[Il 22 ottobre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali). — Presidenza del Deputato Corsanego.]

Marchesi, Relatore, propone che, dopo il primo enunciato: «L'arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti», si dica: «Nella scuola è garantita la libertà agli insegnanti e agli alunni perché tutte le forze del pensiero abbiano valore». Nel caso che questa aggiunta sia approvata, domanda all'onorevole Moro se è possibile sostituire al primo articolo proposto di comune accordo dai due Relatori la seconda parte dell'articolo formulato dall'onorevole Moro: «Ogni cittadino ha diritto a ricevere un'adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e l'adempimento dei compiti sociali». Questi tre capoversi verrebbero a costituire tre parti di un articolo, che risulterebbe così formulato:

«L'arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti.

«Nella scuola la libertà è garantita agli insegnanti e agli alunni perché tutte le forze del pensiero abbiano valore.

«Ogni cittadino ha diritto a ricevere una adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e per l'adempimento dei compiti sociali».

Moro, Relatore, dichiara che accetterebbe un articolo composto di due parti: una relativa all'indicazione che la scienza e l'arte sono libere e liberi sono i loro insegnamenti, abolendo il secondo comma proposto dall'onorevole Marchesi che gli sembra pleonastico; e l'altra che contempli il diritto del cittadino di ricevere un'adeguata istruzione ed educazione per la formazione della sua personalità e l'assolvimento dei compiti sociali. Propone poi che questo articolo sia seguito da un secondo in cui da un lato si dichiari che l'istruzione primaria, media, universitaria è tra le precipue funzioni dello Stato (formula Marchesi) e dall'altro che lo Stato soddisfa allo sviluppo della cultura sia organizzando le scuole, sia assicurando le condizioni giuridiche per la libertà e l'efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli, cioè di quelle iniziative compiute al di fuori dello Stato (formula Moro).

Marchesi, Relatore, non accetta la proposta dell'onorevole Moro, perché non vorrebbe che il riconoscimento della funzione che lo Stato deve assolvere nei riguardi della scuola possa essere menomata dall'altra affermazione che lo Stato sia non l'ordinatore supremo, costante e indispensabile, ma soltanto un partecipe della cultura e dell'istruzione del popolo.

Ritiene che tutte le questioni che si riferiscano alla scuola privata possano trattarsi in un articolo a parte e precisamente in quell'articolo terzo, da lui formulato separatamente, dove si afferma che la scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento e che l'organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa nei limiti della legge.

Prega pertanto l'onorevole Moro di voler consentire a che l'argomento della scuola privata sia staccato dall'altro riguardante il diritto ed il dovere dello Stato di ordinare, di regolare, di dirigere la pubblica istruzione, compito che soltanto lo Stato può assumere in pieno, perché esso è l'unico organismo che ha tutti i poteri e tutti i mezzi.

Chiede all'onorevole Moro se consente nella distinzione tra quella che è la funzione scolastica dello Stato e quella che invece è la sua posizione nei riguardi degli istituti privati di educazione.

Moro, Relatore, precisa che l'espressione, ricorsa qualche volta, dello Stato compartecipe nella funzione dell'educazione, non corrisponde completamente al suo pensiero e a quello dei suoi colleghi di parte democristiana, in quanto proprio nell'atto in cui si dice che lo Stato soddisfa all'interesse della cultura, sia organizzando scuole proprie, sia assicurando condizioni di libertà e di efficienza alle iniziative di istruzione e di educazione di enti e singoli, si vuole, da parte dei democristiani, attribuire allo Stato, in ordine alla attività culturale e di istruzione, un compito fondamentale. Tanto è vero che si richiede allo Stato non solo di organizzare le proprie scuole, ma di garantire condizioni di libertà e di efficienza anche per le iniziative di istruzione degli enti e dei singoli; quindi in qualche modo si affida allo Stato un potere di vigilanza e di controllo per ciò che riguarda le condizioni di libertà e di efficienza per tutte le iniziative che si svolgono al di fuori dello Stato amministratore, ma nell'ambito dello Stato legislatore. Si vuole insomma scindere sempre la figura dello Stato in due aspetti; da un lato lo Stato è diretto gerente di interessi collettivi, e ciò rientra nella sua sfera amministrativa; dall'altra è il supremo garante delle condizioni di libertà nelle quali si svolgono le attività di tutti i cittadini, e ciò rientra nella sua sfera legislativa.

Insiste nel dichiarare che la Democrazia cristiana non saprebbe rinunciare alla contemporanea considerazione dell'iniziativa diretta dell'istruzione e della educazione da parte dello Stato e di tutte le altre iniziative che vengono poi a far capo allo Stato stesso, nel senso che siano assicurate a queste iniziative, al di fuori dello Stato, condizioni di libertà di efficienza. Qualora si volessero scindere queste due considerazioni, cioè se si volessero introdurre due diversi articoli, l'uno per fissare la funzione dello Stato in ordine all'istruzione e l'altro per stabilire la possibilità della iniziativa privata, si creerebbero equivoci in quanto si potrebbe ritenere che si tratti di due campi assolutamente distinti, mentre invece egli ed i colleghi di parte democristiana vogliono affermare che le iniziative della istruzione e dell'educazione privata confluiscono in qualche modo con quelle che fanno capo allo Stato e che lo Stato controlla, vigila, garantisce.

In conclusione, domanda all'onorevole Marchesi se ritiene essenziale di considerare in due distinti articoli quello che invece si potrebbe considerare in due capoversi dello stesso articolo.

Dossetti chiede all'onorevole Marchesi se, indipendentemente dalla successione delle affermazioni e dalla loro collocazione eventuale, è disposto ad accettare il capoverso o l'articolo quale risulta nella proposta dell'onorevole Moro. Domanda cioè se, fermo restando il principio dell'attività ordinaria dello Stato per quanto riguarda l'istruzione e l'educazione, che è una sua funzione fondamentale, consente l'onorevole Marchesi che al capoverso dell'articolo secondo dallo stesso proposto, in cui si dice che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e tutta l'organizzazione scolastica ed educativa è sotto la sua vigilanza, venga riconosciuta l'attività indiretta che lo Stato esercita nei confronti delle iniziative di scuole non da esso promosse, ma considerate in questo piano unitario della sua attività ordinativa.

Aggiunge che, se non venisse accolta la richiesta formulata, i Commissari appartenenti alla Democrazia cristiana sarebbero costretti assolutamente a irrigidirsi su quella ultima frase che riguarda la fase esecutiva del principio affermato, in quanto dall'accettazione o meno dell'articolo proposto dall'onorevole Moro, essi misurano la sincerità e la lealtà del riconoscimento della libertà della scuola in concreto.

Marchesi, Relatore, dichiara che egli ha voluto affermare in maniera assoluta e completa che la libertà della scuola privata sia garantita in quell'articolo, accettato dall'onorevole Moro, in cui si dichiarava che la scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento.

Non può accettare però l'affermazione in sede costituzionale che lo Stato provveda all'istruzione ed all'educazione del popolo attraverso scuole proprie e scuole non proprie. Lo Stato può riconoscere l'utilità della scuola privata, ma non può riconoscerne la necessità, perché ciò facendo verrebbe a riconoscere la propria insufficienza a provvedere ai bisogni dell'educazione nazionale.

Non vede quale difficoltà ci possa essere a trovare un accordo su questo punto. Egli ed i colleghi di parte comunista sono disposti a riconoscere la piena libertà della scuola privata e l'utilità della concorrenza dell'istituzione privata, e sarebbero disposti non solo a riconoscere, ma a sussidiare anche le scuole religiose, quando esse esercitino l'insegnamento in luoghi dove manchino pubblici istituti di istruzione. Quello che importa è che la cultura sia diffusa tra il popolo, qualunque sia l'insegna sotto la quale essa viene impartita; ma è anche necessario affermare in un articolo isolato la precipua funzione educativa dello Stato. Ad affermare isolatamente in una posizione privilegiata, questa funzione scolastica dello Stato, egli è indotto da due correnti che gli sembrano minacciose in quanto tendono alla smobilitazione della scuola pubblica o ad ogni modo alla sua attenuazione; la corrente autonomistica e quella cattolica, la quale ultima è diretta a fare della scuola privata confessionale la scuola di fiducia delle famiglie italiane.

Per quanto riguarda la corrente autonomistica, osserva che vi sono taluni che intendono sottrarre allo Stato la funzione scolastica per affidare ai comuni e alle regioni l'istruzione primaria e anche quella secondaria. Ora si può e si deve consentire che la regione possa provvedere direttamente ai propri bisogni nel campo amministrativo con quella spedita competenza che un'amministrazione centrale non avrà mai; ma quando si voglia entrare nel campo della scuola, che è un fatto eminentemente morale, nazionale, e perciò politico, lo Stato non può rinunciare a questo che è l'unico strumento e l'unica garanzia dell'unità nazionale. Soltanto allo Stato, per la molteplicità dei suoi poteri e per la pluralità dei suoi mezzi, spetta il compito di ordinare, di controllare l'istituzione e di conferire titoli legali allo studio.

Osserva che nella relazione dell'onorevole Moro si manifesta la tendenza a metter la famiglia in una posizione preminente per quanto riguarda l'istruzione. Gli sembra che questa consacrazione della famiglia tenda a considerare il nucleo domestico familiare come un organismo che viva una specie di mondo sublunare, in un'atmosfera di immobile serenità, non esposto alla molteplicità degli urti che in realtà lo turbano, sino a farne talvolta un centro di disordine economico e morale in cui purtroppo il fanciullo è la vittima principale. D'altra parte gli sembra che questo dissidio tra famiglia e Stato non possa e non debba esistere. Lo Stato è la grande famiglia che deve integrare le forze, a volta difettose, dell'istituto familiare. Questa antitesi che si vuol porre tra famiglia e Stato è assolutamente inopportuna, sia nei riguardi politici, sia nei riguardi morali e sociali.

Per queste ragioni desidera che la suprema funzione dello Stato sia affermata isolatamente, riservandosi poi di dare la piena adesione all'altra formula che riconosce il diritto e l'utilità della scuola privata.

Dossetti dichiara di non aver parlato di famiglia, ma solamente di aver chiesto all'onorevole Marchesi se egli è disposto ad accettare che il testo proposto, cioè la formula in cui si dice che lo Stato soddisfa all'interesse dello sviluppo della cultura, ecc., debba seguire immediatamente l'affermazione più ampia che i Commissari di parte democristiana sono disposti ad accettare, riguardante il principio dell'attività ordinativa dello Stato per quanto concerne l'istruzione e l'educazione.

Dichiara che con questo non si vuole rivendicare per la scuola non statale una posizione di privilegio, ma invece escludere una posizione di privilegio e anzi di monopolio esclusivo per la scuola statale.

All'onorevole Marchesi che ha parlato di fiducia e di sfiducia verso lo Stato, risponde che la fiducia lo Stato non se la deve meritare precostituendo una posizione di privilegio per la sua scuola, ma organizzando la scuola in condizioni di libera concorrenza con la scuola privata, e facendo sì che la sua scuola sia migliore di quella privata.

De Vita dichiara che la formulazione del relatore onorevole Marchesi è felicissima, in modo particolare per quanto riguarda il primo comma: «L'arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti».

Ritiene questa formula come la migliore e propone, pertanto, di limitare l'articolo soltanto a questa parte.

Per quanto riguarda, invece, la funzione scolastica dello Stato e la distinzione degli istituti privati di istruzione, afferma di essere contrario allo Stato-scuola ed allo Stato-educatore. Lo Stato deve limitarsi ad apprestare i mezzi materiali perché l'insegnamento possa liberamente svolgersi e svilupparsi.

Lucifero ricorda di essersi già espresso nella seduta precedente sull'affermazione generica proposta dall'onorevole Marchesi circa la libertà dell'arte e della scienza e dei relativi insegnamenti. È d'accordo per quanto riguarda i rapporti fra scuola privata e scuola di Stato. Ritiene accettabile la formula dell'onorevole Moro, alla quale propone che vengano tolti i due: «sia», prima delle parole: «organizzando» e «assicurando».

Quando si è affermata la piena libertà dell'insegnamento delle arti, delle scienze e di tutte le materie di cultura, effettivamente il fatto della sfiducia non può sorgere in un quadro nazionale generale. Non si può aver sfiducia, in senso generale, contro l'organizzazione culturale dello Stato e delle organizzazioni private; il problema esiste solo per i casi locali. Ad un certo momento il problema che si pone alla mente del padre di famiglia non è quello di mandare il figlio alla scuola pubblica o alla scuola privata, ma di mandare il figlio da quel professore o da quell'altro. Questa scelta fa parte delle sue responsabilità di padre e della libertà di cui egli deve godere.

Conclude domandando all'onorevole Moro se è disposto ad accettare la leggera modificazione da lui proposta, fermo restando il concetto che tutti i titoli di abilitazione, diploma e licenza debbano effettivamente essere rilasciati dallo Stato.

Mastrojanni dichiara di ritenere che non possa essere ripudiato quanto l'onorevole Marchesi ha sapientemente chiarito. Egli non ha affatto preclusa la possibilità alla privata iniziativa di instaurare e di far prosperare le scuole private che, anzi, egli ha detto, possono completare quello che lo Stato non è nella possibilità di fare.

Ciò premesso, dichiara di non comprendere la richiesta dei commissari democristiani affinché siano distinte due situazioni che non sono antitetiche, ma integrative; né comprende le preoccupazioni dell'onorevole Lucifero, il quale ha prospettato un fatto che non sposta i termini della questione, sia che si accetti la formula dell'onorevole Marchesi, sia che si accetti la formula dell'onorevole Moro.

Il problema dell'istruzione è un problema vitale per la Nazione.

Lo Stato rappresenta l'unità nazionale, ed è responsabile dell'istruzione dei suoi sudditi ed amministrati. Questa responsabilità statale è stata perfino esasperata in tutti i problemi che dal punto di vista politico e sociale fin qui sono stati trattati. Ritiene che in questa sede ed in questa materia non si possa disconoscere quanto già è stato attribuito allo Stato in fatto di responsabilità funzionale, etica, giurisdizionale, ordinaria ed imperativa, secondo le analitiche distinzioni fatte dall'onorevole Moro.

Insiste, pertanto, perché sia ben precisato che questa responsabilità deve rimanere esclusivamente allo Stato, e che nel contempo venga lasciata la più ampia libertà a tutte le private iniziative, sotto il controllo dello Stato stesso.

Dichiara inoltre di insistere sul fatto che, nella attribuzione dei titoli accademici e nel passaggio per i diversi gradi dell'insegnamento, il discente debba essere vagliato attraverso gli organi dello Stato che ne controllano la cultura, onde evitare che, oltre alle scuole cattoliche che hanno una ottima tradizione, possano sorgere altre scuole che, fruttando una male apprezzata libertà, preparino i giovani in modo non idoneo alla vita né adeguato ai compiti sociali.

Per queste ragioni ritiene che lo Stato debba intervenire in ogni ordine di scuole e di insegnamento, e debba vigilare perché la libertà di insegnamento non abbia a degenerare in danno della cultura stessa.

Precisato questo punto, fa presente che non possono coesistere ragioni di dissenso. Libere le iniziative private, rimane allo Stato l'alta vigilanza sull'insegnamento e l'esclusiva prerogativa di concedere titoli accademici e di idoneità professionale.

Cevolotto si dichiara d'accordo sul principio che la libertà dell'insegnamento e della scuola privata debba essere ampiamente riconosciuta. Ricorda di aver sostenuto questa idea anche nei tempi in cui fioriva l'anticlericalismo, perché non vedeva i pericoli politici dell'insegnamento delle scuole religiose le quali evidentemente lasciano la formazione libera del pensiero, come è dimostrato dal fatto che spesso i più fieri anticlericali provenivano proprio dai seminari e dalle scuole cattoliche.

Ritiene che non vi sia nessuna ragione né politica, né di fazione politica, per limitare la libertà di insegnamento nelle scuole. È, però, d'accordo con l'onorevole Marchesi che lo Stato, prima ancora che il diritto, ha il dovere di assumere in pieno, pur lasciando la più ampia libertà alla scuola privata, le funzioni dell'insegnamento, e che questo debba essere affermato in modo preciso. Poi si parlerà delle libertà della scuola privata; dove lo Stato non arriverà supplirà la scuola privata, e dove lo Stato interverrà in una forma che non soddisfi pienamente i capi di famiglia, vi saranno le scuole private a dare loro soddisfazione. Dove vi saranno buone scuole private e buone scuole di Stato, vi sarà una libera concorrenza tra di esse.

Ritiene, pertanto, che la formula dell'onorevole Marchesi sia pienamente soddisfacente e non intacchi in alcun modo la libertà della scuola privata, che deve essere affermata e riconosciuta.

Dossetti fa presente che i Commissari di parte democristiana accettano l'articolo proposto dall'onorevole Marchesi, ma propongono un'aggiunta.

Cevolotto osserva che la collocazione che l'onorevole Moro dà al suo inciso, attenua e diminuisce il principio posto dall'onorevole Marchesi. E poiché ritiene che questo principio vada affermato, non può che essere d'accordo con l'onorevole Marchesi, non perché sia in disaccordo con i Commissari democratici-cristiani, ma soltanto per una questione di collocamento.

Dossetti comunica che l'onorevole Moro ha formulato una proposizione nei seguenti termini: «Lo Stato soddisfa l'interesse allo sviluppo della cultura, sia organizzando scuole proprie, sia assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli».

Spiega che con ciò si vuol dire che nella fase esecutiva dei suoi diritti lo Stato può ricorrere al suo intervento diretto, oppure può rimettersi all'iniziativa di altri. A questo i Commissari di parte democratica cristiana tengono in maniera decisiva, e non sono disposti a rinunciare che la libertà della scuola sia garantita in maniera concreta con l'impegno da parte dello Stato di riconoscere non solo de jure questa libertà, ma anche di non escludere di fatto le situazioni attraverso le quali la libertà delle scuole private può acquistare piena efficienza. Se si determina una situazione di privilegio de facto che venga a soffocare la scuola privata, la dichiarazione teorica di libertà si riduce a niente e si instaura di fatto il monopolio dello Stato.

Mastrojanni domanda all'onorevole Dossetti se il suo concetto è che là dove lo Stato non sia riuscito a far funzionare in pieno la sua organizzazione scolastica, ivi sorga la scuola privata.

Dossetti osserva che il suo concetto è in modo esplicito dichiarato nella formula proposta dall'onorevole Moro. I rappresentanti del suo partito accettano la formula dell'onorevole Marchesi più l'aggiunta proposta dall'onorevole Moro.

Marchesi, Relatore, osserva che vi è un motivo insuperabile di dissenso tra la sua concezione e quella dei Commissari democratico-cristiani. Lo Stato non può considerare la scuola privata come un organo necessario che serva a colmare, agli effetti dell'istruzione della massa sociale, le proprie lacune.

Dossetti ricorda che recenti esperienze dello Stato italiano sono a sostegno della sua tesi.

Marchesi, Relatore, rileva che il punto più grave di dissenso è nella pretesa che lo Stato si impegni a sussidiare o a mantenere gli istituti di istruzione privata, giacché questo è quello che si richiede con le parole «assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli».

Domanda quale sia l'intendimento di coloro che hanno proposto questa formula e in che modo lo Stato possa assicurare, se non con sovvenzioni e sussidi, l'efficienza della scuola privata.

Moro, Relatore, desidera rispondere alle osservazioni fatte dall'onorevole Marchesi. L'onorevole Marchesi, riprendendo alcuni punti della relazione Moro, ha detto che da parte democratico-cristiana si ritiene che vi sia un dissidio insanabile tra la famiglia e lo Stato, tanto che la scuola privata appare come la scuola di fiducia delle famiglie italiane. Il un certo senso la scuola non di Stato è scuola di fiducia, quando, in taluni casi, la famiglia preferisce mandare i figli in una scuola non statale. Ma questo non vuol dire che vi debba essere una preconcetta sfiducia verso la scuola di Stato. Tanto più che la scuola di Stato deve democraticamente esprimere gli orientamenti prevalenti della società italiana.

Rileva che quanto ha detto l'onorevole Marchesi nel suo ultimo intervento lo lascia molto perplesso. Non ritiene che la scuola privata debba colmare lacune lasciate aperte dalla scuola di Stato. Lo Stato potrebbe provvedere in modo completo all'organizzazione scolastica; se non lo fa, è per una ragione di libertà degli insegnanti, delle famiglie e dei discenti. Il fatto deve essere inteso nel senso che lo Stato democratico ritiene che le esigenze di libertà vanno soddisfatte lasciando un margine rilevante ai singoli enti in materia di educazione e di istruzione. Non si deve ritenere che la limitazione della scuola di Stato sia dovuta a necessità di fatto o a sfiducia preconcetta delle famiglie; è un omaggio reso alla libertà e al senso democratico.

Marchesi, Relatore, osserva che lo Stato non ha nessuna necessità di contrarre la scuola pubblica per lasciare uno spazio alla scuola privata. Lascia tutto intero lo spazio alla scuola privata e non pone limitazione al suo sorgere e fiorire, senza però con questo recare danno od offesa o limitazione alla scuola statale.

Moro, Relatore, dichiara che, secondo la sua concezione, la scuola privata non sorge per colmare una lacuna nell'insegnamento pubblico, né per venire incontro ad un senso di sfiducia delle famiglie nei confronti della scuola di Stato. Alla sua base vi è un omaggio reso dallo Stato alla libertà degli elementi tutti che lo compongono.

Per quanto riguarda le «condizioni di efficienza» alle quali si è richiamato l'onorevole Marchesi, ricorda che tanto poco egli si è preoccupato di un obbligo dello Stato di sovvenzionare le scuole private che, aderendo al consiglio dell'onorevole Marchesi, ha contratto le sue primitive richieste dicendo che è in facoltà dello Stato concedere sussidi a quelle scuole che siano benemerite dello sviluppo della cultura. Dicendo che lo Stato deve assicurare le condizioni di efficienza delle scuole private, egli ha inteso concretare in sede di fatto quello che è il principio giuridico della libertà di insegnamento. Lo Stato non deve lasciare formalmente spazi liberi, ma deve assicurare la possibilità completa in tutta la sua struttura giuridica e in tutta la sua attività amministrativa per il sorgere e lo sviluppo della scuola non di Stato.

Per quanto riguarda le osservazioni fatte dagli onorevoli Mastrojanni e Cevolotto, ritiene che le loro posizioni riflettano una visione un po' semplicistica del problema. È chiaro che deve essere ammessa una normazione generale circa l'intervento dello Stato in materia di vigilanza e di controllo e circa il conferimento di titoli di abilitazione professionale e di ammissione alle scuole superiori. Si tratta, invece, di affermare non la parità, ma l'eguale dignità della scuola non di Stato e della scuola statale.

Grassi osserva che si tratta di trovare una formula che concilii le opposte tendenze: la proposta dell'onorevole Dossetti che pone sullo stesso piano la scuola statale e la scuola privata, e il principio dell'onorevole Marchesi che presuppone una vigilanza da parte dello Stato nella organizzazione scolastica. Una formula conciliativa potrebbe essere espressa nel senso che lo Stato soddisfa l'interesse della cultura organizzando la scuola. Ritiene che si debba affermare la libertà della scuola privata alla quale sia reso possibile di svilupparsi in piena concorrenza con quella statale, ma non mettere in evidenza che lo Stato, non potendo assolvere al compito educativo, debba essere costretto a ricorrere all'insegnamento privato.

Dossetti ritiene che il problema non possa essere risolto con formule empiriche e con sentimentalismi generici. Dalla sua parte è stata effettuata una impostazione che ritiene abbia per sé il vantaggio di un rigore logico ed assoluto.

Infatti, avendo riconosciuta la funzione ordinativa generale dello Stato, si è fatta una dichiarazione di lealtà nei suoi confronti che non potrebbe essere più esauriente.

Ritiene che la stessa dichiarazione della libertà di insegnamento derivi logicamente dall'affermazione del dovere dello Stato di assicurare a tutti una istruzione adeguata alla propria capacità ed al proprio merito; ma ritiene anche che lo Stato esegua questa funzione in due modi: attraverso l'iniziativa diretta, cioè mediante il riconoscimento della libertà di insegnamento, libertà che non deve essere intesa come nei decenni passati quando si attuava il monopolio della scuola da parte dello Stato, ma deve rappresentare il riconoscimento concreto delle condizioni attraverso le quali queste scuole private, quando si mostrino capaci di competere vantaggiosamente, per i fini generali della cultura, non siano soffocate da condizioni di privilegio costituite a favore dell'ordinamento statale.

Ecco il perché della stretta connessione delle sue affermazioni: quella ordinativa e quella esecutiva. Distinguere questi due momenti, affermando il principio generale della funzione dello Stato e accennando soltanto che è riconosciuta la libertà alla scuola privata, vorrebbe dire precostituire un monopolio di fatto da parte dell'insegnamento statale. Su tale punto da parte democristiana non si può transigere.

Se non si giungesse ad un accordo sulla stretta connessione dei due principî, il gruppo democristiano si troverebbe nella necessità di presentare un progetto completamente autonomo.

Cevolotto esaminando il capoverso che dice: «Lo Stato soddisfa l'interesse allo sviluppo della cultura sia organizzando le scuole proprie, sia assicurando le condizioni della libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli», dichiara che non ha nulla da eccepire per quanto riguarda il suo contenuto, ma non può assolutamente accettare la forma che ritiene contorta. Pertanto voterà contro di esso. A suo parere, così come è formulato l'articolo, si può essere indotti a credere che si sia voluto affermare che lo Stato, per adempiere i suoi doveri verso la scuola, debba, oltre che organizzare scuole proprie, anche favorire il sorgere di scuole private. Questo a suo parere non può essere accettato. Sarebbe disposto a votare favorevolmente solo nel caso che venissero abolite le parole: «sia ... sia». Si dichiara inoltre contrario a che lo Stato debba concedere sussidi alle scuole medie non statali, poiché ritiene che norme di tal genere non possano essere incluse in un testo costituzionale, in quanto se ciò si facesse, si otterrebbe come risultato che di volta in volta i vari Governi favorirebbero le scuole private della propria parte.

Mancini è d'accordo con l'onorevole Marchesi, poiché pensa che il contrasto tra le due parti non sia di natura pratica, ma di natura teorica e politica. L'ultimo intervento dell'onorevole Dossetti ha chiarito l'atteggiamento di questi in contrasto con quello dell'onorevole Marchesi. Quando l'onorevole Dossetti, dopo aver affermato la potestà ordinativa dello Stato, parla della potestà esecutiva di questo e vuole che lo Stato nella sua facoltà ordinativa si suddivida provvedendo sia alla scuola di Stato sia alla scuola privata, non fa altro che vulnerare la funzione dello Stato.

Fra la scuola privata e la scuola di Stato deve esistere una libera concorrenza, che non ci sarebbe se lo Stato, davanti ad una scuola privata che funziona bene, intervenisse con sussidi. Ciò annullerebbe l'utilità della scuola privata.

Lucifero rileva che sulla parte riguardante l'insegnamento non di Stato non esistono divergenze di opinioni. Queste sorgono quando in alcuni dei Commissari si manifesta la preoccupazione che l'affermazione di garanzia di libertà resti un'affermazione platonica e non trovi praticamente applicazione. Su tale punto dichiara che, mentre condivide pienamente le preoccupazioni dei Commissari demo-cristiani, deve anche far presente che nella formulazione dell'onorevole Moro questa garanzia non è affermata, ed anzi in un successivo capoverso si dice che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e vigila sull'andamento degli studi.

La formula Moro, con tale capoverso, sarebbe del tutto annullata nella sua efficacia. Perciò propone che il capoverso dell'articolo sia così formulato: «Lo Stato soddisfa a queste esigenze organizzando scuole proprie e garantendo la libertà dell'iniziativa di istruzione e di educazione di enti e di singoli». Dichiara di proporre tale formula come base di discussione, allo scopo di trovare una via conciliativa tra le opposte tendenze.

Mancini osserva che l'onorevole Lucifero, pur avendo dichiarato di aderire al pensiero dell'onorevole Dossetti, ha espresso concetti ben diversi. Infatti gli onorevoli Dossetti e Moro sottolineano che lo Stato ha la funzione ordinativa della scuola, e l'onorevole Dossetti aggiunge che questa funzione ordinativa ha un doppio aspetto: scuola pubblica e scuola privata, mentre l'onorevole Lucifero esprime concetti opposti.

Dossetti rettifica che egli è disposto a riconoscere allo Stato la funzione ordinativa della scuola, in quanto si riconosca congiuntamente che la funzione esecutiva di questo compito è perseguita o direttamente attraverso scuole proprie, o indirettamente, assicurando la libertà di fatto senza alcun privilegio alle scuole private.

Mancini dichiara che, contrariamente al parere espresso dall'onorevole Dossetti, egli ritiene che lo Stato debba adempiere alla sua funzione laica esclusivamente attraverso la scuola pubblica, lasciando effettiva libertà alla iniziativa privata. L'onorevole Dossetti insiste che vuole garantire la libertà della scuola attraverso l'efficienza della scuola privata. Non può condividere questo parere, perché efficienza nel concetto dell'onorevole Dossetti significa intervento dello Stato nell'incremento della scuola privata attraverso sussidi ed altro... e in tal caso lo Stato verrebbe a falsare il principio che la scuola è la scuola di Stato e verrebbe ad incrementare quella scuola privata che è la concorrente — e non sempre leale — della scuola di Stato. La scuola privata non può pretendere altro che la sua libertà di sviluppo e di insegnamento.

Togliatti dichiara che la discussione ha messo in luce un problema nuovo. Infatti egli pensava che per questa parte della Costituzione il dibattito tra la sua parte e la corrente demo-cristiana si sarebbe sviluppato sul principio della libertà della scuola privata. Egli si è deciso ad accettare tale principio, distaccandosi dalla tradizione della dottrina liberale, alla quale in questo campo si ricollega il suo pensiero. È apparso invece dalla discussione che i commissari demo-cristiani desiderano qualche cosa di più, cioè chiedono non solo la libertà della scuola privata, ma che questa particolare scuola privata — che già si sa quale è — diventi una seconda scuola di Stato o qualche cosa di simile, affermando che lo Stato adempie alle sue funzioni attraverso la scuola privata e la scuola di Stato. Questa affermazione pone la Commissione di fronte ad un problema nuovo, perché non è questo il problema che pensava di dibattere in questa sede, ma quello della libertà di insegnamento e dell'organizzazione scolastica.

De Vita precisa la sua precedente affermazione di essere decisamente contrario allo Stato-scuola, nel senso che egli ritiene che lo Stato deve apprestare i mezzi materiali affinché l'insegnamento possa liberamente svolgersi, e orientare l'insegnamento stesso.

Domanda quindi ai relatori di chiarire il loro pensiero sul capoverso seguente, nel quale si dice che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione, ecc.

Dossetti fa presente che egli e i suoi colleghi di parte demo-cristiana non chiedono niente di più di un'adeguata garanzia di diritto e di fatto della libertà della scuola. La sua presa di posizione e l'articolo proposto dall'onorevole Moro sono la conseguenza inevitabile di un inquadramento reso necessario dalle affermazioni fatte dall'onorevole Marchesi.

Se l'onorevole Marchesi è disposto a rinunciare alle sue affermazioni circa l'assoluta preminenza dello Stato e al principio che lo Stato detta tutte le norme in materia di istruzione, dichiara che egli e i colleghi demo-cristiani non avrebbero più ragione di insistere nella impostazione da loro data al problema, e si contenterebbero di una semplice formula la quale dica che il cittadino ha diritto a ricevere un insegnamento adeguato alle sue doti e alle sue abitudini, che la scienza e l'arte sono libere, e che la scuola privata è riconosciuta.

Ripete che l'affermazione che lo Stato è il supremo ordinatore dell'istruzione pubblica può essere accettata da parte demo-cristiana soltanto nel caso che il principio venga inquadrato, e non si resti in una situazione equivoca che possa consentire la rivendicazione da parte dello Stato di un privilegio esclusivo e totalitario nell'adempimento della sua funzione scolastica.

Marchesi, Relatore, rileva che l'affermazione posta in principio come base dell'articolo da lui proposto esclude assolutamente ogni sospetto di concezione totalitaria. Egli e i colleghi di parte comunista non hanno voluto porre alcun limite alla libertà di insegnamento, ma non intendono rinunciare al diritto e al dovere che ha lo Stato di provvedere all'istruzione. In merito alla parola che è stata pronunciata da parte demo-cristiana e cioè «monopolio di Stato», dichiara che se per monopolio si intende il diritto e il dovere che ha lo Stato di soddisfare in pieno ai bisogni dell'istruzione, allora egli accetta questa parola monopolio, e non può accettare invece la proposta dei commissari demo-cristiani, i quali considerano l'istruzione pubblica come un servizio che lo Stato debba parzialmente concedere in appalto alla gestione privata.

La scuola privata sia liberissima, fiorisca in tutte le parti d'Italia, ma fiorisca coi propri mezzi e goda della sua libertà; non chieda l'intervento e il favore dello Stato, perché essa aprirebbe le porte ad una ingerenza statale gravissima per la stessa libertà dell'insegnamento privato.

Il Presidente Corsanego domanda alla Commissione se essa ritiene che, dopo l'ampia discussione che ha illuminato i diversi punti di vista, si possa tentare da parte dei relatori di trovare una formula conciliativa che tenga conto sia delle esigenze dell'onorevole Marchesi come di quelle degli onorevoli Moro e Dossetti, e quindi presentare nella prossima riunione un articolo sintetico con una nuova formulazione su cui poter iniziare la discussione. Se la Commissione è del parere che non è possibile rinviare la discussione, si potrà continuare fino a raggiungere il punto di convergenza; ma, se questa convergenza non fosse possibile, allora si dovrebbe procedere ad una votazione di minoranza o di maggioranza.

Togliatti dichiara di non essere alieno dal dare il suo appoggio alla seconda proposta del Presidente, perché vede che vi è un punto di dissenso sostanziale; sarebbe però lieto se il dissenso potesse essere superato con una nuova formulazione che attenuasse i concetti espressi nella formula proposta dai Commissari di parte demo-cristiana. Riconosce la difficoltà di raggiungere l'accordo nell'attuale assemblea, ma ritiene che se si restringesse la riunione ad un numero molto inferiore di membri, forse si potrebbe ottenere il risultato desiderato.

Dossetti crede difficile il raggiungimento di un accordo, data la chiara impostazione che l'onorevole Marchesi ha dato al problema con le sue ultime affermazioni. Questa impostazione rende inevitabile, da parte dei commissari demo-cristiani, la richiesta di chiarimenti maggiori, perché altrimenti ogni affermazione a favore della libertà della scuola dovrebbe sempre essere valutata in rapporto alla tesi generale del monopolio di Stato.

Marchesi, Relatore, dichiara di essere tutt'altro che fautore del monopolio di Stato. L'espressione monopolio di Stato riferita alla scuola e alla pubblica istruzione non è sua, ma l'ha letta nel programma della Democrazia Cristiana e l'ha sentita ripetere dall'onorevole Dossetti nel corso della discussione. Egli trova illegittima questa espressione di monopolio di Stato che vuole designare la scuola statale. Torna ad affermare che lo Stato ha il diritto ed il dovere di provvedere con tutti i mezzi alla organizzazione della scuola pubblica; ma nello stesso tempo deve vedere con soddisfazione il fiorire, nel limite delle leggi, della scuola privata.

In questo modo si stabilisce una concorrenza tra due organizzazioni parallele.

L'onorevole Dossetti vorrebbe invece che queste organizzazioni fossero convergenti, costituissero cioè un'unica organizzazione scolastica: da una parte quella di Stato e dall'altra quella privata, di cui lo Stato, nell'esplicazione della sua funzione di educatore e di ordinatore della scuola, dovrebbe valersi contemporaneamente. È questo il concetto che egli non può accettare.

Il Presidente Corsanego ritiene che si potrebbe almeno tentare di trovare una formula conciliativa, pur riconoscendo che ci sono inevitabilmente due punti di vista diversi. D'altra parte è bene che ciascuno assuma la propria responsabilità e dichiari il proprio pensiero. È costume proprio della democrazia di portare in discussione le diverse opinioni, perché appunto dal cozzo delle opinioni venga fuori la verità.

Prega pertanto gli onorevoli Dossetti e Moro di volersi incontrare con l'onorevole Marchesi, e fare un tentativo per poter presentare una formula nella quale le esigenze delle due parti siano contemperate.

Ripete che, se questa formula da mettere in discussione non venisse trovata, si renderebbe necessario procedere a una votazione di maggioranza e ad una votazione di minoranza, e presentare poi le due formulazioni alla Commissione in seduta plenaria.

Moro, Relatore, fa presente che della formula da lui proposta si sono date interpretazioni diverse, soprattutto per quanto riguarda l'efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli che lo Stato dovrebbe predisporre. Si è detto che con questo si verrebbe a sussidiare la scuola non statale, e darla come in appalto. Si è detto anche che si chiede che lo Stato intervenga per sussidiare, per rafforzare, per indirizzare, per rendere efficiente la scuola non statale.

Dichiara che tutto ciò è lontanissimo dalle intenzioni sue e dei commissari demo-cristiani. Se c'è un'idea che ad essi ripugna, è proprio quella che la scuola non statale sia una delegazione della scuola di Stato. Si può allora domandare perché si è voluto sostenere una formula che pone su un piano di parallelismo l'organizzazione della scuola di Stato e l'assicurazione dell'efficienza e della libertà dell'iniziativa privata. Per rispondere a questa domanda ricorda che la dottrina sociale e cattolica, cui egli aderisce, ritiene che gli elementi che intervengono nell'azione educativa siano la Famiglia, la Chiesa e lo Stato. Poiché si sta facendo una Costituzione di compromesso, i Commissari demo-cristiani hanno rinunciato a impostare il problema della gerarchia degli enti i quali intervengono nell'attività educativa, anzi, per venire incontro alle esigenze prospettate dai rappresentanti dell'altro partito, hanno accettato l'idea che lo Stato abbia una funzione generale di ordinare la istruzione e di preoccuparsi che a ciascuno sia data un'adeguata istruzione ed educazione.

Però, nell'atto in cui si riconosce allo Stato questo potere di ordinare e di concreta organizzazione della scuola, si ha tutto il diritto di ricordare che, secondo la concezione della democrazia cristiana, lo Stato non è l'ottimo tra gli educatori, ma solo una delle forze che entrano nel processo educativo. Si riconosce quindi allo Stato il potere di organizzare le scuole, non per favorire il suo intervento in materia di istruzione, ma per dire che il supremo compito che gli si attribuisce deve essere esercitato non soltanto attraverso una propria diretta attività, ma anche attraverso le funzioni giuridiche di ordinanza, le quali garantiscono che possa svolgersi l'attività non statale di istruzione e di educazione. Questa garanzia permette di soddisfare la duplice esigenza di non attribuire da una parte allo Stato una competenza esorbitante e dall'altra parte di permettere che lo Stato abbia un qualche potere di intervento in quello che si fa per l'educazione, al di fuori della sua orbita diretta.

Con questa formulazione certamente si compie un passo avanti, ma è necessario porre una riserva che permette di non smentire l'idea che pone lo Stato come educatore tra gli altri educatori, in coordinazione con la Chiesa, con la Famiglia, e con i singoli, i quali possono assumere le iniziative dell'istruzione.

Marchesi, Relatore, afferma che questa garanzia non è mai negata.

Il Presidente Corsanego rinvia il seguito della discussione alla seduta di domani mercoledì.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti