[Il 10 maggio 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».]

Presidente Terracini. [...] Gli onorevoli Corbi, Pajetta Giuliano, Mattei Teresa e Bitossi hanno proposto il seguente articolo 32-bis:

«È proibito il lavoro salariato dei minori di anni 16. La Repubblica tutela il lavoro dei minori di anni 21 con speciali norme di legge e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».

L'onorevole Corbi ha facoltà di svolgerlo.

Corbi. Onorevoli colleghi, desidero richiamare la vostra attenzione su una lacuna, a parer mio grave, che si riscontra in questo progetto di Costituzione che altri colleghi hanno invece criticato perché ad essi sembrava che esso troppo indulgente fosse stato nell'accogliere questioni di dettaglio, sicché questo progetto — più che una Carta costituzionale — parrebbe una raccolta di leggi ordinarie.

Infatti questo progetto di Costituzione, non si occupa in nessun modo dei giovani lavoratori. È vero che dei giovani si è parlato quando si è trattato della scuola, ma si sa che non tutti i giovani in Italia hanno la possibilità e la fortuna di essere studenti — anche quando lo vorrebbero — e che vi sono in Italia su sei milioni di iscritti ai sindacati circa un milione e mezzo di giovani lavoratori. Di qui l'urgenza, la necessità, di disciplinare e di garantire il lavoro dei giovani così come si è fatto per gli adulti, così come si è fatto per le donne.

Il problema dei giovani — si sa — non è un problema di oggi, non è un problema solo di questo dopo guerra, poiché è noto come il capitalismo nella sua ascesa sia passato su milioni di corpi tutto proteso verso il profitto egoistico che non conosce scrupoli e che non conosce ostacoli anche quando questi ostacoli siano costituiti da giovani vite. Basta rifarsi, per rendersi conto di ciò, alla letteratura, abbondante in materia, italiana e straniera. È certo che i giovani lavoratori, insieme alle donne, hanno sempre costituito quella riserva da cui il capitalismo...

Veroni. C'è la legge sul lavoro dei minori!

Presidente Terracini. Onorevole Veroni, non interrompa. È da supporre che l'onorevole Corbi conosca l'esistenza di quella legge.

Corbi.... da cui il capitalismo attingeva per aumentare i suoi profitti e per fiaccare la resistenza del fronte dei lavoratori.

Orbene, io credo che se ai giovani non vengono riconosciuti certi diritti, gli stessi diritti che sono stati riconosciuti alle donne lavoratrici diverrebbero inefficaci, perché gli imprenditori troverebbero il modo di utilizzare i lavoratori giovani, anziché sottomettersi a quelle disposizioni che garantiscono il lavoro delle donne.

Quindi è necessario rendere giustizia ai giovani lavoratori. Esiste una legge che protegge il lavoro dei giovani, ed è la legge del 26 aprile 1934, ma chi osa negare che essa è la più arretrata fra quelle esistenti in tutti i paesi capitalistici? E purtroppo questa legge, nonostante tutte le sue imperfezioni, non viene neppure rispettata. Basta andare nelle nostre campagne e sopratutto nel Mezzogiorno, dove più acuto è il problema, per rendersene conto. Guardate i salari che si pagano in Italia. Oggi gli spazzini di Bari hanno 11 lire al giorno; i dipendenti del commercio hanno 55 lire al giorno, più 76 di contingenza. I giovani lavoratori delle miniere, che compiono un lavoro faticosissimo e pericolosissimo, un lavoro che distrugge la loro vita fin dai primi anni, nel periodo dai 16 ai 18 anni di età hanno un salario di 55 lire. Così avviene per i chimici e per altre numerosissime categorie di giovani che lavorano nelle risaie, nelle campagne e nelle fabbriche.

Bisogna migliorare le condizioni di lavoro e di vita che vengono fatte a questi lavoratori, anche per salvarli dalla tubercolosi. Pensate che il 72 per cento dei giovani tubercolotici, dalle recenti statistiche, risulta appartenere a giovani lavoratori. È un fatto doloroso, triste, ed è un'altra delle eredità lasciate dal fascismo. Ma non solo, badate, questa è conseguenza del fascismo; è la conseguenza di un sistema sociale, che dobbiamo mutare non solo nell'interesse di tante giovani vite, ma nell'interesse nazionale, perché questi giovani sono i futuri lavoratori, i futuri dirigenti del nostro paese. E potrei fare un lungo elenco di dolori, di miserie e di ingiustizie, riferendomi per esempio ai braccianti di Andria, di Minervino, di Cerignola. Giovani che mai si accorgeranno di essere stati tali, che hanno disimparato a sorridere a nove, a dieci anni di età; giovani che restano per ore intere accosciati lungo le strade, nell'attesa e nella ricerca del lavoro; nella speranza che un padrone venga a «comprarli». Strumenti di lavoro, considerati come animali, come bestie da soma. Così accade anche nella fabbriche, così accade ad esempio nelle vetrerie, nelle acciaierie della Terni, nella Borsalino. In tutte le fabbriche questi giovani lavoratori sacrificano non soltanto quanto ad essi compete per il lavoro che compiono, ma anche la possibilità di vivere come cittadini; sacrificano la loro gioia, la loro gioventù, il loro diritto alla vita. Dobbiamo affrontare questo problema e dobbiamo risolverlo, per tutti: per i giovani operai, per i contadini e per le mondariso che non conoscono condizioni di vita degne di una società civile, moderna. So che solo in seguito sarà possibile fare leggi apposite per disciplinare la materia; aprire numerose scuole professionali per dare a questi giovani un mestiere e farne cittadini e lavoratori rispettati. Ma io credo che per ora noi possiamo accontentarci di questo articolo aggiuntivo che io, assieme ad altri colleghi, ho proposto; e che vuole essere un impegno, un dovere per i legislatori che dovranno rendere giustizia, non soltanto ai giovani, ma alla nostra, alla loro propria coscienza. Questo deve essere, io credo, il compito dei costituenti di oggi. Il fascismo ha usato per lunghi anni uno slogan, che diceva: «largo ai giovani»; ma abbiamo visto come questo largo intendeva farglielo nelle trincee d'Africa e d'Europa, nei cimiteri, nei tubercolosari. Noi dobbiamo dimostrare con i fatti che la Repubblica vuole aprire ai giovani le vie della fabbrica, della scuola, della vita. Per questo, o colleghi, mi auguro che questo articolo aggiuntivo non raccolga soltanto l'adesione di una parte dell'Assemblea, ma raccolga l'adesione entusiasta della totalità dei deputati. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. All'articolo aggiuntivo proposto dall'onorevole Corbi è stato presentato il seguente emendamento dagli onorevoli Cingolani, Taviani, Moro, Medi, Dominedò, Valenti, Colonnetti, Jacini, Ferrarese, Rescigno:

«1°) Trasferire l'articolo 32-bis proposto dagli onorevoli Corbi, Pajetta Giuliano, Mattei Teresa e Bitossi all'articolo 33 come secondo comma;

«2°) Sostituire all'espressione: «È proibito il lavoro salariato dei minori di anni 16» la seguente: «La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato».

L'onorevole Cingolani ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Cingolani. Onorevoli colleghi, veramente sono un po' titubante a prendere la parola per un motivo di carattere generale. Io vedo con molto dolore rotta una consuetudine di correttezza parlamentare e giornalistica per la quale nel passato quelle che erano le nostre deliberazioni qui dentro e le impostazioni che davamo alle nostre discussioni venivano dalla stampa riprodotte, grosso modo, fedelmente, pur con la intonazione politica differenziata di ciascun gruppo politico. Dopo la discussione di ieri, l'eco di alcuni organi della stampa è stata tale da trasformare quello che è stato qui dentro un conflitto ideologico e pratico insieme. Ma nessuno dei votanti, pro o contro l'ultima mozione Pajetta-Montagnana, ha inteso negare quelli che sono i diritti del lavoro, come è stato affermato in alcuni giornali, mentre l'Assemblea tutta è stata unanime nell'affermare a suo tempo i diritti del lavoro. E dico ciò perché anche in questo argomento noi, che dissentiamo dall'onorevole Corbi nel dettaglio del suo emendamento, non vogliamo che domani si dica che siamo stati contro la regolamentazione del lavoro dei minori. Tutti invece qui dentro abbiamo inteso il patos che ha riscaldato la parola dell'onorevole Corbi.

Non possiamo dimenticare che l'inizio della legislazione sociale in tutto il mondo si è avuto proprio per questo grido di dolore, che veniva da tutti quei luoghi di produzione, nei quali era occupata la mano d'opera minorile e femminile.

Il lavoro della donna e del fanciullo è stato il primo oggetto delle cure e delle premure di quanti si sono dedicati alla redenzione del popolo lavoratore.

Fin dalla fine del secolo XIX sempre si sono uniti insieme il tentativo di tutelare il lavoro delle donne e quello di tutelare il lavoro del fanciullo.

Chi di noi ha partecipato, sia pure come pubblico plaudente e fremente, alla propaganda per una legislazione sociale nel nostro Paese, sente ancora gli echi nella propria coscienza, prima che nell'orecchio, della terrificante rievocazione di quanto accadeva nelle grandi vetrerie della Francia e del Belgio, dove bambini di 7-8 anni venivano a consumarsi, prima che il vetro potesse essere plasmato dalla fiamma divoratrice della loro salute e della loro innocenza. Tutti abbiamo sentito e sentiamo il grido di dolore del famoso «canto della camicia», fin dall'inizio della legislazione sociale per la protezione della donna; esso ha pervaso di sentimento tutta l'attività sociale degli uomini politici e degli organizzatori sindacali. Quindi, siamo, lo dico subito, toto corde colle preoccupazioni espresse dall'onorevole Corbi.

Noi abbiamo presentato la proposta di trasferire l'articolo 32-bis proposto, come comma aggiuntivo, all'articolo 33. Siccome sempre si è parlato, in modo univoco, della protezione della donna e del fanciullo, crediamo che sarebbe bene parlare del lavoro dei minorenni in coda all'articolo 33, che vuole tutelare il lavoro della donna. Per quanto riguarda l'emendamento all'articolo 32-bis, proponiamo di non precisare l'età, proprio nell'interesse dei giovani lavoratori.

Chi conosce come si è composta — è la parola esatta — la legislazione della protezione del fanciullo dalla prima espressione fino alla legge del 1934, sa che è bene non precisare l'età.

Ci sono grandi industrie a fuoco continuo, nelle quali 16 anni rappresentano un'età ancora pericolosa, non matura per i giovani lavoratori. Io vengo dall'industria, come modesto chimico. Ho vissuto in fabbriche di acido solforico, di zucchero e di concimi, nelle quali, in determinate fasi, non dovrebbero essere adibiti al lavoro ragazzi di 16 anni. In altre attività, per esempio artigianali o agricole, quello di 16 anni si può considerare una età limite da potersi abbassare.

D'altra parte, c'è un principio molto interessante che va diffondendosi in tutto il campo della istruzione professionale.

Proprio ieri ho avuto occasione di visitare insieme con l'onorevole Gasparotto una scuola operaia a Città di Castello, fondata da un vostro antico compagno, Pierangeli, 30 anni fa. In quella scuola è stato introdotto il sistema della fabbrica: gli allievi hanno la medaglietta di presenza, hanno la retribuzione in funzione del lavoro compiuto.

Il concetto di unire le scuole alla fabbrica, con la fruttificazione del lavoro, pervade tutta questa attività.

Quindi fissare l'età in un campo, in cui sarà bene stabilire delle differenze con una serie di provvedimenti appassionatamente studiati e discussi, mi pare che non sia il caso.

Questo è lo spirito, onorevole Corbi, della mia osservazione, della mia proposta di modificazione.

Per quanto riguarda poi la seconda parte dell'articolo 32-bis, cioè la garanzia «a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione» sono d'accordo.

Io, veramente avevo proposto ai miei amici di mettere la vecchia frase che era uno slogan del mio buon tempo antico. I miei amici anziani si ricorderanno di quando si iniziò la legislazione sociale alla Camera italiana.

Lo slogan era questo: «a uguale lavoro, con uguale rendimento, retribuzione uguale», per impedire che si speculasse, per escludere le donne e i fanciulli dalla attività lavorativa, sull'eventuale minore rendimento, preso anche a pretesto per escludere da una forma di attività una parte così cospicua — le cifre dell'onorevole Corbi sono esatte — del nostro nascente piccolo mondo operaio.

Ad ogni modo però mi hanno assicurato i colleghi che è ormai una prassi accettata quella che, quando si parla di parità di lavoro, si intende parlare anche di parità di produzione. Quindi non insisto sul ritorno alla vecchia formula del tempo della mia giovinezza.

Comunque, il nostro atteggiamento, per riassumere, è questo: siamo favorevolissimi alla regolamentazione del lavoro dei fanciulli. Non riteniamo che sia opportuno fissare la età, perché in alcune forme di attività produttiva questa deve essere anche inferiore ai 16 anni per riguardo allo sviluppo biofisiopsichico del fanciullo.

Quindi piegherei l'onorevole Corbi di accettare il nostro emendamento ed accettare anche di porre l'articolo 32-bis in coda all'articolo 33. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Onorevole Corbi, accetta la proposta dell'onorevole Cingolani?

Corbi. Accetto la formula dell'onorevole Cingolani e prego di porla in votazione ora, con la riserva di trasferirla all'articolo 33.

Presidente Terracini. Quale è il parere della Commissione?

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. La Commissione non si oppone.

Persico. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Persico. Nell'articolo aggiuntivo proposto dall'onorevole Corbi invece che: «a parità di lavoro» preterirei che si dicesse: «a parità di opera lavorativa».

Presidente Terracini. L'onorevole Persico preferirebbe questa nuova formula. È accettata dall'onorevole Corbi?

Corbi. Non credo che sia necessario apportare altre modifiche, perché l'onorevole Cingolani ha già precisato bene il comune pensiero.

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento aggiuntivo proposto dall'onorevole Corbi, con la modificazione proposta dall'onorevole Cingolani, restando inteso che, in caso di approvazione, esso verrà trasferito alla fine dell'articolo 33:

«La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

«La Repubblica tutela il lavoro dei minori di anni 21 con speciali norme di legge e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».

(È approvato).

[...]

Presidente Terracini. Riprendiamo la discussione del progetto di Costituzione.

Passiamo all'articolo 33:

«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare».

A questo articolo sono stati presentati diversi emendamenti. L'onorevole Colitto ha già svolto il suo, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Quanto al lavoro, la donna ha gli stessi diritti dell'uomo. La madre ed il bambino hanno diritto ad una speciale protezione».

Segue l'emendamento degli onorevoli Federici Maria e Medi:

«Sostituirlo col seguente:

«La donna ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.

«Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna».

La onorevole Federici ha presentato anche il seguente emendamento:

«Al secondo periodo, dopo le parole: funzione familiare, aggiungere le parole: e il sano svolgimento della maternità».

L'onorevole Federici Maria ha facoltà di svolgere i due emendamenti.

Federici Maria. Onorevoli colleghi, l'articolo 33 riguarda la donna lavoratrice e certi suoi particolari problemi. Questo articolo è un riflesso vivo delle gravi ingiustizie che ancora si registrano nella vita italiana. Da qui a pochi anni, noi dovremo perfino meravigliarci di aver introdotto questo articolo nel testo costituzionale; non perché esso non riguardi materia puramente costituzionale — da questo punto di vista dovremmo meravigliarci d'aver introdotto troppi articoli del genere — ma piuttosto per aver dovuto sancire nella Carta costituzionale che a due lavoratori di diverso sesso, ma che compiono lo stesso lavoro, spetta un'uguale retribuzione. Così pure ci dovremo meravigliare di aver dovuto stabilire come norma costituzionale che le condizioni di lavoro, per quanto riguarda la donna, debbano consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e — io aggiungo — materna. Cioè dovremo meravigliarci di aver dovuto introdurre una norma così naturale ed umana. Eppure, se tanto dobbiamo fare, lo dobbiamo fare per le ragioni che permangono, che regolano e che influenzano il lavoro femminile. Ragioni che hanno anche il loro peso, che risalgono non solo alla domanda del lavoro, ma anche all'offerta del lavoro. Molto spesso è la stessa donna lavoratrice a svalutare in qualche modo il suo lavoro. C'è una tendenza all'autosvalutazione, perché la donna ritiene secondario, semplicemente integrante, il lavoro suo e quindi il guadagno che le spetta, di fronte al salario del marito o del capo famiglia. Da parte della domanda di lavoro c'è la giustificazione che il salario più basso stabilito per la donna si ripercuote naturalmente sui costi e quindi sulle vendite, influenzando il mercato e favorendo, in ultima analisi, una maggiore produzione. C'è quindi una giustificazione economica. Non è questa la sede per esaminare sino a che punto rispetto all'offerta e alla domanda di lavoro, sia ingiusta questa situazione. Pensiamo che tutto ciò sia ormai acquisito dalla coscienza ma non dalla pratica. (In questi giorni stiamo faticosamente cercando di ottenere che alle donne sia riconosciuto il diritto di fruire di uguale indennità di contingenza, nei confronti dell'uomo lavoratore.) Dunque, non dalla pratica, ma dalla coscienza comune, è oggi acquisito che il compenso spettante all'uomo lavoratore — intendo dire non il vero e proprio salario, ma anche tutti i benefici e le provvidenze che al salario siano eventualmente connesse — non debba essere superiore al compenso stabilito, per pari lavoro, alla donna lavoratrice.

L'emendamento da me presentato tende dunque a rendere umane le condizioni di vita alla lavoratrice, considerando due gruppi di interessi distinti, ma ugualmente importanti: uno che si riferisce alla funzione familiare della lavoratrice, l'altro alla funzione materna. Noi crediamo che il figlio della donna lavoratrice abbia diritto alle insostituibili cure materne, come tutti gli altri bambini. Noi affermiamo che questo bambino ha bisogno di cure non solo materiali, ma anche morali. Infatti il sano allevamento di un bambino non consiste tutto e solamente in possibilità di ordine materiale. La madre è insostituibile presso il bambino, per quanto riguarda la sua formazione interiore, la sua crescita spirituale, il formarsi del suo mondo morale.

Qui si riaffaccia la nostra esigenza particolare; esigenza che è ormai consacrata nell'articolo che abbiamo testé approvato, e cioè che veramente il salario sia tale per cui il lavoratore possa, col provento del suo lavoro, vivere non solo dignitosamente, ma anche dignitosamente formare, allevare, educare, mantenere una famiglia.

Tuttavia noi crediamo che non si possa arrivare presto a godere i benefici di una tale riforma legislativa, che non si giungerà tanto facilmente al salario familiare ed allora chiediamo almeno che le disposizioni generali, gli orari, la durata del lavoro, i permessi ed i congedi, tengano presente che la donna lavoratrice, oltre al suo lavoro, dinanzi alla macchina, dinanzi allo scrittoio, o in qualsiasi altra occupazione di carattere materiale o intellettuale, ha anche una grande funzione da svolgere: quella di formare, di allevare, di educare la famiglia. Funzione «essenziale». Non mi pare sia presente l'onorevole Calosso, il quale vorrebbe sopprimere col suo emendamento la parola «essenziale». Io avrei voluto pregare l'onorevole Calosso, almeno nello spazio di tempo che gli è concesso, prima di svolgere il suo emendamento, di riflettere ancora se non sia veramente essenziale, non dico per la famiglia, ma per la società intera, il lavoro della donna nella famiglia. Essenziale sì, la funzione familiare della donna. Io credo che appartenga alla esperienza di tutti, e quindi non solamente a quella dell'onorevole Calosso, che la donna dispieghi nella famiglia un complesso grandioso di attività, il cui valore è notevolissimo anche dal punto di vista economico.

L'aggiunta della parola «materna» all'articolo 33, cioè l'aggiunta che farebbe leggere il secondo comma in questo modo: «Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna», si ispira ai principî che ho esposto. Avevo proposto prima un altro emendamento che figura sul fascicolo successivo, che però rimane soppresso da questo che sto svolgendo ora, e che aggiungeva le parole «e il sano svolgimento della maternità» alla fine dell'articolo. È parso a taluni miei colleghi ed a me stessa, che la formulazione fosse forse un po' forzata e che nella parola «materna» si potesse intendere benissimo «il sano svolgimento della maternità». Comunque, con l'aggiunta «materna» io mi riferisco — (perciò si tratta di un altro gruppo di interessi ben distinto da quello che riguarda la funzione familiare) — alla tutela igienico-profilattica della donna gestante, puerpera e nutrice. Come si può ottenere questo? Evidentemente con due procedimenti: uno di carattere negativo ed uno di carattere positivo.

Quello negativo riguarda evidentemente il divieto dei lavori che incidono sull'attività e sulla funzione della maternità, e quindi, sulla integrità della prole. Ed allora ci riferiamo al divieto dei lavori pesanti, del trasporto dei pesi ecc. Quello positivo è ricchissimo di intenzioni e di possibilità: per esempio, migliorare le condizioni ambientali, allontanando i fattori di nocività connessi con l'occupazione, intensificando la tutela igienica con un numero maggiore di visite mediche, soprattutto per le lavorazioni a rischio tossico o infettante, per i materiali che contengono piombo, mercurio o benzolo.

È necessario modificare tecnicamente gli impianti, specialmente laddove le stesse lavorazioni portano ad eccessivi sbalzi di temperatura, oppure sprigionano polvere o vapori tossici. Bisogna valutare la grande portata dell'atteggiamento coatto del lavoro, specialmente nei confronti della donna gestante o puerpera, per esempio, per determinate lavorazioni come la monda o il trapianto del riso e la raccolta delle ulive. Le statistiche ci dicono che gli aborti per queste forme coatte di lavoro femminile sono elevatissimi. Poiché per la donna, specialmente in particolari condizioni fisiche, taluni lavori si dimostrano particolarmente nocivi, sarà necessario ampliare e perfezionare i limiti della tutela igienica e sanitaria oggi ristretti solo alle cause di insalubrità.

Le sale di allattamento, i nidi e gli asili per i piccoli ospiti delle fabbriche siano cosa reale ed efficiente ovunque e non simbolica come accade ora.

È necessario, infine, promuovere tutte quelle provvidenze e quelle forme di assistenza che hanno una base ed un valore economico, elevando da sei a dieci settimane il riposo della donna prima e dopo il parto, facendo sì che questo riposo sia totalmente pagato. Altrimenti la donna, che non può rinunziare alla retribuzione corrisposta per intero, molto spesso si ripresenta alla fabbrica, dicendo che è in condizioni di poter riprendere il lavoro, e rinuncia così al riposo, per avere la corresponsione intera del suo lavoro. Ora noi dobbiamo evitare che la legge possa essere frodata dalla stessa persona interessata a essere protetta. Io arrivo a pensare col mio emendamento non soltanto alla madre lavoratrice, ma anche alla tutela delle giovanette che attraverso lavori faticosi vedono molto spesso sfiorire ed appassire la speranza della maternità, perché il lavoro incide profondamente e nefastamente sul loro fisico.

Vi è un emendamento, a proposito di questo stesso articolo, quello dell'onorevole Colitto, che dice che la madre ed il bambino hanno bisogno di una speciale protezione. Ora, questo non è sufficiente, perché già nell'articolo 25 abbiamo detto che l'infanzia e la maternità debbono essere protette. Ma qui sono le condizioni del lavoro che debbono garantire la protezione della madre. Si tratta di una cosa ben diversa.

Onorevoli colleghi! Facciamo sì che siano rese umane le condizioni di vita della donna lavoratrice, e meditiamo che la civiltà non è frutto solamente di fatiche; ma purtroppo anche di sofferenze nascoste e crudeli che spesso logorano la vita. In molti paesi ancora e specialmente nelle campagne la donna è assoggettata a lavori esageratamente gravosi. Un peso eccessivo, in qualche posto, è chiamato peso da donna. Di qui sofferenze lunghe e nascoste, di qui la vecchiaia precoce, il deperimento continuo ed infine la morte. Togliamo al lavoro femminile questo velo funesto, tuteliamo la donna con leggi costituzionali, cioè con leggi solenni e definitive che debbono apportare un miglioramento decisivo alle condizioni di vita della madre lavoratrice e della sua prole! (Applausi).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Gabrieli:

«Sostituire il primo periodo col seguente:

«La donna, nei rapporti di lavoro, ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro e di rendimento, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».

L'onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgerlo.

Gabrieli. Mi riferisco all'inciso: «a parità di rendimento» e dichiaro che il significato letterale e logico di questa frase ne valorizza l'interpretazione. Siccome la Costituzione deve essere fatta anche per coloro che verranno dopo di noi e deve trovare nelle parole l'unico mezzo per l'interpretazione migliore del pensiero che si esprime, io insisto perché questo inciso: «a parità di rendimento» sia aggiunto nel testo dell'articolo che stiamo esaminando.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Romano:

«Sostituire il primo periodo col seguente:

«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro sia per qualità che per quantità, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».

Non essendo presente l'onorevole Romano, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo:

Segue l'emendamento, già svolto, dell'onorevole Cortese:

«Dopo le parole: a parità di lavoro, aggiungere le altre: e di rendimento».

Segue l'emendamento dell'onorevole Bubbio:

«Alla fine del secondo periodo, sostituire alle parole: adempimento della sua essenziale funzione familiare, le seguenti: adempimento delle sue essenziali funzioni materne e familiari».

L'onorevole Bubbio ha facoltà di svolgerlo.

Bubbio. Onorevoli colleghi, il mio emendamento coincide perfettamente con quello che, con tanta eloquenza, è stato testé sviluppato e sostenuto dalla onorevole collega Federici alle cui argomentazioni e considerazioni, io debbo ovviamente e completamente associarmi. Mi permetto soltanto di ricordare che il richiamo contenuto nel mio emendamento alla funzione della madre, va considerato non soltanto sotto un profilo unicamente naturale e fisiologico, ma sotto un profilo etico-sociale, in rapporto cioè ai diritti e più ai doveri che una madre ha verso la propria creatura e che riguardano anche, e, diremo, soprattutto, il campo dell'educazione dell'infanzia e della gioventù, in cui la missione della madre sarà sempre insostituibile.

È soltanto con questa piccola chiosa che io mi associo a quanto ha detto la onorevole Federici. E così anche il problema della madre ed il suo santo nome saranno ricordati nella Costituzione. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Le onorevoli Gallico Spano Nadia, Noce Longo Teresa, Mattei Teresa, Pollastrini Elettra, Montagnana Togliatti Rita, Merlin Angelina, Rossi Maria Maddalena, Bei Adele, Iotti Leonilde, Minella Angiola, hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: funzione familiare, aggiungere: ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale, adeguata protezione».

In assenza delle altre firmatarie, ha facoltà di svolgerlo l'onorevole Merlin Angelina, la quale, insieme con gli onorevoli Barbareschi, Carmagnola, Mariani, Vischioni, De Michelis, Costantini, Merighi, ha anche proposto di sopprimere, alla seconda proposizione dell'articolo, la parola: «essenziale».

Merlin Angelina. Abbiamo chiesto la soppressione della parola «essenziale» per una duplice considerazione.

Se i redattori dell'articolo proposto non hanno voluto dare alla parola un significato particolare, si sopprima come uno dei tanti pleonasmi che infiorano la nostra Costituzione. E si sopprima pure, se i redattori hanno voluto usare quel termine con il significato limitativo che noi gli attribuiamo e che consacrerebbe un principio tradizionale, ormai superato dalla realtà economica e sociale, il quale circoscrive l'attività della donna nell'ambito della famiglia.

Tanto più pericoloso è adottare questa formula, quanto più oscuro è il primo comma: «La donna ha tutti i diritti».

Tutti, ma quali? Ed in rapporto a chi ed a che cosa?

Continua l'articolo: «e a parità di lavoro, ecc.».

Il lavoro non può essere sempre pari, tanto più che le diversità fisiologiche, specie nel campo dell'attività manuale, fanno sì che la donna sia più atta a certi lavori e meno a certi altri.

«A parità di rendimento» sarebbe stata l'espressione più propria, perché la valutazione del rendimento può essere pari, pur se il lavoro si esplica in campi diversi, campi ai quali la donna può accedere e deve accedere, nell'interesse della collettività, anche se la natura l'ha consacrata ad essere madre; il che non esaurisce, né circoscrive la sua attività. Se si voleva, nella nostra Costituzione, porre l'accento sulla funzione della maternità, la Commissione di coordinamento avrebbe dovuto accettare la formula proposta dalla terza Sottocommissione, cioè l'articolo corrispondente a quello che oggi si discute.

«La Repubblica riconosce che è interesse sociale la protezione della maternità e dell'infanzia. In particolare le condizioni di lavoro devono consentire più completo adempimento delle funzioni e dei doveri della maternità».

L'articolo fu redatto dopo ampia ed appassionata discussione, e non fu il frutto di un compromesso, ma di un accordo pieno e completo.

Dinanzi all'augusta funzione della maternità, tacquero le divisioni di parte e sentimmo tutti che, se la Costituzione deve essere quell'atto fondamentale e solenne per cui si traducono in norme i rapporti fra le esigenze etiche, sociali, economiche e gli ordinamenti giuridici, non potevamo che dar valore di legge ad una rivoluzione già compiuta nella nostra coscienza di donne. Noi sentiamo che la maternità, cioè la nostra funzione naturale, non è una condanna, ma una benedizione e deve essere protetta dalle leggi dello Stato senza che si circoscriva e si limiti il nostro diritto a dare quanto più sappiamo e vogliamo in tutti i campi della vita nazionale e sociale, certe, come siamo, di continuare e completare liberamente la nostra maternità.

Nell'articolo proposto dalla terza Sottocommissione si proponeva: «Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte o integrate dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».

Questa parte fu soppressa dalla Commissione di coordinamento. Perciò, insieme a molte altre colleghe, abbiamo chiesto di aggiungere all'articolo in discussione: «ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale, adeguata protezione».

Pensate alle condizioni nelle quali si svolge la vita della donna madre, che, non da capriccio, ma dallo sviluppo delle forme di produzione è stata tratta fuori della casa.

La onorevole Federici vi ha ampiamente descritto quali pericoli insidino la salute e la vita della donna e quella della sua creatura nei diversi e gravosi lavori extra-domestici, e quanto sia necessario articolare, su norme stabilite dalla presente Costituzione, leggi protettive. Ma la onorevole Federici non ha detto che anche nella casa, in troppe case, la funzione della maternità si svolge contemporaneamente al lavoro ed in condizioni inumane.

Non soltanto nella Sicilia, nell'Italia meridionale e centrale ma anche nelle progredite regioni dell'Italia settentrionale, vi sono case nelle quali le donne svolgono un lavoro senza avere per sé e per i loro bambini una speciale, adeguata protezione. Nessuna assistenza sanitaria viene loro prodigata nel periodo delicato ed importante della maternità, né vi sono nidi, scuole, istituti sanitari per i bimbi, per sorvegliarli ed accoglierli nel tempo in cui la madre è impegnata nel suo lavoro.

Io penso che la Costituzione, assicurando una adeguata protezione alla madre ed al bimbo, avrebbe garantito la difesa alla società tutta intera e si sarebbe data un suggello di nobiltà, includendo la parola più bella e più santa nella quale si compendia la vita, la parola: «Madre».

Presidente Terracini. L'onorevole Calosso ha proposto di sopprimere la parola «essenziale» nell'ultima riga dell'articolo 33.

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgere l'emendamento.

Gli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali, hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: funzione familiare, aggiungere le altre: e dei suoi doveri di madre».

L'onorevole Persico ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Persico. Onorevoli colleghi, dirò brevissime parole perché gran parte di quello che avrei voluto dire è stato già detto dalle colleghe Federici e Merlin. Il mio emendamento ha lo scopo di distinguere l'adempimento della essenziale funzione familiare dall'adempimento dei doveri di madre. Potrebbe sembrarvi la stessa cosa, ma non è. Ed ecco perché non aderisco alla proposta della onorevole Federici di aggiungere la parola «materna» a «familiare». Sono due specie di attività diverse. L'attività, la funzione familiare può essere infatti esercitata sia dalla moglie senza figliuoli, sia dalla sorella. Non dimentichiamo quante volte in una famiglia la sorella maggiore è la vera madre, la vera direttrice della casa e non sono d'accordo sulla abolizione della parola «essenziale» proposta dalla onorevole Federici, perché «essenziale» non vuol dire esclusiva; vuol dire precipua, vuol dire funzione che è insita nella vita familiare; vuol dire che la donna è la regina della casa, colei che tiene in pugno l'unità familiare: la madre, la sorella, la donna della famiglia.

Il dovere della madre è invece insito nella maternità: è nel periodo della gestazione, dell'allattamento, nel periodo dell'infanzia del bambino, nel periodo della prima educazione del fanciullo, quando non è ancora possibile mandarlo né a scuola, né all'asilo. Quindi è bene distinguere la funzione di madre da quella familiare. Ecco in brevi parole le ragioni del mio emendamento.

Presidente Terracini. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Il primo emendamento è dell'onorevole Colitto e dice: «Quanto al lavoro, la donna ha gli stessi diritti dell'uomo». Sono cambiate le parole ma la sostanza della prima parte dell'articolo 33 resta immutata.

L'emendamento continua:

«La madre ed il bambino hanno diritto ad una speciale protezione».

Ritengo che anche la seconda parte dell'emendamento Colitto voglia rappresentare, nel suo pensiero, un cambiamento solamente formale, direi un'abbreviazione della disposizione per darle quel carattere lapidario che si vuole debbano avere le Costituzioni.

Devo però osservare che l'enunciazione dell'onorevole Colitto: «La madre ed il bambino hanno diritto ad una speciale protezione» non fa riferimento alle condizioni di lavoro. Noi abbiamo voluto che in questo articolo 33 il lavoro della donna sia garantito in modo da non compromettere la sua funzione essenziale specialmente in riguardo alla maternità. La condizione di madre richiede che il lavoro sia disposto in modo che non ne debba soffrire nell'adempimento del suo altissimo ufficio. Riteniamo che possa essere mantenuta la forma che abbiamo adoperato, solo per questo motivo e non perché vi sia una differenza sostanziale.

Vengo agli altri emendamenti: a quello degli onorevoli Federici Maria e Medi, e agli altri che sul medesimo tema rappresentano lievi variazioni dello stesso concetto. Sono gli emendamenti dell'onorevole Bubbio, della stessa onorevole Federici Maria, dell'onorevole Calosso, dell'onorevole Barbareschi ed altri e degli onorevoli Persico, Cairo ed altri. C'è finalmente un emendamento che raccoglie le firme di altre nostre valorose colleghe.

Direi che l'Assemblea si potrebbe fermare ad uno solo di questi emendamenti, come quello che è più ampio degli altri pur risolvendo la questione nel medesimo senso.

Non si tratta di un emendamento sostitutivo, ma semplicemente aggiuntivo. È l'emendamento Gallico Spano, Noce, Mattei, Pollastrini, Merlin Angelina e di altre, in base al quale sarebbe anzitutto mantenuto il testo nella sua integrità nella parte che detta: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione famigliare». L'aggiunta è questa: «ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale adeguata protezione».

Veramente io preferirei sostituire alla parola «fanciullo» la parola «bambino», perché trattandosi di regolare le condizioni del lavoro, non se ne può parlare in relazione al «fanciullo», mentre la cura del bambino rientra immediatamente nella funzione della maternità.

Per queste ragioni mi pare che tanto l'emendamento della signora Federici Maria come anche l'emendamento dell'onorevole Bubbio, e l'emendamento dell'onorevole Persico, possano tutti essere ritirati, nel senso di riconoscere che sono tutti inclusi in quello della onorevole Gallico Spano Nadia, che raccoglie le firme di una diecina di altre colleghe. Questa è stata la decisione della Commissione.

C'è una parola che dovrebbe essere tolta secondo gli emendamenti dell'onorevole Calosso e Barbareschi. Sarebbe la parola «essenziale». Su questo ha insistito anche la nostra egregia collega Merlin Angelina. La Commissione è del parere che debba essere mantenuta. Se ne è discusso largamente, anche nella prima Sottocommissione, e ve ne è traccia nei verbali. Si era proposto, invece della parola «essenziale», un altro aggettivo: «speciale». In sostanza si vuol dire questo: la funzione familiare che si deve proteggere è la funzione familiare intesa nel senso che non tutto quello che deve fare la donna debba condizionare il lavoro cui essa adempie, ma solo quello che è veramente importante e caratteristico. Se così non fosse, rientrerebbero nel concetto di «funzione familiare» tutte le faccende domestiche che incombono alle nostre massaie. È questa la ragione per cui fu mantenuta la parola «essenziale». La Commissione è del parere che l'articolo debba essere approvato nella sua integrità, salvo aggiungere la frase «ed assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione». Se le proponenti credono di poter sostituire alla parola «fanciullo» la parola «bambino», la Commissione accetta l'emendamento.

Debbo, da ultimo, dire una parola sugli emendamenti degli onorevoli Gabrieli e Cortese, coi quali si propone di aggiungere alla frase «a parità di lavoro» le parole «e di «rendimento». La Commissione ha deciso di mantenere l'articolo come nel testo. Infatti ci sembra che la frase «a parità di lavoro» sia così lata e comprensiva da rendere inutile qualunque specificazione.

Presidente Terracini. Chiederò ora ai presentatori degli emendamenti se intendono mantenerli.

Onorevole Colitto, mantiene l'emendamento?

Colitto. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Onorevole Federici, mantiene i due emendamenti?

Federici Maria. Mantengo il primo, considerando assorbito il secondo.

Presidente Terracini. Onorevole Gabrieli?

Gabrieli. Dopo le dichiarazioni della Commissione, non insisto.

Presidente Terracini. Non essendo presente l'onorevole Romano, l'emendamento si intende decaduto.

Onorevole Cortese, mantiene l'emendamento?

Cortese. Insisto.

Presidente Terracini. Onorevole Bubbio?

Bubbio. Lo ritiro, in quanto coincide con quello dell'onorevole Federici Maria.

Presidente Terracini. L'emendamento dell'onorevole Gallico Spano Nadia, Noce Longo Teresa e di altre, svolto dall'onorevole Merlin Angelina, è accettato dalla Commissione, con la sostituzione della parola: «bambino» alla parola: «fanciullo».

Onorevole Merlin Angelina, accetta tale sostituzione?

Merlin Angelina. L'accetto.

Presidente Terracini. Non essendo presente l'onorevole Calosso, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Barbareschi, mantiene l'emendamento?.

Barbareschi. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Persico, mantiene l'emendamento?

Persico. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Pongo in votazione la prima parte dell'articolo 33:

«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».

(È approvata).

L'onorevole Cortese ha proposto di aggiungere, dopo le parole «a parità di lavoro» le parole «e di rendimento».

Pongo ai voti questa proposta.

Taviani. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Taviani. Il nostro gruppo voterà contro la proposta aggiuntiva presentata dall'onorevole Cortese per le ragioni dichiarate dall'onorevole Cingolani ed ammesse esplicitamente dal relatore della Commissione; e cioè, che «la parità di rendimento» si intende implicita nel concetto «parità di lavoro».

Cortese. Dopo questo chiarimento, ritiro l'emendamento.

Presidente Terracini. Passiamo alla seconda parte dell'articolo:

«Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare».

L'onorevole Barbareschi ha presentato un emendamento che è stato svolto dalla onorevole Merlin Angelina, per la soppressione della parola «essenziale».

Lo pongo in votazione.

Moro. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Moro. Voteremo contro la soppressione della parola «essenziale». A noi sembra importante che nell'atto, nel quale si garantiscono alla donna idonee condizioni nel lavoro, si ricordi la funzione familiare e materna che essa assolve, e che è ad essa connaturata. Ci sembra che questo riferimento alla «essenzialità» della missione familiare della donna sia un avviamento necessario ed un chiarimento per il futuro legislatore, perché esso, nel disciplinare l'attività della donna nell'ambito della vita sociale del lavoro, tenga presenti i compiti che ne caratterizzano in modo peculiare la vita.

(L'emendamento non è approvato).

Presidente Terracini. Pongo ora in votazione la seconda parte dell'articolo nel testo della Commissione:

«Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare».

(È approvata).

Le onorevoli Gallico Spano Nadia, Noce Longo Teresa, Mattei Teresa, Pollastrini Elettra, Montagnana Rita, Merlin Angelina, Rossi Maria Maddalena, Bei Adele, Jotti Leonilde, Minella Angela hanno proposto alla fine dell'articolo 33 le parole: «ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale, adeguata protezione».

La Commissione ha accettato l'emendamento, sostituendo la parola: «fanciullo» con l'altra: «bambino».

Pongo in votazione l'emendamento con questa sostituzione.

Federici Maria. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Federici Maria. Io mi trovo nella strana situazione di dover votare contro questa formulazione mentre il contenuto era stato concordato insieme con le colleghe dell'altro settore. Intanto, ci eravamo trovate d'accordo su questo fatto: che nell'articolo dovesse essere ben chiara una espressione che volesse suonare protezione alla madre ed al bambino, considerando specialmente che qui il bambino, molto spesso, segue la madre nella fabbrica, nelle sale d'allattamento, oppure nei nidi e negli asili. Però la formulazione presentata dalle onorevoli colleghe non mi pare che abbia anche, vorrei dire, una forma grammaticale esatta, in quanto che qui si parla di condizioni di lavoro che devono consentire l'adempimento di qualche cosa. Di che cosa? Della funzione materna, esempio: allattamento e cura del bambino. Non possono le condizioni di lavoro di per sé stesse svolgere una funzione protettiva del bambino. Questa mi pare sia una ragione non sostanziale, ma abbastanza importante per quanto riguarda la formulazione dell'articolo.

Per quanto riguarda poi il contenuto, la protezione del bambino è già stata oggetto di un articolo e come tale noi abbiamo già riconosciuto la necessità che a tutta la maternità, a tutta l'infanzia si debbano particolari cure protettive.

Ora le cure protettive saranno uguali per tutti i bambini, in quanto all'alimentazione, pulizia, igiene ecc. Qui invece le condizioni particolari che si auspicano riguardano la madre come tale. Non possono di per sé essere queste condizioni protettive del bambino, in quanto che sono condizioni di lavoro.

Però riconfermo il principio: siamo stati d'accordo sin dal primo momento nella Sottocommissione, nella Commissione plenaria e siamo d'accordo anche qui con le colleghe degli altri settori, che noi intendiamo di affermare che le condizioni di lavoro siano favorevoli per la lavoratrice madre e quindi anche per il suo bambino. Per questi motivi io non posso votare l'emendamento delle colleghe, ma era necessario che esprimessi questo chiarimento, ché altrimenti si potrebbe generare un equivoco che non c'è stato in nessun momento.

Condorelli. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Condorelli. Su questo problema, io voterò gli emendamenti più larghi, perché ritengo che sia indispensabile affermare nella nostra Costituzione la più ampia protezione della donna, non soltanto nelle sue espressioni essenziali, familiari, non soltanto nella maternità, ma anche nella sua femminilità, che deve essere preservata nelle condizioni di lavoro.

La mia civilissima Sicilia ha atavicamente provveduto a ciò col costume creando alla donna una situazione di vera e propria preminenza nella casa e proteggendola nel santuario di essa da tutti i pericoli che le potessero venire dall'esterno. (Commenti Applausi).

Mattei Teresa. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Mattei Teresa. Noi insistiamo sull'emendamento che abbiamo presentato e che è stato accettato dalla Commissione. Insistiamo perché pensiamo che questo è il terzo Titolo che riguarda i rapporti economici, e in questa sede appunto deve essere affermato il dovere di protezione della madre lavoratrice e del figlio della lavoratrice. È una cosa ben diversa della protezione che lo Stato deve assicurare indistintamente a tutte le madri e a tutti i fanciulli, che è stata già considerata nel Titolo II. Se noi vogliamo assicurare qui questa forma protettiva alle madri lavoratrici ed ai loro fanciulli, dobbiamo esplicitamente dichiararlo; e non comprendo perché vi sia qualcuno che sollevi eccezioni di forma quando sia d'accordo nella sostanza. Non mi pare poi che sia in contraddizione con la formula della onorevole Federici e con altre proposte di emendamento a questo articolo; anzi, credo che lo completi e sia la forma migliore, più concreta, affinché questo sentimento, questo desiderio che è in tutti noi di assicurare le migliori condizioni di lavoro e di vita alle donne lavoratrici e ai bambini, sia veramente attuato.

(L'emendamento aggiuntivo è approvato — Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. Ritengo che, con la votazione avvenuta, anche il primo emendamento della onorevole Federici Maria possa considerarsi assorbito nella formulazione approvata.

Federici Maria. Sono d'accordo.

Presidente Terracini. L'articolo 33 risulta, pertanto, nel suo complesso, così approvato:

«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro debbono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione».

Ricordo che, per decisione in sede di esame dell'articolo 32-bis, occorre aggiungere all'articolo 33 i seguenti commi:

«La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

«La Repubblica tutela il lavoro dei minori di anni 21 con speciali norme di legge e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti