[Il 14 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'articolo 16:

«Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione.

«La stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure.

«Si può procedere al sequestro soltanto per atto dell'autorità giudiziaria nei casi di reati e di violazioni di norme amministrative per i quali la legge sulla stampa dispone il sequestro.

«Nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza e non è possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che debbono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, chiedere la convalida dei loro atti all'autorità giudiziaria.

«La legge può stabilire controlli per l'accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica.

«Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni che siano contrarie al buon costume. La legge determina misure adeguate».

A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

L'onorevole Persico ha proposto di sostituire i primi cinque commi col seguente:

«È garantita la libertà di stampa: una legge ne determinerà i modi di esercizio».

Poiché l'onorevole Persico non è presente, si intende che l'emendamento è decaduto.

Segue l'emendamento presentato dagli onorevoli Perassi, Natoli, Facchinetti, Chiostergi, Pacciardi, Conti, De Mercurio, Bellusci, Spallicci, Macrelli:

«Sostituire i commi terzo e quarto coi seguenti:

«Il sequestro della edizione dei giornali o di altri stampati, la cui pubblicazione sia eseguita con l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge, non può aver luogo che per sentenza irrevocabile dell'Autorità giudiziaria.

«Tuttavia, nei casi di reati di istigazione a commettere delitti o di pubblicazione oscena, il sequestro dell'edizione di giornali o di altri stampati può essere disposto dal pubblico ministero o dal giudice all'inizio o nel corso del procedimento penale».

Domando se l'onorevole Perassi o qualcuno degli altri firmatari dell'emendamento intendono svolgerlo.

Conti. Rinunciamo allo svolgimento.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Montagnana Mario e Cavallari hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il primo comma, aggiungere:

«Al fine di garantire a tutti i cittadini l'effettivo esercizio di questo diritto e di escludere ogni monopolio di fatto, lo Stato può disporre controlli per l'accertamento dei mezzi di finanziamento e può regolare l'impiego dei mezzi di produzione».

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Lo Stato può disporre controlli sulle agenzie d'informazione al fine di accertarne le fonti di notizie e i mezzi di finanziamento».

«Sopprimere il quinto comma».

L'onorevole Cavallari ha facoltà di svolgere questi emendamenti.

Cavallari. Onorevoli colleghi, il motivo per cui ci siamo indotti a presentare i due emendamenti non è dovuto a differenziazioni di carattere sostanziale fra la concezione generale che noi abbiamo della libertà di stampa e quella che noi leggiamo nell'articolo 16. Noi siamo, al pari degli altri colleghi, degli assertori convintissimi della libertà di stampa, ma l'addebito o la critica che facciamo all'articolo 16, così come è stato concepito, è che il suo testo è un po' troppo generico, laddove parla della libertà di stampa; è, direi quasi, un po' troppo platonico. Noi siamo invece del parere che occorre qui, attraverso gli emendamenti che abbiamo presentato e le modifiche proposte, ottenere che quelle dichiarazioni di principî che vengono sanciti in questo articolo diventino veramente realtà operante; e intendiamo proporre, quindi, la strada e il modo attraverso i quali noi pensiamo che si possa addivenire ad una vera libertà di stampa. Infatti, quando si dice che: «Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione», si enuncia un principio altissimo, un principio che io penso non possa non essere condiviso da nessun rappresentante che siede in quest'Aula; ma non è detto tutto; non è detto per quale strada noi vogliamo arrivare a dare veramente questa libertà di stampa.

Dobbiamo togliere questo carattere di genericità alla norma, per poter vedere di renderla veramente tale che abbia un effetto tangibile e sicuro; in quanto non è sufficiente che la Costituzione della Repubblica italiana affermi dei principî astratti; non è sufficiente affermare dei principî anche se alti, ma che di per sé stessi non sono sufficienti a dare a noi la tranquillità che essi vengano in realtà attuati. E vi è necessità di chiarezza, onorevoli colleghi, quando noi parliamo di libertà di stampa; vi è necessità di una grande chiarezza, perché noi abbiamo visto, nei 20 anni e più in cui in Italia ha imperato il regime fascista, che i giornalisti fascisti hanno sacrificato la loro dignità e prostituito il loro ingegno, quando essi ne avevano — e, a dire la verità, in alcuni di loro spesso vi era una notevole dose di ingegno — hanno prostituito il loro ingegno ai facili onori, ai facili plausi; hanno immolato la dignità del loro intelletto sull'altare dell'oro, del denaro; hanno tenuto un contegno che sotto tutti gli aspetti è stato riprovevole.

Ma questo è ancora il danno minore che noi dobbiamo deplorare nella stampa fascista. Il danno più grave è che questa stampa ha avuto serie ripercussioni sopra la formazione dell'opinione pubblica del nostro Paese; noi dobbiamo deplorare che un numero rilevante di cittadini si sia fatto influenzare, anche inavvertitamente, anche involontariamente da questo stillicidio, da questo veleno che veniva quotidianamente propinato all'opinione pubblica. Noi abbiamo visto che quella stampa fascista ha concorso grandemente a ingenerare nell'opinione pubblica italiana, in molti cittadini italiani, il culto della violenza, il culto dell'ingiustizia, il culto, insomma, di tutti i sentimenti deteriori dell'uomo e del cittadino, e invece ha deriso quelle che erano le istituzioni più alte: la democrazia, la libertà; tutto ciò che rende l'uomo veramente degno di tale nome.

E allora noi siamo indotti a ritenere che questa stampa fascista, che ha causato un danno così grave al nostro Paese, ha una notevole responsabilità sulla sorte che è toccata ad esso. Noi siamo del parere che furono responsabili indubbiamente i grossi gerarchi del fascismo, i generali della milizia che componevano il tribunale speciale; ma come furono responsabili tutti coloro che direttamente provocarono la rovina del nostro Paese, non meno responsabili furono i giornalisti fascisti i quali avvelenarono l'opinione pubblica. E forse, in fatto di responsabilità, essi la cedono solamente a coloro che si nascondevano dietro di loro e li sovvenzionavano affinché emettessero e spargessero nel nostro Paese quel veleno sottile che lo ha tratto alla rovina.

Noi, per queste considerazioni, e anche per tante altre che non riteniamo sia qui il caso di illustrare ampiamente e nemmeno di accennare, reputiamo sia saggio che lo Stato intervenga per proteggere i cittadini da una nuova immissione di veleno, ossia da una recrudescenza di stampa la quale si possa orientare, più o meno palesemente, nello stesso modo in cui la stampa fascista si era orientata, in modo cioè da compromettere la salute del Paese.

Escano pure i giornali che vogliono: noi non vogliamo mettere alcun freno alla libertà di stampa; scrivano pure tutte quelle cose che non li facciano incorrere nelle sanzioni del Codice penale. Ma facciano prima di tutto sapere chi li sovvenziona, da quali fonti traggono il denaro col quale sono in grado di mantenersi.

E non ci si venga a dire, onorevoli colleghi, che i giornali vivono con la vendita delle copie e con gli abbonamenti. Ne abbiamo esempi chiarissimi qui in Roma ove, su ventisei giornali circa che escono tutti i giorni, solo quattro o cinque sono attivi, mentre gli altri vendono in media meno di diecimila copie al giorno, perdendo così circa tre milioni al mese.

È evidente, quindi, che noi non possiamo credere che tutto questo grandissimo numero di giornali, a Roma e in tutta Italia, si mantenga con la vendita delle copie e degli abbonamenti. Perciò riteniamo opportuno sapere come e da chi questi giornali vengono sovvenzionati, perché è perfettamente inutile che una legge sull'epurazione abbia detto più o meno chiaramente che non possono scrivere sui giornali quei direttori e quei giornalisti che hanno in modo rilevante fatto l'apologia del fascismo, quando poi ammettiamo condizioni per cui questi giornali rimangono in proprietà e vengono sovvenzionati da quegli stessi Gruppi che li sovvenzionavano durante il fascismo.

Il tono del giornale non è dato infatti tanto dal direttore o dai redattori, quanto da chi lo sovvenziona, perché quel giornale rappresenta i suoi interessi ed è l'esponente delle sue idee. Se, per esempio, vi sono giornali sovvenzionati dagli industriali tessili del Biellese, ebbene, lo si dica; se ve ne sono sovvenzionati dagli appaltatori romani, ebbene, lo si dica; se vi sono, ad esempio, dei giornali milanesi, sovvenzionati da industriali milanesi, ebbene, lo si dica pure chiaramente.

Se, infatti, questi giornali hanno degli interessi di categoria che sono in patente contrasto con gli interessi delle classi lavoratrici e poi ci vengono a dire di essere i difensori delle classi lavoratrici, questi giornali commettono la peggiore menzogna che si possa commettere a carico del popolo italiano.

Ma noi troviamo qui, nell'articolo 16, secondo il testo del progetto della Commissione, che questo controllo sul finanziamento è sancito solo per ciò che riguarda i periodici. Ora, noi ci domandiamo per quale motivo questo controllo debba esercitarsi nei confronti dei periodici e non già dei quotidiani, quando sappiamo che è infinitamente minore l'influenza che i periodici esercitano sull'opinione pubblica italiana di quella che esercitano invece i quotidiani.

I periodici, infatti, hanno influenza su strati di popolazione molto più limitati di quelli che vengono influenzati e toccati da parte dei quotidiani.

Ed allora, se si riconosce che sia utile e necessario il controllo sul finanziamento dei periodici, a maggior ragione noi riteniamo che sia necessario controllare il finanziamento dei quotidiani.

Se questo si facesse, onorevoli colleghi, credo che in molti casi si vedrebbe che quelli che finanziano determinati giornali, che escono oggi, sono gli stessi che finanziavano i giornali che uscivano prima, sono gli stessi che stavano dietro le persone dei vari direttori del tempo fascista e che, con il loro comportamento, con la loro sovvenzione, hanno tratto a rovina il nostro Paese.

Imponendo un controllo sulla sovvenzione dei giornali, noi pensiamo che ne guadagnerà la sincerità, l'onestà di essi, ma non ancora vi sarà completa libertà della stampa. Qui ritengo che occorra dare una definizione di questa libertà di stampa, concetto questo che viene esaltato da parte di tutti, ma sul quale è bene intendersi una volta chiaramente.

Noi, per libertà di stampa, intendiamo la possibilità concreta e reale di ogni persona, di ogni Gruppo, di ogni Partito, di ogni ceto, di potere elevare la sua libera voce; e mentre vediamo che nei comizi, qui nell'Assemblea, nei giornali, da parte di alcuni elementi conservatori della Nazione, da parte di alcuni partiti conservatori, si elevano inni a questa libertà di stampa, in realtà constatiamo che quegli ambienti e quei ceti che vengono rappresentati da questi partiti conservatori, si comportano in modo tale da monopolizzare la stampa ed in modo del tutto contrario alla libertà di stampa.

Infatti noi dobbiamo osservare una cosa del tutto evidente. La carta, per esempio, ha un prezzo elevatissimo. Ebbene noi sappiamo, e potremmo anche darne le prove, che vi sono dei contatti, dei rapporti tra i grandi industriali della carta e i direttori dei grandi quotidiani, che si dicono indipendenti, rapporti intesi ad elevare di tanto il prezzo della carta da renderlo accessibile soltanto alle tasche dei grandi capitalisti che sovvenzionano questi giornali, e non ai partiti o a quelle altre organizzazioni che non hanno la stessa potenzialità di acquisto.

Veniamo agli impianti tipografici. Essi sono costituiti da rotative, macchine, immobili, da tutto quell'insieme di attrezzatura che è necessaria per far uscire un giornale.

Orbene, tutte queste hanno un valore venale altissimo, tanto che, per darvi solamente qualche esempio, posso dirvi che il complesso editoriale che prima stampava il Popolo d'Italia può valutarsi ad un miliardo e mezzo, il complesso editoriale che prima stampava Il Resto del Carlino può valutarsi a più di trecento milioni, ed il complesso editoriale che prima stampava La Nazione può valutarsi a 260-270 milioni.

Enunciando questi dati, qui in seduta pubblica, credo di non violare alcun segreto, perché sono notori a tutti coloro che si interessano di giornali e sanno quanto costa una rotativa.

Presidente Terracini. Onorevole Cavallari, la prego di tener conto del tempo.

Cavallari. Ora, poiché si parla di milioni e di miliardi, è evidente che dobbiamo tener presenti questi complessi di valore ingente che non devono essere accaparrati da una ristretta cerchia di persone.

Noi dobbiamo avere di mira che lo Stato possa controllare questi complessi editoriali, in modo da poter fornire anche a coloro che non hanno somme così ingenti di denaro la possibilità di manifestare la loro libera opinione.

Un altro emendamento al quale molto brevemente accennerò è quello che riguarda la moralizzazione della stampa. Noi siamo d'accordo con i colleghi di parte democristiana che occorre colpire la stampa pornografica, perché essa arreca mali notevolissimi alla nostra opinione pubblica e specialmente alla nostra gioventù, di cui lo Stato deve oltremodo curarsi; ma noi domandiamo ai colleghi democristiani se non ritengano che anche la propalazione di certe notizie non pornografiche non rappresenti un pericolo altrettanto grave. Mi riferisco alle notizie che appaiono in alcuni giornali a cui ho accennato poco fa, le quali vorrebbero far credere al Paese che, per esempio, il Governo sta per cadere da un momento all'altro, che la moneta italiana è svalutata al massimo grado, o che il maresciallo Tito sta marciando verso Trieste da più di un anno e mezzo con un ritmo tale per cui a quest'ora sarebbe giunto già in America. Se tutte queste notizie fossero prese sul serio, esse creerebbero un tale stato di disorientamento dell'opinione pubblica da far correre al nostro Paese dei gravi pericoli.

D'altra parte, l'emendamento presentato dall'onorevole Andreotti, nel punto in cui dice che non si può procedere al sequestro dei giornali se non per sentenza irrevocabile, mi rende perplesso. L'onorevole Andreotti è uomo di legge e sa il significato delle parole «sentenza irrevocabile», sentenza cioè che sia stata emanata presso il Giudice di primo grado e poi impugnata presso il Tribunale, la Corte d'appello ed eventualmente in Cassazione. Procedura questa per la quale occorre un periodo di tempo lunghissimo, mentre noi sappiamo che le sanzioni contro la stampa devono avere principalmente il carattere della tempestività, cioè devono far vedere all'opinione pubblica che quel giornale è stato proibito che una sanzione è stata presa contro quel determinato giornale perché esso era andato contro una norma.

Questo è, presso a poco, il contenuto degli emendamenti che noi abbiamo proposto. E vorremmo che, come noi abbiamo, concordemente con la democrazia cristiana, deplorato il sorgere di questa stampa pornografica, ed anche di certa stampa di carattere nettamente anticlericale, gli stessi democratici cristiani fossero altrettanto convinti assertori della necessità di tutelarci dalla stampa fascista, perché la religione cristiana vive da duemila anni e non sarà certamente il Pollo, o qualche altro giornale portante il nome di animali da cortile, che metterà in pericolo il cristianesimo il quale ha attraversato crisi ben più tremende.

La democrazia italiana non ha invece duemila anni: essa è giovane, e muove in questi mesi i suoi primi passi. La democrazia italiana è suscettibile a questi attacchi che le vengono da parte di certa stampa, ed è dovere dello Stato italiano di proteggerla nel modo più assoluto.

Queste sono le misure che noi proponiamo, perché attraverso l'articolo 16 si stabilisca una vera libertà e dignità della stampa che vuol essere espressione di uomini liberi, fiaccola luminosa che guidi il popolo dall'oscurantismo alla luce e non lo tragga a nuove e più profonde tenebre. (Approvazioni a sinistra).

Presidente Terracini. L'onorevole Andreotti ha proposto di sostituire l'articolo col seguente:

«Tutti i cittadini hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione.

«La stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni, né ad altre misure preventive, salve le eccezioni stabilite dalla legge per la censura delle notizie militari in tempo di guerra.

«Non si può procedere al sequestro dei giornali e di ogni altra pubblicazione o stampato se non per sentenza irrevocabile dell'Autorità giudiziaria, salve le disposizioni di legge sul sequestro della stampa contraria alla morale o al buon costume, della stampa periodica non registrata e degli stampati clandestini.

«Tuttavia, con atto dell'Autorità giudiziaria, può essere disposto il sequestro di non oltre tre esemplari dei giornali od altri stampati, in cui si ravvisi una violazione della legge penale.

«La legge punisce severamente i reati commessi mediante la stampa periodica. In caso di recidiva, può disporre anche la sospensione o la soppressione delle testate.

«Sono vietati, a tutela della pubblica moralità e per la protezione della gioventù, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni che siano contrari alla morale o al buon costume. La legge determina misure adeguate».

L'onorevole Andreotti ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Andreotti. Mi limiterò a poche illustrazioni del mio emendamento, premettendo una considerazione che pur mi pare ovvia. Nel discutere questo articolo, dovremmo spogliarci di ogni impressione contingente, sia del ricordo troppo vivo di quella che era la violazione della libertà di stampa sotto il regime fascista, sia della molteplicità dei giornali, la quale è forse l'aspetto più caratteristico ed evidente del mutato regime in Italia, ma che può senza dubbio portare ad un senso di disorientamento.

Dobbiamo quindi, nello stabilire la regolamentazione della stampa per il futuro, esulare dalle forme di trapasso da un regime all'altro proprie dei nostri giorni. Bisogna tracciare norme che valgano specialmente quando — e speriamo che ciò avvenga presto — il nostro regime sia diventato, non soltanto giuridicamente, ma anche nel fatto, definitivo e sia entrato nel costume della grande maggioranza dei cittadini.

Il mio emendamento si rivolge all'intero testo dell'articolo 16, che ho rifatto non perché ritenessi che l'articolo così come era concepito fosse integralmente da buttar via, ma per un'esigenza organica che non vuol affatto essere misconoscimento dell'opera della Commissione.

Dove si diceva «tutti hanno diritto», propongo di dire «tutti i cittadini». Questo non soltanto per contemplare nella stessa maniera la materia come è contemplata nelle Costituzioni di molti altri Paesi, ma perché si possa, senza violazione alcuna di libertà fondamentali, prevedere la liceità che restrizioni particolari vengano messe agli stranieri quando essi intendano impiantare in Italia aziende editoriali, ovvero quando, e questa ipotesi ha una grande importanza, cittadini di altri Paesi possano chiedere al nostro di impiantare qui stazioni radio trasmittenti. Infatti, anche secondo il testo nell'articolo 16 della Commissione e secondo gli emendamenti proposto dagli altri colleghi, si viene a riconoscere potenzialmente abolito il regime monopolistico della radio. Quindi, la distinzione tra cittadini e stranieri mi pare necessaria.

L'espressione, poi, della Commissione, che «la stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure» mi pare possa essere accolta. Io ho usato un'espressione più ristretta, perché racchiude ogni misura preventiva, togliendo la possibilità di introdurre qualche altra forma di impedimento, come potrebbero essere le cauzioni. Comunque, se la Commissione insisterà nel suo testo, mi sembra che non vi siano inconvenienti per accettarlo.

Non insisto nel riferimento alla censura militare, in quanto la sospensione delle garanzie costituzionali in caso di guerra sarà esaminata dalla Commissione e prevista in un articolo che affronterà la questione, oltre che per la libertà di stampa, anche per tutte le altre libertà.

Si viene poi a parlare del sequestro. Io sarei per una formula la più restrittiva possibile, perché se lasciamo, anche con determinate garanzie, al legislatore normale di poter prevedere cause di sequestro, questo equivale in pratica a lasciare a questo legislatore di poter eludere le disposizioni, che noi stiamo stabilendo in questo articolo 16.

Certo che con l'ipotesi di deferimento all'Autorità giudiziaria, e non più a quella amministrativa, di ogni potere di disporre il sequestro, si è fatto un notevole passo verso una piena libertà di stampa.

Ma ritengo che, se lasciamo l'espressione «nei casi di reati e di violazioni di norme amministrative, per i quali la legge sulla stampa dispone il sequestro», il legislatore, cioè la maggioranza di domani, potrà, in qualsiasi momento, non solo con legge formale, ma anche con decreto legge (perché credo che i decreti legge, nonostante il potere[i] della Commissione, dovranno essere reintrodotti, se vogliamo che il Governo funzioni) modificare la legge sulla stampa e, quindi, introdurre delle ipotesi di reati, per cui si ammetta il sequestro, con violazione dello spirito e della lettera di quest'articolo 16. Ancora nel progetto di legge sulla stampa, che porta il nome dell'onorevole Cappa, sono elencati alcuni casi, in cui il sequestro può essere ammesso. Di questi casi io ho conservato — e forse sarà necessario indicare nel mio emendamento a chi spetti (ufficiali di pubblica sicurezza con l'obbligo di immediata convalida da parte dell'Autorità giudiziaria) operare il sequestro — l'ipotesi della violazione della morale e del buon costume; perché, qui mi pare vi sia un'esigenza evidente di urgenza.

Vorrei qui richiamare, infatti, l'esperienza pratica che, se uno presenta di sabato pomeriggio alla Procura della Repubblica istanza perché si proceda ad un sequestro, certamente questo non avverrà che al lunedì mattino; e si dà, quindi, a chi vuol gettare sul mercato delle stampe oscene la possibilità di lanciarle di sabato ed esaurirle nelle 48 ore successive. L'ipotesi contenuta nel progetto Cappa dell'offesa ad un Capo di Stato italiano o straniero, è esclusa dal testo da me proposto, perché da un lato mi pare che non debba essere costituita una garanzia particolare per il Capo della Repubblica italiana, la cui figura non può che essere posta almeno sullo stesso piano dei massimi organi rappresentativi.

Per quanto riguarda poi il Capo di uno Stato straniero, bisogna andar piano, non solo per evitare specialmente ai giornali comunisti di non poter seguitare a dire male del Capo della Repubblica spagnuola e del regime franchista, ma anche per evitare che una critica ad altri regimi venga fatta passare per offesa al Capo di uno Stato, e come tale soffocata. Ricordo che l'anno scorso si volle agire in tal senso in un caso specifico, in cui tra l'altro, si confuse il maresciallo Stalin con il Presidente dell'Unione delle Repubbliche sovietiche che in quel momento era Kalinin.

Il progetto dell'onorevole Cappa presentava anche l'ipotesi di sequestro per istigazione al reato. Mi pare una ipotesi piuttosto vaga, elastica e quindi pericolosa.

Stamane l'onorevole Ruini osservava che, se non si dà la possibilità di sequestro immediato può darsi che la istigazione operi il suo effetto prima che il potere giudiziario possa, intervenire.

Ripeto che l'ipotesi è troppo generica, per poter essere affidata ad un semplice atto della Procura o addirittura ad un atto della pubblica sicurezza, e penso, quindi, che la materia non debba essere tolta dal regime normale.

Terza ipotesi: insegnamento di pratiche abortive. Orbene, o esso è fatto in modo da richiamare la tutela della morale e del buon costume ed allora non vi è motivo di discussione, o si contempla una esposizione in termini puramente scientifici e di studio ed allora sono del parere che non potrebbe rientrare nella tutela che noi qui prevediamo per la stampa.

Ai casi di offesa alla morale e al buon costume, io ho aggiunto, nel terzo capoverso del mio emendamento, una precisazione per quanto riguarda la violazione di norme amministrative, espressione che è pericoloso lasciare così generica. Ho parlato di stampati clandestini e stampa periodica non registrata, riferendomi per questa seconda ipotesi, all'istituto della registrazione come è enunciato nel progetto Cappa, in forma di semplice atto unilaterale che non richiede per la sua perfezione alcun giudizio di merito o discrezionale da parte di autorità amministrative o giudiziarie. La «registrazione» non può classificarsi come misura preventiva e, quindi, non viola il principio generale di libertà.

In quanto alla «sentenza irrevocabile», posso comprendere l'osservazione dell'onorevole Cavallari, ma è una espressione che si trova già nella nostra legislazione; e nella parziale riforma alle leggi sulla stampa fatta nello scorso anno si parla di sentenza «definitiva» con la firma a questo decreto di un Guardasigilli, politicamente vicino al Sottosegretario Cavallari, cioè dell'onorevole Togliatti.

Comunque, io posso anche dire «definitivo» o addirittura togliere l'aggettivo e lasciare semplicemente «per sentenza dell'Autorità giudiziaria»; però — a parte le mie proposte — se dovesse passare il testo, così come è formulato dalla Commissione, io credo che noi non raggiungeremmo quello che è il primo fine di questo articolo. Non sono infatti convinto in via generale che tutta la Costituzione debba precipuamente essere — come disse l'onorevole Lucifero — tutela delle minoranze, perché essa deve rappresentare anche un chiaro indirizzo positivo attraverso cui la maggioranza deve marciare, ma questo di oggi è un articolo tipico, che deve vedersi a protezione delle minoranze, e che domani dovrà potersi invocare dalle minoranze, quando la maggioranza governativa intendesse derogare a qualcuna di queste norme.

Peraltro, il punto in un certo senso più delicato di tutto l'articolo è quello che riguarda il quinto comma: io non ho affatto riprodotto questa norma nel mio emendamento, e mi troverò per avventura a votare la soppressione di questo articolo, insieme ad altri colleghi di vario colore ed in ispecie ad un Deputato che è proprietario, se non mi inganno, della tipografia in cui noi stampiamo il nostro giornale di Partito. Che cosa vuol dire, che cosa significa il controllo sulle informazioni o sulle fonti finanziarie? Questo controllo verrebbe a paralizzare la vita di un giornale e verrebbe a dare la possibilità di intromissioni assurde. Ogni giornale ha una sua precisa indicazione di responsabilità; e quindi, quando la notizia è pubblicata nel giornale, ne risponde chi risponde di tutto il giornale. C'è un segreto professionale che in questo caso è quanto mai geloso ed essenziale.

Da un punto di vista strettamente economico, poi, il controllo finanziario è un assurdo, perché ogni giornale può attraversare dei periodi eccezionali di difficoltà, per cui può verificarsi la necessità (senza che questo debba comunque risapersi, altrimenti la stessa tipografia, quando vedesse che il proprietario non ha più mezzi sufficienti potrebbe estrometterlo dicendo: io passo ad altri clienti e non stampo più il tuo giornale) di ricorrere al credito di banche o di privati. Ciò non offende la libertà di stampa, ma la tutela.

Ma c'è di più: o questo controllo deve essere un'affermazione del tutto teorica, e si reputa sufficiente anche per il futuro il controllo normale che si fa sui bilanci delle società editoriali — per i quali basta un ragioniere qualsiasi, capace di mettere delle cifre su due colonne, per salvaguardare l'ortodossia di fronte al fisco ed al tribunale — o può essere un controllo producente conseguenze oggi imprevedute, che potrebbero arrivare ad indagini interminabili e profonde, a sospensioni cautelative ed anche a soppressione di fogli a stampa.

E qui, parliamoci chiaramente, e lo faccio con tanta maggiore obiettività, in quanto siamo oggi il Partito di maggioranza, e mi auguro che lo saremo anche nel domani, io dico: O si dovrebbe escludere da questo controllo delle fonti finanziarie la stampa di correnti politiche, o si comprenderebbe anche questa stampa. Escluderla non avrebbe senso, perché verremmo a creare un assurdo, poiché io ed un altro che volessimo fare un giornale, fonderemmo il «partito della libellula» e faremmo il giornale, come organo del nuovo partito. Non escludendola, noi mettiamo il Partito di maggioranza nella possibilità di avere una pericolosissima intromissione in quello che è il complesso interno amministrativo (e non so quanto sia facile dissociare la libertà politica da quella amministrativa) delle varie correnti politiche di minoranza.

Io sono per l'esclusione assoluta di queste possibilità di controllo. Ma, c'è un emendamento in cui si è introdotta una ulteriore ipotesi — è l'emendamento Montagnana Cavallari — cioè di poter regolare l'impiego dei mezzi di produzione. Anche qui, o signori, forse l'emendamento sarebbe potuto venire da altre parti, perché, mi ricordo, che la prima polemica nacque quando un giornale — che non condivido nella sua impostazione — che si chiamava appunto Polemica non trovava chi glielo stampasse, e non solo perché i proprietari di tipografie non volevano seccature, ma perché c'erano ordini interni, dati a certe cellule di partito, che vietavano ai tipografi di stampare certi giornali. Voi forse questo lo ricorderete. Se noi stabilissimo che lo Stato o un qualsiasi altro organo come la Federazione della stampa, ad esempio, possa obbligare i proprietari delle tipografie a stampare un certo giornale, il nostro, in ipotesi e quello dei liberali, ovvero quello di altre correnti politiche, credo che la libertà di stampa non avrebbe più un senso pratico.

Io non ignoro quanto oggi sia difficile per chi è venuto dopo il fascismo nell'arengo pubblico, Gruppo o individuo, potersi attrezzare in modo da essere alla pari, come posizione di partenza, con certe aziende che hanno una loro tradizione, che hanno un complesso di forze che nessuno dei nostri Partiti potrà forse aspirare di poter raggiungere in un cinquantennio. Ma ritengo che dovremmo essere, se mai, più leali e dire e stabilire che il privato o il Gruppo privato non può possedere una azienda tipografica.

Se diciamo questo, ed allora ognuno si regolerà in conformità; se invece è riconosciuta al privato la possibilità di avere una sua industria tipografica, allora non si può obbligare questo privato a dover stampare un qualsiasi giornale, anche quando questo giornale non trovi eventualmente la possibilità di stamparsi in alcun altra parte. Se il nuovo regime voleva affrontare il problema doveva farlo non in questa sede attuale, ma al momento delle sanzioni contro il fascismo. Oggi dobbiamo essere più realistici ed obiettivi. Né mi pare che si possa invocare l'articolo 3 che abbiamo approvato, quello che attribuisce alla Repubblica il diritto e il dovere di rimuovere gli ostacoli, perché questo dovrà concretarsi in interventi diretti. Domani potrò stabilire, io legislatore, affinché il massimo numero possibile di cittadini e di correnti politiche abbia la possibilità di esprimere le proprie opinioni, che siano istituiti crediti per aiutare questi Gruppi incipienti a mettere insieme un'azienda tipografica che possa affermarsi, naturalmente con le garanzie che potrebbero essere date da un certo numero di aderenti al Gruppo (500.000 ad esempio), ma non posso assolutamente dire, per lealtà, che anche se oggi in fatto noi abbiamo una situazione in cui è difficile ad alcuni di noi, ad alcuni gruppi politici di gareggiare con vecchie aziende, non posso prevedere che possa, impunemente, e salva la libertà di stampa, essere introdotta una modificazione del genere.

Presidente Terracini. Onorevole Andreotti non dimentichi che il tempo fissato è trascorso: svolga il suo emendamento, sia pure con qualche richiamo agli emendamenti degli altri.

Andreotti. Vorrei ricordare ancora che giudice di un giornale è in un ultima analisi il pubblico. Noi avremo delle partenze con posizioni di sfavore, ma a lungo andare, se il pubblico oggi legge 600 mila copie del Corriere della Sera e un numero molto inferiore del nostro giornale, questo deriva, da elementi che non riguardano soltanto la proprietà delle tipografie, ma consegue a quelle che sono le esigenze informative ed i gusti del pubblico dei lettori.

Il penultimo comma, come l'ho introdotto, l'ho stilato, non perché debba essere operante di conseguenze immediate, ma perché deve rappresentare la strada attraverso la quale noi vogliamo riportare un miglior costume nel campo della stampa, cioè la strada della responsabilità personale. Quando io dico che la legge punisce severamente i reati commessi mediante la stampa periodica, so bene — ripeto — che non dico una cosa che produce un risultato immediato, ma stabilisce una strada che ha portato, in altri Paesi, a rendere effettiva la libertà di espressione. Gravi pene pecuniarie serviranno a limitare grandemente le diffamazioni, le false notizie, ecc. E si dovrà introdurre, a mio giudizio, nella legislazione penale futura che chi commette in un certo spazio di tempo un congruo numero di reati per mezzo di stampa, riportando le relative condanne, possa incorrere nella conseguenza della sospensione o della soppressione della testata del giornale. Questa strada della responsabilità è la sola strada che mi pare conveniente.

Nell'ultimo comma, infine, ho introdotto quello che a me pare sia stato fatto presente anche da altri Deputati, cioè il concetto che la legge può introdurre certe misure di garanzia collettiva di fronte alla produzione cinematografica, alla produzione teatrale e ad altre manifestazioni di pensiero del genere, a tutela della morale o del buon costume.

E dico esplicitamente che a ciò si è mossi dalle guarentigie della pubblica moralità e della protezione della gioventù. Mi pare che questo sia veramente da sancirsi e che cioè vi è un bene, che è quello della moralità pubblica, vi è un bene che è quello dell'educazione della gioventù, che noi costituenti sentiamo in modo particolare. Questo rappresenta, credo, una conquista che rivaluta la protezione della gioventù elevandola però da come era concepita nel passato, di una protezione, cioè, fatta perché questa gioventù rendesse di più per lo Stato. Con ciò si riporta questa protezione ad un concetto più nobile. Mi auguro — e so che la Commissione accetterà questo concetto — che anche la Costituente lo approvi in maggioranza. Sarà un sigillo, direi, che noi mettiamo alla libertà di stampa, che mi pare darà un colorito alla libertà di espressione in generale, che darà un contenuto concreto e positivo a quella che sarà la formula che noi avremo saputo trovare e che come oggi, come è stato ieri e come sarà in futuro — se accettata o negata — l'indice di come la libertà sarà riconosciuta al nostro Paese. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. L'onorevole Schiavetti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al terzo comma, dopo le parole: nei casi di reati, aggiungere le parole: o di presunzione di reato».

«Sopprimere il quarto comma».

«All'ultimo comma, alle parole: La legge determina misure adeguate, sostituire le altre: La legge determina misure particolari per la protezione della gioventù».

Non essendo l'onorevole Schiavetti presente, gli emendamenti si intendono decaduti.

Segue l'emendamento dell'onorevole Gabrieli:

«Sopprimere il quarto comma».

Non essendo l'onorevole Gabrieli presente, l'emendamento si intende decaduto.

Segue l'emendamento degli onorevoli Ghidini, Lami Starnuti, Tremelloni, Carboni, Cairo:

«Sopprimere il quarto comma».

L'onorevole Ghidini ha facoltà di svolgerlo.

Ghidini. Il nostro emendamento è per la soppressione pura e semplice del quarto comma dell'articolo 16. Mi limito alla discussione del mio emendamento senza occuparmi degli altri presentati dai colleghi, a proposito dei quali mi riservo di fare dichiarazioni di voto in sede opportuna.

Questo articolo 16 è stato uno dei più tormentati e dei più dibattuti, prima in seno alla prima Sottocommissione, e successivamente dinanzi al Comitato di redazione del progetto di Costituzione; e anche nella Commissione dei Settantacinque. Ed è naturale, perché si tratta di una libertà fondamentale, forse della libertà più caratteristica dei reggimenti democratici e civili.

Non tutti i commi sono stati oggetto di discussione. Alcuni vennero accettati come furono proposti. Parlo del primo e del secondo: «Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni o censure».

Su questi commi tutti quanti sono stati d'accordo; né potevamo noi avere esitazioni di sorta. Quelli che per avventura hanno scrupoli in base al ricordo di posizioni recentemente assunte, le potranno certamente superare invocando quelle medesime eleganze, quei medesimi virtuosismi, quelle medesime acrobazie dialettiche di cui abbiamo avuto sott'occhi il campionario nelle recenti sedute.

Per conto mio è accettabile anche il terzo comma. Io, che sono profondamente geloso di questo diritto, avrei forse fatto un passo più avanti, ma le condizioni in cui si è svolta la discussione e la necessità di arrivare a concretare la disposizione in base a un pensiero comune mi ha indotto ad accettare il terzo comma: «Si può procedere al sequestro soltanto per atto dell'Autorità giudiziaria, nei casi di reati e di violazioni di norme amministrative per i quali la legge sulla stampa dispone il sequestro».

Avrei desiderato che maggiori limitazioni si fossero introdotte per quanto riguarda i «reati» per i quali l'Autorità giudiziaria possa disporre il sequestro; avrei voluto che fossero state meglio specificate le norme di carattere amministrativo, per le quali la legge sulla stampa possa domani disporre il sequestro, limitando così il provvedimento alla stampa clandestina. Esistono infatti altre norme, che hanno formato oggetto della legislazione passata, che esistono ancora oggi, e che forse passeranno nella legislazione futura, le quali non hanno importanza tale per cui sia giustificabile la violazione del diritto di libertà. Non ho però voluto insistere, perché ho fiducia che l'Autorità giudiziaria saprà fare buon governo del compito delicatissimo affidatole, se noi metteremo l'Autorità giudiziaria in condizioni di vivere e, quindi, di lavorare secondo il vecchio aforisma adattato al caso: primum vivere, deinde... iudicare.

Ma il comma, sul quale si è spiegata più viva la mia opposizione e quella dei colleghi che mi erano a fianco, è il quarto, del quale appunto domandiamo la soppressione. Il quarto comma dice:

«Nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza e non è possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che debbono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, chiedere la convalida dei loro atti all'autorità giudiziaria».

Per me questo comma rappresenta un passo in avanti per quanto riguarda la legislazione fascista; ma non si deve menar vanto di un tale miglioramento, perché la legislazione fascista aveva ridotto al nulla le libertà di stampa, specialmente con le leggi del 1923 e del 1925.

Il comma rappresenta invece un passo indietro nei confronti della legislazione anteriore al fascismo; e mi riferisco in modo particolare al decreto del 1906, in virtù del quale fu abolito il sequestro preventivo. Il comma è un residuo della concezione fascista della libertà, ed è veramente deplorevole che non riusciamo ancora a scrollare completamente dalle spalle il tristo peso della legge e del costume fascista.

Tutti i colleghi del Comitato di coordinamento, come i colleghi della prima Sottocommissione, si sono del resto resi conto del grave pericolo al quale veniva esposta la libertà di stampa affidando alla polizia giudiziaria il sequestro preventivo, ed hanno conseguentemente cercato di limitarne la portata.

Infatti questo comma dice «nei casi predetti», vale a dire nei casi di reati e di violazioni delle norme amministrative. È stato detto «violazioni delle norme amministrative»; ma l'espressione è troppo generica, comprendendo in tal modo casi in cui la violazione non è tale da cagionare grave pregiudizio.

Si parla poi di reati in genere senza alcuna specificazione o limitazione. Non si è voluto, ad esempio, specificare: «di reati non politici». Ora, se io posso confidare nell'Autorità giudiziaria, persuaso che essa farà buon uso del testo, sebbene così ampio, non posso ugualmente confidare negli ufficiali della polizia giudiziaria. Il comma parla del caso in cui vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità giudiziaria; ma voi capite che l'uno e l'altro criterio hanno carattere eminentemente soggettivo e arbitrario.

È chiaro adunque che il 4° comma è in patente contrasto con la prima e la seconda parte dell'articolo 16, dove è riconosciuta la piena libertà di pensiero attraverso la libera stampa.

Un'altra limitazione che è stata posta è il riferimento alla sola stampa periodica: come se i pericoli derivanti da reati commessi attraverso la stampa non fossero uguali quando si tratti di un numero unico o di un libro.

Finalmente, una garanzia si avrebbe in quanto la facoltà del sequestro sarebbe affidata non alla polizia in genere, ma alla polizia giudiziaria, come se non fosse vero che, pur dipendendo dal Procuratore generale e dal Procuratore della Repubblica, la polizia giudiziaria può, anzi deve, agire di propria iniziativa, salvo ottenerne la convalida entro le 24 ore.

Si è detto «ufficiali» di polizia giudiziaria, come se questi ufficiali di polizia giudiziaria fossero tali per la loro preparazione e la loro cultura, da potere degnamente assolvere l'incarico loro affidato.

Devo ricordare a questo proposito che la nozione dell'«ufficiale» di polizia giudiziaria, secondo il Codice attuale, secondo il Codice Zanardelli, eminentemente liberale, secondo la dottrina e secondo la giurisprudenza, comprende anche dei semplici graduati, i brigadieri della questura, i brigadieri dei carabinieri, delle guardie forestali, delle finanze ecc.

Ora io domando alla vostra coscienza, onorevoli colleghi, se potete riconoscere in questi umili funzionari la necessaria capacità intellettuale e morale. Parlo anzitutto della capacità intellettuale e vi domando se in una materia così delicata, così squisitamente intellettuale, quando cioè si tratta di risolvere questioni di carattere giuridico (che è una delle forme più elevate della intellettualità), queste persone siano in grado di farlo. Come si può pretendere che un semplice brigadiere sappia decidere se una espressione letteraria è oscena oppure semplicemente realistica, se siamo di fronte ad un bruttura e non piuttosto ad un'opera d'arte?

Come potrà questo graduato della questura giudicare se una certa espressione, se l'attribuzione di un fatto determinato a danno di altro cittadino costituisca una diffamazione inescusabile perché determinata da un fine egoistico, o non sia piuttosto l'esercizio di un diritto-dovere di pubblica censura?

Il brigadiere dell'arma o della questura, inoltre non manca soltanto della necessaria capacità intellettuale, ma difetta altresì di quella indipendenza che è la maggiore garanzia di una retta applicazione della legge.

Questi funzionari dipendono dal potere esecutivo. Rimettendosi alla loro iniziativa mettiamo la libera stampa alla mercé del potere esecutivo.

La sola obiezione di apparente serietà fatta in sede di Commissione è un'altra di cui dirò dopo. Premetto un'altra obiezione consistente nel rilievo che contro gli abusi dei funzionari esiste una disposizione nel testo della Costituzione in virtù della quale sono puniti i funzionari che, per dolo o per colpa, violino i diritti sanciti dalla legge. La conseguenza sarebbe che noi dovremmo punire questi poveri funzionari i quali hanno fatto male ciò che non potevano far bene a causa di una incapacità che noi stessi riconosciamo; oppure dovremmo punire quei funzionari che hanno obbedito a un ordine dell'esecutivo... che non si tocca. L'obiezione più seria, in apparenza, fu così formulata: il provvedimento di sequestro esige una rapidità di esecuzione che solo attraverso la polizia è possibile ottenere. Io, per verità, credo che l'Autorità giudiziaria possa fin d'ora disporre, se la mettiamo in condizione di vivere, di organi e mezzi idonei, può applicare prontamente la legge. Può anche bastare una telefonata. Ad ogni modo io penso che a questa esigenza di rapidità o di immediatezza si possa agevolmente provvedere, facendo di questo servizio un ufficio particolare e fisso del pubblico ministero, il quale abbia poi alle sue dipendenze il personale necessario, che potrà essere costituito da ufficiali ad agenti di polizia giudiziaria. Essi però non potranno più agire di loro iniziativa col danno probabile ed irrimediabile di un sequestro ingiusto, ma dovranno agire soltanto attraverso la più alta e consapevole responsabilità del magistrato.

Per queste ragioni domando all'Assemblea la soppressione radicale e completa di questo comma che è troppo al disotto della nostra civiltà democratica. (Applausi).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento, già svolto, dell'onorevole Preziosi:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza, a richiesta degli ufficiali di polizia giudiziaria l'Autorità giudiziaria medesima deve, entro ventiquattro ore, procedere al sequestro, qualora riscontri violazioni contemplate dalla legge sulla stampa».

L'onorevole Mastrojanni ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Nei casi predetti, quando vi è assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito con provvedimento anche non motivato dall'Autorità giudiziaria».

«Sopprimere il quinto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

Mastrojanni. Il mio emendamento sull'articolo 16 tratta precisamente gli stessi argomenti che testé ha svolto ampiamente l'onorevole Ghidini. Le preoccupazioni che egli ha rappresentate con tanta chiarezza, io già avevo riferite davanti alla prima Sottocommissione ed ivi avevo proposto una soluzione che, a mio avviso, può soddisfare egualmente le due esigenze della salvaguardia dall'eventualità delle offese alla pubblica morale e alla pubblica opinione e di intervento tempestivo per il sequestro della stampa oscena o pornografica. Lasciare all'arbitrio della polizia giudiziaria il sequestro della stampa è cosa pericolosissima ed anche un'offesa, noi riteniamo, alla dignità di chi stampa o di chi divulga perché l'uomo, nella sublime manifestazione del suo pensiero, ha diritto di essere, quanto meno, giudicato da persone che ne siano all'altezza e che abbiano la competenza per poter giudicare. Questa competenza, questa capacità in un settore così delicato dell'attività spirituale umana non può essere certamente affidata né riservata a ufficiali di polizia giudiziaria, tanto più che, come l'onorevole Ghidini testé ha riferito, gli ufficiali di polizia giudiziaria propriamente intesi non sono solo i veri e propri ufficiali ma anche i sottufficiali dei carabinieri, della pubblica sicurezza, della guardia di finanza, ecc.

Ed è ovvio che i sottufficiali hanno un grado di cultura talmente modesto, in relazione al compito che dovrebbero assolvere in materia di stampa, da non poter essere considerate all'altezza di un tale ufficio, in un settore che sfugge ovviamente alla loro competenza e capacità.

D'altra parte, rendendoci conto della necessità di un intervento immediato perché effettivamente si possa tutelare la pubblica moralità, abbiamo ritenuto che si possa egualmente intervenire con la maggiore urgenza, ma sempre con l'intervento della Magistratura.

L'osservazione dell'onorevole Andreotti, fatta nel senso che chiunque fosse male intenzionato potrebbe stampare pubblicazioni oscene e pornografiche nel pomeriggio del sabato quando gli uffici della Procura della Repubblica rimangono chiusi, non regge, perché gli uffici della Procura della Repubblica sono costantemente aperti, notte e giorno, senza distinzione di giorni festivi o feriali. Tanto è vero che quando si presenta, purtroppo, qualche reato di sangue, quegli uffici intervengono in qualsiasi ora del giorno e della notte. Quindi l'obiezione relativa alla impossibilità di accedere agli uffici della Procura della Repubblica e di trovarli costantemente a disposizione del pubblico, è destituita di fondamento.

Nel mio emendamento proponevo che in casi di assoluta urgenza, gli uffici della polizia giudiziaria avessero sempre la possibilità di rivolgersi tempestivamente agli uffici della Procura della Repubblica, e in mancanza al pretore, per le infrazioni relative alla stampa, e di provocare un'ordinanza anche non motivata per il sequestro immediato.

Vi è quindi sempre la possibilità di procedere a tale sequestro e la tranquillità che esso emanerebbe da un organo, «l'autorità giudiziaria», la sola che sia in grado di giudicare se vi sia o meno offesa alla pubblica moralità.

Ecco le ragioni del testo del mio emendamento, a proposito del quale osservo che si è incorso in un errore di stampa: dove si dice «con provvedimento anche non motivato dall'autorità giudiziaria» bisognava dire «dell'autorità giudiziaria».

Ritengo che le considerazioni da me svolte siano sufficienti a dimostrare la fondatezza di questo mio emendamento.

Vi è poi l'altro mio emendamento, quello di sopprimere il quinto comma.

Su tale argomento si è già parlato stamane. Ma, oltre alle considerazioni che già sono state svolte, vi è anche questa. Non si comprende quale valore possa avere nella Carta costituzionale il dire che la legge può stabilire controlli per l'accertamento delle fonti di finanziamento della stampa periodica.

Mi sembra che l'affermazione abbia un valore assolutamente platonico. Se deve il legislatore realizzare questo compito, ci domandiamo a quale risultato si potrà pervenire quando questi accertamenti saranno fatti. Perché delle due l'una: o deve conseguire una sanzione nel caso che si ritenga il finanziamento illecito, e allora comprendiamo il movente, la causale di questa inserzione; o la sanzione non esiste, e allora non comprendiamo la ragione delle indagini sull'origine del finanziamento di una determinata attività giornalistica.

A noi sembra che questo comma offenda la libertà dell'individuo, offenda la libertà del cittadino, il quale intende attuare una manifestazione del suo pensiero o favorire la manifestazione del pensiero altrui, apprestando i mezzi economici.

Questa forma di generosità, che potrà elargirsi da parte di alcuni mecenati, non riteniamo che possa essere repressa.

Il movente di questo comma ha un carattere squisitamente politico: individuare le fonti per determinati giornali, i quali non potrebbero vivere solo attraverso la vendita dei fogli.

Ma questa indagine non può essere affidata al legislatore. È un'attività di parte, è un'attività politica; e il partito politico, che intende espletare questa indagine, può senz'altro farlo coi mezzi di cui dispone.

In ultimo, non mi pare che questo intervento della legge per questa indagine, sfornito di sanzione, abbia consistenza giuridica e quindi fondamento serio.

Per queste ragioni chiedo la soppressione del comma 5, condividendo le argomentazioni fondate già svolte dai colleghi che mi hanno preceduto.

Presidente Terracini. L'onorevole Calosso ha proposto di sostituire il quarto comma col seguente:

«La legge stabilisce i modi per garantire la libertà della stampa dallo Stato, dal capitale, dalla diffamazione e dalla pornografia».

Ha facoltà di svolgerlo.

Calosso. L'emendamento che ho presentato non è molto importante; è soltanto un pretesto per poter intervenire in questa discussione.

Mi pare che ci sia un equivoco da parte dei giornalisti di destra — mi rivolgo a lei, onorevole Giannini, in modo particolare ed ai suoi colleghi — sul concetto di libertà della stampa.

In certo senso, voi dite ed io dico con parole mie: la libertà di stampa c'è sempre stata in Italia, dal tempo dei mazzieri, che adesso si vedono mandati per le strade dei villaggi ad insultare il pubblico. Ricordo un esempio tipico di questi mazzieri, ben chiomati, d'accordo con la polizia, i quali mettono manifesti infamanti contro le persone. Questo tipo di libertà di stampa in Italia è stato sempre diffusissimo e lo è ancora.

Dobbiamo dire che è libertà? No. È schiavitù. Se fiorisce in questo momento, attraverso tante stampe, è perché usciamo da una schiavitù. Quindi, siamo portati a credere come il negro, uscito dalla schiavitù, che la libertà consista nello sputare addosso al prossimo.

C'è libertà di stampa nei paesi negri. Leggevo e non oso ripeterlo — avrei bisogno della penna dell'onorevole Giannini per poterlo descrivere — la citazione d'un caso analogo visto in un villaggio: una donna per insultare un avversario — era la levatrice del paese — si alzò le vesti e si mise a battersi su quello che restava scoperto, a titolo infamante.

È una forma di libertà.

Giannini. È una forma anche di protesta. Caterina Sforza fece lo stesso, a Forlì, in modo più intelligente.

Calosso. Quello era un modo più intelligente. Disse ai tedeschi: «Se uccidete i miei figli, ho la fabbrica per farne altri».

Ma non credo che questo sistema debba essere esteso. (Si ride).

Il regime più libero in Italia è stato il fascista, in cui si poteva eccitare all'assassinio, d'accordo, beninteso, con la polizia.

Giannini. Ma lei non c'era!

Calosso. E dove ero?

Giannini. Lei non c'era, perché dice delle cose inesatte: io, per esempio, non ho mai potuto stampare un giornale politico sotto il fascismo; quindi non c'era questa libertà.

Calosso. Comunque, ho presentato questa mia proposta relativamente al comma quarto, perché il comma mi sembra sbagliato. Si parla dell'urgenza quasi che la Magistratura non possa essere urgente anch'essa, quasi che sia soltanto accademica e filistea. D'altra parte è sottinteso sempre che in caso di urgenza si può fare quello che si vuole: anche l'uomo della strada, senza essere un poliziotto, né un magistrato, quando vede che un giornale è osceno lo prende e lo strappa, dopo di che il giudice assolverà sempre colui che lo ha fatto.

Questo è un po' il difetto: di voler legiferare su tutto.

Noi non dobbiamo, secondo me, fare un articolo sulla stampa, generico, che preveda tutti i casi; dobbiamo determinare alcuni punti specifici per modo che dove c'è un male, si possa rimediare. Mi appello anche ai colleghi cristiani, cioè ai colleghi che conoscono il Vangelo e quanto diceva San Paolo.

Giannini. Democristiani, perché cristiani siamo anche noi.

Calosso. Non è difficile, mi lasci dire una insolenza, onorevole Giannini, questo sistema esterno di essere cristiani, perché tra i sacramenti presi c'è la penitenza, che in greco vuol dire capovolgimento.

Giannini. Questo non è un sacramento.

Calosso. Ma come, lei ha preso un sacramento e non lo sa!

Tupini. Lei è un neofita immaturo, onorevole Giannini! (Si ride).

Calosso. Io leggevo l'Uomo Qualunque e non ho visto questo capovolgimento. Si vuol fare una legge e da un male si ricade in un male peggiore. È una mania quella di voler legiferare su tutto, come abbiamo visto anche da parte dei democristiani quando, a proposito dell'articolo 7, si finiva per far nascere un anticlericalismo. (Interruzione dell'onorevole Fuschini).

Evidentemente quando vi è un eccesso di potere dello Stato, noi dobbiamo limitare questo potere, e mi sembra che qualche articolo rimedi a questi inconvenienti limitando i poteri dello Stato. Vi è un punto che l'esperienza dimostra tutti i giorni come sia importante: noi vediamo che chiunque ha un capitale può fare un giornale e chi non l'ha non lo può fare. Quindi mi pare giusto di affermare la libertà della stampa dal capitale oltre che dallo Stato. La libertà è sempre una libertà da qualche cosa: da una passione, da un peccato, se mi permettete. Farò un esempio, onorevole Mastrojanni. C'è un uomo, una fabbrica, che durante il ventennio fascista è riuscito a fare un giornale clandestino, cioè ad affermare quella libertà di stampa che non furono i liberali ad affermare (era il loro dovere, ma mancarono gravemente, se la libertà è un fatto, non solo una aspirazione). Ma gli operai di quella fabbrica fecero un giornale clandestino ed oggi, in regime di libertà, desidererebbero continuare a farlo con i metodi grandi e costosi che esso richiede. Non possono, non sono liberi di farlo, perché non hanno i capitali. Viceversa, quel capitalista che ha sempre fornicato col fascismo riesce a fare il giornale, un vero giornale di informazioni. Questo non mi pare giusto. Vorrei essere qui interrotto per sapere se può essere giusto il fatto, che questi operai che hanno creato un giornale clandestino ed hanno mantenuto nell'atto un senso di libertà, non possano più fare il giornale, mentre invece lo può fare il capitalista qualunque. Mi pare che questo sia ingiusto.

Giannini. Lo fa il giornalista qualunque, non il capitalista qualunque. Lei crede che il giornale sia fatto dal capitalista. Questo è l'errore. Il giornale è fatto dal giornalista. C'è chi sa farlo e chi non sa farlo. Quale è il capitalista che fa il giornale? (Rumori Interruzioni a sinistra). Dov'è? Io ho incominciato il mio giornale senza un soldo.

Calosso. La sua è stata una eccezione.

Presidente Terracini. Onorevole Giannini, la prego; questa notizia che lei adesso ci fornisce l'abbiamo letta tante volte sul suo giornale.

Giannini. Ha ragione.

Presidente Terracini. Lei sa che io sono un lettore assiduo del suo giornale.

Giannini. La ringrazio.

Calosso. Dobbiamo certo trovare qualche rimedio a questa schiavitù del capitale che si chiama, normalmente, non so perché, libertà. Però riconosco una cosa: è chiaro che il volere una legge precisa su questo vuol dire fare la rivoluzione socialista per decreto borghese, il che è impossibile. Perciò, accetto volentieri una certa vaghezza in questa materia, perché non è possibile raggiungere il nostro scopo. Forse, si potrebbe suggerire — rispondendo al senatore Einaudi che scrisse un articolo in materia su un giornale — che abbiano il diritto di fare un giornale solo dei gruppi di venti o trentamila uomini, in maniera che non ci sia l'uomo isolato, che possa tirare fuori un giornale.

Comunque, non riusciremo certo, in una assemblea non socialista, a risolvere questo problema, e neanche bisogna insistere eccessivamente. Insomma, bisogna fare qui una cattiva legge che tiri avanti come può.

C'è il terzo punto: la libertà dalla diffamazione. Questo è un punto importante, perché conosco alcuni colleghi della destra — non Giannini, il quale col suo modo scherzoso leva via qualche volta i pungiglioni dalle cose che dice — direttori di giornali della destra, deputati al Parlamento, i quali non sono orientati e credono che fare l'aggressione del bravaccio, del vile, del mazziere, sia un'azione libera, lasciando all'accusato di difendersi, come si faceva nell'Inquisizione, in cui si accusava chi doveva difendersi, mentre è chiaro che la prova tocca all'accusa. Questo è qualcosa di profondamente antipatriottico, come se l'uomo italiano valesse poco e lo si potesse insultare con facilità. Ora, prima di fare una cosa tanto grave, si deve richiedere che colui che la fa abbia già pronti tutti i dossiers d'accusa, tutti i testimoni, in maniera che in sette giorni dovrebbe essere possibile la sentenza del tribunale. Non si deve lasciare al signore, che vuole la comodità di voler insultare senza pagare troppo dazio, questa possibilità; bisogna dare dei fastidi a questo nobile signore, in maniera che il giudice possa in sette giorni compiere il processo. Si deve supporre che tutto sia pronto prima di fare una simile cosa. Ora, e questo è il punto grave, vedo la stampa umoristica che accusa qualche volta di cose che bisognerebbe dire...

Giannini. È proprio la stampa umoristica che entra nel segreto delle famiglie, che parla delle mogli, delle sorelle, delle figlie; è uno scandalo generale.

Calosso. Questo è il fatto. Un giorno il Becco Giallo — lo ricevo sotto forma di Eco della stampa — diceva: vorrei sapere se De Gasperi, Togliatti e Calosso — non so perché mi ha messo con questi grandi uomini (Si ride) — comprano il pane bianco. Ora, basterebbe andare a vedere dove io abito; nella stessa casa c'è il panettiere — il quale per di più è anche monarchico — e domandargli se io ho mai comperato un ettogrammo di pane bianco. L'ho mangiato, sì, qualche volta, ma all'osteria o in casa di amici, ma io non ne ho mai comperato un etto. Questa è la realtà. Non posso dare querela al Becco Giallo per questo. Ho dato invece querela ad un altro giornale a Torino, ma sono già dieci mesi e non ne ho saputo più niente. La Magistratura non funziona. Egli mi aveva accusato, ed era un prete — questo lo dico non perché fosse prete, ma era un mascalzone, anche se prete — del fatto che in una cerimonia religiosa a Firenze avrei proposto di cambiare le Chiese fiorentine in sale di divertimento e case del popolo.

Immaginate che proprio io vada a dire di ballare in Santa Croce, in Santa Maria del Fiore, in Santa Maria Novella, come se ignorassi che cosa queste Chiese rappresentano; che proprio io dicessi una sciocchezza simile? Eppure dieci mesi sono passati e adesso scriverò al mio avvocato che lasci perdere tutto. Questo tale non ebbe il coraggio di capire che aveva detto una sciocchezza, né la Magistratura seppe fare quello che doveva con quella velocità necessaria dinanzi all'evidenza. È la situazione italiana. Perciò bisogna essere feroci su questo punto, come lo si è in paesi civili. Gli inglesi sono meno teneri; insultare un uomo inglese è una cosa molto più difficile che insultare un uomo italiano. A me è capitato una volta di scrivere su un giornaletto della colonia italiana, da me diretto durante la guerra, che vi era stata una certa assemblea che aveva votato un ordine del giorno. I nostri avversari travisano, da un punto di vista politico, questo ordine del giorno. In seguito ricevo l'avviso di un avvocato che mi dice che devo rispondere per libello. Domando: «Cosa è questo libello? — Sono 500 sterline e alcuni mesi di prigione». Riuscimmo a cavarcela trovando un'altra accusa del genere contro gli avversari.

Ciò determina nella stampa di questi paesi quello stile umano e anche umoristico — onorevole Giannini — che serve come l'olio a lubrificare la discussione.

Io credo, dunque, che dobbiamo essere feroci: non saprei trovare una parola più mite. Voi dite che una misura simile debba essere usata per paura; ma invece deve essere usata per un senso di dignità umana e italiana.

Presidente Terracini. Onorevole Calosso, la prego di concludere.

Calosso. La libertà dalla pornografia è un punto su cui direi che bisogna addivenire ad una eccezione. Sono contento che tocchi a me di parlare di questo, perché avevo notato che alcuni democristiani hanno una certa timidità, come se questo fatto fosse legato al democristianesimo, mentre invece tocca tutti gli uomini e sono quindi ben lieto — ripeto — di far mia questa proposta. Non essendo politica, la questione della pornografia va trattata come una eccezione. È bene fare delle eccezioni e avere in questo mondo il senso delle eccezioni. Qui non c'è politica, non c'è paura di dittatura, ma il pericolo c'è. Io passeggio, per esempio, con un ragazzo per una strada e vedo una caricatura, un disegno molto pornografico; è un'offesa irrimediabile che può avere effetti gravissimi. È giusto che ci sia una particolare gravità di pene, di sanzioni; quindi farei la legge meno controllata che quella politica, anche se ci fosse qualche eccesso. Direi che è meglio in questo campo l'eccesso che il difetto, perché — ripeto — non c'è il fatto politico di mezzo. E non bisogna aver paura degli inconvenienti, che ci sono dappertutto, come, ad esempio, che domani un giudice filisteo abolisca il Decamerone o Madame Bovary di Flaubert. Insomma, corriamo questo rischio, qualche Decamerone, qualche Madame Bovary sarà abolito, ma troverà poi lo stesso il modo di farsi la sua strada. Io correrei quindi questo rischio senza paura. Mi pare meglio quello che si guadagna che non quello che si perde.

Perciò ho proposto questo piccolo emendamento, sul quale non insisto se non come orientamento generale.

Presidente Terracini. Quando l'onorevole Calosso presenta degli emendamenti, d'ora in poi gli chiederemo subito se li ha presentati soltanto per aver diritto a parlare, visto che poi li abbandona così rapidamente.

Giannini. Onorevole Presidente, la pregherei di concedermi la facoltà di parlare, soltanto per un minuto e mezzo, per fatto personale.

Presidente Terracini. Non vedo in che consista il fatto personale.

Giannini. Non ho altro mezzo per rispondere al mio amico Calosso.

Presidente Terracini. Va bene, ma metterò la clessidra.

Giannini. Desidero precisare al mio amico, al caro amico Calosso, che noi non siamo affatto contrari a che la Magistratura sia messa in condizioni di perseguire nel più breve termine possibile il giornalista — anzi, lo pseudo-giornalista — che, dimenticando i doveri professionali e artistici — perché la nostra professione è principalmente un'arte — si renda colpevole del reato di diffamazione.

La nostra figura di rappresentanti dell'«Uomo Qualunque», caro Calosso, ci mette in una stranissima condizione; siccome «qualunque» è un po' «tutti», noi siamo volta per volta individuati con chiunque. Quindi siamo individuati con la destra; io sono stato individuato con il fascismo; alcuni mi hanno individuato con il comunismo; e così lei oggi ci individua per quei giornalisti i quali non vogliono che la Magistratura sia messa in grado di perseguire il giornalismo diffamatore e ricattatorio. Ma questa è una cosa che tutti noi giornalisti, di qualunque partito, abbiamo sempre chiesto e sempre chiederemo, perché questa è la garanzia della nobiltà della nostra professione, per la quale — creda, amico Calosso, lei che la esercita più da uomo politico che da professionista — ci vogliono fiumi d'ingegno che, se fossero rivolti verso altre attività più redditizie, come, per esempio, il cambio o la borsa nera, renderebbero molto denaro di più, e molte ingiurie, spesso toccanti il cuore delle famiglie, di meno, di quello che ci dà l'esercizio del nostro giornalismo politico e appassionato, che è solamente fonte di amarezza, e che raramente dà una gioia, come quella che ho io oggi nel discutere con lei. (Approvazioni a destra).

Onorevole Presidente, non credo di avere oltrepassato il limite.

Presidente Terracini. La cito ad esempio.

L'onorevole Bellavista ha presentato il seguente emendamento, già svoltò:

«Sopprimere il quinto comma».

L'onorevole Trimarchi ha presentato il seguente emendamento:

«All'ultimo comma, dopo la parola: contrarie, aggiungere le altre: alla morale e».

Non essendo presente, l'emendamento si intende decaduto.

Segue l'emendamento dell'onorevole Titomanlio Vittoria:

«All'ultimo comma, dopo la parola: contrarie, aggiungere le parole: alla morale e».

Titomanlio Vittoria. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Bosco Lucarelli, Castelli Avolio, Cappi, Turco, Balduzzi, Gabrieli, Coppi Alessandro, Salizzoni, Lettieri, Bulloni hanno presentato il seguente emendamento:

«All'ultimo comma, dopo le parole: al buon costume, aggiungere: ed al sentimento religioso del popolo italiano».

L'onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgerlo.

Bosco Lucarelli. Onorevole Presidente, dato che al di sopra e al di fuori dei partiti si è da tutti dichiarato di volere il più assoluto rispetto del sentimento religioso, e dato soprattutto che il popolo non consentirebbe offese a detto suo sentimento, ben riflettendo, ritengo superfluo il mio emendamento e dichiaro di ritirarlo.

Presidente Terracini. Vi è, poi, l'emendamento presentato dagli onorevoli Coppa Ezio, Patricolo, Marina, De Falco, Colitto, Vilardi, Mazza, Puoti, Corsini, Rognoni:

«All'ultimo comma, alle parole: al buon costume, aggiungere: o che offendano il sentimento religioso del popolo».

L'onorevole Colitto, firmatario, ha facoltà di svolgerlo.

Colitto. Abbiamo presentato questo emendamento per quel giusto rilievo che è stato testé formulato dall'onorevole Bosco Lucarelli a proposito dell'emendamento precedente. Ma poiché al sentimento religioso sono stati nei giorni scorsi levati mirabili e commoventi inni, da tutti i settori dell'Assemblea, noi crediamo di non dover insistere sul nostro emendamento, il quale mira alla confermazione di sentimenti che sono in fondo al cuore di ogni italiano.

Presidente Terracini. L'onorevole Moro, unitamente agli onorevoli Tosato, Di Fausto, Bianchini Laura, Dominedò, Tozzi Condivi, Ciccolungo, Recca, Cremaschi Carlo, Balduzzi, ha proposto di aggiungere in fine dell'articolo le parole: «preventive e repressive».

L'onorevole Moro ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Moro. Dirò brevissime parole per giustificare l'aggiunta che io ed altri amici abbiamo chiesto di apportare all'ultimo comma dell'articolo 16.

Mi piace innanzitutto ricordare che questa disposizione dell'ultimo comma è stata concordemente presentata, in sede di Commissione, da noi e dai colleghi comunisti, in particolare, dai colleghi onorevoli Terracini e Nobile. Noi desideravamo infatti, che fosse data una precisa disposizione, per richiamare la legge futura ad una rigorosa repressione di tutte le manifestazioni del pensiero che si concretino in un attacco al buon costume.

Mi pare quindi che su questo punto vi sia concordia in tutta l'Assemblea; tutti quanti noi desideriamo infatti che la libertà di pensiero, in ogni sua forma, non si risolva in un'offesa al buon costume e alla morale.

Quello di cui si tratta invece è di determinare le misure idonee alla repressione di eventuali abusi. A questo proposito l'ultima parte dell'articolo 16 parlava di misure adeguate che sarebbero state determinate ad opera della legge. Ma io ed i miei amici abbiamo avvertito la preoccupazione che tale dizione non risultasse sufficientemente chiara per il futuro legislatore, che cioè, in virtù di essa, venisse fatto un richiamo soltanto a misure di repressione, ma non già a quelle misure di prevenzione che a noi sembrano anche essenziali.

Questo nostro dubbio è stato d'altronde aggravato dalla proposta, fatta da alcuni onorevoli colleghi, relativa alla soppressione del quarto comma che parla di sequestro preventivo della stampa che può essere eseguito da ufficiali della polizia giudiziaria. Ora, effettivamente, questo quarto comma potrebbe destare qualche preoccupazione, perché rimetterebbe nelle mani della polizia giudiziaria un delicato potere di controllo. Sicché ci rendiamo ben conto dei motivi per i quali i nostri colleghi hanno chiesto l'abolizione di questo quarto comma dell'articolo 16. In tal caso verrebbe meno la garanzia di una effettiva rispondenza delle norme costituzionali, che stiamo stabilendo, alle esigenze di tutela del buon costume e della moralità. Noi chiediamo che, almeno per le pubblicazioni oscene, almeno per gli spettacoli e per le altre manifestazioni che urtino contro il buon costume, sia ammessa non solo una severa repressione, ma anche la possibilità di una prevenzione adeguata ed immediata. A me sembra che in questo caso la immediatezza dell'intervento sia cosa indispensabile. Io mi auguro, come si augura l'onorevole Ghidini, che possa organizzarsi l'attività della Magistratura, in modo tale che un magistrato adibito a questo lavoro possa giornalmente controllare la stampa, per operare quei sequestri che si rendono necessari; ma non ne sono sicuro. Penso che, talvolta, potrebbe essere indispensabile l'intervento esecutivo. Questo intervento, che per altri casi va guardato con qualche preoccupazione, può essere ammesso con animo tranquillo quando sono in giuoco il buon costume e la moralità. La immediatezza è, dicevo, in questo caso indispensabile. Si tratta di evitare che il veleno corrosivo che si trova nella stampa pornografica e nelle altre manifestazioni contrarie al buon costume possa dilagare, si tratta di fare in modo che sia impedito nel suo sorgere. Se noi lasceremo circolare questo veleno anche per poco, non avremo la possibilità di difendere effettivamente la moralità del nostro popolo e la nostra gioventù.

Io voglio ricordare quanto diceva qualche minuto fa l'onorevole Calosso: se sotto il profilo politico, per altri aspetti del problema, si deve ammettere un grande rigore a tutela della libertà individuale, possiamo invece largheggiare un poco, quando si tratta di tutelare la libertà e dignità della persona, le quali potrebbero essere turbate gravissimamente da abusi licenziosi della libertà di stampa e di espressione del pensiero.

La realtà delle cose è in questo momento questa, che la pornografia non è occasionale, non è incidentale, ma è intenzionalmente diretta ad infirmare la coscienza morale del popolo italiano. Io credo che l'Assemblea tutta si troverà concorde in questa difesa, la quale, essendo difesa della nostra gioventù, che è veramente la nostra speranza, essendo difesa della moralità del nostro popolo, è anche la più piena e la più sana affermazione che noi possiamo fare del nostro amor di Patria. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. L'onorevole Ruggiero, unitamente agli onorevoli Canevari, Cairo, Morini, Grilli, Carboni, Veroni, Zanardi, Piemonte, Preti, ha presentato il seguente emendamento:

«Al quinto comma, alle parole: la legge può stabilire, sostituire: la legge stabilisce».

L'onorevole Ruggiero ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Ruggiero. L'emendamento riguarda il comma cinque dell'articolo 16. Dove il progetto di Costituzione dice: «La legge può stabilire controlli per l'accertamento delle fonti di notizie ecc.,» noi vorremmo sostituire quest'altra formulazione: «La legge stabilisce i controlli, ecc.».

Come vedete, noi non consideriamo adesso la formulazione nella sua contenenza intima.

Insomma non intacchiamo il principio nella sua sostanza, lasciamo intatto il principio, ma vorremmo, con l'emendamento, tradurlo in una realtà giuridica concreta. A noi pare che il principio resti come un'affermazione astratta e metafisica, non efficace e non operativa sul piano concreto. Infatti quando la disposizione dice: «La legge può stabilire controlli», che cosa fa? Concede alla legge una facoltà, ma intanto, ove la legge non provvede ad avvalersi di questa facoltà, la Costituzione, rimanendo ferma in questa formulazione, non può in nessun modo obbligare la legge ad adeguarsi alla formulazione stessa. Come vedete, la formulazione resta nei limiti di una affermazione astratta e in un campo di ambiguità. Quindi noi chiediamo che l'emendamento stabilisca in modo chiaro questa affermazione. Vi faccio notare, d'altra parte, che è la prima volta che nella Costituzione è usata questa espressione, «la legge può», cioè è la prima volta che la Costituzione concede questa facoltà alla legge. E vorrei che si evitasse l'equivoco che potrebbe nascere da una lettura un po' sommaria di altre disposizioni che contengono l'espressione «può». Se voi vedete, anche l'articolo 16, in altra parte, comporta questa espressione «può», ma vediamo in che misura. Si dice, al terzo comma dell'articolo 16: «Si può procedere al sequestro soltanto per atto dell'autorità giudiziaria». Quindi ci troviamo di fronte al «si può».

Altra volta ci troviamo di fronte ad un «può», e cioè nell'articolo 8 in cui si dice che, «in casi eccezionali di necessità ed urgenza indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie». Così ancora nell'articolo 19 in cui si dice che «tutti possono agire in giudizio, ecc.». Ma come vedete, qui la facoltà è concessa a persone od enti i quali possono o non possono fare una cosa nell'ambito della latitudine che la legge concede a questi enti o persone. All'articolo 12 si dice: «può procedere al sequestro soltanto per atto dell'autorità giudiziaria nei casi, ecc.». Quindi può procedere al sequestro, chi? L'autorità giudiziaria, e nei casi previsti dalla legge; ma è affermato il principio che l'autorità giudiziaria possa fare. Qui invece ci troviamo di fronte ad una facoltà della legge che può disporre e può anche non disporre.

È una questione di tecnica, di carattere costituzionale, inquantochè, se è vero che la Costituzione dovrebbe essere scritta sulle tavole di bronzo, come si pensa quando la Costituzione viene considerata da un punto di vista ideale, è pur vero che nella Costituzione non può essere consacrato un principio il quale potrebbe essere suscettibile o meno di applicazione.

Se è vero che esiste questa necessità che è consacrata nel progetto di Costituzione al 5° comma dell'articolo 16, io penso che per ragioni di chiarezza e per ragioni della stessa dignità costituzionale questo principio debba essere espresso in forma normativa e categorica come tutte le formulazioni della Costituzione.

Si tratta di veri e propri comandamenti alla nostra coscienza di costituenti e di cittadini.

Mi pare che se la formulazione resta così come è espressa nel 5° comma dell'articolo 16, sorga la necessità di precisare l'efficacia di questo controllo. Altrimenti sembra che noi costituenti non ci sentiamo vincolati in modo tassativo e abbiamo l'aria di voler rimandare al domani la decisione circa l'opportunità di una disposizione precisa.

Per tutte queste ragioni chiedo, per rimanere coerente all'intimo spirito che deve informare la Costituzione, che il mio emendamento sia accolto realizzando una maggiore chiarezza ed efficacia della carta costituzionale.

Presidente Terracini. È stato presentato un emendamento a firma degli onorevoli Grassi, Mortati, Camposarcuno, Castelli Avolio, Dominedò, Recca, De Michelis, Fanfani, Bianchini Laura, Pastore Giulio, Montini, per sostituire il terzo comma col seguente:

«Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nei casi di delitto, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo consenta, e nei casi di violazione delle norme relative all'obbligo dell'indicazione dei responsabili».

L'onorevole Grassi ha facoltà di svolgerlo.

Grassi. Ho cercato, con i firmatari dell'emendamento, di concretare meglio questo comma. I principî rimangono sempre gli stessi, come stabiliti nel testo della Commissione, ma abbiamo portato delle modifiche.

L'atto dall'autorità giudiziaria richiesto per procedere al sequestro rimane nel nostro emendamento come nel testo presentato dalla Commissione.

Tuttavia preferiamo limitare i casi di sequestro ai «delitti» invece che ai «reati», perché «la parola «reati» si presta ad una maggiore quantità di casi. Intendiamo inoltre ridurre le possibilità di sequestro per violazioni amministrative soltanto ai casi della stampa clandestina, nella quale manca un responsabile nel gerente o nella tipografia. Soltanto in questi casi di violazioni si può addivenire al sequestro da parte dell'autorità giudiziaria. Come si vede, lo scopo è limitativo. Si vuole, in altre parole, tener fermo il principio della libertà e stabilire che il sequestro non venga autorizzato se non per delitti stabiliti dalla legge sulla stampa, oppure nei casi in cui si sia venuto meno all'obbligo dell'indicazione del responsabile. Il Presidente della Commissione assicura che questo emendamento può essere accettato.

Presidente Terracini. Lo svolgimento degli emendamenti è così esaurito.

Chiedo ora ai presentatori se intendano mantenerli, in modo che la Commissione sia in grado di esprimere il suo avviso sugli emendamenti mantenuti. Onorevole Andreotti, ella mantiene il suo emendamento?

Andreotti. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Perassi?

Conti. Lo manteniamo.

Presidente Terracini. Onorevole Montagnana Mario?

Montagnana Mario. Li manteniamo tutti e tre.

Presidente Terracini. Onorevole Ghidini?

Ghidini. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Preziosi?

Preziosi. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Mastrojanni?

Mastrojanni. Li mantengo tutti e due.

Presidente Terracini. Onorevole Calosso?

Calosso. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Non essendo presente l'onorevole Bellavista, si intende che abbia rinunziato al suo emendamento.

Onorevole Moro?

Moro. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Ruggiero?

Ruggiero. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Grassi?

Grassi. Lo mantengo.

Presidente Terracini. La Commissione esprimerà nel pomeriggio il suo parere.


 

[i] Nonostante il resoconto riporti la parola «potere» è probabile che si tratti di un errore di stampa e che debba intendersi «parere».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti