[Il 1 ottobre 1946, nella seduta antimeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sull'intrapresa economica.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Corbi, Relatore. [...] Rileva che la Sottocommissione, concordemente ha affermato che la proprietà deve assolvere una funzione sociale e ha riconosciuto che sino ad oggi questa funzione non sempre essa ha adempiuto, in conseguenza di un cattivo ordinamento economico; è evidente perciò che, in omaggio a quel principio, sarà pure condiviso il parere che allo Stato debba competere non solo il diritto, ma il dovere di avocare a sé, sotto diverse forme — statizzazione, nazionalizzazione, controllo — quelle forme di impresa che, per dimensioni o funzioni adempiute, costituiscono un pericolo per la società ed assumono un aspetto di preminente interesse nazionale.

Ciò per garantire, non solo a parole, la sicurezza, l'indipendenza, la libertà, la dignità ed il desiderio di pace dei cittadini; e per assicurare, almeno nell'avvenire, migliori condizioni di vita al popolo, favorendo lo sviluppo delle forze produttive che la proprietà privata — per il passato mezzo potente ed efficace di progresso economico — oggi il più delle volte ostacola.

[...]

Passando ad esaminare gli articoli formulati nella relazione dell'onorevole Pesenti, osserva che taluni di essi sono superati da quelli già approvati dalla Sottocommissione sul diritto di proprietà; ve ne sono invece altri che conservano tutto il loro valore e che dovranno essere presi in esame.

Dà quindi lettura degli articoli:

[...]

5°) ogni proprietà che nel suo sviluppo ha acquistato o acquista, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, o a dimensioni relativamente rilevanti, caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, deve diventare proprietà della collettività nazionale od essere posta sotto il diretto controllo della Nazione;

[...]

Dominedò, Correlatore. [...] Le imprese pubblicistiche, ovvero collettivistiche, vanno contemplate tenendo conto delle esigenze analiticamente enunciate nell'articolo 7 della relazione Pesenti, salva tuttavia l'opportunità di fare capo ad un concetto sovrastante e sintetico come quello del bene comune, elemento idoneo per la sua stessa comprensività, a giustificare l'eccezionale trasformazione dell'impresa da individuale in collettiva. Quanto all'articolo 5, ciò che esso dice è già stato considerato nel momento statico, allorché fu stabilito quando una proprietà privata diviene collettiva. Quindi conviene una formula sintetica per evitare il doppione, analogamente a quanto ha già proposto l'onorevole Lombardo.

[...]

Canevari. [...] Conviene con l'onorevole Dominedò sulla opportunità di iniziare l'articolazione dall'ultimo articolo proposto dall'onorevole Pesenti. Tuttavia, sulla dizione di tale articolo «lo Stato riconosce la funzione sociale delle imprese gestite direttamente o indirettamente dalla Nazione», osserva che vi sono imprese non gestite dalla Nazione, ma dai comuni, dagli enti pubblici, che non hanno una relazione diretta con la Nazione stessa. Propone quindi di aggiungere le parole «o da enti pubblici». Inoltre, nello stesso articolo, quando si parla dell'interesse della Nazione, preferirebbe che fosse detto «interesse generale», in quando vi sono imprese che interessano determinati settori e non tutta la Nazione, come, per esempio, gli enti comunali per la costruzione di case popolari, che rappresentano interessi particolari dei comuni e delle province.

[...] Si dichiara infine d'accordo sull'articolo 5, salvo alcuni ritocchi di dettaglio che si potranno vedere in appresso.

[...]

Colitto. [...] Anche l'articolo 5 è inutile, in quanto non è che la ripetizione, in altre parole, della norma, già discussa e approvata, che consente la espropriazione dei beni di proprietà privata in caso di utilità pubblica. Comunque, ritiene necessario sostituire la parola «Stato» alle parole «collettività nazionale» e «nazione», perché lo Stato è appunto la collettività nazionale giuridicamente organizzata.

[...]

Corbi, Relatore, [...] ritiene che sia utile seguire il suggerimento dell'onorevole Canevari di trattare anche delle iniziative economiche degli enti pubblici; in quanto, parlando delle imprese gestite direttamente o indirettamente dalla Nazione, parrebbe che ci si riferisse soltanto allo Stato, mentre vi sono anche quelle dei comuni, delle regioni, che hanno una funzione di primo piano e che devono essere tutelate.

[...]

L'onorevole Colitto ha inoltre proposto che in luogo di «collettività nazionale» e di «nazione», sia sostituita la parola «Stato», giustificando la sostituzione anche dal punto di vista strettamente giuridico. Pur accettando il principio che l'osservazione sia calzante ed abbia ragion d'essere dal punto di vista giuridico, crede che risponda meglio allo scopo la dizione: «collettività nazionale», in quanto vi possono essere collettività nazionali che non sono tutto lo Stato, come i sindacati che, pur potendo svolgere funzioni anche economiche, sono una collettività nazionale, ma non tutto lo Stato. Ecco perché ritiene che la dizione «collettività nazionale» risponda meglio allo scopo.

[...]

Dominedò, Correlatore, ritiene che, considerando i vari punti della relazione Pesenti e tenendo conto dei criteri emersi dalla discussione, si potrebbe proporre un articolo così formulato: «Le imprese economiche possono essere individuali, cooperativistiche, collettive. L'impresa individuale non può essere esercitata in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. L'impresa gestita cooperativamente deve rispondere alla funzione della mutualità ed è sottoposta alla vigilanza stabilita dalla legge. Quando le esigenze del bene comune lo impongano, la legge devolve l'impresa, in forma diretta o indiretta, allo Stato o ad altri enti pubblici».

[...]

Marinaro propone la seguente formulazione: «L'iniziativa e l'impresa privata sono libere. Lo Stato interviene per impedire la formazione di privilegi e di monopoli e per coordinare e dirigere le attività economiche ad un aumento di produzione e di benessere sociale. Quando ciò sia necessario per imprescindibili esigenze di servizi pubblici e per ovviare a situazioni di fatto di monopoli privati dannosi alla collettività, lo Stato e gli enti locali sono autorizzati, con disposizione di legge, salvo indennizzi, ad assumere le imprese od a parteciparvi. La gestione di tali imprese ha luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo finanziario».

Rileva che il punto sostanziale di questa formulazione sta nel fatto che lo Stato e gli enti locali sono autorizzati ad intervenire con disposizioni di legge; in altri termini è necessaria un'apposita legge che autorizzi l'intervento dello Stato nell'interesse dell'economia generale del Paese.

[...]

Il Presidente Ghidini dà lettura di un articolo concordato fra gli onorevoli Dominedò e Corbi, così formulato:

«L'iniziativa e l'impresa privata sono libere. Le imprese economiche possono essere individuali, cooperativistiche, collettive.

«L'impresa individuale non può essere esercitata in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

«L'impresa gestita in forma cooperativa deve rispondere alla funzione della mutualità ed è sottoposta alla vigilanza stabilita dalla legge. Lo Stato ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei.

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, la legge devolve l'impresa, in forma diretta o indiretta in favore dello Stato o di enti pubblici».

Chiede all'onorevole Dominedò di chiarire la ragione per la quale nell'articolo non si parli dell'esproprio.

Dominedò, Correlatore, ritiene che l'argomento trovi sede più opportuna nell'articolo sulla proprietà.

Marinaro chiede che all'articolo proposto sia aggiunto il seguente comma: «La gestione di tali imprese ha luogo in forme industrializzate ed è sottoposta a controlli finanziari».

Colitto si associa alla proposta dell'onorevole Marinaro ed a sua volta propone che il secondo comma dell'articolo sia, unicamente per ragioni di euritmia legislativa, così semplificato:

«L'impresa individuale non può essere esercitata in modo da recare pregiudizio al bene comune. L'impresa cooperativa deve essere esercitata in modo da rispondere alla funzione della mutualità».

Chiede inoltre che nel terzo comma dello stesso articolo siano inserite, al punto opportuno, le parole: «salvo indennizzo».

[...]

Taviani. [...] Per quanto riguarda l'indennizzo, è d'accordo con l'onorevole Dominedò nel dire che di esso si debba parlare in sede di proprietà.

Il Presidente Ghidini propone di accantonare, momentaneamente, il problema dell'indennizzo, per decidere sull'articolo in esame. Ricorda in proposito che vi è anche un'aggiunta proposta dall'onorevole Marinaro.

Marinaro ritiene che il servizio debba essere organizzato sotto forma industriale in modo da non risolversi in sicura perdita per l'ente che lo esercita.

Lombardo, pur ritenendo giusto il concetto dell'onorevole Marinaro, crede che sia di difficile applicazione.

Taviani ritiene che l'espressione non renda il concetto espresso. A suo avviso, l'idea dell'onorevole Marinaro è che tale impresa debba avere bilancio proprio, finalità proprie, organizzazione propria, ecc.

Il Presidente Ghidini osserva che realmente nei servizi pubblici esercìti, ad esempio, dai Comuni anche direttamente, vi è la tendenza ad industrializzarne la gestione.

Taviani dichiara che sul piano concettuale è d'accordo con l'onorevole Marinaro, nel senso che la socializzazione va decentrata, ed in maniera che il gestore abbia una diretta responsabilità anche dal punto di vista economico; osserva che quando oggi si parla di socializzare non si intende certo la stessa cosa di quella che si pensava quaranta anni fa. Comunque, dichiara di essere contrario ad inserire la dizione nella Carta costituzionale.

Marinaro fa presente che fino ad oggi si è avuta questa organizzazione in forma industriale e che i grandi comuni, come Roma e Milano, hanno applicato questo sistema; non vorrebbe che l'innovazione si risolvesse in una perdita per il comune. Bisognerebbe dunque, a suo avviso, organizzare il servizio in maniera tale da conseguire possibilmente redditi che vadano a vantaggio del bilancio comunale.

Dominedò, Correlatore, ritiene che in tal caso bisognerebbe pensare ad una forma di gestione autonoma, ad un'ipotesi di decentramento economico; ma non pensa che una tale definizione si possa inserire nella Carta costituzionale.

Il Presidente Ghidini è d'avviso che tuttavia sia necessario sancire il principio del controllo finanziario.

Marinaro propone la dizione «la gestione di tali imprese è sottoposta a controllo amministrativo e finanziario».

Taviani dichiara di ammettere soltanto il controllo finanziario e non quello amministrativo, che è contrario all'autonomia dell'azienda.

Marinaro aderisce alla dizione: «La gestione di tali imprese è sottoposta al controllo finanziario». Sul quarto comma che dice: «Quando le esigenze del bene comune lo impongano, ecc.», osserva che la dizione è troppo indeterminata e lascia un campo troppo vasto all'arbitrio dell'autorità. Ricorda che la formula da lui proposta precisava invece i casi di intervento da parte dello Stato e diceva: «Quando sia necessario, per imprescindibili esigenze di servizi pubblici ecc.», considerando innanzi tutto il caso più comune, cioè quello dei servizi pubblici che riguarda specialmente le municipalizzazioni.

La formula troppo generica che invoca le esigenze del bene comune annulla in pratica lo scopo dell'intervento statale, che deve avvenire per legge. Sul principio generale di tale intervento tutti sono d'accordo: dove l'interesse della collettività è minacciato, lo Stato deve intervenire; ma è necessario precisare i casi in cui questo interesse è minacciato. La prima ipotesi, quella dei servizi pubblici, è fuori discussione; del resto la materia è ormai generalmente regolata in questo modo: quando un servizio pubblico non funziona regolarmente o quando, sotto la gestione dei privati, è fonte di speculazioni, lo Stato interviene e municipalizza.

Taviani propone la dizione: «Quando lo impongano le esigenze del bene comune, al fine di evitare situazioni di privilegio o di monopolio privato e di ottenere una più equa e conveniente prestazione dei servizi e distribuzione dei prodotti».

Marinaro dichiara di accettare tale formulazione.

Canevari [...] Quanto al 4° comma osserva che è già stato deliberato, parlando della proprietà, l'intervento per legge relativo ad espropriazioni a favore dello Stato, di enti pubblici e di comunità.

Dominedò, Correlatore, consente.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti