[Il 17 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Cevolotto. [...] Ma quello che veramente mi preoccupa, o deve preoccupare tutti, è il capoverso dell'articolo 23, in relazione specialmente con l'articolo 25:

Il capoverso dice: «La Repubblica assicura alla famiglia le condizioni economiche necessarie alla sua formazione, alla sua difesa ed al suo sviluppo, con speciale riguardo alle famiglie numerose».

L'articolo 25 aggiunge: «È dovere e diritto dei genitori alimentare, istruire, educare la prole. Nei casi di provata incapacità morale o economica la Repubblica cura che siano adempiuti tali compiti».

Cura che siano adempiuti tali compiti? Come cura? Se i genitori non possono adempierli evidentemente li dovrà adempiere la Repubblica. E allora, anche a prescindere dalla lettera e dal tono del testo, il primo capoverso dell'articolo 23 richiama involontariamente quella che fu la politica demografica del fascismo, che fu del regime uno dei più grossi errori, di cui portiamo anche adesso le conseguenze. Perché non è affatto vero che «il numero è potenza», e se fossimo un po' meno in questa povera Italia a disputarci il pane che non c'è, senza dubbio staremmo tutti meglio e avremmo avuto o potremmo ricostituire un'organizzazione più salda, più efficace e più potente.

Ma l'intenzione di chi ha redatto gli articoli non è stata probabilmente quella di tornare alla politica demografica, a quell'obbligo di fare figlioli per costringere al quale il fascismo avrebbe voluto collocare i carabinieri ai lati del talamo... per impedire le reticenze. L'intenzione non è stata questa: è stata un'altra, quella del remedium concupiscentiae, per cui è bene che i giovani appena possono si sposino, perché la natura esige certi sfoghi che la morale vuole siano legittimi.

Ma in questo modo si va incontro ad un pericolo. E il pericolo è questo, che quando un giovanotto non ha proprio voglia di lavorare, non ha voglia di far niente — e una volta lo si destinava in tal caso alla carriera militare — venga la voglia di consigliarlo di prendere moglie e metter su famiglia: la Repubblica penserà poi a mantenere i figlioli, e ci potrà scappare anche il modo di vivere e di sistemarsi per lui.

L'intenzione non sarà stata neanche questa in chi da redatto gli articoli. Ma, badate bene, voi finite per dire ai giovani: sposatevi, mettete al mondo figlioli, e poi ci penseremo noi. È un po' troppo, perché, fra l'altro, siamo noi in grado di provvedere, o facciamo delle promesse a vuoto?

Ecco la mia perplessità. Pur riconoscendo che vi è nella formulazione proposta un contenuto morale di cui non si può non tener conto, mi domando se da un lato, i principî che si affermano siano opportuni e utili, e se dall'altro non si mettano a carico di questa povera Repubblica impegni superiori a quelli che potrà mantenere.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti