democristiani, i quali invano punteranno il dito su un articolo qualsiasi della Costituzione da loro consentito: «Oh, le bon billet qu'a là Le Chastre!» E fin da ora si direbbe che egli abbia l'occhio a una particciuola di uscita, perché ammette l'indissolubilità del matrimonio fino a quando una nuova anima civile non si sarà formata in Italia; e dipende evidentemente da lui di accelerare questa formazione o di annunziare che è avvenuta; e allora poveri Patti lateranensi, povera indissolubilità matrimoniale e povera Costituzione! Dunque, se quella inclusione, che è uno stridente errore logico e uno scandalo giuridico, è troppo fragile o illusorio riparo verso l'avvenire, perché offendere il senso giuridico che è stato sempre così alto in Italia e che solo il fascismo ha osato calpestare?

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti