[Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. [...] Sorvolo sugli articoli 32, 33 e 34. La equa retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro; il diritto del lavoratore al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite; il diritto della donna lavoratrice ad avere, a parità di lavoro — e di rendimento io aggiungerei — le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore; e tutte le previdenze e le provvidenze sociali per gli inabili al lavoro e per chi non ha mezzi necessari alla vita e per i casi di infermità, invalidità, vecchiaia e involontaria disoccupazione, sono queste tutte norme che ormai tendono a far parte della legislazione sociale di ogni paese civile. Sarebbe davvero auspicabile, pel nostro Paese, un codice del lavoro, degno della comprensione che la giusta causa dei lavoratori ha ormai raggiunto tra noi, non solo nei partiti della democrazia, ma anche nelle classi più consapevoli e responsabili.

[...]

Spallicci. [...] Io vorrei intrattenervi sull'articolo 33, che parla della protezione del lavoro della donna. Ha dei precedenti illustri quest'articolo. Il collega Merighi, un momento fa, ha accennato agli illustri medici Baccelli e Badaloni. Io potrei dirvi anche che vi è qualcuno che precede questi eminenti assertori della medicina sociale: vi è Agostino Bertani, ad esempio, il quale fece tesoro di quanto Alberto Mario, che pure non era medico, aveva cercato nel suo Polesine, lui così ansioso e così preoccupato dello stato di pauperismo in cui viveva il bracciantato agricolo del suo paese.

Perché la medicina sociale è antica per lo meno quanto l'unità d'Italia: risale al 1870-71. Il progetto di legge di Alfredo Baccelli, che riassume quello del ministro Carcano, è del 1902. Si diceva allora, con parole che sembrano modernissime, che la donna e il fanciullo inferiore ai dodici anni, dovevano essere sottratti ai lavori delle cave, delle miniere, delle gallerie sotterranee. Doveva la donna avere dei benefici quando era in istato di gravidanza: essere dispensata dal lavoro un mese prima e fruire di un altro mese di riposo dopo il parto. In più, erano già istituite da allora le sale di allattamento negli opifici, vi era il libretto sanitario in cui il medico doveva certificare della sanità e dell'attitudine al lavoro dell'operaia. Per cui, nel 1906, all'Assemblea della Convenzione internazionale di Berna, l'Italia non si presentò impreparata. Aveva già, a suo onore, preso tutti questi provvedimenti legislativi cui ho accennato.

Era, dunque, superata fin da allora quella resistenza da parte degli industriali che non intendevano, ansiosi soltanto del rendimento della produzione, fare delle concessioni al proletariato femminile; era sopita la contesa tra costoro e gli altri, che erano più intenti a guardare la prole delle donne lavoratrici. Data da allora una nuova legge riguardante l'assicurazione della maternità che, se non erro, è andata in vigore dal 1910, una assicurazione obbligatoria con la creazione di una Cassa di maternità, che dava una indennità alle operaie per quel mese che precede e segue il parto.

Il Codice entra così a far parte della Costituzione, è stato detto, ma vi entra quando già è entrato, per una legge umana e umanitaria, nel nostro costume. Quindi è dovere ed è compito della nostra Carta costituzionale sancire questo in un articolo, e dobbiamo per questo essere grati alla Commissione che vi ha provveduto egregiamente.

Guardiamo la situazione delle donne lavoratrici nelle grandi città e negli stabilimenti, quando la sirena ha lanciato il suo grido d'allarme, che non è più quello della minaccia dal cielo, ma il richiamo della officina, e questo grido di sirena ci ricorda un pochino la sensazione di brivido che ne provava lo Zola: era per lui la voce scatenata dell'industrialismo, questo Dio Moloch, che faceva passare un bramito famelico sulle folle minerarie di «Germinal».

Ebbene, la donna si allontana e resta vuota la casa. Nella casa rimangono soli eredi, orfani temporanei, i figli, e c'è soltanto la scala polverosa delle grandi case delle nostre città, e c'è il pianerottolo, dove si raccolgono i bimbi, ma vicino alla scala ed al pianerottolo c'è la strada, e questa è cattiva consigliera per i bimbi. Quando la madre ritornerà, troverà dei bimbi più sudici, più riottosi e più insolenti; tornerà o sul mezzogiorno, se la mensa aziendale lo permette, oppure alla sera. Ed alle volte può darsi che questa donna ritorni per un periodo più lungo, ritorni perché il medico ha prescritto un congedo, perché ha formulato una diagnosi. È una lavoratrice degli stabilimenti poligrafici, ad esempio, è una lavoratrice dove si impastano delle vernici a smalto, dove ci sono dei composti piombiferi, con oltre il 2 per cento di piombo, è una lavoratrice della ceramica, delle terraglie, della vetrificazione, delle stoviglie, o è una lavoratrice del caucciù piombifero, ed allora la donna tradisce già nel suo pallore terreo la malattia, la intossicazione da piombo, cioè il saturnismo, per cui presenta quell'alito dolciastro caratteristico dell'intossicazione del piombo, e l'orletto grigio gengivale che corona la radice dentaria, che sono per noi medici i sintomi peculiari della malattia.

E non soltanto la madre attempata, ma anche la madre giovane, anche la nubile può essere condannata alla sterilità ed alla morte per intossicazione da piombo, per saturnismo; può essere anche condannata ad avere un allattamento così scarso da dover alimentare così malamente la prole da essere costretta poi a sostituire il seno materno con quelle alimentazioni artificiali che sono causa di così impressionante mortalità infantile. Ma questo non avviene soltanto nello stabilimento (ed io non ho intenzione di sfogliare davanti a voi un testo di patologia del lavoro): ma è opportuno che accenni ad una malattia delle risaie, alla leptospirosi. C'è in provincia di Vercelli, che è la provincia maggiormente risicola di tutta Italia, l'affluenza di circa 200 mila mondine da altre province, in momenti prestabiliti. Ebbene, questa malattia, che porta delle lesioni epatiche e renali, si contrae nelle risaie; le mondariso, non per il primo anno ma in una serie di anni successivi, vanno incontro a questa malattia che è data da un parassita che vive a spese del topo e del ratto da dove passa nelle acque dolci correnti o ferme delle risaie. Malattia che può compromettere non solo la salute delle madri, ma anche la salute della prole.

Qui la donna è la vittima del lavoro. Non a questa, noi potremmo dire: «donna, la causa è in te, piangi te stessa» come alle donne della grassa e magra borghesia, che si vanno intossicando, alle volte, con delle biacche, dei cosmetici fatti da manipolatori di frodo, o che cercano una tinta per imbiondire la loro chioma nera o annerire la canuta e che possono andare incontro ad analoghi malanni, o ad altre infine che si sono date con sfrenata baldanza al fumo, cercando di superare in questo anche l'uomo, e vanno incontro a malattie che sembravano un triste privilegio del maschio: l'ulcera gastrica e duodenale e anche l'angina pectoris.

Le vittime che noi commiseriamo e che vorremmo strappare al loro triste destino sono da un'altra parte.

Madre operaia, noi condividiamo la tua amarezza. Anche colla tutela sanitaria, anche col lavoro non affaticante e in ambiente non malsano tu devi affidare il bambino al nido, all'asilo. Sono le provvidenze della società materna. Garantisco io, ella ti dice, e tu ringrazi la custode, l'assistente, l'infermiera in camice bianco che farà le tue veci durante la tua assenza. O non dissero un tempo: siano i bambini posti sotto la cura di un collegio di magistrati e affidati ad apposite governanti in un alloggio comune? Questo indicava Platone.

Questa è provvidenza e assistenza sociale del nostro tempo. Non è il crudele allontanamento della madre cui non sarà più dato riconoscere il figlio, come si pretendeva in quella repubblica fuori della realtà e talvolta anche fuori dell'umanità, ma è pure una parentesi di rinuncia al governo dei figlioli che si ripete sei volte alla settimana durante le ore di lavoro.

Noi, adunque, inseriamo nella nostra Carta costituzionale questo articolo, che io vedo completato da un emendamento non mio, ma al quale sottoscrivo perché pone l'accento sulla funzione materna della donna, un emendamento che porta la firma della onorevole Federici Maria e dell'onorevole Medi, il quale dice:

«Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna».

L'onorevole Di Vittorio ha detto che la nostra Costituzione dovrà essere temporanea, perché egli auspica una nuova Costituzione in un ordinamento sociale migliore, che non sia questo. Può darsi che noi non siamo completamente d'accordo in ciò che egli intende per nuovo ordine sociale, ma non importa.

Di Vittorio. Ho detto che la Costituzione si deve proiettare nel prossimo futuro, non che ne dobbiamo fare un'altra.

Spallicci. Ad ogni modo, auguriamoci che la donna, in avvenire, possa essere sottratta allo stabilimento, all'officina e sia riportata nella sua funzione vera di donna. Possa il clima economico, il clima morale e sociale essere così elevato nel nostro Paese da permettere che la casa risuoni ancora di faccende e, magari, del ticchettio della macchina da cucire, cioè che alla donna sia realmente riservato e riconsacrato il suo compito di «angelo della famiglia» come disse il nostro Maestro.

Una voce a sinistra. Bel tempo che fu!

Spallicci. E che tornerà; noi dobbiamo realmente guardare nel futuro, vogliamo proiettarci, come diceva l'onorevole Di Vittorio, nel futuro e avere fede in questa affermazione lirica. Così la vide il Maestro nostro, un quasi Jacopo Ortis nella vita, a cui furono negati un volto sorridente di donna ed il volto clemente della Patria. Egli è fermo nella sua spoglia sottratta alla dissoluzione sul colle di Staglieno accanto alle ossa della Madre, nella sua sosta mortale. Così vorremmo sentire l'occhio non vitreo della salma imbalsamata, ma vivo e brillante sotto l'arco maestoso della fronte di uno spirito immortale, volto su di noi, entro quest'Aula semideserta, sulla nostra Costituzione, a incoraggiamento e a monito, come a indicare: andate e dite una parola di fede, di bontà e di umanità al popolo italiano che pallido, esangue, allucinato, sta riprendendo la via che la guerra ingiusta gli aveva fatto smarrire e che sta per rinnovare il prodigio leggendario dell'araba fenice: risorgere dalle proprie ceneri e riprendere la sua strada e la sua missione di libera Nazione fra le consorelle della libera Europa. (Applausi).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti