[Il 26 marzo 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Tieri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ciascun articolo di questo primo titolo della prima parte del progetto di Costituzione ha in comune con quasi tutte le altre parti del progetto il pregio di incominciare bene e il difetto di terminare male: desinit in piscem.

[...]

E non parliamo, per ora, dell'articolo 16, quello relativo alla libertà di pensiero e di parola che è veramente un esempio insuperabile, un vero e proprio trattato dei temibili mezzi con cui uno Stato può impedire al cittadino di pensare e di esprimersi a modo suo.

[...]

Ed eccoci appunto all'articolo 16, all'articolo che può illuminare di sé tutto il titolo in discussione e, vorrei dire, tutta la Carta statutaria, così come può gettare ombre di discredito irreparabile sulla nuova e tanto invocata e tanto decantata democrazia. Dice il primo comma dell'articolo 16: «Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione». Gli leverei soltanto quella virgola prima della congiunzione «ed» e alla «ed» leverei la d. Poi non aggiungerei altro.

Invece è uno degli articoli più lunghi di tutta la Costituzione. Si compone di sei commi, dei quali il secondo è inutile — «La stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure» — e ciascuno degli altri quattro è una completa negazione del primo.

Inutile, il secondo, per evidenti ragioni. Se è libero il pensiero, se è libera ogni espressione del pensiero, se libero è ogni mezzo di espressione del pensiero, quindi anche la stampa, perché mai parlare di autorizzazioni o censure della stampa?

La domanda è ingenua, si capisce. È ingenua, perché al secondo comma segue il terzo; e il terzo dice: «Si può procedere al sequestro soltanto per atto dell'autorità giudiziaria nei casi di reati e di violazioni di norme amministrative per i quali la legge sulla stampa dispone il sequestro». Niente autorizzazioni, dunque; niente censure. Ma sequestri sì. E non già sequestri per i casi di reato che il Codice penale può ben prevedere e in ogni tempo ha previsto, o per violazioni di norme amministrative naturalmente e legittimamente contemplate in sede opportuna; ma sequestri per reati e violazioni indicati nella legge sulla stampa. Così, zitti zitti, con un lieve colpo di mano inguantata, l'esistenza, la legittimità, la naturalezza vorrei dire, di una legge sulla stampa sono consacrate nella Carta costituzionale; e una legge sulla stampa, la quale non può essere che una legge speciale, è già, in tal modo, una delle norme fondamentali per la struttura e il funzionamento dello Stato. (Commenti).

Leone Giovanni. La legge sulla stampa ha la stessa genesi del Codice penale.

Tieri. Questa è una sua opinione.

Una legge sulla stampa? Ma nel paese di un popolo veramente libero e veramente moderno, la legge sulla stampa non può consistere che in articolo unico — «La stampa è libera; i reati commessi per mezzo della stampa sono previsti dal Codice penale» — e non ha bisogno di stare a sé, di costituirsi in Codice separato dagli altri Codici, ma può trovar posto in uno dei Codici, e i giuristi potranno dir quale.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, si incomincia con una legge sulla stampa e si sa bene dove si va a finire. I dispotismi, i totalitarismi, le tirannie cominciano tutti con una legge sulla stampa. Poi avviene che i giornali clandestini, frutto di tali leggi, diventano presto i più diffusi. Rochefort, mandato in esilio da Napoleone III, riusciva a mandare in Francia il suo proibito giornale La lanterna dentro statue di gesso che figuravano l'imperatore in persona. Le copie della Lanterna di Rochefort passavano di mano in mano, erano lette avidamente, facevano a Napoleone III più male che tutti i suoi errori.

Tupini. Ricorda l'articolo 28 dello Statuto? «La stampa è libera; ma una legge ne reprime gli abusi». Questo è lo Statuto. Tanto per ricordarlo.

Tieri. Me lo ricordo benissimo. Gli Stati, i Governi hanno tutto l'interesse di non limitare la libertà di stampa, perché un popolo che ha libertà di stampa arriva a sopportare ogni atto dei suoi governanti. Gli uomini non si convertono riducendoli al silenzio. (Ma i Governi immaginati, vaticinati dai nostri soloni potranno adottare sul serio certi ironici versi di Wolfango Goethe: «O dolce libertà di stampa! Vieni, e lasciaci stampare tutto e dominare sempre: soltanto non dovrebbe fiatare nessuno che non la pensi come noi»).

Dice il comma quarto: «Nei casi predetti (cioè nei casi di reati e violazioni di norme amministrative), quando vi è assoluta urgenza e non è possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che debbono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, chiedere la convalida dei loro atti alla autorità giudiziaria». Siamo già al regime poliziesco. Il Ministro dell'interno si sostituisce al magistrato, sia pure per ventiquattro ore. E, poiché è raro che un giornale duri più di ventiquattro ore, quando l'autorità giudiziaria non avesse convalidato l'atto di sequestro, le copie del giornale sequestrato andrebbero a finire nel magazzino delle rese, o dal fruttivendolo, o al macero.

Non dico che il giornale non ci guadagni. Il sequestro è una delle più efficaci pubblicità. Siamo sempre al destino degli atti dispotici, che inevitabilmente si ritorcono contro il dispotismo, che danneggiano il despota prima delle sue vittime.

Ma è il concetto della libertà che ne soffre. Se un governante vuol proprio suicidarsi, s'accomodi; ma scelga mezzi più rapidi, che non diano fastidio al popolo. Noi popolo vogliamo scrivere e leggere quello che ci pare, compatibilmente con i Codici comuni. Almeno scrivere e leggere quello che ci pare.

Né si affaccino le solite, note ragioni del vario danno che può venire al popolo e al paese da una eccessiva libertà di stampa. Governi che sequestrino carta stampata se non per la propria egoistica difesa, non ne conosciamo. Ciascun Governo lascia libera la diffusione di quanto fu proibito dai Governi precedenti di secoli o di mesi. Perfino le offese al buon costume, proibite oggi, tornano sulla stampa, in sede, come dire, storica, domani o doman l'altro. Comunque, anche per le offese al buon costume c'è il Codice penale.

E che dire, poi, del comma quinto di questo sciagurato e mostruoso articolo 16? «La legge — è scritto nel comma quinto — può stabilire controlli per l'accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica».

Pajetta Gian Carlo. E questo che vi dispiace!

Tieri. Dispiace più a voi! Vi abbiamo sfidato più volte e non avete mai accettato la sfida. Le sottoscrizioni le sappiamo fare anche noi: facciamo questo mestiere di giornalisti da molti anni.

Pajetta Gian Carlo. Allora, se siete d'accordo, lasciate stare.

Tieri. Qui entriamo nel campo del grottesco oltre che del liberticida. «Controllo per l'accertamento delle fonti di notizie». Non solo accertamento; ma controllo per l'accertamento. Di che si tratta? Di una violazione legalizzata del segreto postelegrafonico? Di sistemi inquisitori per indurre il giornalista a svelare i mezzi del suo mestiere? E in quale circostanza, per quali ragioni, a qual fine? Bastano le sole domande a far sorridere, e subito dopo aver fatto sorridere, a far tremare. (Commenti a sinistra).

Quanto ai mezzi di finanziamento, è chiaro che non si tratta di accertamenti legali, alla portata di tutti, da compiersi presso gli uffici ove sono depositati i libri di tutte le società editrici. Si tratta, anche in questo caso, di accertamenti polizieschi, vani da un lato e dall'altro lato iniqui. Vani, perché il finanziatore di un giornale e il giornale finanziato — ove finanziamento esista in luogo di autosufficienza amministrativa — possono nascondere in mille modi l'origine, la quantità, la natura del finanziamento; iniqui, perché siffatti accertamenti dovrebbero poter identificare i legittimi interessi ideali o materiali che un giornale difende, e non si capisce che cosa ci sia di illecito nel fatto che un legittimo interesse materiale o spirituale, quale che esso sia, cerchi e trovi o si crei una sua difesa giornalistica, che è poi una difesa fatta alla luce del sole, identificabile da qualsiasi lettore anche tra i meno esercitati. Bisognerebbe arrivare all'assurdo di proibire la difesa ad alcuni dei legittimi interessi materiali o spirituali dell'uomo; bisognerebbe, in altri termini, privare l'uomo del diritto della difesa legittima che è il più sacro dei suoi diritti. Inaudita soperchieria. (A meno che non si tratti di innocente curiosità da parte del legislatore e del governante; e una tal curiosità innocente, dopo tutto, ogni Governo se la suol cavare per mezzo del capo della polizia).

[...]

Carboni. [...] Con queste premesse, vengo a quello che è il tema che più mi interessa in questo titolo «Dei rapporti civili», il tema della libertà di stampa, disciplinato dall'articolo 16. Se ne è fatto già qualche accenno; qualche accenno che ha permesso a taluno di affermare addirittura che questa sia una Costituzione liberticida.

Io sono di opinione perfettamente opposta; però non posso tacere la mia opposizione, e quella dei miei amici, opposizione netta, assoluta al quarto comma dell'articolo 16, dove si concede la possibilità del sequestro della stampa periodica da parte degli ufficiali della polizia giudiziaria, nei casi di urgenza.

So che in seno alla Prima Sottocommissione autorevolmente e sottilmente si è cercato di giustificare questo sequestro preventivo con l'intento di difendere la democrazia e la Repubblica dall'assalto della stampa neofascista. So questo, e condivido il pensiero che nell'attuale momento politico ci si debba attentamente e profondamente preoccupare del pericolo costituito da tendenze che rappresentano la negazione delle fondamenta di libertà e di democrazia sulle quali si va costituendo la Repubblica. Però mi permetto di osservare che la Costituzione non è una legge particolare, non è una legge di carattere eccezionale, di carattere temporaneo; non è una legge che possa essere ispirata alle necessità del momento: è una legge che dev'essere riguardata sub specie aeternitatis, e che, traendo ammaestramento dal passato, deve creare uno Stato democratico. E quando diciamo «uno Stato democratico» diciamo uno Stato antifascista, nel senso che antifascismo significa libertà e democrazia. Quindi le considerazioni contingenti non devono tradursi in disposizioni contrarie ai principî essenziali di libertà e di democrazia che devono costituire lo spirito informatore della Costituzione.

Si dice: «Dobbiamo difendere la libertà e la democrazia». Ma quale bene maggiore in un regime di libertà e di democrazia che la libertà di stampa, estrinsecazione necessaria di quella libertà di pensiero che è la caratteristica insopprimibile dell'uomo? di quella libertà di pensiero che in regime fascista era il conforto delle nostre coscienze? Se l'intimo pensiero di alcuno oggi si manifesta in forme patologiche o addirittura criminali, contro queste manifestazioni patologiche e criminali, contro qualsiasi attentato al regime di libertà e di democrazia che noi intendiamo fondare su basi salde, e proprio perché vogliamo fondarlo su basi salde, la Repubblica deve reagire con la repressione punitiva, affidata all'autorità giudiziaria, e non con sistemi polizieschi, che si risolverebbero in una compressione della libertà e in una negazione della democrazia.

Affidare al Governo, attraverso i suoi ufficiali di polizia giudiziaria, la potestà di sequestrare la stampa periodica, significherebbe dare al Governo il mezzo di sopprimere i propri contraddittori. Sarebbe dare al Governo il mezzo di sopprimere non soltanto gli attentati alla libertà ma anche quella collaborazione della pubblica opinione che è condizione essenziale, indispensabile, della civiltà moderna e di ogni Stato libero e democratico.

D'altra parte, credete voi che il sequestro preventivo sia veramente un mezzo idoneo ad ottenere il risultato sperato? Il grande numero di giornali, le loro varie edizioni imporrebbero un controllo di difficilissima efficienza ed esecuzione. E comunque il sequestro non riuscirebbe a distruggere la capacità di propaganda di uno scritto incriminato, perché sarebbe impossibile colpire tutte le copie, e quelle sfuggite al sequestro sarebbero ricercate e lette con maggiore avidità, ed intorno al giornale sequestrato si creerebbe una aureola di martirio e di popolarità, che ne farebbe accrescere il credito e la diffusione; per cui i risultati praticamente verrebbero ad essere contrari all'intenzione.

La libertà di stampa è una esigenza fondamentale, alla quale noi non sappiamo rinunciare. Se di questa libertà si abusa criminosamente, si colpiscano i responsabili penalmente. Si tratta spesso di reati non soltanto contro l'individuo, o contro gli esponenti maggiori del Paese o di determinate correnti politiche, bensì contro il potere, contro la personalità dello Stato. Si agisca energicamente, ma nella via maestra della giustizia, con l'intervento del potere giudiziario, nelle forme di procedura apprestate per il rispetto della legge ed a garanzia della libertà e dei diritti dei cittadini.

Il problema della stampa è, come tanti altri che ci angustiano in questo momento, un problema di educazione civile e di educazione morale.

Dobbiamo elevare la stampa; e questo otterremo non con la sanzione del sequestro preventivo, ma con l'esempio e con la pratica di quei principî di libertà e di democrazia che devono essere non solo sulle nostre labbra, ma anche e soprattutto e sempre nei nostri animi e nelle nostre azioni. (Applausi a sinistra).

[...]

Preziosi. [...] Articolo 16. Nell'articolo 16 si parla della libertà di stampa. Il collega Carboni ha aderito al concetto della libertà di stampa affermato da colleghi di altri banchi. Ma siamo tutti d'accordo su quella che deve essere la libertà di stampa ed io sono d'accordo con Carboni quando dice: piano con le interferenze del potere esecutivo, con gli immischiamenti da parte della polizia in quello che è un diritto sacrosanto dell'autorità giudiziaria, poiché soltanto essa può difendere al di sopra delle passioni certe inviolabili libertà come quelle di stampa e di opinione.

Trovo strano che un progetto di Costituzione che in un primo momento afferma un principio, quasi sacro, di inviolabilità di un diritto, poi successivamente ponga tutte le premesse e tutte le possibilità perché si possa violarlo.

L'articolo 16 infatti al terzo comma afferma che si può procedere al sequestro nel caso di reati e di violazioni di norme amministrative per i quali la legge della stampa dispone il sequestro, soltanto per atto dell'autorità giudiziaria. Quindi l'articolo fa riferimento ad una legge e poi dice «nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza». Andiamola a pescare, questa assoluta urgenza. È una specie di cosa introvabile, troppo elastica! Non è possibile mai parlare di assoluta urgenza quando non è possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria.

Quindi, onorevoli colleghi, facendo passare libero l'articolo 16 così com'è, noi sanciremo, in questo nostro progetto di Costituzione, quando esso sarà la legge definitiva dello Stato, un principio che cozza contro tutti i principî di elementare libertà di stampa.

Noi affermiamo che gli ufficiali di polizia giudiziaria, nei casi di urgenza, debbono richiedere all'autorità giudiziaria medesima di procedere al sequestro qualora risulti una violazione contemplata dalla legge. A tal proposito presento un emendamento il quale vuol significare: impedire in ogni caso l'arbitrio da parte degli agenti di pubblica sicurezza e dei carabinieri, perché quando gli agenti di polizia giudiziaria o le autorità del potere esecutivo commettono un'infrazione grave alla nostra libertà si possa subito intervenire presso l'autorità giudiziaria. L'intervento dell'autorità giudiziaria serve ad impedire soprusi e a indicare subito se è il caso o non è il caso di ricorrere al sequestro. Voi direte che può far comodo e non può far comodo, ma qui non si tratta di questo, si tratta di affermare il principio di giustizia e di libertà, affermato il quale non bisogna ricorrere alla scappatoia che si mette in essere molto volentieri per calpestare ogni volontà ed ogni diritto.

[...]

Bellavista. [...] passo direttamente all'esame dell'articolo 16, con un'altra premessa, che vorrei fosse meditata dai colleghi di parte avversaria: se questa è veramente la Magna Charta della Repubblica, questo titolo primo rappresenta la turris eburnea dello Stato di diritto, ed esso è veramente la Magna Charta Libertatum, ed ogni appunto allora che si muova, da qualsiasi settore della Costituente non obbedisce altro che ad una istanza di libertà, che tutti profondamente sentiamo. Perché altrimenti non saremmo in un Parlamento ed in una Costituente che così fisiologicamente e costituzionalmente è legata all'idea della libertà. Non sia frainteso dunque il senso della mia parola, quando io vi dico che bisogna divorziare...

Tupini. Aspetti a suo tempo, onorevole Bellavista, di parlare del divorzio. (Si ride).

Bellavista. Si rassicuri, l'onorevole interruttore: io non intendo parlare di quel tal divorzio, che desta le sue apprensioni, ma volevo soltanto divorziare il comma 5 dell'articolo 16 della Carta costituzionale. (Commenti).

Dopo una premessa, infatti, che fa onore ai legislatori, dopo avere affermato il principio della libertà di stampa, pure con quelle limitazioni sulle quali ha richiamato la vostra attenzione con tanta autorità il collega onorevole Carboni, al comma 5° voi, Commissari, avete posto questa norma, avete dato allo Stato questa facoltà: che si possa controllare l'accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica.

La norma è duplice, perché questa potestà di controllo si esercita da una parte sull'attività professionale e dall'altra sulle fonti che eccitano questa attività e la rendono possibile. Fermiamoci a considerare soltanto la prima delle limitazioni di cui trattasi.

Ora, se c'è fra le professioni liberali una attività intimamente connessa e legata alla privata iniziativa, alla privata capacità ed idoneità, non c'è dubbio che questa sia la professione giornalistica. Gli esempi sono numerosissimi ed hanno il dono di quella che Enrico Ferri chiamava la «posterità contemporanea», perché si svolgono più che in Italia all'estero, in modo così manifesto ed eclatante da dimostrare il bene che alla società organizzata a Stato questa attività produce e conferisce.

Un esempio? Domandate alle varie, ben fornite di mezzi finanziari, agenzie americane o inglesi se ce n'è una sola di esse che riesca a battere Drew Pearson che collabora ad una infinità di giornali americani. Egli «sa», ha l'istinto della notizia, sa catturarla, sa anticiparla; sono virtù di intuito che sfuggono alla regolamentazione leguleia, che sfuggono al mediocre controllo della legge che mortificherebbe questa attività, altamente benefica al progresso. E voi volete limitarla, a beneficio di chi, in nome di chi, a vantaggio di chi?

C'è, in verità una diffidenza, nella causa giuridica che inspira la norma, che il giornalismo non merita; parlo del giornalismo onesto che è quello che dice la verità, anche se è amara, soprattutto se è amara, perché così rende il suo servigio alla società. Quel tale altro giornalismo, il disonesto, non può essere né lottato né protetto, perché nella selezione della lotta si discredita, decade, muore.

E i mezzi? Ora, in virtù di quale principio di libertà, che è, e deve essere, di tutti e di ognuno, si può, per esempio (consentite alla verità, che è quella che si impone), impedire ad una data categoria sociale o economica di organizzarsi, in maniera lecita, a difesa di interessi propri? Ma la lotta politica nella democrazia si svolge su un piano dialettico di battaglia di contrari, e voi vorreste conoscere chi sono i fornitori delle armi dei vostri avversari e non dare notizia del marchio di fabbrica dei vostri pugnali e delle vostre spade? Non credo che ciò sia liberale, quindi equo, quindi giusto.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti