[Il 26 marzo 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Carboni. [...] Altrettanto credo debba dirsi a proposito del secondo comma: «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari». Il principio risponde ad un concetto di alta moralità, ma affermarlo così ampiamente, per quanto ci sia una riserva alla legge che ne dovrà fare determinazione, non mi pare conveniente, anche perché la formula non fa alcuna discriminazione tra errori giudiziari in materia penale e in materia civile.

[...]

Preziosi. [...] E vengo agli ultimi due articoli, i quali devono rendere pensosi i colleghi dell'Assemblea. Specialmente l'articolo 22 che all'ultimo comma dice: «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari».

Era questa un'affermazione necessaria, secondo la quale la legge interviene, determinando le condizioni per riparare gli errori giudiziari, con ciò significando che un cittadino il quale — non sappiamo se dolosamente o colposamente — è stato privato della libertà personale ha il diritto ad una riparazione pubblica, che si trasforma anche in una riparazione materiale, giustamente dovutagli.

Quante volte infatti ci è capitato che un cittadino sia stato arrestato, sia stato sottoposto a provvedimenti reclusivi, e si è visto che quel cittadino è stato poi giudicato dopo anni, da un tribunale, da una Corte d'assise, ed è stato assolto su richiesta del pubblico ministero, per non aver commesso il fatto!

Ora, io non dico che tutti coloro i quali sono stati assolti per non aver commesso il fatto debbano avere sempre una completa riparazione; ma vi sono casi specifici, nei quali l'errore giudiziario ha colpito in modo tutto particolare il cittadino. Due sono essenzialmente questi casi. Il primo è quello del cittadino il quale, detenuto per anni, ha visto poi riconosciuta la propria innocenza: e questo è un caso da considerare. Ma ce n'è un altro ancora più grave da considerare; ed è quello di un cittadino il quale sia stato condannato perché forse c'erano stati degli elementi di diritto non percepiti dal magistrato. Ora, questo cittadino il quale è stato condannato per un fatto che non è reato e che ha scontato anni di reclusione non deve forse avere una riparazione? È anche il caso vostro, o amici della destra, del centro, della sinistra, che per anni siete stati condannati a cagione di un delitto che non avevate commesso, perché voi avevate compiuto soltanto un dovere, perché voi avevate dimostrato soltanto di amare la vostra Patria, di difendere la libertà della vostra Patria, attraverso i movimenti clandestini, attraverso la propaganda di popolo e in difesa del popolo.

Quando siete usciti dopo anni o decenni di detenzione, non avevate forse il diritto — specialmente molti di voi che hanno visto rovinate le loro famiglie, i loro beni, l'avvenire dei loro figli — di vedere riconosciuto l'errore giudiziario che si era commesso — perché era un errore giudiziario, se pure era un errore politico — che si era commesso nei vostri confronti?

È un interrogativo, onorevoli colleghi, al quale la Commissione dovrà pure rispondere, affermando, confermando e specificando meglio questo principio, che è un principio che davvero risponde ad un'esigenza del nostro spirito.

[...]

Bellavista. [...] Onorevoli colleghi, quello che per me rappresenta, se ho interpretato bene, un vero gioiello, come manifestazione liberale della Carta, è il secondo comma dell'articolo 22. Dico se ho interpretato bene, e temo di no, perché, caro collega Preziosi, nell'articolo 20 c'è una «repetitio» magnifica del preambolo dell'articolo 1 del Codice penale. Altre ripetizioni necessarie ed utili ci sono, ma se il secondo comma, onorevole Tupini, dell'articolo 22 vuole essere la ripetizione di quel quasi principio, di quella mortificazione statolatrica contenuta nel Codice di procedura penale, per cui colui che torna dalle patrie Caienne — pensate al caso Dreyfus! — ha soltanto «diritto di istanza» per la riparazione dell'errore che ha sofferto e lo Stato dà, se crede, una somma che non supera le 50.000 lire, allora no. L'epoca, io spero e credo, dell'uomo-mezzo, dell'uomo-bullone, dell'uomo-vite è finita. Ed allora, contro lo Stato che sbaglia per culpa in eligendo, contro lo Stato che comunque sbaglia non devono gli statolatri marciare rostrati di giuristerie che offendono la coscienza popolare ed il sano sentimento della giustizia che vuole sia restituito non solo l'onore, a chi tolto lo ha avuto, ma anche tutto quello che si è perduto, e che è possibile riparare, nel patimento inflitto ingiustamente. Non si può giustificare questo cinismo legislativo con la necessità di procedere a qualunque costo. Si deve riconoscere il diritto subiettivo di pretendere risarcimenti e riparazioni. Questo diritto, evidentemente, deve essere circondato da garanzie; da forme, da modi che lo rendano veramente alta affermazione di giustizia.

Tupini. Ed è questo lo spirito della Commissione.

Bellavista. Sì, però se io devo interpretare — ed una volta che la legge è fatta si spoglia del pensiero intimo del legislatore — il comma così come esso recita: «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari», debbo concludere che questo lo fa ancora oggi la legge; tuttavia, lo sapete, questo è un diritto di istanza; la vittima dell'errore giudiziario può chiedere, ma non ha il diritto di ottenere; a questa mia potestà di richiedere non corrisponde un obbligo a darmi; è soltanto un gesto di grazia degno d'un tirannello feudale, che butta, se lo crede, una borsa d'oro alla vittima del suo bieco potere.

È formula che si addice «to the gracious Queen», ma che «the gracious Republic» non può accettare. E non bisogna accettarla, perché non accettando questo principio statolatrico, affermando il diritto alla riparazione, noi affermeremo una cosa veramente grandiosa che supera ogni ideologia particolare, perché investe l'ideologia di tutti: la creatura umana è una cosa sacra e diventa sublime quando è stata ingiustamente calpestata. (Applausi).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti