[Il 26 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo IV della Parte seconda del progetto di Costituzione: «La Magistratura».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'esame dell'articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli La Rocca, Amendola, Bosi, Lombardi Carlo, Bibolotti, Molinelli, del seguente tenore:

«Lo Stato assicura, con una sua avvocatura, la difesa ai non abbienti, in ogni grado di giurisdizione».

L'onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

La Rocca. Onorevoli colleghi, nella parte del testo costituzionale già approvato — all'articolo 19 — è solennemente affermato il principio che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. È anche detto che tutti possono far valere le loro ragioni e difendere i loro interessi legittimi in giudizio.

Ma il fondamento di una Costituzione improntata ad una democrazia conseguente non può restringersi a questo: a fissare i diritti formali del cittadino, senza preoccuparsi delle condizioni che garantiscono il godimento, l'uso di questi diritti, delle possibilità di esercitarli, dei mezzi per esercitarli.

Il tratto caratteristico di una Costituzione veramente democratica deve consistere nel non accontentarsi dell'affermazione, della proclamazione dei diritti formali del cittadino, ma nello spostare il centro di gravità sulla garanzia di questi diritti, sui mezzi per l'esercizio di questi diritti.

Nel caso concreto, non basta proclamare che la difesa è un diritto inviolabile e che tutti possono far valere le loro ragioni e tutelare i loro interessi legittimi. Occorre, invece, assicurare realmente la possibilità di questa difesa, dare il modo di esercitare questo diritto, stabilendo una sanzione legislativa al fatto che ognuno dev'essere assistito, convenientemente, in giudizio.

In sede di discussione generale sulla Magistratura, è stata più volte tirata in campo, a torto o a ragione, l'autorità di Shakespeare, se non come conoscitor delle peccata, come espertissimo degli umani vizi e del valore. Sia consentito anche a me citare Shakespeare, ricordando il suo monito: che la spada della giustizia trapassa facilmente gli stracci e si spezza contro le lamine d'oro.

E, di solito, proprio gli stracci sono chiamati a saldare i conti; gli stracci che avvolgono disperazioni dispregiate o non conosciute, che coprono ragioni non illuminate, non ricercate, non comprese, da chi sarebbe tenuto a farlo, e per vari motivi.

Se ci proviamo a ridurre in cifre nude la miseria umana, la demenza umana, la colpa umana, l'immensità della sciagura umana, ci convinciamo che alle spalle del delitto, vi è una spinta, una forza motrice, che sorpassa talvolta l'individuo e lo fa preda delle circostanze: che il delitto non è semplicemente squallore o brivido di raccapriccio, sangue a terra e fango in faccia o anche dell'altro, quando non ha l'impronta di una specie di rivolta contro tutto ciò che opprime l'uomo, come nel dramma famoso: ci convinciamo che il delitto può essere espressione d'infermità, sciagura e maledizione di gente malnata, ma è, quasi sempre, prodotto di determinate condizioni d'ambiente e di rapporti sociali, che è un frutto vermiglio che sboccia sopra una certa pianta, in un dato terreno; che esso si sviluppa sopra una data base. E le vittime, nel più gran numero, sono i miserabili: i miserabili a cui è negato dalla sorte di far sentire, nelle aule giudiziarie, tutte le loro ragioni.

In una vita, che ha l'intelligenza per suo fuoco centrale, è o dovrebbe essere, pur sempre, maestra colei che non fu concepita nel buio delle visceri, nelle tenebre della matrice, sì bene nei lampeggiamenti del cervello maschio. Ma anche l'occhichiara, che dalla mano infallibile lasciava cadere il sasso, per assolvere o condannare, anche Pallade, l'occhichiara, aveva bisogno, nelle questioni più delicate e complesse, di essere soccorsa dalla presenza del nume che incarnava la luce, che era il sole vestito di membra umane.

E se la giustizia, secondo una definizione luminosa ripetuta nei secoli, è la costante volontà di dare a ognuno quello che gli è dovuto, essa si dimostra, troppe volte, una grossa bilancia collocata sopra un vecchio tavolo, dove i tarli scavano i loro labirinti dubitosi: bilancia che pencola e crolla dalla parte dove si gitta di più, anche di cavilli e di parole.

Ora, accade che la difesa manchi là dove sarebbe più necessaria. È questo il punto su cui richiamo l'attenzione dell'Assemblea, perché la formulazione dell'articolo 19 assolutamente non soddisfa alcuno.

Il povero, in giudizio, deve avere qualcuno che lo sostenga, con calore, con fede. E questo bisogno è stato sentito e tradotto in formule giuridiche, in tutte le legislazioni, nelle più antiche. Non occorre fare scavi archeologici. Potremmo rimetterci alla testimonianza aristotelica e vedere che uno degli arconti assiste il povero o l'incapace. Per la legislazione romana, una favola triste suona, secondo la quale l'esercizio forense sarebbe stato una spoliazione e una rapina: esso era honorificum munus; e sorse come insegna e come scudo del diritto, finché, per abusi intervenuti, la famosa legge Cinzia proibì il compenso e impose il gratuito. L'avvocato (vir bonus, dicendi peritus) era chiamato dalla voce dell'affetto o del sangue, accanto al reo, nell'ora della sciagura.

E il rostro, da cui si dilatava la musica verbale dei grandi oratori, era un po' la casa sicura dei più deboli.

Del resto, le condizioni di Roma erano particolari. La grande massa dei non abbienti costituiva il piedistallo passivo della lotta politica, che si svolgeva nel seno e nel cerchio di una piccola minoranza privilegiata: tra patrizi e cavalieri e plebei liberi. E il proletariato, per intenderci, viveva a spese della società, mentre la società moderna vive a spese del proletariato.

Il patrono, il ricco, era proprietario di schiavi; ma era tenuto a nutrirli e a difenderli, anche in giudizio.

Un riflesso del diritto romano si ritrova in tutta la legislazione barbarica e carolingia. Carlo Magno spediva i suoi messi a proteggere, e senza spese, i poveri del regno; e nell'età di mezzo, accanto al fiore della cavalleria, c'è la difesa gratuita del miserabile, come un obbligo morale, che poi acquista il rilievo e i lineamenti di un vero e proprio istituto giuridico, che si perfeziona con precise norme, al tempo di Paolo V. Il diritto canonico dà vita all'advocatus pauperorum, advocatus deputatus et stipendiatus pro pauperibus.

Il concetto cristiano si è attuato in altri istituti di carattere legislativo. Non abbiamo che da innestarci sul tronco della più schietta tradizione italiana, delle nostre Repubbliche, dei Comuni: di Vercelli, di Alessandria, di Cuneo, di Novara, di Torino, di Milano, di Bologna, di Firenze, di Parma, di Mantova e soprattutto di Venezia che, nel suo «Statuto», considera espressamente il caso, dicendo che «occorre istituire un'avvocatura speciale e stipendiata, perché la ragione del povero e del miserabile non cada per mancanza di pecunia». D'altra parte, senza uscire dai confini del nostro paese e rifarci a Enrico IV o alla Rivoluzione francese, in cui vediamo in embrione un'avvocatura dei poveri, basta risalire all'alba del nostro Risorgimento per trovare, con netti contorni, un organo di difesa gratuita, come funzione sociale. Giuseppe Mazzini, prima del suo arresto, esercitava nel Foro genovese l'avvocatura dei poveri. Nel 1859, con la legge Rattazzi sull'ordinamento giudiziario, abbiamo avuto questa avvocatura come istituto di Stato, una carriera simile a quella del pubblico ministero, quanto mai diversa dal gratuito patrocinio, che è molto meno di una formalità: che è una lustra, e si risolve in una frase vuota per i giudicabili. Non si pratica il monito di Verlaine: di torcere il collo all'eloquenza, ma semplicemente si abolisce la difesa. Non si domanda più al delitto; perché? Si chiede al delitto: quanto? Sovrasta il rigore. Ma, dopo la sentenza, c'è un dirugginìo di cardini, uno sbattere di porte e l'uomo è buttato in una cella, con un'inferriata, fra lui e la società, fra lui e il sole, senza che nessuno, praticamente, si sia piegato sulla sua sventura, a conoscere, a intendere il suo caso. Credo che l'Assemblea Costituente, ricollegandosi alle tradizioni romane ed italiane in particolare, voglia trovare il modo di trasformare l'istituto del gratuito patrocinio in una avvocatura che sia particolarmente incaricata di assistere e difendere i poveri, con gli accorgimenti del caso, in ogni grado e stadio del procedimento, in modo che i derelitti, i miserabili vedano che, nell'incominciare la nostra vita nuova, il diritto della difesa è una realtà anche per loro, e non si sentano, in sede giudiziaria, delle ragioni misconosciute, delle povere fonti calpestate. (Applausi).

Persico. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Persico. Onorevoli colleghi, ignoravo che il collega La Rocca e gli altri suoi compagni avessero presentato questo emendamento, ma sono assai lieto che l'abbiano fatto, perché mi ricorda l'inizio della mia vita professionale. Il mio amico Conti forse ricorderà quando i vecchi avvocati romani, Bindi, Randanini e gli altri, convocarono un gruppo di giovani, dei quali mi onoravo di far parte, per costituire in Roma l'«Associazione penale per la difesa gratuita dei poveri», associazione che ancora esiste e funziona, sia pure con forze assai modeste.

È uno spettacolo veramente doloroso quello che provano, non soltanto gli avvocati, ma anche i profani della giustizia, quando entrando in un'aula assistono a questa scena: il Presidente domanda all'imputato: «Lei ha il difensore?» L'imputato risponde: «No». Al banco c'è un avvocato, che, forse per caso, sta sfogliando un suo fascicolo. Il Presidente dice: «Lei sarà il difensore». L'avvocato continua a sfogliare attentamente il suo fascicolo. Il dibattito termina. Il Presidente dà la parola alla difesa, e l'avvocato nominato di ufficio dice: «Mi rimetto alla giustizia». E la causa finisce. Questo è uno spettacolo triste che vediamo continuamente, e che produce un senso di enorme disagio morale per tutti coloro che si trovano presenti nell'aula. Tutte le volte che mi è capitata una simile occasione, mi son fatto dare il fascicolo del processo ed ho cercato di studiare alla meglio la causa e di fare il mio dovere, anche improvvisando.

E così, in Cassazione. Si mandano agli avvocati degli avvisetti rossi o verdi, con i quali vengono nominati difensori di ufficio. Ho visto diversi colleghi stracciare questi avvisi all'atto della consegna, senza neanche leggerli. Di modo che, in Cassazione, abbiamo centinaia e centinaia di processi che si fanno senza l'assistenza dell'avvocato. Eppure, spesso, specialmente nei primi anni del mio esercizio, ho trovato in questi processi motivi di ricorso così fondati da far accogliere i ricorsi, pur senza avere nessun rapporto con l'imputato.

Quindi, la proposta La Rocca colma una lacuna nella nostra Costituzione. Una lacuna che si ricollega proprio a quell'articolo 19 che abbiamo già approvato, perché è inutile proclamare dei principî astratti, quando poi concretamente non vi è nessuna possibilità di realizzarli. È vero che tutti hanno diritto di agire in giudizio per la difesa dei loro diritti, è vero che la difesa è diritto inviolabile, ma se questo diritto non è assicurato, rimane un diritto astratto, privo di ogni sanzione e di ogni realizzazione pratica.

Però, mi permetta l'onorevole La Rocca, di dissentire da lui su un punto. Se non ho mal compreso leggendo l'emendamento, egli vuole che si costituisca un'avvocatura di Stato ad hoc. Per carità, non costituiamo un'altra avvocatura. Vi sarebbero difficoltà enormi per farla funzionare, e noi vediamo come oggi funziona male il gratuito patrocinio civile e quello penale. Quello penale non funziona affatto; quello civile funziona attraverso difficoltà enormi, perché c'è l'ostruzionismo di tutto l'organismo giudiziario verso la difesa ufficiosa, di modo che le prove non si raccolgono, le sentenze non si pubblicano, gli atti non si notificano, se non attraverso enormi difficoltà e ritardi.

Se dovessimo costituire un'avvocatura, ci sarebbe già l'avvocatura dello Stato, che funziona benissimo, ed una sezione specializzata potrebbe essere adibita per la difesa civile e penale dei meno abbienti. Ma, poiché l'onorevole La Rocca ha ricordato quello che è il glorioso retaggio della nostra tradizione giuridica, cioè le benemerite avvocature dei poveri, che in Piemonte e negli Stati sardi soprattutto hanno avuto vita floridissima di cui è ancora vivo il ricordo, malgrado che la legge non la preveda più, io credo che si potrebbe istituire un'avvocatura per i poveri. In che modo? Rendendo obbligatorio per tutti i professionisti, come titolo onorifico e come corrispettivo di tutte le cause che sono pagate dagli abbienti, di assumere a turno, secondo le specializzazioni, la difesa dei poveri.

Naturalmente, bisognerà tutelare il lato economico, e bisognerà stabilire che il beneficio deve essere soltanto pei non abbienti, perché altrimenti, come mi diceva poco fa il collega Ivan Matteo Lombardo, nessuno si farebbe più difendere dall'avvocato di fiducia e tutti andrebbero dall'avvocato dei poveri. L'avvocato dei poveri dovrà essere il difensore di coloro che non hanno mezzi sufficienti per poter iniziare un giudizio, o per poter difendere i loro diritti. Tutto questo sarà stabilito con una legge che sarà emanata a suo tempo, e che sarà attentamente studiata nei suoi particolari. Però, diamo anche a questi avvocati dei poveri la possibilità di un compenso; cioè lo Stato dovrebbe costituire un fondo attraverso il quale le spese di giustizia (copia dei processi, notifica degli atti, ecc., insomma tutte quelle spese che non rientrano nell'opera professionale), potrebbero venir rimborsate dallo Stato. Io direi così, se il collega La Rocca lo consente: «Lo Stato assicura, con la istituzione della avvocatura dei poveri, la difesa dei non abbienti in ogni grado di giurisdizione».

Noi potremo così tutelare praticamente il diritto delle classi non abbienti ad ottenere giustizia. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

Rossi Paolo. Alla Commissione dispiace dissentire delle argomentazioni svolte così bene dai colleghi, le quali in realtà non rispondono all'esperienza che si è fatta; l'avvocatura dei poveri c'è stata ed è risultato che la legge del gratuito patrocinio rappresenta rispetto ad essa un vero progresso.

Vogliamo vedere, per la tutela dei diritti di ordine patrimoniale e civile, come funzionava l'avvocatura dei poveri e come ha funzionato, successivamente, l'istituto del gratuito patrocinio? L'avvocatura dei poveri esaminava il reclamo; e la decisione se convenisse dar seguito giudiziario all'istanza del povero era inappellabilmente rimessa al placito del funzionario che aveva letto più o meno attentamente quel dato fascicolo e che diceva sì o no.

Come funziona l'istituto del gratuito patrocinio? Funziona con garanzie infinitamente superiori: intanto la parte ricorre all'avvocato in cui ha fiducia, e se si imbatte in un avvocato che non sia d'accordo con la sua tesi ne può cercare altri quattro o cinque, finché non trova l'avvocato che sia persuaso della bontà del diritto che si intende far valere. Tutti gli avvocati d'Italia possono essere consultati dal povero, ed il povero può ottenere il concorso di uno, o di molti avvocati, mentre il solo avvocato dei poveri poteva dire: no, non intendo che l'avvocatura dei poveri dia seguito a questo ricorso.

Poi ci sono due gradi: dalla Commissione davanti al tribunale si può adire alla Commissione istituita presso la Corte d'appello.

Le decisioni di rigetto non fanno stato. Se eventualmente la Commissione di primo grado ha detto «no» e la Commissione di appello ha detto «no», il povero può lasciar passare tre mesi, aspettare che la composizione delle Commissioni sia mutata, e riprendere la questione.

Io sono stato scelto fra i membri della Commissione per dire questa cosa che sembra non piacere ai colleghi, proprio perché sono ligure, e noi del Regno sardo abbiamo fatto l'esperienza più a fondo di tutti gli altri e sappiamo come l'avvocatura dei poveri funzionasse contro il povero e ne paralizzasse spesso l'iniziativa, mettendo le cause in mano di un freddo ed indifferente funzionario, che poteva, a suo placito, impedire di fatto l'azione del povero.

Resta la questione molto più grave della tutela penale. Mi permettano l'onorevole La Rocca e l'amico onorevole Persico una semplice osservazione.

Se si trova spesso un avvocato che non sente il suo dovere, un avvocato d'ufficio che stancamente pronuncia le parole «mi rimetto», quando è incaricato della difesa di un povero, credete voi che un qualunque avvocato-funzionario, che abbia questo ufficio, non agirebbe alla stessa maniera? Molti di voi hanno sentito tante volte il pubblico ministero limitare la sua arringa a quest'espressioni: «mi rimetto» oppure «rinunzio alla parola», oppure «domando l'applicazione della pena di legge». E come il pubblico ministero, che è un funzionario, si limita spesso a dire «chiedo la condanna», così farebbe pure l'avvocato dei poveri, il quale sarebbe un funzionario freddo, indifferente, senza il calore di simpatia che viene dalla libera scelta che il cliente ha fatto del suo difensore. Anch'egli direbbe «mi rimetto», oppure «chiedo l'assolutoria», e non più.

Per queste ragioni e per tutte le ragioni dette a suo tempo, quando si creò la legge sul gratuito patrocinio, la Commissione ritiene di non poter aderire all'emendamento La Rocca.

Nobile. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Nobile. Io sono rimasto impressionato da ciò che ha detto specialmente l'onorevole Persico, e non sono rimasto convinto dalle dichiarazioni fatte dall'onorevole Rossi a nome della Commissione.

Quindi io voterò l'articolo aggiuntivo La Rocca; soltanto vorrei proporre che, anziché parlare di «non abbienti», si parlasse di una «avvocatura dei poveri».

Presidente Terracini. L'onorevole Platone ha proposto la seguente formula:

«Lo Stato garantisce la difesa ai non abbienti e se ne assume il carico».

L'onorevole Platone ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Platone. Secondo me anche i rilievi che ha fatto l'onorevole Persico manifestano una lacuna nelle attuali disposizioni di legge. Siamo tutti d'accordo che lo Stato deve provvedere alla difesa dei non abbienti; si tratta di trovare però, il mezzo più efficace.

Oggi abbiamo già teoricamente assicurato questa difesa, però praticamente non funziona.

Bubbio. Non è vero che non funziona! Basta fare il proprio dovere!

Platone. Questa è un'illusione. Potrà farlo l'onorevole Bubbio il suo dovere, potrò farlo anche io, ma non possiamo pretenderlo da tutti. Dobbiamo convenire che non tutti sentono questo dovere.

Che cosa si verifica, in pratica, quando si tratta di difendere un povero? Si verifica appunto che un avvocato può essere occupato in una difesa per più udienze; alle volte può, alle volte non può, ed allora trascura questa difesa.

Io credo che praticamente il problema debba essere risolto in questo modo: anziché istituire una avvocatura, si può semplicemente assicurare e pretendere una valida difesa dei non abbienti attraverso un congruo compenso per ogni seduta della difesa. In questo modo noi avremo molti avvocati che, oltre a sentire il dovere di compiere questa difesa, sentiranno anche lo stimolo di compierlo.

Io credo che con questa proposta si concili quello che tutti quanti stiamo cercando di ottenere. (Applausi all'estrema sinistra).

Bubbio. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Bubbio. Desidero soltanto aggiungere una considerazione che mi pare sia stata in parte dimenticata dai colleghi che mi hanno preceduto. Noi abbiamo in sostanza una legge sul gratuito patrocinio e chi fa anche modestamente l'avvocato sa bene come basti saperla e volerla applicare, per rendersi conto che essa è pienamente sufficiente ed efficiente alla bisogna. Ciò che occorre è che ognuno senta il senso di responsabilità nell'esplicazione del mandato di cui è investito. In materia civile ognuno sa come sia tutelato il diritto dei poveri.

Platone. Ma da chi?

Bubbio. Come da chi? È tutelato dal patrono ufficioso formalmente nominato; solo non bisogna dimenticare che si tratta di un onere cui egli è per legge ed in coscienza tenuto.

In materia penale, poi, c'è un'altra considerazione da fare. Invero qui si è dimenticato che il difensore d'ufficio non viene nominato al momento dell'udienza, ma viene nominato al momento della citazione a giudizio (Rumori a sinistra); e tanto l'imputato quanto il difensore sono quindi in tempo preavvertiti della nomina.

Sta quindi all'avvocato di sentire il proprio dovere, al Consiglio dell'Ordine di richiamarlo, al pubblico ministero di esigere che il mandato sia effettivamente esplicato. (Rumori a sinistra). È una questione di coscienza. Facciamo un voto solenne, perché questo dovere sia sentito e perché gli organi di controllo esplichino la loro funzione; ma non si crei una vera e propria avvocatura dei poveri, che costituirà una nuova costosa burocrazia, la quale offrirà di certo assai minori garanzie di quello che non offra l'attuale ordinamento, solo che sia regolarmente attuato. (Applausi al centro Commenti a sinistra).

Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, la seguente nuova formulazione dell'articolo 100-bis è stata concordata dagli onorevoli La Rocca, Persico, Nobile:

«La Repubblica assicura, mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione e soprattutto in sede penale».

Coppi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Coppi. Dichiaro che io e altri colleghi del mio Gruppo voteremo a favore della prima parte della formulazione La Rocca, per la quale chiediamo, quindi, la votazione per divisione, in quanto non troviamo giustificato che in tale articolo si dica che la difesa del povero deve essere assicurata specialmente in sede penale. La difesa del povero deve essere assicurata egualmente, sia in sede civile che in sede penale. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Sta bene.

La Rocca. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

La Rocca. Aderisco pienamente alle osservazioni del collega. In fondo la difesa del non abbiente era sentita con maggiore necessità in sede penale: ma poiché riconosco la giustezza delle considerazioni fatte, sono di accordo di modificare in questo senso la mia proposta:

«La Repubblica assicura, mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione».

Dominedò. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Dominedò. Dichiaro, anche a nome dei miei amici di Gruppo, che noi voteremo a favore della norma proposta, con una sola riserva per quanto riguarda il suo collocamento. Probabilmente la nuova formula potrebbe essere inserita nell'articolo 19 della Costituzione, laddove si contempla il diritto alla difesa e conviene quindi assicurarne l'effettivo esercizio.

Presidente Terracini. Sta bene; non è questione di immediata importanza.

Carpano Maglioli. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Carpano Maglioli. A nome del mio Gruppo dichiaro di aderire alla proposta dell'onorevole La Rocca, perché, se è vero che la difesa del povero è un dovere ed è un onore per noi avvocati, non è men vero che, come si garantisce ai poveri una retribuzione sia pure modesta, l'assistenza sanitaria ecc., è giusto che una garanzia, sia pure modesta, si dia per quanto riguarda l'assistenza legale. Occorre evitare lo sconcio al quale assistiamo quotidianamente nei tribunali, dove la difesa d'ufficio si riduce ad una pura apparenza esteriore, e dove raramente l'avvocato dà quello che deve dare, anche perché vi sono delle esigenze che lo impediscono. (Approvazioni a sinistra).

Presidente Terracini. Il testo risulta così formulato:

«La Repubblica assicura mediante apposite istituzioni la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione».

Invito la Commissione ad esprimere il suo avviso.

Rossi Paolo. La Commissione può accettare questa nuova formula; anzi, l'accetta volentieri. È contraria all'istituzione dell'avvocatura dei poveri, non certo al principio della difesa assicurata per tutti!

Presidente Terracini. Pongo in votazione il testo testé letto e che la Commissione ha dichiarato di accettare.

(È approvato).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti