[Il 20 settembre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle garanzie economico-sociali del diritto all'affermazione della personalità del cittadino, e nello specifico il seguente articolo proposto dal relatore Giua:

«Qualora la famiglia si trovi nella impossibilità di dare un'educazione civile ai figli, è compito dello Stato di provvedere a tale educazione con istituzioni proprie.

«Tale educazione si deve compiere nel rispetto della libertà del cittadino».

Vengono qui riportate solo le parti relative alle scuole e istituti di educazione privati, mentre si rimanda al commento all'articolo 30 per il testo completo della discussione.]

Togni ritiene che il termine «civile» implichi una limitazione del concetto della educazione. A suo parere è necessaria l'affermazione del principio che lo Stato deve garantire, provvedere o intervenire, nel campo dell'educazione, ma non necessariamente e direttamente, come sembra sia previsto nella formula dell'articolo proposta dall'onorevole Giua. È noto che esistono convitti tenuti da sacerdoti o da civili, che provvedono alla educazione dei giovani e che lo Stato dovrebbe sovvenzionare, senza tuttavia intervenire direttamente nell'educazione.

Giua, Relatore, non può convenire con le affermazioni fatte dall'onorevole Togni. Pur non condividendo le tesi estremiste che vorrebbero investire lo Stato interamente dell'importante compito dell'educazione, non può accedere all'idea di un assoluto agnosticismo in materia da parte dello Stato.

Il Presidente Ghidini fa notare che, con la formulazione dell'articolo proposto dall'onorevole Giua, non vengono precluse le possibilità di educazione da parte di istituti privati. Se lo Stato è investito dell'obbligo di provvedere in certi casi all'educazione, non per questo restano escluse le istituzioni private.

[...]

Il Presidente Ghidini insiste per l'adozione della formula integrale proposta dall'onorevole Giua, che ritiene la più rispondente al tema dell'educazione. Il termine «civile», a suo parere, significa che l'educazione deve essere ispirata ai sensi di civismo e non è affatto in opposizione con il concetto della religione. Dichiara che voterà pertanto la formula proposta dall'onorevole Giua, in quanto è l'unica che elimina qualunque sottinteso politico, confessionale o settario.

Anche il termine «istituzioni proprie» gli sembra ben apposto, perché è evidente che quando lo Stato deve intervenire non può farlo che direttamente e con mezzi propri. L'opera educativa compiuta da istituti privati può essere integrativa di quella dello Stato.

Togni ritiene che la migliore educazione sia quella integrata dall'insegnamento religioso, che non si limita ad una formula esteriore civile, ma mette radici nel sentimento religioso del fanciullo. Se potesse formulare un articolo in tale materia, direbbe che lo Stato deve appoggiarsi alle organizzazioni religiose; ma poiché tale concetto non può essere condiviso da altri, ritiene che non sia il caso di precisare né il concetto dell'intervento diretto dello Stato, né quello del predominio religioso. Che lo Stato provveda direttamente o indirettamente è una questione che sarà decisa caso per caso, a seconda della situazione particolare o speciale dei tempi; ma, poiché il termine «educazione civile» può far pensare che sia esclusa la parte educativa religiosa, ritiene che nell'articolo si dovrebbe parlare di educazione in generale. Sarà poi compito degli organi dello Stato vedere quale educazione convenga adottare tenendo conto della famiglia, della religione, della razza, ecc. Non vi è la necessità di stabilire fin da ora il principio che lo Stato debba provvedere direttamente all'educazione, soprattutto in quanto lo Stato è stato sempre il peggior educatore.

Molè afferma che lo Stato può essere cattivo educatore, quando voglia imprimere una determinata ideologia politica nel campo dell'educazione, ma non può essere considerato tale, quando si adegui a principî di libertà.

Togni rileva che lo Stato è sempre l'espressione di un partito, e cercherà quindi di imprimere alla vita della Nazione un determinato indirizzo politico.

Il Presidente Ghidini ritiene che dicendo «qualora la famiglia si trovi nell'impossibilità di dare un'educazione civile ai figli» non si menomi la libertà della famiglia di educare i figli, anche inviandoli presso istituti privati, né si crei un monopolio dello Stato nel campo della educazione; si intende affermare l'obbligo dello Stato di provvedere all'educazione, quando la famiglia non possa assolvere a tale compito né con mezzi propri, né con l'aiuto di istituti privati. Richiama l'attenzione sul fatto che il problema generale dell'educazione è competenza della prima Sottocommissione, mentre la terza deve studiare le garanzie economico-sociali, che hanno attinenza con tale problema.

Togni ritiene che la formula proposta dall'onorevole Colitto sia la più precisa e la meglio rispondente per una Carta costituzionale, in quanto afferma il principio dell'obbligo dello Stato nel campo dell'educazione, togliendo la limitazione derivante dal termine «civile».

Il Presidente Ghidini ritiene che l'intervento dello Stato non debba essere ispirato ad una educazione di colore politico, ma ad un senso di civismo, all'infuori di qualsiasi ideologia di partito. Insiste perciò per il mantenimento della parola «civile».

Colitto chiede al Relatore di voler più chiaramente specificare il significato che ha voluto dare alla parola «civile».

Giua, Relatore, dichiara che per «educazione civile» ha inteso educazione non confessionale o ispirata ad ideologie politiche, quale sarebbe, ad esempio, quella statolatria che afferma la preminenza dello Stato sui cittadini; ed ha voluto sottolineare l'obbligo del rispetto della libertà anche in questo settore. Riferendosi a quanto ha detto l'onorevole Togni, in merito all'educazione religiosa, dichiara di non essere contrario ad essa purché sia considerata dal punto di vista etico-cristiano; ma dal punto di vista della superfetazione della religione come insegnamento catechistico, non può ammetterla. Quindi, come è necessario che lo Stato moderno crei una pedagogia indirizzata a tutto il complesso della vita civile, cioè al rispetto della libertà e delle opinioni politiche, così pure si deve ammettere l'esistenza di una vita civile che sia al disopra delle situazioni politiche di destra o di sinistra. Lo Stato deve dare un'educazione fondamentale, ma lasciar libere le famiglie che vogliono educare religiosamente i loro figliuoli inviandoli ad istituti religiosi.

Molè rileva che vi sono due casi di impossibilità della famiglia ad educare i figli: quando il genitore o i genitori siano condannati ad una pena detentiva, o quando vi sia l'estrema indigenza. In questi casi lo Stato deve direttamente intervenire. Però, se la famiglia è nell'impossibilità economica, ma ha ancora la sua entità morale, può chiedere che i bambini siano affidati ad un istituto religioso; nell'altro caso lo Stato provvederà ad un'educazione che risponda alle comuni esigenze di tutti gli uomini civili, siano essi ebrei o cattolici o protestanti. Ricorda che nella scuola italiana si insegna la religione, il che esclude il pericolo di un'educazione atea da parte dello Stato. Pertanto non condivide il parere dell'onorevole Togni che l'educazione da parte dello Stato costituisca un pericolo e ritiene che la formula proposta dall'onorevole Colitto non differisca molto da quella del Relatore.

Togni non crede che la formula proposta dall'onorevole Colitto sia equivalente a quella dell'onorevole Giua, in quanto il relatore afferma che è compito dello Stato di provvedere all'educazione con istituzioni proprie. Lo Stato, a suo parere, ha a suo carico l'onere finanziario dell'educazione; ma questa educazione dovrà essere data secondo i desideri della famiglia. Non si può obbligare lo Stato ad intervenire nell'educazione dei fanciulli, assumendo la figura del tutore, ma limitare il suo intervento a sussidi da erogare ad istituti privati.

Molè ritiene che con l'adozione della proposta dell'onorevole Togni vi sarebbe il pericolo che lo Stato fosse costretto a sovvenzionare istituti aventi determinati colori politici.

Il problema educativo è troppo importante perché lo Stato se ne disinteressi; come si deve evitare l'estremismo dello Stato totalitario, si deve anche evitare quello dello Stato completamente agnostico. Lo Stato deve fornire il paradigma dell'educazione e, quando questa non sia possibile, provvedervi direttamente.

[...]

Il Presidente Ghidini dichiara che se si riconoscessero gli istituti privati come integrativi dell'intervento dello Stato, questo li deve sussidiare; ma se si ritiene che lo Stato possa fare a meno di questi istituti privati, dovrebbe provvedere con istituti propri indipendentemente da qualunque ideologia politica, religiosa ecc. Per questo motivo ritiene ben formulata la dizione dell'onorevole Giua: «è compito dello Stato di provvedere all'educazione con istituzioni proprie». Non ritiene che si tratti di un monopolio arrogato dallo Stato nel campo dell'educazione, ma che anzi la proposta ammetta l'esistenza di istituzioni private.

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A cura di Fabrizio Calzaretti