[Il 21 novembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 7 per il testo completo della seduta.]

Cevolotto, Relatore. [...] A suo avviso, la Costituzione dovrebbe essere quella di uno Stato aconfessionale, sia nella forma che nella sostanza, sull'esempio della Costituzione francese, che pure è stata deliberata da una Assemblea nella quale il partito popolare aveva una parte notevole. Di proposito non parla di Stato laico, potendosi a questa definizione dare, per ragioni quasi storiche, un significato di anticlericalismo, al quale si dichiara invece assolutamente contrario. In primo luogo, perciò, non bisognerebbe ripetere l'articolo 1 del Trattato del Laterano. In questo campo è profondamente diviso dall'onorevole Dossetti e reputa che l'accordo non potrà essere raggiunto. È convinto infatti che se si ripetesse il concetto di quell'articolo, si verrebbe di nuovo a creare uno Stato confessionale, anche se si ammettessero poi tutte le possibili disposizioni sulla libertà di culto e di propaganda per le altre religioni. La sua posizione parte, invece, dal principio della libertà di religione e della parità dei diritti delle minoranze. Se si ammette questo principio essenziale della libertà umana, cioè il diritto delle minoranze, si deve logicamente venire alla conclusione che tale diritto è uguale a quello delle maggioranze e quindi la regolamentazione giuridica deve essere per ambedue fondamentalmente la stessa. Riconosce che la regolamentazione amministrativa nei riguardi della religione cattolica dovrà essere diversa da quella per altre religioni, perché incide su fenomeni di portata diversa, ma ciò non toglie che il principio costituzionale debba essere eguale per tutti. Inoltre, creando uno Stato confessionale, si dovrebbero poi lamentare le stesse conseguenze che si sono già avute nel passato. Cita due casi in particolare. Il Codice penale — che è posteriore al Trattato del Laterano — regola negli articoli 402 e seguenti i reati contro la religione dello Stato, fissando le relative pene. Nell'articolo 406 si prevede però che per i delitti contro i culti ammessi, tali pene possano essere diminuite. Questa norma può essere giusta finché la religione dello Stato ha una sua particolare preminenza, ma non è giusta, e non deve essere tale, secondo i suoi principî, se tutte le religioni devono avere diritto di uguaglianza di trattamento.

Il secondo caso, che desidera citare, riguarda una sentenza della magistratura, la quale, nell'assolvere per mancanza di dolo un sacerdote accusato di aver strappato ad un ministro valdese e fatto bruciare delle Bibbie di traduzione protestante, afferma chiaramente che i diritti di propaganda degli altri culti devono essere considerati sotto il riflesso che vi è una religione preminente dello Stato. Ora lo Stato non è una persona fisica che possa avere una o l'altra religione e quindi la religione dello Stato non può avere altro significato che quello dello Stato confessionale. Allora, qualunque sia la libertà che si vuole dare agli altri culti, per quanto larghi si voglia essere nelle concessioni, vi sarà sempre il presupposto della religione predominante di Stato, alla luce della quale soltanto dovrà essere interpretata la libertà garantita alle altre religioni.

Per questo motivo, se per caso la Costituzione dovesse — per volere della maggioranza — ammettere il principio della religione di Stato come posizione di ripiego, gli articoli che stabiliscono la garanzia e la libertà dei vari culti ammessi, dovrebbero essere molto più ampliati di quello che in origine egli aveva ideato.

[...]

Dossetti, Relatore, non crede che sia il caso di rispondere punto per punto alle osservazioni particolari fatte dall'onorevole Cevolotto, per quanto le sue argomentazioni siano tutte abbastanza discutibili. Enuncia semplicemente il principio fondamentale al quale si è ispirata la sua articolazione, che è volutamente più esplicita e più esauriente di quella dell'onorevole Cevolotto, in quanto contempla la libera esplicazione della vita religiosa interiore ed esteriore, le manifestazioni individuali ed associate della fede, l'esercizio del culto sia pubblico che privato. I democristiani in questo campo sono stati coerenti con la tesi basilare alla quale hanno ispirato ogni loro presa di posizione in ordine ai vari problemi della Costituzione, vale a dire al riconoscimento di quella che è la realtà sociale. Per questo motivo, esplicitamente, nella maniera più decisa e nella convinzione di rispecchiare un pensiero genuinamente cristiano, nella dizione proposta affermano il riconoscimento di questa pluralità della vita religiosa. Anche se come cattolici si riservano un giudizio di valore in ordine alla vera religione, come riconoscimento costituzionale non hanno alcuna riserva in ordine al pluralismo delle varie religioni. Ritiene che, sia l'onorevole Cevolotto, che tutti i fautori della libertà di coscienza e di culto, dovrebbero sentirsi tranquillizzati da questa dichiarazione.

[...]

Per riassumere, crede che due siano i pilastri da mettere come fondamento dell'edificio che si vuole costruire. Da un lato il principio della libertà piena, completa, delle diverse confessioni religiose; dall'altro il principio della necessaria bilateralità della disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa. Sul primo ritiene già raggiunto l'accordo, in quanto da parte democristiana, che poteva essere sospettata di elevare delle difficoltà, si è riconosciuto che non vi è alcuna difficoltà. Sul secondo principio deve invece raggiungersi l'accordo, e si augura che possa, dal seguito della discussione, trovarsi una soluzione.

[...]

Togliatti riconosce che il problema è di difficile soluzione. La Sottocommissione si trova di fronte ad uno stato di fatto costituito dai Patti Lateranensi e ad una esigenza di principio relativa all'indipendenza dello Stato dalla Chiesa e quindi della completa libertà di coscienza e di culto.

Circa lo stato di fatto, premessa l'indissolubilità del Trattato e del Concordato, ritiene che nessun partito abbia l'intenzione di volerlo modificare, annullando i due suddetti atti. Per quanto riguarda l'esigenza di principio, non può trascurarsi che essa è in contraddizione con alcune affermazioni dei suddetti patti, specialmente nei riguardi della parità di diritto di tutti i culti (e quindi di tutte le chiese di fronte allo Stato), la quale dovrebbe tradursi in una parità di fatto, che invece non può aversi, in quanto esiste il Concordato.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti