[Il 27 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Leone Giovanni. [...] Per quanto concerne la critica all'articolo 8, terzo comma — mi riferisco in particolare alla osservazione del collega Preziosi per la mancata prefissione, oltre il termine minimo di 48 ore imposto all'autorità di polizia perché la misura provvisoria cautelare sia comunicata all'autorità giudiziaria, di un ulteriore termine perché l'autorità giudiziaria provveda alla convalida o meno delle misure cautelari privative della libertà o di altri diritti del cittadino — io penso che questa critica non sia fondata, soprattutto per un principio di opportunità pratica. Noi dobbiamo renderci conto della difficile, complicata organizzazione attuale della vita giudiziaria. Mentre ci auguriamo che questo ordinamento della vita giudiziaria possa sveltirsi e possa soprattutto portare ad una maggiore aderenza del magistrato all'attività di polizia, dobbiamo stabilire che a questa necessità debba provvedere il legislatore futuro in sede di Codice penale o di procedura penale od in sede applicativa di questi Codici. Questo è un rilievo pratico che sottopongo alla Commissione perché, ove si stabilisse un termine all'autorità giudiziaria, ed uno stretto termine, come si chiede da altre parti, perché convalidi o meno la misura provvisoria adottata dalla autorità di polizia, noi porteremmo a questa grave conseguenza: che l'autorità giudiziaria, nell'impossibilità di rendersi conto in così breve tempo della fondatezza della notitia criminis, potrebbe introdurre la prassi, sia pure condannevole, di convalidare alla cieca l'arresto e il fermo, salvo, dopo una più meditata valutazione degli elementi di accusa, emanare un provvedimento di libertà provvisoria o di revoca del mandato di cattura.

Ed è opportuno, giacché ci troviamo ad occuparci di questo articolo 8, sottolineare l'importantissima innovazione posta nel comma tre, che cioè anche la misura dell'arresto in flagranza debba essere sottoposta a convalida del magistrato, perché il concetto di flagranza e la sua applicazione pratica non sono sempre facili a stabilire; ed è quindi necessario, per evitare che la polizia, allargando questo concetto di flagranza, possa violare la libertà fondamentale del cittadino, che il magistrato riesamini se sussistano le condizioni della flagranza e quindi la legittimità dell'arresto.

[...]

Grilli. Dopo la vasta dissertazione dell'onorevole Leone, se io vi prometto che sarò brevissimo me ne sarete grati. Io mi occuperò soltanto di una piccola parte di questo titolo e precisamente dell'ultimo capoverso dell'articolo 8, per il quale ho proposto, a titolo di emendamento, né più né meno, che la soppressione.

Ieri l'onorevole Carboni ha accennato alla inutilità di questo capoverso, perché lo riteneva perfettamente inutile dopo che al precedente comma si è assicurata la libertà e si sono assicurati gli altri diritti dei cittadini.

Ma io credo che si possa dire qualcosa di più: anzitutto questo capoverso, che contempla la punizione delle violenze commesse in danno di detenuti o di arrestati, contiene materia che è di esclusiva spettanza del Codice penale e perciò è inutile che sia inserita nella Costituzione. La Costituzione deve limitarsi ad enunciare un principio, a proclamare un diritto, ad imporre un divieto; spetta poi al legislatore penale di proclamare reato la violazione di quel diritto e stabilire la pena.

Questo concetto fu già espresso, davanti alla prima Commissione, dagli onorevoli Basso, Cevolotto, Lombardi, Mancini, Moro ed anche indirettamente dall'onorevole Tupini, il quale aveva proposto una formula che è molto più adatta per una Costituzione, cioè: «Alla persona fermata o arrestata è garantito un trattamento umano».

Prevalse il concetto dell'onorevole La Pira, il quale disse che bisognava specificare, data la dura esperienza fatta da gran parte dei componenti la Commissione durante il periodo fascista. Ma, onorevoli colleghi, durante il periodo fascista non soltanto il diritto all'incolumità dell'arrestato o del detenuto fu manomesso, ma furono manomessi molti altri diritti che oggi la Costituzione rivendica. Se si seguisse il concetto dell'onorevole La Pira, bisognerebbe, ad ogni articolo che proclama un diritto, aggiungere che la violazione di quel diritto è punita, nel qual caso la Costituzione diventerebbe un surrogato del Codice penale.

Per esempio, l'articolo 9 garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza; ma nessuno ha pensato di aggiungere un capoverso in cui si dica che la violazione della libertà e della segretezza della corrispondenza deve essere punita. All'articolo 13 si proibiscono le associazioni segrete, ma non si aggiunge che chi organizza un'associazione segreta è punito. All'articolo 16 si vietano le pubblicazioni scandalose e contrarie al buon costume, ma non si aggiunge che sarà punito chi farà queste pubblicazioni. E via dicendo fino all'articolo 38 che garantisce la proprietà privata, ma nessuno ha pensato di aggiungere che il ladro sarà punito.

Si potrebbe consentire l'inserzione di una norma penale nella Costituzione quando si trattasse di un reato nuovo, ossia di un fatto che fino a ieri non fu considerato reato e non fu punito, ma che si vuole che da qui innanzi sia punito. Sarebbe sempre un di più, un superfluo, sarebbe sempre una di quelle cose vane dalle quali bisogna ripulire le leggi secondo l'insegnamento di Giustiniano, che ci fu ricordato qui dall'onorevole Nitti. Sarebbe sempre superfluo; ma si potrebbe consentire, se non fosse altro, per impegnare più categoricamente il legislatore penale. Ma noi non ci troviamo di fronte ad un reato nuovo, perché qualsiasi violenza materiale o morale, commessa in danno di arrestati e di detenuti, costituisce vecchio reato previsto e punito dal Codice penale.

Senza fare una disamina particolareggiata di questo Codice, basterà ricordare l'articolo 605, che punisce il sequestro di persona e aggrava la pena contro il pubblico ufficiale che abusa del suo potere; l'articolo 608, che punisce l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti e le misure di rigore non consentite dalla legge nei confronti di persone arrestate o detenute; l'articolo 613, che comprende anche la suggestione ipnotica cui fu sottoposta la Fort e di cui ci parlò l'onorevole Pertini. Ma ad ogni modo tutte le violenze materiali e morali, che sono punite se commesse da un privato qualunque contro un altro privato, sono punite anche più gravemente quando sono commesse dal pubblico ufficiale contro arrestati o detenuti, perché le pene dell'articolo 581, che prevede le percosse, dell'articolo 582, lesioni, dell'articolo 594, ingiurie, dell'articolo 610, violenza privata, dell'articolo 612, minacce, sono aggravate, se commesse da pubblico ufficiale, da due precise aggravanti previste dall'articolo 61, e precisamente, al n. 5 per la minorata difesa in cui indubbiamente si trova la persona arrestata nelle grinfie della polizia, e al n. 9 che prevede il fatto commesso con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio. Sicché anche se non ci fosse che questo argomento della superfluità della ripetizione della norma, sarebbe sempre sufficiente a giustificare la mia proposta.

Ma c'è di più, ed è che io credo che questo capoverso dell'articolo 8 sia, sotto un certo aspetto, anche pericoloso. E mi spiego: le persone che non sono addentro al Codice penale — e ce ne sono tante, sebbene il Codice penale pretenda che tutti lo abbiano a conoscere — il cosiddetto uomo della strada, a cui si riferiva ieri l'onorevole Bettiol, potrebbero pensare che fino a ieri queste violenze fossero commesse perché non punite dalla legge, e illudersi che da qui innanzi non siano più possibili perché ormai vietate e punite da questo articolo 8. In questa illusione sembra che sia caduto anche l'onorevole Merlin, Sottosegretario alla giustizia, il quale, rispondendo all'interrogazione dell'onorevole Pertini, assicurava trionfalmente che la Commissione dei Settantacinque aveva già approvato il capoverso terzo dell'articolo 8. Illusione, badate, che sarebbe destinata a diventare presto delusione perché, se queste violenze contro gli arrestati e i detenuti si sono commesse fino a ieri, nonostante il Codice penale, non c'è ragione che non possano essere commesse anche domani, nonostante questo capoverso dell'articolo 8, perché il male non sta nella mancanza di una legge punitiva, ma nel difetto del costume.

Alcuni commissari hanno fatto un esperimento personale di violenze durante il fascismo, il che ha giustamente commosso l'onorevole La Pira. Questa commozione giustissima mi convince sempre più come sarebbe opportuno quel tal provvedimento proposto da un illustre giurista, che cioè si sottoponessero tutte le persone che aspirano a diventare magistrati o funzionari di pubblica sicurezza ad un certo periodo di carcerazione perché costatino, loro che son destinati a mandare la gente in prigione, che cosa sia veramente la prigione, perché gli esperimenti personali insegnano più dei libri e delle lezioni e non si dimenticano più.

Noi avvocati vi possiamo dire che questa famosa tortura, non la tortura dei tempi barbari, non la tortura del Santo Uffizio, ma un avanzo di quella tortura, una specie di ultimo rampollo di quell'aborrito sistema, si adoperava in parte anche prima del fascismo, la si è adoperata durante il periodo fascista, ma quel che conta è che si continua ad adoperare anche oggi che il fascismo dovrebbe essere finito da qualche anno.

Io uso fare il novanta per cento di tara alle dichiarazioni degli imputati; ma qualche volta mi è accaduto di constatare coi miei occhi i segni della violenza sul corpo dell'imputato. Gli avvocati penalisti possono controllare se esagero. Da un pezzo in qua, specialmente nei casi in cui bisogna far presto, come nei processi annonari, gli arrestati confessano immediatamente. In troppi processi noi avvocati troviamo che l'imputato, non appena arrestato, ha confessato. I non arrestati non confessano, l'arrestato confessa immediatamente. È strano, perché urta contro il senso della difesa, che è istintivo nell'uomo. E spesso accade che, quando sono interrogati dal Giudice istruttore o al processo, ritrattano la prima confessione e la spiegano colla tortura: interrogatori estenuanti, percosse, schiaffi, inganni, come quello del «se tu confessi ti rimetto in libertà» e, giù, giù, fino allo scarafaggio di cui ci ha parlato l'onorevole Gallo.

Ricordo un processo dinanzi alla Corte d'assise di Firenze, e l'onorevole Targetti che era con me nel collegio di difesa può confermare, nel quale risultò che certi fratelli Torricini avevano finito per confessare di aver ucciso una guardia regia, dopo un interrogatorio durato 48 ore da parte di funzionari che si succedevano dinanzi ai due fratelli ritti al muro, in piedi, senza mangiare, senza bere e con condimento di schiaffi e pugni. Io voglio anche ammettere che ci sia dell'esagerazione, ma c'è anche tanta verità! Ebbene, a me non è mai accaduto di vedere un funzionario sotto processo per violenze commesse in danno di un detenuto o di un arrestato. Ho voluto domandarne ad un illustre avvocato romano che di processi ne ha fatti più di me, e mi ha risposto che in tutta la sua carriera professionale, due volte soltanto gli era accaduto di leggere nella sentenza che non si credeva alla prima confessione dell'imputato perché vi era ragione di credere che fosse stata estorta con la violenza; ma nemmeno lui aveva mai visto un funzionario sotto processo per queste violenze.

A me è successo invece questo: che il presidente del tribunale, ascoltato l'imputato che diceva di essere stato costretto alla confessione e mostrava sulla faccia i segni delle violenze, domandò: chi è stato il funzionario che vi ha battuto? L'imputato rispose: quello là e indicò un poliziotto che si trovava nell'aula. Il presidente chiama il poliziotto e gli chiede: Avete sentito? È vero quello che dice l'imputato? E il poliziotto: Signor presidente, ma le pare che io possa fare queste cose! E il presidente allora rivolto all'imputato: Ringraziate Iddio che il pubblico ministero non proceda contro di voi per calunnia. L'imputato che era accusato di furto, mi chiamò e mi disse: Io sarò un ladro, ma questa gente è peggio di me. E io non potei dargli torto.

Non è dunque la norma penale che è mancata o che manca, ma è l'applicazione di essa e l'applicazione dipende dalla polizia e dall'autorità giudiziaria che, in questa materia, non funzionano a dovere. I commissari di pubblica sicurezza non si scandalizzano troppo di certi sistemi adoperati dai loro agenti; i questori non si scandalizzano dei loro commissari e i procuratori della Repubblica — una volta procuratori del regno — che hanno sempre i fulmini pronti quando si tratta di colpire il privato cittadino, ritirano questi fulmini quando si tratta di colpire gli agenti di polizia giudiziaria, per timore di screditarne la funzione.

Quell'avvocato, di cui vi parlavo dianzi, mi raccontava anche di un procuratore generale di una delle più importanti Corti d'appello, che non nomino perché è morto, che, parlando del famoso scarafaggio applicato sull'ombelico dell'accusato per farlo cantare e, badate, o signori, non per fargli confessare la verità vera, ma per fargli confessare quello che al funzionario interrogante sembra essere la verità, diceva che si trattava di una piccolezza che non merita tanto scalpore. Come vedete, è tutta una mentalità, è tutta una educazione che bisogna rifare, è tutto un costume che bisogna modificare, è una malattia che bisogna curare. Il legislatore ha fatto tutto quello che poteva fare; ha dettato gli articoli del Codice penale. Non c'è bisogno di incomodare la Costituzione. Spetta al potere esecutivo richiamare l'attenzione degli organi che debbono applicare la legge.

L'onorevole Scelba, rispondendo all'interrogazione dell'onorevole Pertini, diceva di considerare barbarici il sistema e la concezione secondo cui, purché il reo non si salvi, periscano il giusto e l'innocente. Il rispetto della personalità umana, egli soggiungeva, deve essere tenuto nel massimo ossequio dalla polizia; egli assicurava inoltre che disposizioni perentorie erano state date in tal senso. Egli raccomandava infine che è necessario però creare intorno alla polizia un'atmosfera di fiducia. Ebbene, onorevole Ministro dell'interno, questa atmosfera di fiducia è anche nell'aspirazione del popolo italiano, il quale non attende altro se non che la polizia meriti questa fiducia. E la potrà meritare soltanto quando la storia e la cronaca di queste violenze commesse nel segreto delle caserme e delle questure saranno definitivamente liquidate. E sarà bene che venga richiamata anche l'attenzione dei procuratori della Repubblica, ai quali non basta ricordare l'articolo 83 dell'ordinamento giudiziario, come ha promesso l'onorevole Merlin; ma occorre ricordare il Codice penale che punisce le violenze dei pubblici ufficiali.

Io ho finito. Qualunque sia per essere la fortuna che sarà riserbata alla mia proposta, sono lieto di aver potuto affrontare la realtà di questo problema che è, ripeto, problema di costume, non problema di norma giuridica, ed è anche un problema importantissimo, perché possiamo fare quante Costituzioni democratiche vogliamo; ma finché il cittadino non sarà tranquillo per la sua incolumità personale quando è chiamato a render conto alla giustizia, non avremo il diritto di appellare il nostro Paese un Paese civile. (Applausi).

[...]

Cavallari. [...] Nel procedere alla breve indagine particolareggiata dei molti articoli contenuti nel titolo 1° del progetto di Costituzione, io desidero riferirmi specificatamente al 2° capoverso dell'articolo 8, nel quale è detto che non è ammessa «forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale o domiciliare, se non per atti, ecc.».

Ora in questo secondo comma si unisce, si fa tutto uno della detenzione, della ispezione e della perquisizione personale e domiciliare. Io penso che sarebbe stato forse più opportuno fare due articoli, in modo da mettere giustamente in evidenza e bene in risalto l'importanza della libertà di domicilio, alla quale, in questo secondo comma, ci si riferisce solamente parlando delle perquisizioni, ma ignorando che la libertà di domicilio può essere violata anche in altre occasioni che non siano quelle nelle quali la forza pubblica ha un mandato per compiere una perquisizione in casa del cittadino.

Sull'ultimo capoverso dell'articolo 8 molte parole sono state ormai spese. Tutto ciò che c'era da dire, penso che sia stato detto; ma qui vorrei far notare solamente una cosa. Da parte di alcuni oratori che mi hanno preceduto è stato dichiarato che l'ultimo comma è pleonastico, cioè che non importa metterlo nell'articolo 8, in quanto è un corollario logico del principio di libertà che emana da tutto l'articolo 8, anzi da tutta la Costituzione italiana.

Orbene, io penso che, dati gli episodi ai quali abbiamo assistito ed assistiamo continuamente, episodi che con parola così viva sono stati messi in risalto da parte dell'onorevole Grilli, e dato questo malcostume che è invalso nel nostro Paese da parte di molti agenti, che dovrebbero essere agenti tutori dell'ordine ma che molto spesso non lo sono, penso che sia opportuno mantenere questo articolo, anche se può essere pleonastico, in modo da consacrare solennemente, altamente e senza possibilità di equivoci, questa aspirazione del popolo italiano, sì che ci si astenga finalmente dall'uso di quelle violenze che non disonorano solamente coloro che le compiono, ma tutta una civiltà e tutto un popolo.

[...]

Mastino Pietro. [...] Debbo però, prima, far mio un accenno dell'onorevole Grilli, il quale ha detto che le disposizioni della nuova Carta costitutiva furono violate, per quanto già contenute nello Statuto albertino e per quanto il Codice penale già punisca quanti usino violenze verso i sottoposti a misure di sicurezza che ne restringano la libertà personale.

Diceva l'onorevole Grilli come l'inanità, la mancata pratica applicazione di quelle disposizioni contenute nei Codici penali, renderebbe, in certo senso, vano ed inutile lo sforzo cui siamo intenti quest'oggi. Dico all'onorevole Grilli che questa sua affermazione contiene una parte di verità amara, ma non ci deve scoraggiare ad avere fiducia nella vita della nuova Italia repubblicana.

Non basterà certo lo Statuto a mutare l'ambiente: è negli spiriti che si deve verificare la riforma; nel costume e nella vita, tutto, dal basso verso l'alto, dev'essere innovato. Quando parliamo di Italia nuova, quando parliamo di Repubblica, noi dobbiamo pensare che non basta intitolare la forma dello Stato dalla repubblica anziché dalla monarchia, ma occorre pensare e volere uno Stato reso più alto nelle coscienze e nella vita dei cittadini.

Posso quindi passare, onorevoli colleghi, senz'altro, all'esame dei singoli articoli. È così che, parlandovi dell'articolo 8 dovrò ripetervi alcune cose che già sono state dette da altri. Tenterò però servirmi di quella esperienza, la quale non mi deriva solo, come altri per proprio conto hanno detto, dall'esercizio professionale, ma dall'avere condotto quell'esercizio in un ambiente ben diverso.

Quando io leggo, nell'articolo 8, che, in determinati casi di necessità e di urgenza, l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie, da comunicare, entro 48 ore, all'autorità giudiziaria e sento dire che questo termine è eccessivamente lungo, io concordo mentalmente con questo argomento che è una specie di protesta di chi vorrebbe che neanche un minuto possa trascorrere prima che l'autorità giudiziaria intervenga; ma quando penso poi al desolato mio ambiente, in cui le possibilità telefoniche mancano spesso, in cui spessissimo l'autorità è rappresentata da un posto fisso di carabinieri sperduti nelle campagne, riconosco che questo termine di 48 ore diventerà un'affermazione platonica che rimarrà come tale nella legge.

Non è — badate — onorevoli colleghi, che io intenda proporre un allargamento del termine sopradetto; intendo unicamente presentare alla Commissione e a quelli che dovranno ancora in materia discutere e decidere, una difficoltà di indole pratica, perché l'articolo 8 sia formulato con riferimento preciso alla sua pratica applicazione. Solo se in pratica potranno essere vitali, gli articoli dello Statuto meriteranno approvazione. È, quindi, necessario riferirsi alla possibilità della loro applicazione in tutti gli ambienti delle varie regioni.

Nel secondo capoverso dello stesso articolo invece che «l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie», io scriverei: «la polizia giudiziaria», termine più comprensivo.

[...]

Trimarchi. [...] Ed è perciò che plaudiamo pure a quella parte dell'articolo 8, che sancisce la punizione di ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Noi vogliamo che anche quando l'individuo debba essere fermato per motivi di pubblica sicurezza, per essere sospetto di un reato gli venga usato quel trattamento che comporta la dignità dell'essere umano, la nobiltà di questo essere superiore a tutti gli esseri della natura, la nobiltà di una persona che ha un cuore e un'anima.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti