[Il 21 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Spallicci. [...] Ma vi è un'altra assistenza, che si esplica in momenti di tregua patologica: essa è quella assistenza sociale di cui sono segno tangibile gli istituti per la invalidità e la vecchiaia. In questo campo, noi vediamo che anche l'articolo 34, dei rapporti economici, ritorna sull'argomento, come già vi accenna l'articolo 26.

Chi abbia avuto campo di visitare questa desolata umanità degli invalidi e dei vecchi che si raccolgono nelle corsie di quegli istituti, ha avuto la sensazione di una rassegnata vecchiaia che, nell'affievolimento degli affetti della famiglia, non vede attorno a sé, non dico quella poca gioia dell'urne dopo il compianto dei tempi acherontei, ma neppure alcuna speranza, nella squallida ora del giorno, per questa carenza affettiva che anticipa nei congiunti la rituale rassegnazione per il previsto giorno del lutto.

Le bocche inutili, quando se ne vanno non inducono al pianto. Forse le nostre classi meno abbienti vanno gradualmente assuefacendosi a questa dura legge degli assedi?

Necessità è una spietata legge. L'operaio, l'impiegato, il pensionato, condannato a vivere in quei campi di concentramento che è il grande agglomerato urbano, e in perpetua contesa col caroviveri, col caro-alloggi, col caro-salario, col caro-stipendio, col metro della breve risorsa deve misurare l'indispensabile.

Ed allora non c'è posto per il vecchio. Il vecchio deve essere abbandonato alle cure dello Stato. Se una legge impone ai genitori l'obbligo di alimentare, educare ed istruire i figli, noi pensiamo che ce ne debba essere anche un'altra che imponga ai figli di alimentare i genitori che siano incapaci al lavoro per vecchiaia o per invalidità.

Mi direte: Codice civile. Va bene. Mi direte: principî ovvi di morale; ma pensate che tutta la civiltà millenaria della Cina è basata su questo affetto filiale.

Quando io guardo queste grandi case-alveare delle nostre città, in cui l'aria è contesa al respiro, penso con nostalgia a quelle piccole casette-villette che l'«Umanitaria» aveva costruito a Milano, fuori di Porta Ludovica, con un piccolo quadrato di terra accanto, e penso che questa cubatura d'aria che si va contendendo all'operaio, all'impiegato, al pensionato, domani possa essere ridonata con una maggiore generosità, anche lontana dalle città, come avevano pensato i primi fondatori dell'«Umanitaria» milanese.

Queste bocche inutili che si allontanano, questo esodo dei vecchi dall'ambiente familiare, è ben una triste cosa. Un nuovo vangelo di bontà noi dovremmo predicare alla gente. Dovremmo fare in modo che non sia solo lo Stato a provvedere. Non è soltanto con l'elevare di tono economico la famiglia che noi potremmo ridonare vita al fervore e alla solidarietà degli affetti. Abbiamo bisogno che questo edonismo imperante sia sostituito da una forza morale. Certe forme esteriori di religiosismo interiore rappresentano degli alibi a un egoismo interiore, perché, per la grande maggioranza del popolo, le religioni vivono di rendita di un grande capitale spirituale dei fondatori e degli apostoli.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti