[Il 22 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Calosso. [...] Passo al problema della scuola. Mi pare che sia stato impostato troppo giuridicamente. Non che sia sbagliato, ma non è elegante la nostra impostazione: scuola privata, scuola di Stato. Diciamo pure: scuola cattolica e scuola di Stato. Ora io posso accettare questa impostazione, ma la trovo superficiale. Abbiamo discusso fino adesso e, salvo eccezioni, come quella di ieri data dal meraviglioso discorso dell'onorevole democristiana Bianchini Laura, discorso intelligente e potente, non abbiamo parlato dell'educazione del Paese, dopo un disastro morale, oltre che bellico. Cosa curiosa! È avvenuto che i cattolici, compresi quelli di denominazione musulmana, hanno sostenuto la libertà della scuola, e ciò era imprevedibile, a dire il vero, perché quando hanno avuto in mano lo Stato confessionale — qui, a Roma, c'è stato per secoli lo Stato della Chiesa — questa libertà non c'è stata e questo Stato era il più malgovernato di Europa, aveva la più alta percentuale di omicidi e di briganti, ed il più alto grado di corruzione. Perché? Se fossi cristiano positivo direi che Gesù Cristo avendo detto di dividere i due poteri e di non avere uno Stato della Chiesa, ha voluto provare il suo detto facendo dello Stato della Chiesa il più mal governato d'Europa: Ora quando i cattolici politici hanno avuto in mano lo Stato non hanno dato la libertà della scuola.

D'altra parte, è strana anche la tesi nostra, la tesi delle sinistre a favore della scuola di Stato, perché il marxismo è violentemente antistatalista. Esso pensa addirittura che lo Stato un giorno finirà, sarà abolito, e quindi fin da oggi è una cosa che va almeno sospettata. Lo Stato può essere soltanto un male necessario, ma usato per fini precisissimi. Per esempio, se vogliamo fare una socializzazione per mezzo di Enti autonomi, adoperiamo, ma malvolentieri, la forza dello Stato. Ma per compensare a questo diamo allora più che possiamo tutte le libertà. Invece voi quasi pensate che la libertà della scuola sia un vostro patrimonio. È mal posta la questione. Perché? Qui non si riesce a parlare perché abbiamo un'aula più ampia della Scala, mentre a me pare che sarebbe più logico sacrificare gli scanni e i banchi, stare in un'aula molto più piccola, e riuscire a parlare. È il nostro spirito giuridico, in certo senso, che ci porta a questi errori, il cui sottinteso è sempre l'eccesso di spirito giuridico e formale che ci guida.

Che cosa dovrebbe essere al centro della discussione? Il problema educativo. Non scuola di Stato o scuola — come dire? — scuola dei preti, come si dice in termini volgari. La nostra impostazione generale è stata sbagliata. Faccio eccezione, per qualcuno che io posso non aver sentito, e certamente per il meraviglioso discorso di ieri della onorevole Bianchini, sotto la cui egida vorrei mettere tutti i democristiani presenti e specialmente quelli di fuori (non so se vi sia offesa dicendo questo). È buona la scuola di Stato? È buona la scuola cattolica? Questo è il punto fondamentale, perché se avessimo una cattiva scuola di Stato, o una cattiva scuola cattolica, dovremmo abolirla. Non possiamo sostenere una cattiva scuola di Stato o una cattiva scuola cattolica. In realtà, in Italia, le due scuole sono molto cattive.

Scuola di Stato: guardate un po' che strana scuola!

Io sono stato insegnante a lungo, e mi sono appassionato all'insegnamento. Osservo che il corpo insegnante italiano, specialmente i professori della scuola media, che devono provvedere all'educazione di ragazzi che si trovano in una età critica, non escono da una scuola apposita di educazione. Uno sa insegnare la consecutio temporum, un altro sa insegnare i logaritmi, un altro è versatissimo in geografia; ma è chiaro che questi uomini saranno sempre mediocri davanti ai ragazzi se non sapranno veramente eccellere in un punto, il punto educativo: superiorità che i ragazzi capiscono d'istinto. Per ottenere la fiducia dei ragazzi, gli insegnanti devono essere anzitutto degli educatori. C'è un tecnicismo dell'educazione che deve necessariamente uscire da un magistero tecnico dell'educazione.

I tecnici dell'educazione devono portare i ragazzi alla conquista di un proprio carattere, di una propria autonomia personale. Ora gli insegnanti, non soltanto non escono da un magistero tecnico dell'educazione, ma neanche studiano materie del genere. Solo i maestri elementari studiano la pedagogia, ma è uno studio che rientra nella filosofia e non ha niente a che fare con l'educazione pratica e nemmeno con la didattica.

Si tratta, dunque, di un problema pratico: come educare il bambino e come avere un corpo insegnante efficiente e ben retribuito. Soltanto risolvendo questo problema avremo uno strumento per rialzare il carattere degli italiani dopo la rovinosa batosta della guerra. Bisognerebbe riformare la scuola magistrale, abolire la pedagogia, abolire lo studio dell'«io» e del «non io». Ricordo una ragazza che studiava da maestra e non capiva come si volesse fare di lei un'educatrice ponendole il problema dell'«io» e del «non io», del cavallo che è io, dell'io che sono il cavallo, ecc. (Si ride). Occorre una scuola magistrale in cui si insegni soprattutto come arrivare alla personalità del bambino, come educarlo ad avere il suo carattere e la sua autonomia. E non è che non lo si possa fare. Basta essere vissuti un poco a contatto con chi sa educare, e ci sono interi popoli che sanno educare.

Ricordo un esempio. In una scuola italiana all'estero una insegnante, scontenta che i suoi ragazzi fossero troppo eccitabili, ebbe un'idea. Lesse e dettò loro per tre volte i versi di Dante su Farinata: «...non mutò aspetto, Né mosse collo, né piegò sua costa». Spiegò loro che questo tipo di uomo dantesco è il tipo dell'uomo italiano, che dimostra la sua vitalità nella forza contenuta e nella calma senza gesti. Evidentemente questo era il contrario di quello che insegnava il duce. Spiegò che l'eccitazione non è da forti. Trovandosi in un ambiente straniero, dove non era piacevole avere dei ragazzi eccitabili, questa insegnante parlò dunque di Farinata come dell'esempio da imitare. Naturalmente l'insegnante era antifascista, e fece capire come nel tipo dell'italiano diverso da Farinata c'era un po' del duce. Poi ogni sabato nominava il Farinata della classe, il più forte, il più energico, il più calmo, e gli dava in regalo una torta di farinata. Un'idea semplice, come vedete. Consiglio al Ministro dell'istruzione, se trova una maestra di questo genere, di farla ispettrice, e — perché no? — di lasciarle il posto di Ministro dell'Istruzione, perché la donna che ha inventato questa piccola cosa è un genio nel campo educativo.

Un giorno, due anni fa, al Ministero dell'istruzione domandai: «C'è qualcuno qui che si interessa di questi problemi?» Mi si rispose: «Qui siamo tutti giuristi».

Ed io credevo che al Ministero anche il portiere fosse un appassionato dei problemi dell'educazione!

Ho sentito con gran piacere la onorevole Bianchini, che è un'appassionata dell'educazione, il che non è un delitto, nemmeno per quei colleghi del centro che mi hanno spesso interrotto... (Interruzioni — Rumori — Scambio di vivaci apostrofi fra l'onorevole Giacchero e l'onorevole Calosso).

Presidente Targetti. Onorevoli colleghi, prego di moderare le espressioni.

Calosso. Io quando usai delle espressioni forti, lo feci contro quelli che uscivano senza avermi ascoltato.

Chi mi apostrofa non è colpevole di insulto, ma di sordità a questi problemi.

Giacchero. Sono lieto di essere sordo a quello che lei dice.

Calosso. Dicevo, dunque, che l'onorevole Bianchini si è interessata a questo problema, che potrebbe essere risolto anche senza soldi.

Se noi desideriamo che i maestri studino «educazione» in questo senso, ci vorrebbe un piano studiato da sette o otto uomini che se ne intendano.

I professori potrebbero venire da un magistero; non sarebbe cosa impossibile, la si potrebbe attuare anche subito. Per esempio, i professori giovani potrebbero essere reclutati, esigendo che siano anche degli sportivi, che sappiano giocare al calcio o altro coi loro allievi; e sarebbe cosa facile da farsi. Naturalmente, giovani dotati di vocazione educativa.

I maestri potrebbero venire da una scuola magistrale educativa; sarebbe fattibile.

Di questo nessuno si è interessato. Spero che la Costituente — e l'onorevole Bianchini ci aiuterà — faccia qualcosa in questo senso.

Una voce. Rifacciamo la Farnesina.

Calosso. Io ho parlato di Farinata degli Uberti. Lei ha mai visto una cosa simile in regime fascista?

Nella scuola di Stato il problema educativo è ignorato. Nelle mie esperienze, ho avuto ottimi professori; erano capacissimi in storia o altro, ma spesso sordi al problema educativo e comunque non allenati. Mi sono trovato all'esame di Stato, a quell'esame di stato che l'onorevole Longhena giustamente ha attaccato.

Pensate cosa è l'esame di Stato: tutto lo scibile umano, tutta la letteratura italiana, greca, latina, tutte le date della storia umana, compreso Bernabò Visconti; tutta la fisica, l'elettricità, ecc. Un ragazzo a 18 anni deve spifferare tutto questo.

Si rovina il carattere con la troppa sapienza; lo diceva il Vico. L'Emilio di Rousseau non dice che questo, proponendo che fino ai venti anni il giovane non legga che un solo libro: il Robinson Crusoé.

I nostri programmi dovrebbero essere ridotti ad un terzo.

Tutti da noi studiano latino, ma nessuno, neppure tra i professori, lo sa parlare. Ho visto in Inghilterra dei ragazzi che studiano un quarto di quello che studiamo noi. E tuttavia un premier, Baldwin, parlando ogni anno alla radio ai ragazzi della licenza media, disse queste parole: «Ringrazio la Provvidenza perché benedisse il ragazzo inglese con una impermeabilità all'apprendere». E noi mandiamo in giro gli ispettori perché si accertino che si è svolto tutto il programma, tutto quell'enorme programma! Noi dovremmo mandare in giro degli ispettori, siccome dobbiamo tirare la vetta dell'albero in senso contrario, dovremmo mandare per un anno o due degli ispettori per vedere quali parti del programma i geniali insegnanti hanno deciso di non insegnare. Questa è la verità.

Queste riforme sono fattibili subito, senza soldi. Se noi volessimo venire incontro alla scuola elementare e alla scuola media, potremmo avere già il bilancio pronto, qualora dicessimo che le spese scolastiche non possono essere mai inferiori a quelle militari. Con questo non diciamo niente di male delle spese militari. Se noi ancorassimo le spese militari alle spese scolastiche — è una cosa che si potrebbe fare oggi dopo la lezione avuta, e se non la prendiamo sul serio questa lezione è perché siamo uomini poco vivi — se noi decidessimo che le spese scolastiche devono essere uguali a quelle militari, faremmo una cosa veramente interessante. E questo lo proporrà il Partito socialista dei lavoratori italiani a un altro «Titolo» della Costituzione.

Questa è la scuola di Stato, assolutamente negativa. Quando ero esaminatore di Stato, mi arriva un giorno all'esame una ragazza che, siccome aveva dovuto studiare Bernabò Visconti, H2 SO4, e quelle altre cose infinite, era bianca in viso. Aveva dovuto studiare tutta la notte per non dimenticare la formula dell'acido nitrico, ecc. Era pallida come una morta ed io le dissi: «Signorina, lei ha dato già prova di conoscere la difficoltà dell'esame. Lei secondo Socrate è già sapiente. Le garantisco il sei. Non avrà meno di sei e tutto quello che dirà sarà per aumentarle il sei». Ella rifiorì subito in volto e fece un bellissimo esame. Disgraziatamente, poi arrivò al professore di storia che le chiese chi era Bernabò Visconti. Lei non ricordava, nell'universo delle cose che doveva conoscere, chi era Bernabò Visconti. Non lo sapeva. E fu rimandata perché non sapeva chi era Bernabò Visconti!

Questa è la scuola di Stato! Perciò, quando l'onorevole Longhena suggerisce di eliminare l'esame di Stato, ha ragione. È vero che il ragazzo deve essere interrogato con esattezza e durezza, ma su un piccolo programma e da colui che lo conosce, cioè dal suo professore. Invece lo facciamo giudicare da quelli che non lo conoscono. Ora, non si può improvvisare un giudizio su un ragazzo che non si conosce; quindi, dovrebbe essere interrogato dai suoi professori. Sono d'accordo con l'onorevole Longhena.

Ora viene la scuola cattolica.

Si dice scuola privata, ma si pensa alla scuola cattolica, perché se la scuola privata l'avessero altri enti non ci sarebbe questa reazione. Questa è la verità. Ora, questa scuola cattolica quale è? In fondo, è giusto che si voti contro una scuola che serve a preparare dei voti ad un partito; così avviene da quando l'«Azione cattolica» ha preso posizione per un partito, e ha detto di votare per un partito.

A parte questo che è secondario — chiudiamo un occhio anche su questo — c'è da domandarsi: sono buone o cattive queste scuole? Il giudizio non è facile, e vi sono da fare delle eccezioni; per esempio la scuola salesiana, che è stata creata cento anni fa, alla vigilia del sorgere della grande industria a Torino. È una scuola che fu fatta quando la città aveva perso la sua corte e stava per trasformarsi in città industriale; è sorta per merito del genio di Don Bosco. Ho visto nel resoconto sommario che mi si fa gridare una interruzione contro Don Bosco. Non so più dove siamo! Se si può, se non è contro a qualche legge, mi si faccia il piacere di far correggere il resoconto sommario, nel quale si dice che ho fatto un'interruzione alla onorevole Bianchini contro Don Bosco. Don Bosco è un genio tra gli educatori. Lasciamo andare la storiella, a cui non tutti possono credere, del suo sacchettino da cui estraeva castagne in perpetuo per gettarle ai ragazzi: questo però per lo meno è un simbolo, come la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Don Bosco era un educatore nato, ed ha realizzato questa grande idea di creare una scuola di lavoro in una città che, dopo poco, si sarebbe trasformata in una grande città industriale. Perciò la scuola salesiana ci dà l'idea della scuola di lavoro. Noi abbiamo trascurato il lavoro nella nostra Costituzione.

Questo, dunque, è un tipo di scuola benemerita. Io non posso parlare di tutte le scuole cattoliche perché non le conosco, ma di quelle che conosco. Dai nove ai dieci anni fui in una cattiva scuola di preti, ma presto mi cacciarono via. Ricordo bene come ciò avvenne, ma non voglio farvi delle confessioni e non ne parlo.

Queste scuole, dunque, sanno che devono educare e in questo sono migliori delle scuole di Stato; ma educano male.

In fondo il tipo medio delle scuole cattoliche italiane è il tipo tradizionale gesuitico, al quale il Manzoni era contrario e lo disse in prosa e in versi. «La fetente mangiatoia» chiama il collegio in cui fu educato ed usa frasi anche più gravi. Manzoni fu uno scolaro ribelle. Ora questa scuola ha come ideale, diciamo così, San Luigi Gonzaga (Commenti). Aspettate un momento, perché non offendo quelli che coltivano San Luigi Gonzaga; intendo non il San Luigi Gonzaga storico, di famiglia guerriera di Mantova, quindi probabilmente un temperamento di guerriero, ma quel falso San Luigi Gonzaga che ho sentito pregare da ragazzo e che è portato dal gesuitismo come l'ideale di un collo torto — che veramente in effetti non era — del quale ho sentito dire che per vedere la Madonna in Paradiso come prima donna vista, non voleva guardare ad altre donne, neanche a sua madre. C'è un complesso freudiano in tutto ciò. Nella scuola cattolica questo San Luigi Gonzaga, così come è predicato, porta un complesso freudiano, un complesso d'ipocrisia, di collo torto; è qualche cosa di antitetico a quello che l'abate Parini ci ha annunciato nell'Educazione, poesia che fu scritta precisamente in antitesi a questo tipo di scuola. Era un abate anche lui: noi non l'abbiamo contro i religiosi, l'abbiamo contro alcuni di essi. Ora queste scuole depotenziano il Paese, mancano di sincerità, hanno il collo torto e non possiamo quindi vedere bene queste scuole. Siamo quindi di fronte a due scuole cattive, quella dei preti e quella di Stato.

Dominedò. Ricordi gli uomini usciti dalla scuola dei gesuiti.

Calosso. In tanti secoli di monopolio gesuitico delle scuole medie in mezza Europa, ne uscì un solo uomo di fama universale; e questo uomo fu Voltaire. Comunque, il problema sarebbe un altro. Non troverei niente di straordinario se, come hanno fatto i socialisti inglesi, si finanziassero tutte le scuole buone. Ho visto qui a Roma una piccola scuola Montessori, una scuoletta nella quale c'era una calma assoluta in tutti quei piccoli ragazzi, che non erano né timidi né sfacciati. Ho subito detto: questa scuola è riuscita, è il miracolo di questa calma senza debolezza: occhi limpidi che guardano senza sfacciataggine e senza umiltà.

Quindi giudichiamole una per una le scuole. Non avrei niente in contrario che si dicesse che si finanziano tutte le scuole buone, non quelle cattive. Siccome ci vogliono i soldi del contribuente, il contribuente, cioè lo Stato, come è adesso, deve giudicare se la scuola è buona o cattiva. Ci sarà una legge dello Stato e le scuole cattive saranno chiuse. Quasi tutte probabilmente. Se c'è una scuola cattolica buona, si daranno i denari: ai Salesiani, per esempio. Mi pare che questa dovrebbe essere la soluzione. Ma noi non abbiamo, mi pare, affrontato il problema dal suo angolo giusto, e quindi è molto difficile tornare indietro: quello che è stato, è stato.

C'era nel Manzoni uno schema di critica al tipo di scuola che io chiamerei — non so come, chiamarla — «clericale». Nella brutta copia dei Promessi Sposi che si chiama Gli Sposi Promessi, si parla dell'educazione di Geltrude, e si mostra come essa fosse stata educata male in un collegio di monache, perché — dice lui — non si muovevano abbastanza, facevano poco sport. Non sono parole mie; nelle scuole cattoliche moderne questo non succede più, probabilmente. Pregavano in una lingua incompresa — dice il Manzoni — per cui non vivevano la vita della Chiesa. Ed aggiunge diversi altri punti per dimostrare che questa scuola non funzionava.

Penso che dovremmo orientarci nella pratica senza troppe teorie; dovremmo provare, in fondo, un sentimento negativo verso due tipi di scuole cattive e soprattutto e qui è il punto centrale che la onorevole Bianchini ha trattato con tanta intensità — cercare l'attitudine educativa. Questa non si trova necessariamente in chi è uscito da una scuola: la si può trovare dappertutto, diceva la onorevole Bianchini. Io stesso so che al mio paese c'è una vecchia donna — e con questo finisco — una buona cristiana a cui era morto il marito, credo; le era venuta una specie di mania religiosa contro cui reagiva il parroco del paese; pregava sempre in piedi e ogni tanto, mentre pregava, quando alzavano l'Ostia, diceva di sentirsi sollevare un paio di dita dal suolo. Trattandosi di poche dita, io non lo voglio escludere; ma il buon parroco diceva che non era vero ed io ero il solo a difenderla. Questa donna, non ostante questa innocente piccola mania religiosa, sviluppò un'attitudine organizzativa straordinaria, insieme a qualche piccola taumaturgia medica; sapeva anche come si trattano i morti: cosa difficile; noi non lo sappiamo, per esempio. Questa donna aveva messa su una scuoletta — lei che non sapeva quasi né leggere né scrivere; aveva fatto, mi pare, la terza elementare — che funzionava.

Era cioè una donna che aveva attitudini educative. Che cosa facciamo noi di questa donna in questo benedetto Stato? Perché non la facciamo insegnare senza diploma?

Io vorrei che tutti ci accordassimo — come ci siamo accordati io e la onorevole Bianchini, democristiana — nell'apprezzare questa umile donna. (Applausi a sinistra. Congratulazioni).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti