[Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. [...] Sorvolo sugli articoli 32, 33 e 34. La equa retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro; il diritto del lavoratore al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite; il diritto della donna lavoratrice ad avere, a parità di lavoro — e di rendimento io aggiungerei — le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore; e tutte le previdenze e le provvidenze sociali per gli inabili al lavoro e per chi non ha mezzi necessari alla vita e per i casi di infermità, invalidità, vecchiaia e involontaria disoccupazione, sono queste tutte norme che ormai tendono a far parte della legislazione sociale di ogni paese civile. Sarebbe davvero auspicabile, pel nostro Paese, un codice del lavoro, degno della comprensione che la giusta causa dei lavoratori ha ormai raggiunto tra noi, non solo nei partiti della democrazia, ma anche nelle classi più consapevoli e responsabili.

[...]

Merighi. [...] vengo direttamente alle questioni di cui più particolarmente mi interesso, e cioè alle questioni che sono conglobate nell'articolo 34. La Commissione ha redatto un articolo in questo senso: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari alla vita ha diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale». Nessuna discussione in proposito.

Però a noi pare che questo comma primo dell'articolo 34 trovi la sua sede migliore o all'articolo 31 o all'articolo 32, in quanto che l'articolo 31 stabilisce il diritto ed il dovere al lavoro. Per converso, quindi, sembra conveniente stabilire anche quella che è la contropartita di questo diritto e di questo dovere. Quando un cittadino non può ottemperare a questo dovere e non può esercitare il diritto, interviene la società, che, qualora il cittadino sia inabile e sprovvisto dei mezzi, deve provvedere al suo mantenimento ed alla sua assistenza. Quindi non è per proporre una modifica che crediamo opportuno togliere questo comma, ma perché vorremmo piuttosto passarlo all'articolo 31, come sede più naturale. Dove noi ci differenziamo nel concepire l'assistenza che verrebbe sanzionata nei successivi commi dell'articolo 34, è nel punto ove si dice: «I lavoratori, in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto che siano loro assicurati mezzi adeguati per vivere in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».

Anzitutto, faremmo eccezione in questo. Cosa vuol dire «in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto che siano loro assicurati mezzi adeguati?»

Se i mezzi devono essere adeguati per vivere, indubbiamente non si può tener conto del lavoro prestato; potrebbe essere il lavoro di un minorato e quindi minimo.

Ecco perché proporremmo che fosse soppresso l'inciso «in ragione del lavoro che prestano»; e proporremmo una formulazione in cui si dicesse che il lavoratore ha diritto ad avere assicurati i mezzi necessari alla vita e le cure sanitarie.

L'articolo 26 dice: «La Repubblica tutela la salute, promuove l'igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti».

Se i colleghi ricordano, proprio io ho sostenuto che non si dovrebbe parlare di indigenti, perché la società deve assicurare le cure e la prevenzione a tutti i cittadini. Quindi, noi insistiamo su questo fatto: che, oltre ai mezzi per la vita, siano assicurate le cure sanitarie; se si parla di invalidità e vecchiaia, indubbiamente è necessario pensare anche alle cure di questi malanni.

Quindi, proporremmo quest'altra formulazione del comma:

«Il lavoratore ha diritto di avere assicurati i mezzi necessari alla vita e le cure sanitarie per sé e per la famiglia, nei casi di malattia, di disoccupazione involontaria, d'infortunio, d'invalidità, vecchiaia». Ed aggiungiamo un concetto, che forse farà rabbrividire qualcuno: «ed in caso di morte la famiglia ha diritto alla pensione».

Indubbiamente, questo diritto alla pensione riguarda la categoria di lavoratori che restano privati del sostegno e che si troverebbero quindi nella impossibilità di trovare i mezzi di sussistenza.

Sta bene che la parte prima dice che la società assicura al lavoratore i mezzi necessari alla vita, ma come faremmo ad estendere queste provvidenze ai familiari dei lavoratori morti o per malattia o per infortunio?

D'altra parte, una provvidenza del genere penso non inciderebbe fortemente sulle nostre finanze, ed a questo proposito torna opportuna la notizia che ho rilevata oggi dai giornali: che, cioè, la Confederazione generale del lavoro intende creare un fondo di solidarietà per gli assicurati dell'Istituto di previdenza sociale che non hanno diritto a pensione.

È un principio che dobbiamo accogliere immediatamente e che sono lieto di aver prevenuto ed esteso con la presentazione di questa aggiunta all'articolo in parola.

D'altra parte, faccio appello ai colleghi che ieri in quest'Aula, nella discussione di questo Titolo, hanno ricordato la convenienza e la necessità che ancora esista una carità. Questo noi facciamo, se stabiliamo il principio delle pensioni e della loro reversibilità alle vedove ed agli orfani.

Noi indubbiamente con queste pensioni reversibili verremo a sollevare tanti istituti, orfanotrofi, case di riposo e altre istituzioni che sono con grande difficoltà sostenute dagli enti pubblici e che debbono fare spesso appello alla carità. Noi non vogliamo discutere il concetto della carità, nobilissimo sentimento che troverà sempre in tutti i tempi la possibilità della sua esplicazione. Ma quanto meno dovremo fare appello alla carità per aver fatto appello alla solidarietà sociale, tanto più saremo profondamente lieti.

Poi noi avremmo aggiunto un altro comma che dice così: «I cittadini i quali per infermità congenita o acquisita sono inabili al lavoro ma possono con una rieducazione professionale adatta essere resi idonei a un particolare lavoro, hanno diritto a questa rieducazione e successiva immissione al lavoro». È un principio altamente sociale. Oggi credo che questa rieducazione al lavoro sia soltanto goduta dagli infortunati sul lavoro: ma vi sono tanti altri individui, tanti altri esseri, per usare una parola più generica, che si possono trovare minorati profondamente nella loro capacità lavorativa. Ricordiamo, per dare un esempio solo, i malati di poliomielite anteriore, che restano paralizzati o semi paralizzati ad un arto. Oggigiorno non trovano assistenza, oltre le cure mediche, spesse volte inutili, e non hanno possibilità di occuparsi perché è mancata una conveniente rieducazione e l'indirizzo ad un lavoro utile per loro e per la società. Chiediamo quindi il diritto alla rieducazione, pensando anche alle infermità congenite. Ci sono venuti in questi giorni appelli pressanti, profondamente commoventi, da parte dei ciechi. Non possiamo abbandonare questi disgraziati, anche quelli che sono ciechi nati. Noi sappiamo che possono, per l'acuirsi profondo, intensissimo di tutti gli altri loro sensi, essere utilizzati in lavori convenienti anche delicatissimi. La società deve facilitare questa immissione dei ciechi nelle forze produttive della Nazione rispondendo così, non solo all'appello dei ciechi stessi, ma ad un senso profondo di solidarietà umana. Onorevoli colleghi, ci siamo resi conto, noi medici e organizzatori sindacali, delle difficoltà finanziarie per applicare questi principî. Perciò siamo entrati in un concetto che non è nuovo, che fu ribadito molte volte e che è questo: dobbiamo riprendere, per risolvere i problemi dell'assistenza sociale, quella idea dell'assicurazione generale contro le malattie. Non è un concetto rivoluzionario. Io vi ricordo, egregi colleghi (mi dispiace che non sia qui presente l'onorevole Labriola allora Ministro del lavoro), che nel 1922 a seguito di un congresso delle Camere del Lavoro italiane tenuto a Trieste si reclamò, da parte degli operai organizzati, l'assicurazione generale obbligatoria contro le malattie. La Federazione degli ordini dei medici studiò allora un progetto di assicurazione contro le malattie, d'accordo con l'organizzazione sindacale e tutte le categorie mediche (e non fu una cosa facile mettere d'accordo le varie categorie dei medici); e questo progetto fu consegnato all'onorevole Labriola che lo accolse: lo stesso Presidente del Consiglio Giolitti lo approvò e se non fosse arrivato il fascismo probabilmente quel progetto sarebbe stato varato e sarebbe oggi una conquista su cui avremmo potuto contare.

L'assicurazione generale contro le malattie dal punto di vista economico inciderà grandemente sulle nostre finanze? Noi non lo crediamo. Se pensiamo alle spese enormi, che aumentano paurosamente giorno per giorno, sostenute, non dirò solo dagli istituti e dagli enti assicurativi che noi conosciamo, ma dai Comuni e dalle Congregazioni di carità per l'assistenza sanitaria, in fatto di spedalizzazioni, in fatto di sussidi per cure, in fatto di medicinali, troviamo cifre iperboliche, oserei dire pazzesche. Consolidando queste spese su un piano preciso e stabilendo una tassa proporzionale al reddito dei cittadini, noi potremmo risolvere, anzi risolveremmo senza dubbio, il problema dell'assistenza domiciliare ed il problema dell'assistenza ospedaliera e di ogni altra provvidenza. Anche il problema ospedaliero grava fortemente sulle nostre responsabilità civiche. Noi risolveremmo tanti problemi. E, badate, non è una semplice ipotesi che si faccia qui in questo momento, e per iniziativa di noi pochi. È da qualche giorno che il Gruppo medico parlamentare ha raccolto delle risposte ad un referendum proposto a tutte le categorie dei medici italiani. Vi assicuro che tutte le risposte sono concordi nello stabilire questo principio: che bisogna passare allo studio e all'applicazione di un sistema di assicurazioni contro le malattie, per cui naturalmente non vi siano più dispersioni, non vi siano più incongruenze, e vi sia una protezione maggiore, accanto all'assistenza medica, sanitaria e previdenziale attuale e che formi un tutto veramente completo ed organico.

Poi viene l'ultimo comma:

«All'assistenza ed alla previdenza provvedono istituti ed organi predisposti ed integrati dallo Stato». Siamo d'accordo. Ma qui permettete, egregi colleghi, e permettano i membri della Commissione, che io ritorni sopra un argomento che ho già trattato a proposito della discussione dell'articolo 26, argomento che era già stato sostenuto precedentemente dal collega Caronia, ma la cui proposta fu dallo stesso ritirata. Io avevo aderito alla proposta dell'onorevole Caronia e non potei quindi, ritirandola egli, riproporre la questione. La riprendiamo oggi. Noi sappiamo che questi istituti di assistenza e di previdenza — e io direi anche con una parola più generica: questi istituti di protezione sociale — sono molteplici. E infatti la Commissione stessa, ricordando quanto già esiste, ha detto: «provvedono istituti ed organi predisposti ed integrati dallo Stato». Noi riprendiamo la questione del coordinamento di questi istituti, tanto più che, se in realtà si dovesse applicare il principio dell'assicurazione generale obbligatoria contro le malattie, noi avremmo la necessità assoluta di un organo tecnico propulsore e coordinatore di queste istituzioni vecchie e nuove. Dal lato amministrativo siamo d'accordo che dovrebbero amministrarsi a parte. E badate che in questa concezione, di coordinamento dal lato tecnico e di separazione dei servizi tecnici da quelli amministrativi, sono entrati già anche molti di coloro che sono a capo delle attuali istituzioni mutualistiche, le quali oggi, per converso, subordinano purtroppo il lato tecnico, grandemente più importante, alle funzioni amministrative. Noi domandiamo — e insistiamo su questo punto — che tutti questi organi, privati o dello Stato, mutualistici, previdenziali, assicurativi a scopo sanitario siano coordinati dal lato tecnico da un unico organo autonomo indipendente.

Anche in questo punto troviamo consenziente la generalità delle categorie interessate, in prima linea i medici. Esse trovano che non si possono realizzare molte cose se non c'è un coordinamento nel campo dell'assistenza sociale, dell'igiene, della previdenza e della prevenzione. Al giorno d'oggi ad esempio non è assolutamente possibile organizzare o dar corso a provvedimenti sanitari senza passare attraverso la burocrazia delle Prefetture. Non si può dare corso a provvedimenti di carattere generale a favore della collettività, perché l'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica urta ora contro l'uno ora contro l'altro organismo, dipendente da altra amministrazione statale.

In proposito posso citare questo fatto. Durante e dopo la guerra, mentre l'Alto Commissariato per la Sanità pubblica faceva tutto il possibile per disinfestare e per disinfettare — facilitato in questo compito anche dagli aiuti dell'U.N.R.R.A. e dell'America — ci si era accorti che i vagoni delle ferrovie erano infestati da cimici e pidocchi. Si voleva intervenire, ma la Direzione sanitaria delle ferrovie non lo permise perché voleva fare da sé, ed i vagoni continuarono a circolare con cimici e pidocchi. Se noi vogliamo costruire o rinnovare ad esempio un ospedale, non possiamo perché gli aiuti, i consensi, le approvazioni necessarie, sono divisi almeno in tre Ministeri; il Ministero dell'interno, innanzitutto, poi, se questo ospedale avesse funzione didattica, come potranno avere tutti gli ospedali di una certa entità, il Ministero della pubblica istruzione, ed infine il Ministero dei lavori pubblici. Mettete d'accordo tre Ministeri sulla approvazione del progetto e vedrete quando si costruirà l'ospedale! Per questo insistiamo sulla nostra proposta. Noi non vogliamo togliere a nessuno la facoltà di iniziativa sulle vie del miglioramento civile, ma intensificare l'opera e dare precise direttive tecniche per non avere dispersioni ed interferenze. Io vedo in questo momento, avanti a me, spuntare il sorriso ironico dell'onorevole Nitti. (Interruzione dell'onorevole Nitti). Mi perdoni, onorevole Nitti, ma oltre al sorriso che rivedo si rinnova nel mio animo, tristemente, il ricordo del suo nero scetticismo di fronte alle possibilità di questa nuova Repubblica: di fronte alle affermazioni di questo statuto che vogliamo dare alla nostra Repubblica in cui crediamo. Noi vogliamo pensare — e non saremmo socialisti se non lo facessimo — vogliamo pensare all'avvenire. Ci lasci, onorevole Nitti, e con lei tutti quelli che non credono, ci lasci illuminare questa Costituzione con un raggio di fede; che non sarà una gran fede nelle nostre modeste possibilità scientifiche, ma sarà però, ed è, una grande fede nella nostra missione di medici e di organizzatori socialisti. (Applausi).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti