[Il 28 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. Ed eccomi all'articolo 14. Se nell'articolo 5, o meglio nell'articolo 7, il problema specifico è quello dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, qui si parla in genere di libertà religiosa, qui si riconosce, per tutti, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto. La norma, nella formulazione, concerne tutti i cittadini; ma, in realtà, qui si hanno presenti le minoranze religiose. E per questo, come già è stato osservato, anch'io non trovo troppo rispettosa verso le minoranze la restrizione espressa nell'inciso: «purché non si tratti di principî o riti contrari all'ordine pubblico o al buon costume». Non che la restrizione, in sé, non sia giusta; è ingiusto riferirla solo alla fede religiosa delle minoranze. Degenerazioni, sotto la parvenza della spiritualità, del sano sentimento religioso, con credenze superstiziose e riti paganeggianti, se ne possono avere in tutte le fedi, in tutte le Chiese. E perciò, ripeto, questo inciso dovrebbe essere eliminato, in quanto riferito esclusivamente, alla religione delle minoranze.

Moro. Questo va coordinato con l'ultima parte dell'articolo 7, che deve essere trasferita qui.

Della Seta. Per quanto per noi rimanga sempre in piedi la pregiudiziale dell'articolo 5 del progetto, di quell'articolo che, in attesa della ineluttabile revisione, ha ormai consacrato, nella Costituzione, la confessionalità dello Stato e con questa, rispetto alla maggioranza dei credenti, una innegabile inferiorità, morale e giuridica, negli istituti e nelle leggi, delle minoranze religiose; per quanto la legge che disciplina la vita di queste minoranze sia sempre la legge del 24 giugno 1929 sui culti ammessi, tuttavia non possiamo non esprimere il nostro compiacimento pel fatto che in questo articolo 14 non è dato trovare né la espressione offensiva di culti tollerati, né la espressione ambigua ed insidiosa di culti ammessi, poiché ciò che oggi si ammette si potrebbe domani, accampando chi sa quali misteriose ragioni politiche, non ammettere. Ciò che vale in questo campo è che i giusti principî consacrati nella Costituzione non siano, subdolamente, smentiti da violazioni di fatto che risolvono la conclamata libertà religiosa in una ironia, se non in una beffa. Non debbono ripetersi fatti, che i veri e buoni cattolici saranno i primi a deplorare, fatti di cui noi abbiamo la prova inoppugnabile.

Io non sono un evangelico; ma dico che, in una fiera del libro, non deve essere proibito agli evangelici di avere anch'essi un loro banco per vendere le loro Bibbie. Si teme forse la diffusione della Bibbia? Io dico che non si deve rinnovare la beffa di autorizzare gli evangelici a costruire un tempio, e, dopo che questo è stato costruito, proibire l'apertura del tempio per l'esercizio del culto, costringendo i fedeli, per la celebrazione del rito, a riunirsi nel sottosuolo. Non si deve impedire ad un pastore evangelico di accorrere a presenziare un rito funebre, adducendo il pretesto che egli non può varcare il territorio della propria giurisdizione. Fatti deprecabilissimi, che i buoni cattolici, ripeto, saranno i primi a condannare e che io ricordo non a scopo di recriminazione, ma perché desidero che non abbiano più a rinnovarsi, offendendo, non solo le minoranze religiose, ma la nostra stessa civiltà e il nostro buon nome presso gli altri popoli civili.

[...]

Mortati. [...] Venendo al merito dell'articolo 14, è da mettere in rilievo come le garanzie di libertà religiosa in esso contenute siano fra le più ampie di quante siano disposte nelle Costituzioni moderne.

L'onorevole Preti, che si è occupato di questo argomento, pur ammettendo che il contenuto dell'articolo 14 sia in sé liberale, ha osservato come su questa disposizione gravi l'ombra dell'articolo 7, cioè ha sostenuto che il carattere confessionale derivante allo Stato dai Patti del Laterano influisce dannosamente sull'attuazione della libertà religiosa consacrata dall'articolo 14.

Non mi fermo sull'inesattezza della tesi che fa derivare il carattere confessionale dello Stato dai rapporti con la Chiesa cattolica, quali sono consacrati nel Concordato del Laterano, perché già in sede di discussione nell'articolo 7 essa è stata dimostrata abbondantemente. Mi pare di poter osservare che se una correlazione volesse farsi fra le situazioni che verranno a determinarsi in virtù delle due disposizioni, deve ritenersi che essa operi in senso inverso a quello affermato dall'onorevole Preti, cioè nel senso che lo spirito liberale che informa l'articolo 14 offra una riprova del carattere non confessionale dello Stato, e del proposito del costituente di porre i vari culti in posizione di parità fra di loro.

L'esattezza di tale affermazione può desumersi da una breve analisi delle disposizioni contenute nell'articolo 14, che considerano la libertà religiosa sotto tre aspetti.

In primo luogo, esse concedono la libera professione della propria fede ad ogni cittadino, e in questa libera professione di fede si devono ritener comprese tutte le manifestazioni del pensiero e della convinzione religiosa. Questa libertà implica l'attribuzione di diritti in senso negativo, cioè nel senso di potere respingere coazioni da parte di altri, o comunque di non subire limitazioni nella fede professata; implica altresì una serie di diritti positivi di esplicazione della propria opinione religiosa, in tutte le forme, sia individuali, sia associate.

In secondo luogo esse concedono libertà di propaganda; innovando in ciò alla legge del 1929 sui culti ammessi, la quale ne taceva.

In terzo luogo, infine, concedono piena libertà di esercizio degli atti di culto. Come si vede, non vi è nessun lato della libertà religiosa che venga trascurato, nessuna espressione che non venga espressamente tutelata.

Forse, per eliminare ogni dubbiezza di interpretazione, sarebbe opportuno (e mi riservo di presentare un emendamento in questo senso) di trasferire l'inciso «in qualsiasi forma individuale e associata» subito dopo la parola «tutti», nel senso che sia chiaro che questa libertà di esercizio, in qualsiasi forma individuale e associata, si riferisce a tutte le estrinsecazioni della libertà religiosa. Un rimprovero che ha mosso l'onorevole Preti all'articolo 14, e che mi pare sia stato richiamato stasera anche dall'onorevole Della Seta, si riferisce al limite che l'ultima parte dell'articolo stesso pone per quanto riguarda i principî, o i riti contrari all'ordine pubblico o al buon costume.

L'onorevole Preti ha affermato che le sue indagini di legislazione comparata lo hanno portato alla conclusione che limiti del genere non si rinvengono nelle Costituzioni moderne liberali, mentre invece essi si troverebbero o in Costituzioni antiche o in Costituzioni moderne di spirito antiliberale.

Ma, evidentemente, le indagini dell'onorevole Preti non sono state molto diligenti, perché altrimenti esse lo avrebbero portato a rilevare che anche le Costituzioni più moderne e più democratiche contengono limitazioni di questo genere e anche più gravi.

Ne cito alcune. Quella cecoslovacca, agli articoli 122 e 125, fa riferimento non solo alla pubblica moralità, ma anche ai regolamenti; la Costituzione della Repubblica socialista della Spagna del 1931 subordina all'articolo 27 il riconoscimento della libertà religiosa al rispetto della pubblica moralità; del pari la Costituzione Svizzera e così ancora quella di Weimar che all'articolo 135 poneva come limite la legge generale dello Stato, nella quale dizione devono ritenersi compresi anche il limite relativo all'ordine pubblico.

Non cito poi la Costituzione russa moderna che mentre afferma, in genere, la libertà di coscienza, limita poi la propaganda ammettendola solo in senso antireligioso.

Bisogna aggiungere che il limite posto dall'articolo 14 relativo all'ordine pubblico sarebbe operante di per sé, anche nel silenzio della Costituzione, e quindi la proposta che vedo enunciata in un emendamento dell'onorevole Binni, in cui si tace di questo limite, anche se fosse accolta, non muterebbe la situazione, perché il limite dell'ordine pubblico è imminente a ciascun ordinamento e la ragione è ovvia. Il limite dell'ordine pubblico trova la sua giustificazione in quelle esigenze di conservazione dell'assetto costituzionale dello Stato, che non potrebbe attuarsi se non con la conservazione dei principî fondamentali dell'ordinamento stesso.

Si tratta di un principio generale, un'esplicazione del quale si trova nelle disposizioni preliminari del Codice civile, secondo cui tutti gli atti delle autorità straniere sono subordinati a questo limite, che opera sempre nel senso di circoscrivere l'ambito delle autonomie concesse dallo Stato.

È però da rilevare che l'ammissione di tale limite non importa la conseguenza che ne faceva derivare l'onorevole Preti. Ossia, non è vero che per esso la libertà religiosa sarebbe affidata all'arbitrio della polizia. È ovvio che il giudice dell'esatta osservanza di questi limiti non può essere in ultima istanza se non il magistrato, al quale, del resto, è affidata la tutela di ogni altra forma di libertà. Ed allora la preoccupazione deve essere quella di formare una magistratura che sia veramente capace di esprimere quello che è il sentimento popolare; ed appunto a questo scopo è diretto il nuovo ordinamento che alla magistratura dà questo progetto di Costituzione. Attraverso un'interpretazione delle leggi in materia, che traduca fedelmente lo spirito di libertà, che ha mosso i compilatori del progetto, si potrà far valere in pratica la parità dei culti, parità che però non potrà non incontrarsi in certi limiti naturali che derivano dalla situazione di fatto, e che neppure il legislatore può eliminare. Questo si dica, per esempio, nei confronti della proposta, segnalata ai membri della Costituente dal Consiglio delle Chiese evangeliche, con cui chiede di osservare le festività e il riposo festivo non secondo il calendario e le prescrizioni della Chiesa cattolica ma secondo le prescrizioni dei vari culti e quindi consentire agli appartenenti dei vari culti di godere del riposo festivo disposto dal proprio culto. Evidentemente una norma del genere sarebbe di impossibile applicazione, date le esigenze del coordinamento delle attività lavorative, che implicano la contemporaneità del lavoro.

Ho voluto citare questo esempio, ma se ne potrebbero citare altri precisamente per dimostrare come quella disparità che si rimprovera al nostro legislatore è, a volte, una disparità che nasce dalla situazione di fatto, e che non è modificabile. Così anche il rilievo che si è fatto della disuguaglianza dell'applicazione delle pene per quanto riguarda le offese ai vari culti, non tiene conto del principio, secondo cui le pene sono graduate in relazione a quella che è la gravità del danno arrecato: proporzionate alla reazione della pubblica opinione, del sentimento pubblico. Ed è evidente che questa reazione, quest'offesa è più grave quando tocca le convinzioni della grande maggioranza dei cittadini ed è meno grave negli altri casi.

Non potrebbe a questo proposito invocarsi quanto affermava l'altro giorno l'onorevole Calosso, circa la parità del valore spirituale del singolo rispetto alla moltitudine, poiché il diritto penale, per sua natura, procede alla sua tutela in base a considerazioni di media.

In ogni caso, è da notarsi che la Costituzione non impone nessun principio in ordine alla graduazione delle pene, e su questo problema si potrà decidere in modo diverso quando il futuro legislatore si convinca che sia opportuno tutelare allo stesso modo le offese alle varie fedi.

Quello che importa rilevare — e con questo concludo — è che la Democrazia cristiana non porrà mai ostacolo ai provvedimenti che saranno proposti allo scopo di attuare una sempre maggiore uguaglianza di trattamento fra i vari culti, nei limiti in cui tale uguaglianza sarà resa possibile dalla situazione di fatto.

Essa rifugge dall'invocare un intervento dello Stato, diretto a comprimere il sentimento e l'attività delle confessioni diverse dalla cattolica. Ciò non solo perché tale intervento urta contro un sentimento profondamente radicato nella coscienza moderna, ma altresì per il pericolo che esso può presentare di attenuare lo slancio combattivo dei cattolici, nell'azione diretta all'espansione dell'idea che li muove. Tale espansione deve essere assicurata solo dal fervore dell'apostolato, esplicato in tutte le direzioni della vita associata, per recare in tutte, attraverso la libera discussione e la spontanea adesione, la luce e l'ispirazione del messaggio evangelico. (Applausi al centro).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti