[Il 25 gennaio 1947, nella seduta antimeridiana, la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discute sulla responsabilità penale e pene.]

Presidente Ruini. [...] Segue l'articolo 20, del seguente tenore:

«La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole, fino alla condanna definitiva.

«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani.

«Non è ammessa la pena di morte. Possono far eccezione soltanto i Codici militari di guerra».

Gli onorevoli Nobile e Terracini hanno proposto di sostituire gli ultimi due commi con i seguenti:

«Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana. Esse devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società.

«Le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di quindici anni.

«La pena di morte potrà essere ammessa solo nei Codici militari, limitatamente al periodo di guerra; ed eccezionalmente anche per reati comuni, nel caso di omicidi efferati che sollevino la pubblica indignazione».

L'onorevole Lussu ha poi proposto di sopprimere l'ultimo comma che prevede l'abolizione della pena di morte. Crede pertanto che egli intenda riammettere tale pena.

Seguono alcuni emendamenti proposti dall'onorevole Leone Giovanni:

Il primo ha un valore puramente formale; egli propone infatti di sostituire le parole: «e non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani» con le seguenti: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».

Col secondo emendamento propone che la pena di morte sia abolita soltanto per i reati politici.

Col terzo emendamento propone di aggiungere all'articolo il seguente comma: «La detenzione preventiva è ammessa solo per i delitti più gravi e non può ledere la dignità della persona umana».

Si presenta anzitutto la questione delle pene. Si propone cioè di sostituire al divieto delle pene crudeli e disumane, la formula che «le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana. Esse devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società». A questo proposito vi è l'emendamento di forma dell'onorevole Leone: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».

Nobile. È sembrato che parlare di «trattamenti crudeli e disumani» dia quasi il pretesto per usarli e ritiene perciò molto più rispondente ed ampia la formula: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana».

Nell'articolo proposto dal Comitato di redazione si dice che: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Ha creduto di dire in modo più chiaro ed esplicito: «Esse devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società».

Cevolotto intende chiarire perché — a parte le formule che possono essere accettate o meno — in seno alla prima Sottocommissione non si è voluto risolvere la questione della finalità della pena. La pena ha — secondo alcuni — un fine di intimidazione; secondo altri, un fine di prevenzione; secondo altri ancora, deve avere soltanto il fine della rieducazione del colpevole. Si è voluto evitare di accettare nella Costituzione una di queste teorie, trattandosi di materia di Codice penale. Ecco perché si è usata la parola: «tendere»; perché si è voluto dire, in un senso altamente sociale e umano, che una delle finalità della pena in tutti i casi deve essere la rieducazione del condannato.

Bozzi pensa che la formula proposta dagli onorevoli Nobile e Terracini non sia molto felice, perché il fatto stesso della pena è già qualche cosa che intacca questo patrimonio morale che è la dignità umana. Ora il concetto che si deve esprimere, a suo parere, riguarda, quasi direbbe, il trattamento fisico; cioè che la pena deve essere scontata con modalità tali che non siano disumane, crudeli.

Rossi Paolo trova che la prima parte dell'emendamento degli onorevoli Nobile e Terracini: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana» è, nella sua formulazione, molto più elevata dell'altro testo. Dove non è d'accordo, è nel periodo che segue: «Esse debbono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società». È bene che la Costituzione sia ottimista; ma bisogna che non sia ingenua. È noto, infatti, che la rieducazione è uno degli scopi della pena, ma purtroppo né l'unico, né il principale. Lo scopo principale della pena è scientificamente la difesa sociale e tutti sanno che è impossibile parlare seriamente di rieducazione, quando si tratti di condannati a venti o trenta anni. Non vorrebbe quindi che fosse introdotto un concetto così ingenuo e roseo nella Costituzione. Si potrebbe, pertanto dire: «Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana e debbono tendere alla rieducazione del condannato, in quanto possibile».

Moro ritiene che si debba adottare la formula proposta dal Comitato di redazione: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Nella seconda parte pensa che sia bene mettere in rilievo che sono le pene, in quanto eseguite, che non debbono essere in contrasto con la dignità umana. È perciò favorevole all'emendamento dell'onorevole Leone, che sostituisce al vocabolo «ricorrere» l'altro «consistere» e adopera l'espressione più felice: «in trattamenti contrari al senso di umanità».

Targetti prende occasione dalla seconda parte dell'emendamento, relativa alla finalità delle pene, per richiamare l'attenzione dei proponenti sull'opportunità di rinviare le loro proposte all'Assemblea Costituente, per la semplice ragione che le discussioni in sede di Commissione debbono necessariamente essere brevi, per disposizione di regolamento. Ora crede che ciascun Commissario, quale che sia il suo orientamento, debba riconoscere che con la proposta in esame si risolvono con una discussione affrettata questioni annose. Quando i colleghi che hanno proposto l'emendamento hanno accennato, ad esempio, al limite massimo della detenzione che hanno previsto in quindici anni, essi hanno toccato un problema della più grande importanza, che non si può discutere se non inquadrandolo in tutto l'ordinamento penitenziario.

Bulloni è favorevole all'emendamento Nobile-Terracini, in quanto considera anche l'esenzione dalle pene, giacché si richiama il futuro legislatore alla necessità di considerare il trattamento del detenuto che sta espiando una pena. Non solo, infatti, la pena può in se stessa offendere la dignità umana, ma anche, qualche volta, il modo come il detenuto è trattato. È contrario al testo proposto dal Comitato di redazione: «e non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani», perché ciò è entrato ormai nella coscienza universale.

Il Presidente Ruini pensa che nella espressione: «senso di umanità» sia compreso anche il concetto della dignità umana. D'altronde questa ultima espressione è stata già usata in materia di diritti dell'uomo. Ritiene, pertanto, che gli onorevoli Nobile e Terracini possano accedere alla formula: «e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Si potrebbe, se mai, aggiungere: «e di dignità».

Nobile non intende rinunziare all'espressione «lesive della dignità umana», perché ognuno può commettere un errore e incappare nel codice: la dignità umana deve essere tuttavia rispettata.

Tupini è contrario alla formula proposta dagli onorevoli Nobile e Terracini, in quanto ritiene che l'espressione adottata dal Comitato di redazione: «Le pene... non possono ricorrere a trattamenti crudeli e disumani» sia il modo migliore per salvaguardare la dignità umana.

Il Presidente Ruini pone ai voti la formula:

«Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità umana».

(Non è approvata).

Pone ai voti l'emendamento dell'onorevole Leone Giovanni:

«e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».

Tupini voterà contro l'emendamento, perché prospetta una forma molto più generica di quella approvata dalla prima Sottocommissione.

(È approvato).

[Presidente Ruini.] È da esaminarsi ora il secondo comma dell'emendamento Nobile-Terracini: «Le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di quindici anni».

Osserva che si tratta di questione che dovrà essere risolta in sede di Codice penale e prega i proponenti di rinviarla. Tutt'al più potrebbe essere tenuto presente che insieme all'abolizione della pena di morte si stabilisca anche l'abolizione dell'ergastolo, perché sono entrambi sullo stesso piano d'idee.

Fuschini non crede che si possano risolvere, in sede di Commissione, questioni così gravi ed importanti che implicano la necessità di un esame approfondito e ponderato e quindi di una seria preparazione.

Terracini pensa che l'argomentazione dell'onorevole Fuschini non possa accettarsi: altrimenti in sede di Assemblea Costituente non sarà possibile presentare alcun emendamento, mentre è evidente che ogni membro può proporre emendamenti, anche sulle materie che hanno formato oggetto di accurato esame da parte delle Sottocommissioni. Si è rimasti d'intesa, e l'Assemblea Costituente lo ha detto chiaramente, che la Commissione dei settantacinque doveva proporre un progetto di Costituzione. Ciò significa che durante lo sviluppo dei lavori i membri della Costituente possono fare proposte di modifica anche su materie scartate dalle Commissioni o non prese in considerazione.

Non ha nulla in contrario a che si rinvii questa discussione, se ventiquattro o quarantotto ore possono servire ad una migliore preparazione; ed è pronto a veder respinto l'emendamento; ma non crede che esso sia stato proposto in sede incompetente.

Non è esatto che si tratti di una questione riguardante esclusivamente il Codice penale, perché altrimenti anche l'abolizione della pena di morte dovrebbe essere riservata al Codice penale. Vi sono problemi i quali, pur dando origine a disposizioni del Codice penale, sono da inserire nella Costituzione. Così è stato fatto per la questione dei figli illegittimi, che è stata considerata innanzi tutto per la sua portata di carattere generale.

Il problema particolare che ha affrontato insieme con l'onorevole Nobile, proponendo la sostituzione degli ultimi due commi dell'articolo 20, sta soprattutto nel capoverso, in cui si afferma «che le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di quindici anni».

È un'affermazione che può parere di carattere nuovo, per lo meno in un consesso legislativo italiano, ma rientra in un ordine di problemi già affrontati da altri Paesi e verso la cui soluzione crede che si orienterà il progresso sociale nel mondo.

La proposta, d'altra parte, si ricollega alle affermazioni or ora approvate. Visto che si è parlato di una tendenzialità educativa delle pene, intende affermare che se le pene detentive superano un certo limite, non soltanto cessa la possibilità che esse abbiano una capacità educativa, ma, al contrario, sono fonte di un processo di abbrutimento progressivo. Bisogna dire schiettamente che le pene sono una ritorsione della società di fronte al delitto e togliere quel velame moralistico di cui si vorrebbero coprire. Si dica pure che sono forme di difese sociali, che giungono fino alla soppressione e all'uccisione dell'individuo. Ma se si vuol dare un contenuto umano alle pene, occorre che esse abbiano anche questo elemento fondamentale. Basterebbe visitare una casa penale per constatare che le persone rinchiuse, dopo vent'anni, sono completamente abbrutite. Prolungata per tanto tempo, la pena detentiva porta a questo processo di deformazione.

Si tratta, dunque, di evitare questo gravissimo inconveniente e di essere coerenti con la prima affermazione. Ha proposto che le pene non superino 15 anni, ma questo termine può essere modificato, purché sì affermi il principio che le pene debbano avere un limite commisurato alla durata della vita umana e allo scopo per cui sono inflitte.

Se si crede di non doverne parlare nella Costituzione, sarà bene tener presente che non se ne parlerà nemmeno in alcun'altra sede. Si stabilisca allora soltanto il diritto della difesa sociale contro la violazione delle leggi.

Grassi nota che le parole eloquenti e sincere dell'onorevole Terracini mostrano l'importanza e la gravità dell'argomento. Ritiene che in sede di Costituzione non si possa entrare nei particolari del sistema di pene, perché altrimenti bisognerebbe modificare tutti i Codici, e in questa materia non sono possibili improvvisazioni.

Vorrebbe, pertanto, pregare l'onorevole Terracini, pur rendendo omaggio alle sue abili argomentazioni, di tener presente che in questo momento si è in tema di affermazione delle libertà, di cui sono stati stabiliti i principî fondamentali. Il legislatore di domani dovrà affrontare i problemi concreti. Quindi sarà bene rinviare l'argomento alla legislazione penale, tenendo conto delle osservazioni fatte.

Fuschini intende chiarire all'onorevole Terracini che il tema da lui proposto merita la massima considerazione da parte del legislatore; ma siccome i componenti della Commissione dei settantacinque non hanno avuto la possibilità di esaminare preventivamente le proposte della prima Sottocommissione, a cui e stato affidato il primo studio sui problemi dei diritti e delle libertà, ritiene opportuno che la Sottocommissione medesima esprima anche su questo argomento il suo parere.

Si rende conto della nobiltà dei sentimenti che animano la proposta dell'onorevole Terracini, proposta che apprezza ed ammira. Pensa peraltro che una decisione sia presa sulla scorta di un nuovo parere della prima Sottocommissione che ha discusso tutto il problema.

Cevolotto ricorda che la prima Sottocommissione ha preso in esame, sotto certi aspetti, anche questo problema, perché ha discussa la questione dell'ergastolo ed ha ritenuto che il problema non sia materia di Costituzione. Il problema è di una gravità enorme e molte delle considerazioni dell'onorevole Terracini hanno un valore essenziale; ma osserva che, limitando le pene detentive ad un massimo di 15 anni, non vi sarebbe più relazione con gli articoli che regolano l'amnistia e l'indulto. È evidente che, con un paio di indulti, i 15 anni si ridurrebbero a due o tre soltanto.

Si è dunque di fronte ad un problema che implica tutto il sistema delle pene, e che è per conseguenza problema di legislazione penale. Non ritiene che sia il caso di discuterlo in sede di Costituzione, anche perché sarebbe una questione che dovrebbe essere dibattuta a lungo, e per la quale ritiene che nemmeno l'Assemblea Costituente sia la sede più adatta, perché è una questione che ha troppi lati tecnici.

Ad ogni modo questo non è in contraddizione col fatto che si sia riaffermato il principio dell'abolizione della pena di morte. L'abolizione della pena di morte è una delle conquiste della civiltà italiana, ed è stato un male che ad un certo momento ciò si sia dimenticato. Si è voluto riaffermare la necessità della pena di morte di fronte all'efferatezza di certi delitti; ma il legislatore italiano considera con serenità anche i fatti contingenti, riaffermando il principio che non si ha il diritto di disporre della vita degli altri.

Nobile rileva che il principio contenuto nell'emendamento proposto è talmente rivoluzionario che, come ha messo in rilievo l'onorevole Terracini, deve dare tutto un indirizzo nuovo alla legislazione e non può non formare oggetto della Costituzione. Tuttavia non si tratta di un salto nel buio. Vi è un grande esempio in questo campo, ed è proprio quello della Russia. Il Codice penale russo, se non è stato modificato in quest'ultimo tempo, non comporta una pena superiore ai 10 anni. Questa è la massima pena che si può infliggere per un delitto comune. La pena di morte era prevista soltanto per i delitti di tradimento verso lo Stato. Orbene, i risultati che si sono avuti in Russia sono veramente sorprendenti e tali da costituire un esempio degno di considerazione.

Moro non può non essere sensibile ai motivi altamente umani che hanno ispirato la proposta degli onorevoli Terracini e Nobile, ma d'altra parte crede che questo sia un problema sociale ed umano. Occorre considerare la situazione del Paese. Non si risolve in sede di legislazione penale un problema umano di questa portata. Non si tratta di definire una pena entro certi limiti, ma di creare una tale struttura sociale, un tale costume, per cui il sistema degli illeciti e delle pene venga ad essere configurato in una luce nuova, nell'ambito di una società diversa da quella attuale. La legislazione dovrà registrare e, come noi si spera, anche promuovere, entro certi limiti, una diversa situazione sociale del Paese e prendere tutte le misure adeguate.

Diceva l'onorevole Terracini che se si pone la possibilità di una pena estremamente lunga nel tempo, si dà in sostanza alla pena il valore di una pura difesa sociale, e nell'ambito della difesa sociale, ogni cosa è possibile, anche la soppressione della persona colpevole. Non crede che ciò sia del tutto esatto. Certamente le finalità della difesa sociale entrano nella considerazione del legislatore penale. Pur essendo sostenitore delle finalità emendative della pena, ritiene che la rieducazione del reo si compia attraverso la detenzione, in quanto attraverso la pena si realizza un emendamento della personalità umana. Ora, determinare fino a che punto la pena debba punire allo scopo di emendare è compito di dosaggio talmente delicato e legato ad un tale complesso di elementi, che si può dare soltanto una indicazione di massima, lasciando al legislatore di valutare il problema.

Mastrojanni in sede di prima Sottocommissione fece delle raccomandazioni anche per quanto tratta l'abrogazione della parte generale del Codice penale vigente, specie riguardo all'imputabilità, alla recidiva, ecc. Condivide appieno quanto ha affermato l'onorevole Terracini, cioè che in sede costituzionale si debba fissare il limite massimo della pena afflittiva, perché avendo discusso delle libertà individuali, non vi è, a suo parere, sede più adatta per potere fissare il limite massimo entro il quale la libertà privata può essere tolta.

Nega poi che si tratti di un istituto che debba essere considerato dai tecnici esclusivamente, perché il legislatore, allorché si tratta di irrogare le pene più gravi, ha voluto che insieme ai tecnici sedessero i giurati, segno evidente che non solo i tecnici, ma anche i cittadini debbono poter intervenire con la loro sensibilità per mitigare i rigori della pena. Ora le preoccupazioni che sono state affacciate in relazione all'eventualità dell'amnistia o dell'indulto, che possono ridurre al minimo la pena afflittiva da scontarsi, non hanno consistenza, perché l'indulto e l'amnistia saranno dati in limiti esigui e sempre condizionati alla pena massima.

Che i limiti attualmente fissati dal Codice siano aberranti e crudeli, è un fatto. La personalità umana, quando è a contatto con tristi ambienti, si corrode, si disgrega, specie se la sensibilità è accentuata. Solamente coloro che sono corazzati resistono alla corrosione di quell'ambiente. Qualora si dovesse rimandare lo studio e lo svolgimento di questo problema importantissimo ai tecnici, non si caverebbe un ragno dal buco, perché i tecnici, legati alle dottrine, sono nell'impossibilità di adeguare il sistema delle pene a quelle che sono le esigenze spirituali dell'umanità, ma devono necessariamente attenersi, per non tradire il loro insegnamento e i loro orientamenti, a determinate esigenze.

Conclude dichiarando di essere favorevole all'emendamento Nobile-Terracini.

Il Presidente Ruini avverte che vi è una proposta dell'onorevole Grassi, di rinviare l'argomento al sistema delle leggi penali, in quanto ritiene che non rientri nella materia costituzionale.

Nobile, per le considerazioni esposte dall'onorevole Mastrojanni, ritiene che si tratti di materia costituzionale.

Dominedò, in linea di principio, pur ritenendo che la materia della irrogazione della pena nei suoi sistemi e nei suoi dettagli appartenga alla sede legislativa, deve dire per schiettezza che, a suo parere, un aspetto potrebbe essere considerato in sede costituzionale, cioè quello della eventuale determinazione di un limite onde si possa rivedere in sede costituzionale il problema dell'ergastolo.

Lussu, coerentemente alla proposta di abolizione della pena di morte, voterà a favore del rinvio al legislatore penale.

Tupini, votando a favore della proposta Grassi, intende approvare la formula proposta dalla prima Sottocommissione ed accolta nella successiva formula del Comitato di redazione, in quanto, essendosi sufficientemente discusso in seno alla prima Sottocommissione il problema ed essendosi persino proposta dall'onorevole Togliatti l'abolizione dell'ergastolo, si ritenne che non fosse materia da definire in sede costituzionale e che fosse sufficiente stabilire il concetto generale che le pene tendono alla rieducazione del reo ed escludono trattamenti inumani e crudeli.

Il Presidente Ruini pone ai voti la proposta Grassi.

(È approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti