[Il 23 ottobre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali). — Presidenza del Deputato Corsanego.]

Il Presidente Corsanego domanda ai Relatori onorevoli Moro e Marchesi se possono presentare all'esame della Sottocommissione un testo concordato.

Marchesi, Relatore, fa presente che soltanto una parte è stata concordata con l'onorevole Moro e viene presentata alla discussione.

Il Presidente Corsanego comunica che la parte concordata tra i due Relatori comprende due articoli, di cui il primo è del seguente tenore:

«L'arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti.

«Ogni cittadino ha il diritto di ricevere un'adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e l'adempimento dei compiti sociali».

Pone ai voti i due commi proposti concordemente dai Relatori.

Lucifero dichiara di astenersi dal voto, perché ritiene che i due commi, da soli, non dicano niente. Il suo voto dovrà essere subordinato alla discussione della parte che segue.

Dossetti fa presente all'onorevole Lucifero che nella riunione preliminare tenuta nella giornata è stato raggiunto l'accordo su questo articolo, ma non su quello fondamentale riguardante la libertà della scuola.

Lucifero domanda che i due commi dell'articolo siano posti in votazione separatamente, onde permettergli di votare favorevolmente al primo e di astenersi dalla votazione del secondo.

Il Presidente Corsanego pone ai voti la proposta dell'onorevole Lucifero.

(È approvata all'unanimità).

Pone ai voti il primo comma così formulato:

«L'arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti».

(È approvato all'unanimità).

Pone in discussione il secondo comma dell'articolo:

«Ogni cittadino ha il diritto di ricevere un'adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e l'adempimento dei compiti sociali».

Lombardi Giovanni domanda da chi il cittadino deve avere il diritto di ricevere l'adeguata istruzione ed educazione.

Moro, Relatore, risponde che ciò è specificato negli articoli seguenti.

Il Presidente Corsanego afferma essere chiaro che si tratta dello Stato.

Moro, Relatore, rileva che, per ora, si tratta dell'affermazione di un diritto; le norme di attuazione saranno stabilite nei successivi articoli.

Il Presidente Corsanego pone ai voti il secondo comma dell'articolo concordato dai due Relatori.

(È approvato con 13 voti favorevoli e 2 astenuti).

Comunica che il secondo dei due articoli concordati dai Relatori è formulato nei termini seguenti:

«L'istruzione primaria, media, universitaria, è tra le precipue funzioni dello Stato. Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione.

«Per assicurare un imparziale controllo dello svolgimento degli studi, ed a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato».

Fa presente che a questi due commi se ne aggiunge un altro proposto dall'onorevole Marchesi. Il comma è formulato nel modo seguente: «Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l'esercizio delle professioni liberali».

Dichiara aperta la discussione sui primi due commi dell'articolo.

Lucifero osserva che là dove si dice «istruzione primaria, media, universitaria» andrebbe aggiunto «post-universitaria», in quanto l'istruzione non finisce con la laurea, poiché vi sono i corsi di specializzazione

La Pira obietta che i corsi di specializzazione sono compresi nell'istruzione universitaria.

Lucifero ritiene per lo meno dubbio che i corsi di specializzazione possano essere compresi nell'istruzione universitaria. Ad ogni modo, è d'avviso che il termine «istruzione universitaria» sia troppo circoscritto; se mai, si dovrebbe usare il termine «istruzione superiore».

Il Presidente Corsanego domanda ai Relatori se accettano la modificazione proposta dall'onorevole Lucifero

Marchesi, Relatore, fa presente di avere egli stesso suggerito questo termine.

Mastrojanni osserva che è preferibile il termine «istruzione universitaria».

La Pira concorda nel ritenere tecnicamente più perfetto parlare di «istruzione universitaria».

Dossetti dichiara di non essere d'accordo con la proposta dell'onorevole Lucifero. Quando la legislazione parla di «istruzione superiore» intende parlare dell'istruzione media-superiore. Il testo unico delle leggi sull'istruzione universitaria, regola l'ordinamento universitario, ma molte volte nella terminologia legislativa si parla di istruzione superiore nel senso d'istruzione media-superiore.

A suo parere è preferibile usare il termine «istruzione universitaria».

Marchesi, Relatore, osserva che l'istruzione media si distingue in inferiore e superiore, e che il termine «istruzione media» comprende tanto la sezione inferiore quanto quella superiore.

Lucifero osserva che ci sono istituti superiori che non sono universitari.

Il Presidente Corsanego fa osservare all'onorevole Dossetti che al Ministero della pubblica istruzione tre delle direzioni generali si chiamano: dell'istruzione primaria; dell'istruzione media; dell'istruzione superiore.

Poiché l'onorevole Lucifero ne fa proposta formale, pone ai voti la sostituzione della parola «superiore» a quella «universitaria» che si legge nel testo proposto dai Relatori.

(L'emendamento è approvato con 11 voti favorevoli e 2 contrari).

Pone ai voti la prima proposizione del secondo articolo proposto dai due Relatori così emendato:

«L'istruzione primaria, media, superiore, è tra le precipue funzioni dello Stato».

(È approvata all'unanimità).

Ricorda che la seconda proposizione dell'articolo dice: «Lo Stato detta le norme generali in materia d'istruzione».

Lucifero ritiene che questa proposizione sia pleonastica, poiché la funzione di controllo dello Stato avviene, come si specifica nel secondo comma dell'articolo, attraverso gli esami di Stato. Oltre ad essere pleonastica, poi, può permettere, in un domani, qualunque ingerenza dello Stato nella scuola privata.

Per questi motivi dichiara che non può accettare la formula.

Marchesi, Relatore, fa presente che, nel formulare la proposizione, ha inteso conferire allo Stato il diritto pieno di ordinamento degli studi di tutta la Nazione.

Lucifero dichiara che non può accettare un intervento così ampio dello Stato.

Moro, Relatore, comunica che la norma in discussione è stata da lui accettata in seguito a lunga discussione. Ricorda che, inizialmente, nel testo proposto dall'onorevole Marchesi era detto: «Lo Stato detta i principî generali in materia d'istruzione». L'onorevole Marchesi sostituì poi alle parole «principî generali» le altre «norme generali», per indicare che si è lontani dall'idea che lo Stato possa dare indirizzi ideologici alle scuole statali e non statali, mentre fissa le condizioni giuridiche dell'istruzione. La norma, eventualmente chiarita dalle proposte che egli si riserva di presentare, può essere accettata, perché rientra in quella potestà normativa generale dello Stato che deve essere distinta dall'attività amministrativa, cioè di diretta gestione dello Stato. Che lo Stato possa venire ad imporre una determinata direttiva alle scuole viene escluso, sia dalla prima affermazione circa la libertà dell'insegnamento, sia da quanto verrà proposto nei successivi articoli per la scuola non statale.

D'altra parte, una potestà normativa così generale rientra nella competenza propria dello Stato ed è opportunamente chiarita e ridotta dalle precedenti e susseguenti formulazioni. A suo avviso, le preoccupazioni espresse dall'onorevole Lucifero non hanno fondamento.

Il Presidente Corsanego osserva essere evidente che, ad esempio, lo Stato debba fissare i programmi di esame per l'ammissione agli studi superiori o per l'abilitazione professionale.

Lucifero dichiara che le osservazioni dell'onorevole Moro non hanno modificato la sua prima impressione. Le sue convinzioni si sono anzi rafforzate, dopo la concisa e chiara risposta dell'onorevole Marchesi. Ribadisce che, a suo parere, quando si parla di norme generali, queste hanno una portata molto vasta che va al di là della precisazione dei programmi scolastici, programmi di esame ecc., e potrebbero invece investire la stessa libertà dell'insegnamento e della scuola.

L'onorevole Moro ha dichiarato che tutto questo viene ovviato dalle proposizioni che seguono. Fa presente che ancora non è certo se queste proposizioni saranno approvate, e pertanto dichiara che voterà contro quella in discussione.

Marchesi, Relatore, dichiara di essere ben lontano dal proporre e dal desiderare che lo Stato intervenga come ordinatore degli indirizzi ideologici, dei metodi di insegnamento, e di tutto ciò che possa intaccare o menomare la libertà di insegnamento, la quale invece deve essere in tutti i modi rispettata e garantita.

Ritiene che lo Stato deve accogliere tutti gli orientamenti scientifici e morali, in quanto tutti concorrono ad accrescere la conoscenza. Ma, quando si parla di riforme della scuola media o elementare o superiore, non vede a quale organo queste riforme dovrebbero essere affidate, se non allo Stato.

Lucifero è d'avviso che la riforma delle scuole pubbliche debba essere affidata allo Stato, ma fa anche presente che nelle scuole private, una volta stabilito che si deve sostenere quel dato esame, lo Stato non deve, da parte sua, compiere altri interventi.

Marchesi, Relatore, rileva che l'ingerenza dello Stato come ordinatore e come riformatore si attua principalmente nei riguardi della scuola dipendente dall'autorità civile. Le scuole private devono, per norma di legge, sottostare a taluni obblighi che lo Stato impone loro, affinché ne sia consentito l'esercizio. Questi obblighi non riguardano né l'indirizzo né i metodi di insegnamento; si tratta di altri obblighi i quali devono servire da garanzia agli stessi scolari. Ritiene che le preoccupazioni dell'onorevole Lucifero possano essere diradate da uno degli articoli inseriti nella sua relazione, non accettato dal correlatore, onorevole Moro, e che ora l'oratore intende riproporre, riguardante appunto il pieno diritto per la scuola privata alla libertà di insegnamento.

Moro, Relatore, chiarisce che, pur divergendo nella formulazione, concordava nei concetti esposti dall'onorevole Marchesi nell'articolo a cui questi si è riferito.

La Pira esprime il parere che le osservazioni dell'onorevole Lucifero siano molto fondate, poiché gli hanno fatto ricordare la scuola fascista, durante la quale si impose l'adozione del libro di Stato. Al fine di venire incontro alle preoccupazioni dell'onorevole Lucifero, propone che la proposizione in discussione sia modificata nel seguente modo:

«Lo Stato detta norme generali amministrative in materia di istruzione». Con ciò si ovvierebbe alla possibilità che lo Stato imponga un indirizzo ideologico e speciali programmi scolastici alla scuola privata.

Mastrojanni fa osservare che il principio approvato nella prima proposizione non consente di sottrarre allo Stato il diritto di controllare che l'istruzione e l'educazione vengano impartite secondo l'etica e le finalità dello Stato stesso.

Mancini osserva che le preoccupazioni dell'onorevole Lucifero sono ingiustificate, perché col termine «generali» ci si riferisce non alla precisazione dei libri di testo da adottare nelle scuole, ma all'ordinamento degli esami di Stato, alle linee generali dei programmi, in quanto è ovvio che l'alunno deve conoscere il programma che deve presentare agli esami. In materia scolastica le norme generali sono necessarie. Pertanto la proposizione può essere votata tranquillamente.

Lucifero dichiara che le sue convinzioni si sono rafforzate, dopo l'intervento dell'onorevole Mastrojanni. Infatti se la proposizione che afferma che lo Stato detta norme generali fosse inserita nello stesso comma che parla dell'esame di Stato, avrebbe avuto ragione l'onorevole Mancini a dire che le preoccupazioni sono fuori luogo; invece tale frase, così come è inserita nella proposizione in esame, rappresenta proprio quello stato di cose che egli vuole evitare. Pertanto si dichiara più che mai contrario a questa proposizione, che può costituire il mezzo idoneo per sopprimere quella libertà di insegnamento che è sancita nell'articolo precedente.

Il Presidente Corsanego chiede all'onorevole La Pira se insiste nel suo emendamento consistente nell'aggiungere alle parole «norme generali» la parola: «amministrative».

La Pira dichiara di ritirare l'emendamento, in seguito alle osservazioni dell'onorevole Mastrojanni.

Togliatti chiede la chiusura della discussione generale.

Il Presidente Corsanego mette ai voti la proposta dell'onorevole Togliatti, di chiusura della discussione, riservando la parola ai Commissari che l'abbiano domandata in precedenza.

(È approvata).

Caristia esprime il dubbio che l'espressione «Lo Stato detta norme generali» possa essere interpretata in senso molto lato.

Rileva inoltre che, procedendo nella discussione, le opposte tendenze si sono venute sempre più inasprendo, e si augura che esse possano contemperarsi in una formula conciliativa.

Riconosce infine che le preoccupazioni dell'onorevole Lucifero sono in parte giustificate, perché un giorno l'amministrazione dello Stato potrebbe dire che per norme generali si deve intendere una facoltà da parte dello Stato di intervenire direttamente in tutto il campo dell'istruzione.

Mancini fa presente che le norme generali in materia di istruzione riguardano il coordinamento degli studi, cioè il modo con cui lo Stato li ordina, suddividendoli nelle diverse specie di scuole.

Non si può pretendere perciò che lo Stato non intervenga con norme generali per regolare in questo senso gli studi.

Mastrojanni fa presente che ogni equivoco è impossibile, in quanto nella proposizione in discussione si parla di istruzione e non di insegnamento.

Moro, Relatore, propone di rimandare la votazione della proposizione ad un altro momento, cioè a quando i dubbi affiorati nella discussione siano stati risolti e il significato della norma risulti più chiaro.

Lucifero si dichiara favorevole alla sospensione proposta dall'onorevole Moro, dal momento che già prima aveva sentito la necessità di riesaminare la proposizione.

Grassi prega l'onorevole Moro di non insistere nella sua proposta, poiché l'articolo riguarda l'istruzione primaria, media, superiore, che è tra le funzioni dello Stato, e non l'istruzione privata che invece è esaminata dall'articolo seguente.

Moro, Relatore, dichiara che se queste norme riguardano l'istruzione dello Stato, bisognerà affermarlo in modo esplicito; se riguardano tutta l'istruzione, insiste nella sua richiesta di sospensiva.

Marchesi, Relatore, domanda se i Commissari che si sono preoccupati del significato della proposizione in esame, sarebbero soddisfatti di una formula così modificata: «Lo Stato detta norme generali sull'ordinamento scolastico».

Lucifero dichiara di non essere soddisfatto.

Marchesi, Relatore, ritira la sua proposta.

Il Presidente Corsanego mette ai voti la proposta di sospensiva della votazione della proposizione in discussione presentata dall'onorevole Moro.

(È approvata).

Pone in discussione il comma seguente:

«Per assicurare un imparziale controllo dello svolgimento degli studi, ed a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato».

Lucifero dichiara di accettare la proposizione, ma osserva che essa non tiene presente che ci sono alcuni esami intermedi che non hanno il carattere di ammissione agli studi superiori, né riguardano l'abilitazione professionale, ma pure sono richiesti per determinati impieghi. Domanda se anche per questi sia richiesto l'esame di Stato.

Il Presidente Corsanego chiarisce che per questi l'esame di Stato non è richiesto.

Mette ai voti il comma.

(È approvato all'unanimità).

Pone in discussione il comma seguente, proposto da uno solo dei Relatori, l'onorevole Marchesi: «Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l'esercizio delle professioni liberali».

Marchesi, Relatore, osserva che si potrebbe obiettare che la materia del comma da lui proposto sia argomento di legislazione ordinaria; egli invece ritiene debba essere inserita nella Costituzione, data la gravità dell'argomento e la garanzia di decoro che ne verrebbe alla dignità accademica.

Ricorda che già da tempo negli ambienti accademici si discute se convenga persistere in Italia in una situazione che contrasta decisamente con la serietà scientifica del titolo dottorale.

In trenta e più anni di insegnamento universitario ha dovuto constatare il discredito sempre crescente in cui è precipitato questo titolo in Italia, mentre in altri Paesi di non meno progredita cultura esso apporta soltanto una dignità accademica ed ha per base una ricerca scientifica. Dichiara di aver fatto recentissimamente un'inchiesta, in occasione della prima convocazione della ricostituita Accademia dei Lincei, tra professori universitari di molta esperienza e di varie opinioni politiche, i quali sono stati concordi nel convenire sull'opportunità che in sede costituzionale sia posto un riparo a tanto discredito accademico ed a tanto danno sociale.

Fa presente che ogni anno i professori sono costretti ad imporre agli alunni che si debbono laureare un obbligo di ricerca scientifica, a cui la maggior parte di essi è assolutamente inadatta.

Per queste considerazioni, propone che, come si è pensato a garantire con l'esame di Stato la capacità all'esercizio professionale, così si garantisca, con l'esclusione del titolo dottorale dai titoli richiesti per l'abilitazione professionale, la dignità accademica da troppi lunghi anni offesa e menomata.

Il Presidente Corsanego domanda all'onorevole Moro se accetta il testo della proposizione testé illustrata dall'onorevole Marchesi.

Moro, Relatore, dichiara di accettarlo, pur facendo una riserva circa l'opportunità di inserire in sede costituzionale una dichiarazione di questo genere, la quale, a suo avviso, dovrebbe essere inquadrata nella complessa riforma degli istituti universitari. Dichiara altresì di astenersi da una discussione su questo argomento.

Caristia dichiara di associarsi alle osservazioni dell'onorevole Marchesi. Afferma che certamente vi è un desiderio diffusissimo e profondo nelle classi universitarie che si venga a stabilire una netta differenza tra quella che è l'abilità tecnica professionale e quella che è invece un'attività tipicamente scientifica, la quale soltanto deve conferire il grado di dottore.

Pur domandandosi se un articolo come quello in esame non andrebbe meglio collocato in altra sede, ritiene tuttavia che di un così grave argomento si debba fare un cenno nella Costituzione.

Mastrojanni dichiara di condividere in pieno le considerazioni espresse dagli onorevoli Marchesi e Caristia. Ritiene però che la dizione di questo articolo debba essere più completa e specifica. È d'avviso che un'indicazione debba esserne fatta nella Costituzione, perché questa deve garantire e riaffermare il principio della vera dignità accademica. Però nella stessa Costituzione è opportuno anche stabilire il principio che per gli impieghi dello Stato non si richiede il titolo dottorale. Fa osservare che la maggior parte delle persone che si laureano lo fanno per concorrere agli impieghi dello Stato. Ora, se questi giovani riescono e spesso con molti sacrifici, ad ottenere il titolo di dottore e solo per avere la possibilità di trovare un impiego che consenta loro di guadagnarsi la vita, è indubbio che questo fatto sminuisce il valore della laurea in confronto di quei giovani che si dedicano alla carriera scientifica o letteraria.

Propone pertanto che nella formula sia inserito il principio che il titolo dottorale non è richiesto per concorrere ad impieghi dello Stato.

Marchesi, Relatore, fa osservare che nella formula: «non è richiesto per l'esercizio delle professioni liberali», è compresa l'esclusione per quella categoria cui accenna l'onorevole Mastrojanni.

Mastrojanni ritiene che la dizione potrebbe essere completata aggiungendo l'espressione: «non è richiesto per gli impieghi dello Stato» oppure: «non costituisce titolo per gli impieghi dello Stato». Solamente quando si sarà affermato che il titolo dottorale non costituisce titolo preferenziale per gli impieghi dello Stato, si sarà eliminata l'affluenza dei laureati agli impieghi dello Stato.

Moro, Relatore, fa osservare che per la magistratura è necessario richiedere il titolo dottorale.

Mastrojanni rileva che si può provvedere in altro modo per soddisfare le esigenze di cultura, sulle quali ritiene tutti siano d'accordo, e per tener conto dell'osservazione dell'onorevole Moro.

Mancini osserva che non soltanto il titolo dottorale, ma tutti gli studi sono caduti in discredito in Italia, a causa della dittatura fascista che per vent'anni ha valorizzato non gli studi ma gli esercizi ginnastici ed a causa delle cattedre universitarie concesse per ragioni politiche e non per sapere o per scienza. Una volta l'insegnante illustrava la cattedra, nel fascismo era il contrario.

Ritiene però che al giovane che ha completato gli studi debba essere concesso un titolo dottorale.

Marchesi, Relatore, osserva che per coloro che hanno completato gli studi vi sarà un diploma e in ogni modo vi sarà un esame di Stato che dia l'accesso all'esercizio delle professioni liberali.

Mancini esprime il parere che la parola «dottore» non possa essere abolita. Piuttosto, insegnanti, alunni e padri di famiglia dovrebbero cercare di rialzare il livello degli studi, e allora il titolo dottorale riacquisterà quella dignità che è da tutti auspicata. Ma più di tutti è dovere degli insegnanti rendere degno il titolo di «dottore» con l'altezza del loro insegnamento e con la serietà degli esami.

Lombardi Giovanni dichiara di vedere la questione dal punto di vista sociale. Come professore universitario, non potrebbe che sottoscrivere quello che è stato detto dagli onorevoli Marchesi e Caristia. Però fa osservare che il livello degli studi non può rialzarsi solamente con lo stabilire che il titolo dottorale sia richiesto unicamente per l'indagine scientifica. È necessario tutto un movimento di coscienze, che non può determinarsi nello stato di miseria in cui è ridotta l'Italia.

L'accettare questo articolo e introdurlo nella Costituzione non significherebbe altro che danneggiare centinaia di giovani che sono sul punto di conquistare il piccolo titolo dottorale per procacciarsi un'occupazione ed il mezzo di vivere.

Ritiene piuttosto che si debbano promuovere gli studi, elevare le coscienze agli alti ideali, far sì che i giovani si ispirino ai grandi esempi; allora veramente il grado dottorale riacquisterà il suo prestigio.

Dossetti dichiara di essere favorevole alla limitazione del titolo dottorale, ma dubita dell'opportunità che questa affermazione sia fatta dalla Sottocommissione. Non vorrebbe che si potesse dire che si è voluto approfittare del potere conferito alla Sottocommissione per introdurre, quasi di soppiatto, una norma che viene a vincolare il futuro edificatore della riforma scolastica. Ritiene che sia un atto di correttezza, di saggio limite dei poteri conferiti alla Sottocommissione, che sono costituenti e non legislativi, di astenersi dal formulare un principio come quello che si vuole introdurre.

Marchesi, Relatore, risponde all'onorevole Dossetti che già in altre occasioni la Sottocommissione ha usurpato la funzione legislativa; e del resto è bene dare qualche volta un'indicazione precisa di ciò che il legislatore deve fare per taluni rinnovamenti indispensabili alla vita e al costume del Paese.

Dichiara all'onorevole Lombardi che non ritiene possa giovare alla miseria e alla ignoranza di centinaia di laureati questa irrisione di un grado accademico. D'altra parte, fa presente di aver portato innanzi alla Sottocommissione l'invocazione del mondo accademico, cioè di quella gran parte di insegnanti e professori che sono stati da lui interrogati proprio in quest'ultimo periodo. Afferma che da molto tempo si sente la necessità di restituire il decoro a questo titolo dottorale, che significa soltanto capacità ed attitudine all'indagine scientifica e non all'esercizio di una professione. Riconosce che non tutti possono essere obbligati ad avere questa capacità ed attitudine alla ricerca scientifica, mentre tutti possono nobilmente e utilmente esplicare la loro attività professionale.

Lucifero dichiara che anch'egli sente la necessità che il titolo dottorale torni a significare qualche cosa di più serio e dignitoso. Ritiene pertanto che una disposizione in questo senso possa essere utilmente introdotta nella Costituzione.

Circa l'osservazione dell'onorevole Dossetti che si tratta di materia di legge speciale più che di materia costituzionale, è del parere che indubbiamente questo è vero; ma poiché nella Costituzione sono state introdotte già altre disposizioni che rientrano nella materia della legge speciale, non vede perché non si dovrebbe aggiungere anche questa disposizione che servirà come base alla riforma generale degli studi.

Mastrojanni risponde all'onorevole Lombardi, che ha trattato la questione da un punto di vista sociale, di aver premesso che lo Stato non dovrebbe pretendere il titolo dottorale per i suoi impieghi anche più umili. Con ciò ha cercato di sgombrare il terreno da qualsiasi appunto che si sarebbe potuto fare in ordine alla preoccupazione per la sorte dei giovani studenti universitari. Dichiara che è proprio per venire incontro a queste masse di studiosi disoccupati che non si deve pretendere da parte dello Stato il titolo dottorale. D'altra parte, accettando questa proposta, le Università saranno sfollate da una massa di giovani che potranno trovare impiego senza bisogno di preventivi quanto inutili sacrifici.

Insiste nelle argomentazioni che sono state già svolte dagli oratori che lo hanno preceduto, affinché in questa Costituzione, così come sono state valorizzate tutte le altre fonti spirituali e materiali, sia data anche un'indicazione per quanto riguarda la dignità dottorale, specie quando da parte della Sottocommissione si è ritenuto di dover abolire i titoli nobiliari. La nobiltà che in questa Repubblica italiana deve permanere sia almeno la nobiltà dell'ingegno e dello spirito, e sia il sacrificio della gente che si sacrifica per il bene della scienza il primo titolo della nobiltà.

Il Presidente Corsanego mette ai voti la chiusura della discussione generale, riservando la parola a coloro che l'hanno già chiesta.

(È approvata all'unanimità).

Rileva che la maggioranza dei Commissari sono favorevoli alla formulazione proposta dall'onorevole Marchesi, ma che una notevole parte di essi fa delle riserve circa l'opportunità di inserirla nella Costituzione, ritenendo che sia piuttosto argomento di legge speciale e precisamente della legge sull'ordinamento generale degli studi.

Mastrojanni propone un emendamento destinato a fissare nella Costituzione il principio che il titolo di dottore non deve essere richiesto per gli impieghi dello Stato. Esso potrebbe essere formulato nel modo seguente: «Il titolo dottorale non è richiesto per l'esercizio delle professioni liberali, né può essere richiesto per i pubblici impieghi.

Moro, Relatore, osserva che vi sono dei pubblici impieghi per i quali sarebbe opportuno mantenere l'obbligo del titolo dottorale, per esempio la Magistratura ed il Consiglio di Stato.

Mastrojanni replica che le osservazioni dell'onorevole Moro, per quanto riguarda determinate categorie di impieghi nei quali i funzionari eccellono per cultura non esauriscono il problema. Non si può, d'altra parte, far distinzione tra il Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione ed un principe del Foro, né tra uno scienziato ed un medico illustre che abbia valore egualmente apprezzabile come quello del docente universitario.

Moro, Relatore, fa presente che, se si accettasse l'emendamento proposto dall'onorevole Mastrojanni, si verrebbe ad impedire allo Stato di richiedere il titolo dottorale anche nei casi in cui il possesso di un titolo più alto di studio è una garanzia per i cittadini.

Mastrojanni domanda perché si vuole, allora, stabilire che il titolo non è richiesto per gli avvocati, per i medici o per gli ingegneri, come se costoro fossero da meno dei magistrati.

Moro, Relatore, obietta che il pubblico professionista, se vuole il titolo, può conseguirlo.

Il Presidente Corsanego mette ai voti l'emendamento aggiuntivo dell'onorevole Mastrojanni, il quale propone che dopo le parole «per l'esercizio delle professioni liberali» si aggiungano le altre

«né può essere richiesto per i pubblici impieghi».

Togliatti, Relatore, si dichiara favorevole all'emendamento proposto dall'onorevole Mastrojanni.

(L'emendamento è respinto con 7 voti favorevoli, 8 contrari ed 1 astenuto).

Il Presidente Corsanego mette ai voti la proposizione come è stata proposta dall'onorevole Marchesi:

«Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l'esercizio delle professioni liberali».

Grassi, dichiara di votare contro la proposizione, non perché non ritenga giuste le ragioni addotte a sostegno della proposta, ma per le ragioni esposte dall'onorevole Dossetti. Ritiene che la disposizione sul titolo dottorale debba far parte — insieme all'aggiunta proposta dall'onorevole Mastrojanni, contro la quale si è votato per identiche considerazioni — di una legislazione speciale che dovrà riguardare l'ordinamento scolastico e quello dei pubblici impieghi. Dichiara, pertanto, che il suo voto contrario al comma proposto non pregiudica nel merito la questione.

Merlin Umberto osserva che la Costituzione dovrebbe essere breve, concisa e schematica. Viceversa si prendono in esame in ogni seduta questioni nuove, senza che tutti i Commissari abbiano potuto avere il tempo di prepararsi convenientemente a discuterle.

Ritiene che non è possibile votare una proposizione di questo genere senza indicare che cosa si sostituisce al titolo dottorale. La materia è, ad ogni modo, specifica di una legge speciale sulla riforma scolastica.

Dichiara di apprezzare le ragioni esposte dall'onorevole Marchesi a sostegno della sua tesi, ma ritiene che sull'argomento sia bene agitare la pubblica opinione e comunque parlarne in sede di riforma scolastica.

Per questi motivi dichiara che voterà contro il comma proposto.

Mancini dichiara di votare, suo malgrado, contro la proposta dell'onorevole Marchesi in quanto ritiene che il giorno in cui il regime democratico repubblicano restituirà gli studi alla loro serietà e dignità, il titolo accademico di dottore acquisterà il suo valore scientifico.

Cevolotto dichiara di votare contro la proposta dell'onorevole Marchesi, perché ritiene che essa sia materia non di Costituzione ma di legge speciale. Osserva che nel caso in cui un giorno, nella legislazione scolastica, prevalesse il concetto di conservare la necessità del titolo dottorale per l'esercizio delle professioni, bisognerebbe modificare addirittura la Costituzione.

Lombardi Giovanni dichiara di votare contro la proposta dell'onorevole Marchesi per le ragioni già dette.

Dossetti dichiara che voterà contro la proposizione, non perché condivida le preoccupazioni espresse dall'onorevole Merlin, circa l'opportunità di aggiungere una nuova norma al testo della Costituzione, ma perché si deve distinguere tra norme che possono far parte propriamente della Costituzione, e norme proprie di una legge speciale. Nel caso in esame si è in presenza di una norma che non solo spetterebbe alla legislazione ordinaria, ma addirittura alla legislazione speciale sull'ordinamento scolastico. Come è stato poi da altri osservato, la norma così formulata sarebbe oscura e difficile, in quanto non si stabilisce il titolo che dovrà sostituire quello dottorale.

Lucifero dichiara che voterà a favore della proposta dell'onorevole Marchesi per i motivi che il proponente ha così bene illustrati e che condivide pienamente. Osserva poi che, oltre ai motivi addotti dall'onorevole Marchesi, di natura scientifica e culturale, ve ne sono altri di natura pratica. Stabilire infatti che agli impieghi dello Stato si possa accedere senza il titolo dottorale, significherebbe non soltanto risolvere un problema nel campo elevato della scienza, ma anche fare un passo verso le classi meno agiate che cercano la loro elevazione attraverso impieghi e professioni libere, e che oggi sono costrette a rovinarsi per mantenere i figli all'Università.

Mastrojanni dichiara di votare contro la proposta dell'onorevole Marchesi, essendo stato eliminato l'inciso riguardante l'accesso ai pubblici impieghi. Concorda con le ultime dichiarazioni fatte dall'onorevole Lucifero, ma osserva che — senza l'inciso — non si verrebbe incontro all'esigenza espressa dall'onorevole Lucifero stesso.

Caristia dichiara che voterà a favore della proposta dell'onorevole Marchesi per le considerazioni esposte e perché, in materia di così alta importanza, gli sembra che si debba dare al legislatore un imperativo preciso. Osserva che oltre ad una questione di dignità, si deve fare una questione di specificazione che egli ritiene assolutamente necessaria.

Togliatti, Relatore, dichiara che avrebbe votato a favore, qualora fosse stato accolto l'emendamento proposto dall'onorevole Mastrojanni. Non essendo questo stato accolto, dichiara di astenersi dalla votazione.

Moro, Relatore, dichiara di astenersi dalla votazione.

(Il comma è respinto con 8 voti contrari, 3 favorevoli e 4 astenuti).

Il Presidente Corsanego fa presente che l'articolo che si propone all'esame della Sottocommissione come terzo, non è più un articolo concordato tra i due Relatori, perché su questo punto gli stessi non hanno trovato una concordanza.

Dà lettura del testo proposto dall'onorevole Marchesi nei seguenti termini:

«L'organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è libera con gli obblighi e i diritti stabiliti dalla legge».

Dà quindi lettura del testo proposto dall'onorevole Moro, così formulato:

«Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione.

«La legge, nel disciplinare le modalità di apertura delle scuole non statali e nello stabilire i requisiti per la parificazione con le scuole statali, deve assicurare alle scuole non statali condizioni di effettiva libertà e agli alunni di esse uguaglianza di trattamento».

Dichiara aperta la discussione sulle due proposte dei Relatori.

Marchesi, Relatore, dichiara che, a suo parere, lo Stato deve lasciare libera la scuola privata di sorgere e di progredire. Ha specificato nella sua proposta che la scuola privata è libera «con gli obblighi e i diritti stabiliti dalla legge», avendo inteso con questo riferirsi a quegli obblighi cui deve sottostare la scuola privata perché lo Stato ne consenta l'esercizio, mentre parlando di «diritti», ha inteso accennare a quei vantaggi che lo Stato possa conferire alla scuola privata, tra i quali anche quello della parificazione.

Fa presente che, d'altra parte, l'esame di Stato parifica già gli scolari delle scuole pubbliche e delle scuole private.

Moro, Relatore, dichiara di aver voluto sancire, nel testo da lui proposto, il principio della libertà della scuola non statale, affermando nella prima parte dell'articolo che «chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione». Ciò è detto anche nell'articolo proposto dall'onorevole Marchesi. Il punto di dissenso, comincia quando si tratta di indicare quali siano gli obblighi ed i diritti ai quali l'onorevole Marchesi accenna con un generico rinvio alla legge.

L'affermare genericamente che le scuole non statali sono riconosciute con gli obblighi ed i diritti sanciti dalla legge non dà garanzia per l'avvenire, che è incerto, e che potrebbe vedere lo Stato italiano nelle mani di persone che abusino della larghezza dei poteri conferiti dalla Costituzione.

Ricorda che nell'ultima riunione era stata presentata dai rappresentanti della democrazia cristiana una formula che fu interpretata in senso assolutamente difforme dal pensiero dei proponenti. In essa si diceva che lo Stato deve assicurare le condizioni per la libertà e «l'efficienza» delle iniziative d'istruzione e di educazione di enti e singoli. Ripete che, parlando di «efficienza», non si postulava alcun intervento dello Stato, non si richiedevano sussidi dallo Stato per rendere efficienti le scuole, ma si richiedeva semplicemente la garanzia di una effettiva libertà.

Fa presente che, nel secondo articolo approvato nelle prime riunioni, si è affermato che lo Stato deve assicurare di fatto condizioni di uguaglianza a tutti i cittadini, riconoscendo che la libertà astratta nei regimi democratici, non è sufficiente[i]. A ciò alludeva la formula ieri proposta, nella quale si voleva parlare soltanto di effettiva libertà, niente altro che libertà, ma libertà concreta.

Altro criterio per il legislatore è l'affermazione che gli alunni delle scuole private devono avere garantita l'uguaglianza di trattamento con quelli delle scuole di Stato. Con ciò si tende ad una meccanica ed automatica uguaglianza, perché la legislazione dovrà disciplinare l'istituto della parificazione nel senso detto. Si è già assicurato il criterio dell'uguaglianza stabilendo l'esame di Stato, ma si dà ancora un'altra norma per evitare che si pongano ingiustificate discriminazioni che feriscano di fatto la libertà e l'efficienza delle scuole non statali. Conclude asserendo che la formula da lui proposta non è una norma strettamente giuridica, ma piuttosto un orientamento etico e politico per il futuro legislatore.

Lucifero dichiara di non poter accettare l'articolo proposto dall'onorevole Marchesi, perché esso si richiama a leggi speciali alle quali è stato sempre contrario.

Accetta come base di discussione la formula proposta dall'onorevole Moro, ma ha trovato motivo di perplessità nelle dichiarazioni dell'onorevole Moro quando ha parlato di indirizzi etico-politici da dare al legislatore. Ripete che, a suo parere, la Costituzione è un documento che detta norme positive e non orientamenti etici e politici che possono essere integrati a seconda delle varie ideologie. Osserva che, dopo aver affermato che chiunque può aprire scuole, nel capoverso si annulla questa affermazione, dicendo che l'apertura di scuole o di istituti di educazione è disciplinata da una legge la quale ne stabilisce le modalità. È contrario a qualunque ingerenza da parte dello Stato, anzi dichiara che l'unica anarchia che ammette è quella nel campo della scienza, la quale per affermarsi e svilupparsi ha bisogno di un'assoluta libertà.

Pertanto, fa le più ampie riserve sul capoverso dell'articolo proposto dall'onorevole Moro, ed invita l'onorevole Moro stesso a tradurre in una formula giuridica il suo intendimento etico e politico.

Lombardi Giovanni osserva che l'articolo proposto dall'onorevole Moro riecheggia eccessivamente i motivi giobertiani. Secondo tale formulazione la scuola pubblica non potrebbe che perire di fronte alla caterva delle scuole clericali che sorgerebbero in Italia. Dichiara che la completa parificazione e la libertà quasi indifferenziata delle scuole private non potrà mai essere accettata da un uomo di spirito laico quale egli si ritiene. Accetta pertanto la formula dell'onorevole Marchesi.

Grassi si dichiara favorevole alla formula proposta dall'onorevole Moro. Riconosce che nella seduta precedente la proposta democristiana aveva destato giustificate preoccupazioni, perché aveva fatto pensare che con essa si volesse addossare allo Stato l'onere di sussidi finanziari a favore della scuola privata, che sarebbe risultata da una parte sorretta e dall'altra appaltata dallo Stato. Ora, invece, i dubbi sono stati chiariti nel senso che si chiede una situazione di uguaglianza e un giusto riconoscimento della scuola privata, ammettendo che tutti gli insegnamenti saranno sottoposti alla vigilanza dello Stato, che provvederà con norme generali.

Mastrojanni domanda all'onorevole Marchesi se nella formula dell'onorevole Moro intravede qualche cosa che possa contrastare con le disposizioni eventuali degli obblighi e dei diritti stabiliti dalla legge. Se la formula dell'onorevole Moro rientra in quelle garanzie di libertà che nessun legislatore potrà mai negare in coerenza con lo stesso principio ammesso dall'onorevole Marchesi, ritiene che il punto di accordo tra le due formule sia già raggiunto.

Marchesi, Relatore, dichiara che, fino a che l'articolo parla di effettiva libertà, non vi è dissenso od opposizione da parte sua; ma là dove si parla di uguaglianza di trattamento tra gli alunni delle scuole private e quelli delle scuole statali, non può assolutamente consentire, in quanto ritiene che il riconoscimento dei titoli legali di studio debba spettare soltanto alle scuole di Stato.

Mastrojanni fa presente che questo è già stato detto quando si è affermato che l'ammissione agli istituti superiori e l'abilitazione professionale vengono conferite mediante esame di Stato.

Marchesi, Relatore, precisa che, oltre al passaggio ad istituti superiori ed all'esame di abilitazione professionale, vi sono certificati di studio o promozioni da una classe all'altra che pure hanno una certa validità legale e che in tal modo potrebbero essere rilasciati soltanto da istituti parificati.

Mastrojanni dichiara che, se è solo questa l'obiezione dell'onorevole Marchesi, si potrebbe inserire nell'articolo qualche cosa che consenta allo Stato di intervenire nel passaggio tra le varie classi scolastiche. Non vede pertanto motivo di insanabile dissenso in materia.

Dossetti osserva all'onorevole Mastrojanni che, invece, il dissidio è profondo, in quanto si tratterebbe di fare alla scuola privata una situazione deteriore rispetto alla scuola di Stato. Oggi una scuola di Stato parificata è soggetta, come tutte le scuole, all'esame di Stato, ma può dare titoli di promozione da una classe all'altra; la norma invece che l'onorevole Marchesi vuole introdurre è diretta a colpire questa situazione odierna.

Cevolotto osserva che l'emanazione di determinate norme in materia scolastica è necessaria, poiché non è possibile che non vi sia una legge speciale che regoli l'ordinamento scolastico. È vero che vi sono dei casi in cui la Costituzione non deve rinviare alla legge ma dettare norme precise; ma è impossibile evitare che una legge speciale regoli la pubblica istruzione. Infatti, se si rilasciasse a chiunque la libertà di aprire scuole private, si potrebbe verificare il caso di licenziati da un liceo classico che non abbiano imparato il latino e il greco.

Fa rilevare inoltre che con il capoverso in cui si parla di «condizioni di effettiva libertà agli alunni di essa ed uguaglianza di trattamento» si viene a dire che gli alunni di scuole private che non hanno ottenuta la parificazione devono avere le stesse condizioni di trattamento di quelli delle scuole parificate.

Dossetti precisa che, quando si dice «stabilire requisiti», risulta evidente che le scuole non parificate non avranno la parità di trattamento giuridico.

Cevolotto fa presente che, anche chiarito che il comma si riferisce soltanto alla scuola privata parificata, resta il fatto che quando si dice: «agli alunni di essa è conferita eguaglianza di trattamento con quelli delle scuole dello Stato», ciò significa anche uguaglianza di trattamento dal punto di vista economico. Ora egli ritiene che, essendosi stabilito che vi è un diritto da parte del singolo di essere aiutato per compiere gli studi se dimostri particolari meriti, lo Stato debba dare sussidi, agevolazioni e borse di studio soltanto a quegli alunni che frequentano le scuole pubbliche.

Grassi osserva che la questione sollevata dall'onorevole Cevolotto è superata. Il fatto che le borse di studio vadano ai meritevoli non riguarda più la scuola pubblica, ma l'insegnamento. Siccome si è affermata la libertà del singolo, non si può negare l'aiuto a chi ne è meritevole.

Marchesi, Relatore, domanda quale garanzia potrà avere lo Stato circa i meriti degli alunni delle scuole private.

Cevolotto rileva che tutte e due le formule in esame rimandano a una legge particolare, e non è possibile fare differentemente. Né vale dire che della legge particolare non ci si fida in quanto può essere frutto di una maggioranza faziosa che ottenga il Governo, perché, se dovesse andare al potere un Governo totalitario, questo modificherebbe sia la Costituzione sia le leggi facendo quello che vuole. Si deve presumere che si resti nell'ambito della democrazia. Conclude proponendo che la formula dell'onorevole Moro venga limitata all'espressione «deve assicurare condizioni di effettiva libertà», tralasciando la parte riguardante la parificazione del trattamento degli scolari.

Mancini domanda all'onorevole Moro di chiarire in qual modo lo Stato può garantire praticamente agli alunni uguaglianza di trattamento.

Moro, Relatore, ripete di aver usato l'espressione nell'intento di dare al legislatore un indirizzo etico-politico. Chiarisce che per indirizzo etico-politico non intende dire qualche cosa di extra-giuridico, ma di esprimere la ratio legis, cioè il modo col quale una norma si inserisce in un determinato ambiente sociale. Il legislatore futuro, nell'atto in cui disciplinerà questa materia (riconoscimento dei titoli legali di esame, passaggio da una classe all'altra), potrà, attraverso opportune provvidenze, garantire quel tanto di controllo che è necessario per lo Stato, e assicurare in linea di principio una parità di trattamento non meccanica, ma adeguata alla concreta situazione.

Mancini non si dichiara soddisfatto della spiegazione dell'onorevole Moro.

Moro, Relatore, aggiunge di non ritenere difficile per il legislatore garantire questa uguaglianza di trattamento: il legislatore potrà ugualmente garantire un'effettiva libertà della scuola privata ed una parità di trattamento, pur garantendo tutti i diritti dello Stato.

Grassi osserva che l'onorevole Moro fa una questione di ordine generale, mentre l'onorevole Mancini fa una questione specifica. L'osservazione che ha fatto l'onorevole Cevolotto, invece, riguarda una questione concreta, perché egli si è domandato se lo Stato, che dà borse di studio allo scolaro più capace per aiutarlo, darà queste borse anche allo scolaro privato.

Marchesi, Relatore, torna a chiedere come si potrà provare la capacità dell'alunno delle scuole private.

Il Presidente Corsanego prega il segretario onorevole Grassi di fare un ultimo tentativo, per vedere se è possibile trovare e presentare nella seduta di domani una formula che contemperi le esigenze dell'una e dell'altra parte, e sulla quale possano convergere i voti della Sottocommissione.


 

[i] L'articolo a cui si riferisce l'onorevole Moro è quello approvato l'11 settembre 1946 e riportato a commento dell'articolo 3.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti