[Il 1 ottobre 1946, nella seduta pomeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'intrapresa economica.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Marinaro ricorda di avere insistito nella seduta antimeridiana sulla necessità che sia bene specificata l'esigenza che deve determinare il provvedimento legislativo, accennando a esigenze di servizi pubblici e all'opportunità di ovviare a situazioni monopolistiche dannose alla collettività. Ora insiste sulla necessità che sia contemplata l'ipotesi dell'indennizzo, in seguito a quanto ha dichiarato l'onorevole Taviani. Questi ha fatto presente che l'indennizzo, essendo stato previsto nell'articolo relativo alla proprietà, si intende previsto anche in questo caso; invece egli ritiene che l'averlo previsto a proposito della proprietà e non in questo caso, potrebbe dar luogo ad equivoci e al dubbio che il legislatore non abbia voluto prevedere l'indennizzo, mentre dal principio concordemente affermato che la proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato, deriva che, anche nel caso della impresa, l'indennizzo non può essere dimenticato.

Non ha difficoltà ad adoperare l'espressione «equo indennizzo».

Infine, dichiara di avere, insieme con l'onorevole Colitto, formulato il seguente articolo, che tiene conto delle osservazioni fatte dai colleghi Dominedò, Corbi e Taviani:

«Per imprescindibili esigenze di servizi pubblici, o per la necessità di eliminare situazioni di privilegio o di monopolio dannose alla collettività, lo Stato e gli enti locali possono con legge essere autorizzati ad assumere l'impresa o a parteciparvi, salvo indennizzo.

«La gestione dell'impresa, in tal caso, ha luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo».

Taviani propone di discutere l'articolo, ma di riservare ad un secondo tempo la questione dell'indennizzo. La formula Marinaro-Colitto non gli dispiace, ma preferirebbe dire:

«Le imprese economiche possono essere private, cooperativistiche e collettive.

«L'iniziativa privata è libera. L'impresa privata non può essere esercitata in contrasto, ecc.».

[...]

Il Presidente Ghidini dà lettura del 4° comma, proposto dagli onorevoli Dominedò e Corbi:

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, la legge devolve l'impresa, in forma diretta o indiretta in favore dello Stato o di enti pubblici».

Avverte che gli onorevoli Marinaro e Colitto propongono la formula seguente:

«Per imprescindibili esigenze di servizi pubblici o per la necessità di eliminare situazioni di privilegio o di monopolio dannose alla collettività, lo Stato e gli enti locali possono con legge essere autorizzati ad assumere l'impresa o a parteciparvi, salvo indennizzo.

«La gestione dell'impresa ha in tal caso luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo».

Corbi, Relatore, rileva che il 4° comma, proposto insieme con l'onorevole Dominedò, è un po' generico.

Bisognerebbe specificare che cosa si intenda per bene comune, soprattutto perché si tratta di materia nuova, e prendere provvedimenti che prevedano il futuro e servano come indirizzo al legislatore.

Lo trova anche incompleto, in quanto non specifica le varie forme in cui lo Stato potrebbe esercitare questo suo potere.

La proposta dell'onorevole Marinaro presenta il vantaggio di entrare di più in argomento e non è in contrasto con la formulazione dell'articolo 5 dell'onorevole Pesenti; questa è però più analitica e nello stesso tempo anche abbastanza sintetica. L'articolo Pesenti ha soprattutto il vantaggio di indicare alcuni aspetti che non sono contemplati in quello dell'onorevole Marinaro. L'articolo Pesenti, infatti, premette le finalità e dice:

«Ogni proprietà che nel suo sviluppo ha acquistato o acquista, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, o a dimensioni relativamente rilevanti, caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, deve diventare proprietà della collettività nazionale o essere posta sotto il diretto controllo della Nazione».

Osserva che la parola «imprescindibili» nella dizione Marinaro ha un valore molto restrittivo del concetto.

Chiede, poi, all'onorevole Marinaro, le ragioni per le quali non crede di potere accettare la formulazione proposta dall'onorevole Pesenti.

Marinaro risponde che la ragione è quella accennata dall'onorevole Corbi; l'articolo è troppo analitico.

Corbi, Relatore, è perfettamente d'accordo sul concetto che un testo costituzionale non debba scendere ai particolari; tuttavia, nel caso specifico, trattandosi di provvedimenti che hanno un carattere di assoluta novità, ritiene che sia opportuno fare qualche precisazione. Una frase come «le esigenze del bene comune» è, a suo parere, troppo generica.

Dominedò, Correlatore, crede che si possano conciliare le due esigenze, col mantenere da un lato il concetto sintetico accolto nella seduta antimeridiana anche dall'onorevole Taviani, e con l'introdurre successivamente alcune specificazioni, aderendo in questo all'esigenza espressa dal Relatore Corbi sulla opportunità di fissare dei dettagli, rispondenti ad una materia nuova: e ciò anche allo scopo di ottenere così una ulteriore delimitazione, in sede costituzionale, delle ipotesi in cui si rende indispensabile il passaggio da forme di economia privata ad economia pubblica. Nel merito non ha difficoltà ad esaminare le ipotesi che involgano un giudizio qualitativo, escludendo quelle che si riducano invece ad una mera valutazione quantitativa (dimensioni dell'impresa) empirica e indeterminabile giuridicamente.

Il Presidente Ghidini preferisce la formulazione dell'onorevole Pesenti, in quanto non limita l'intervento dello Stato ai soli casi del «danno» potenziale o in atto.

Marinaro non ritiene di poter accettare la concezione dell'onorevole Pesenti, il quale prevede l'intervento dello Stato tutte le volte che un impresa assuma carattere nazionale. A suo avviso, l'intervento dello Stato deve verificarsi solo quando l'impresa privata, assunto carattere nazionale, diventi dannosa alla collettività.

Il Presidente Ghidini fa presente che un tale giudizio è estremamente pericoloso e difficile. Come dimostrare che una impresa sia dannosa? Insiste sul suo punto di vista, inteso a provocare l'intervento statale tutte le volte che sia in giuoco un preminente interesse nazionale.

Assennato afferma che la bontà del progetto Pesenti, a suo avviso, consiste nel considerare non il danno nel momento della sua consumazione — e quindi la necessità dell'intervento dello Stato per riparare — ma anche un pericolo di danno. Quando l'impresa privata, per lo sviluppo assunto, minaccia di contrastare gli interessi nazionali, determina una situazione di pericolo alla quale bisogna porre riparo. Il problema, quindi, deve essere affrontato dal punto di vista dell'opportunità di tener presente — nel testo costituzionale — la situazione di pericolo e la possibilità di prevenzione del danno. In altri termini, un'azienda che è già pervenuta ad una situazione di monopolio, per il fatto stesso di essere in mano ad un privato, costituisce già un danno potenziale.

Il Presidente Ghidini è d'avviso che il concetto dell'onorevole Pesenti non sia questo, ma che voglia riferirsi esclusivamente al preminente interesse nazionale, indipendentemente dal danno o dal pericolo. Ritiene pregiudizievole accettare il punto di vista dell'onorevole Assennato, in quanto, nella pratica attuazione, sarà estremamente difficile dimostrare che un'impresa presenti un pericolo di danno.

Noce Teresa concorda col punto di vista del Presidente sulla necessità di considerare esclusivamente l'interesse nazionale e crede che sia proprio questo il pensiero dell'onorevole Pesenti. Quando l'impresa privata ha assunto certe forme che nell'interesse nazionale vanno circoscritte, lo Stato deve essere autorizzato ad assumere l'impresa. Questo concetto va affermato nella Carta costituzionale.

Canevari richiama l'attenzione della Sottocommissione sulla legislazione attuale e ricorda che sull'affermazione degli scopi del bene comune tante discussioni si sono fatte alla Camera — sia nelle Commissioni che in Assemblea plenaria — fin dal 1921 in occasione dell'esame del disegno di legge proposto dal Governo sulla trasformazione del latifondo e sulla colonizzazione interna. Si arrivò allora ad una semplice e chiara dizione, cioè: «Per scopi di pubblica utilità e per ragioni di ordine sociale». Propone pertanto che l'ultimo comma proposto dall'onorevole Dominedò venga così modificato:

«Per scopi di pubblica utilità e per ragioni di ordine sociale la legge determina l'esercizio diretto o indiretto dell'impresa da parte dello Stato, di enti pubblici o di comunità di lavoratori e di utenti».

Si vedrà poi l'opportunità di aggiungere: «dietro pagamento di equo indennizzo, salvo diverse disposizioni».

Colitto non crede che possa essere approvata la formula Pesenti, perché contempla solo l'impresa che nel suo sviluppo acquista carattere tale da diventare di preminente carattere nazionale e quindi non tiene conto delle esigenze e dei pericoli che sono sottolineati nella formula da lui stesso proposta d'accordo con l'onorevole Marinaro.

Taviani ritiene che un accordo si possa considerare raggiunto per quanto riguarda la parte analitica del comma Pesenti, cioè per i riferimenti ai servizi pubblici essenziali, alle situazioni di monopolio ed alle fonti di energia. Aggiunge di essere favorevole a considerare quest'ultima espressione «fonti di energia» e di ritenere superfluo con l'onorevole Dominedò accennare al concetto di «dimensioni rilevanti». Il punto di divergenza, a suo avviso, consiste nello stabilire il momento e nel valutare le condizioni obiettive che richiedono l'intervento dello Stato. Basta, cioè, un atto esecutorio della norma costituzionale, oppure è necessaria una legge? Ritiene che sia necessaria una legge, lasciando alla Costituzione il compito della dichiarazione di principio, anche abbastanza analitica e particolareggiata, soprattutto perché trattasi di materia nuova.

Osserva inoltre che il comma proposto dall'onorevole Canevari non ha un senso specifico, dato che si dice «la legge devolve». La legge determina sempre; occorrerebbe dire «può devolvere», ma in questo caso si avrebbe una disposizione molto blanda. Pertanto propone la seguente formulazione:

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, perché l'impresa assume un aspetto di preminente interesse nazionale, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali, sia a situazioni di monopolio, sia a fonti di energia, la legge può devolvere l'esercizio diretto o indiretto dell'impresa stessa da parte dello Stato o di altri enti pubblici».

Il Presidente Ghidini non concorda sull'espressione: «bene comune». A suo avviso, la formulazione potrebbe essere la seguente:

«Quando l'impresa abbia o acquisti nel suo sviluppo, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, carattere tale da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, la legge devolve, ecc...».

Dominedò, Correlatore, conferma che la menzione della esigenza sintetica e la specificazione della ipotesi analitica possono abbinarsi perfettamente.

L'esigenza sintetica di carattere generale costituisce un passo avanti, rispetto alla concezione che può emergere dalla formula Pesenti, perché include una visione attiva del problema. Occorre che positivamente vi sia la rispondenza ad un concetto sovrastante, preciso e comprensivo ad un tempo, e non basta limitarsi a formulazioni negative.

Propone pertanto, questa formula:

«Quando le esigenze del bene comune lo impongano, perché l'impresa assume carattere di preminenza nazionale, per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, la legge devolve l'impresa, in forma diretta o indiretta, allo Stato o ad altri enti pubblici».

Corbi, Relatore, direbbe «...o ne devolve l'esercizio diretto o indiretto, o la sottopone a controllo...».

Noce Teresa chiede di modificare, al principio, e dire:

«Quando le esigenze del bene comune... o quando l'impresa, ecc.».

Con la particella «o» si distinguono i due concetti.

Dominedò, Correlatore, si oppone perché ritiene che il primo comma rappresenti il concetto generale, mentre i successivi incisi costituiscono le specificazioni concrete di tale concetto.

Noce Teresa teme che il legislatore possa non tener conto del concetto che è implicito e, se si attiene alla parola della costituzione, possa applicarlo solo quando lo richiedono le esigenze del bene comune; mettendo una «o» i due concetti risultano più evidenti.

Dominedò, Correlatore, replica che nessuna legge può prescindere dalla circostanza che nella costituzione sia specificato un ordine di ipotesi concrete: il «perché» snoda il concetto generale nelle ipotizzazioni particolari.

Canevari fa osservare che da tutte queste dizioni esula completamente ogni considerazione di ordine sociale; si hanno presenti gli scopi palesi da raggiungere: il servizio pubblico, la maggiore produzione, l'affermazione che provvedimenti di questa natura possono essere assunti per altre ragioni, ma non si parla di fini di ordine sociale.

Taviani risponde che questi rientrano nel «bene comune».

Il Presidente Ghidini fa presente che quando si parla di preminente interesse nazionale, si dice tutto: vi è compreso l'ordine sociale, il bene comune ecc.

Quindi, per suo conto, trova più sobria, più precisa, più chiara e più comprensiva la formula in questi termini:

«Quando l'impresa abbia o acquisti nel suo sviluppo, per riferirsi a servizi pubblici o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, carattere tale da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, la legge ne devolve l'esercizio, diretto o indiretto, allo Stato o ad altri enti pubblici».

Assennato eliminerebbe nella proposta Dominedò il termine «impongano» che ha carattere estremamente restrittivo, e direbbe: «allo scopo del bene comune».

Corbi, Relatore, concorda con la formulazione proposta dal Presidente; vi manca però un inciso, che ha molta importanza: «dimensioni relativamente rilevanti». Richiama la sua attenzione su questa espressione, con la quale si limiterebbero i poteri dei grandi proprietari, dei grandissimi industriali e si considererebbero anche gli aspetti negativi del grande capitalismo. È un'espressione che ha valore sociale e politico più che produttivo e tende ad evitare che si creino grandi complessi, che possano turbare la vita politica e i rapporti sociali.

Marinaro domanda all'onorevole Dominedò se basta, per lui, che un'impresa assuma carattere di preminente interesse nazionale, perché si possa giungere alla socializzazione.

Dominedò, Correlatore, risponde affermativamente, sempre che la socializzazione risponda a irreprensibili esigenze di bene comune.

Marinaro chiede se, l'impresa che abbia assunto carattere di preminente interesse nazionale, ma non contrasti con esigenze di pubblici servizi e non costituisca situazioni di fatto di monopolio dannose alla collettività, debba egualmente essere socializzato.

Cita ad esempio la Montecatini; non c'è dubbio che abbia carattere di interesse nazionale, ma se questa grande impresa non danneggia la collettività, anzi con la sua attività e col perfezionamento della sua industria si risolve in bene nazionale, chiede perché bisognerebbe socializzarla.

Comprende il principio del collega Corbi; giunte ad un certo punto, per finalità politiche, le imprese devono essere socializzate; ma non comprende quello dell'onorevole Dominedò.

Dominedò, Correlatore, risponde di non aver mai pensato di scindere ciò che nell'articolo è collegato logicamente e letteralmente: cioè il fatto dell'assumere preminente interesse nazionale con le circostanze determinanti del riferirsi a pubblici servizi o a situazioni di monopolio. Pensa che, almeno tendenzialmente, quando si venga a determinare in un'impresa economica il carattere di preminente interesse nazionale, si venga quasi automaticamente a prospettare l'eventualità di uno stato nello stato, di una potenza nella potenza collettiva. È il pericolo in atto nella forma monopolistica. Ma l'esigenza di colpire questo accentramento super capitalistico, monopolistico, plutocratico, è specificata con chiarezza nella seconda parte dell'inciso. Quindi l'eventualità che l'impresa assuma carattere di preminente interesse nazionale resta collegata ad ipotesi concrete, in correlazione al fatto che un'impresa si riferisca a servizi pubblici essenziali o quando costituisca un intollerabile monopolio privato.

Taviani si rende conto della incomprensione dell'onorevole Marinaro. Egli parte da un'ipotesi di economia liberistica e quindi è chiaro che capisca la posizione dell'onorevole Corbi, che dice: Noi vogliamo superare il capitalismo arrivando al collettivismo; mentre non capisce la posizione di altri, la quale, come per lui, supera il capitalismo senza giungere al collettivismo.

Il suo gruppo condivide con quello di Corbi l'esigenza di superare la posizione capitalistica e ciò non per esigenze meramente produttive, ma anche per esigenze sociali.

Per il bene della collettività bisogna evitare il pericolo di certe forze capitalistiche che indubbiamente vengono ad essere vere forze politiche nella Nazione. Dal punto di vista pratico, non crede che l'Italia si debba porre sulla strada della grande industria.

Mettere o no la frase «o a dimensioni relativamente rilevanti» non ha importanza; è un'espressione ambigua che non si adatta a tutti i settori dell'industria.

Colitto si associa a quanto ha affermato l'onorevole Marinaro. Sottolinea che, a suo giudizio, si recherebbe danno enorme alla produzione, ove le imprese sapessero in partenza che quanto maggiore è il loro sviluppo tanto più forte è il pericolo di essere gestite dallo Stato, o da altri enti pubblici. Quindi insiste nella formulazione dell'articolo così come è stato proposto da lui e dall'onorevole Marinaro.

Canevari insiste nella proposta che ha fatto, perché sia considerato l'aspetto sociale del problema. Inoltre, secondo le proposte fatte, l'intervento è reso possibile soltanto davanti al fatto che l'impresa abbia assunto carattere di preminente interesse nazionale. Ma se si giungesse ad un'autonomia regionale, provinciale o comunale, con questa disposizione non sarebbe possibile l'intervento per un interesse limitato a quell'ente comunale, regionale, provinciale.

Con questa disposizione sarebbe impossibile risolvere il problema agrario.

Dominedò, Correlatore, pensa che invece di «nazionale» si potrebbe forse dire «collettivo». Se si considera l'articolo nel suo complesso, si trova che al primo comma, quello relativo all'iniziativa privata, è menzionato appunto un concetto che corrisponde alla proposta dell'onorevole Canevari. L'intervento è previsto quando l'impresa privata non risponda all'utilità pubblica; ma vanno quivi compresi tutti gli aspetti, compreso quello dell'utilità sociale.

Quindi invece di «nazionale» proporrebbe eventualmente «generale» o «collettivo».

Canevari osserva che non lo interessa tutta quell'elencazione; potranno sorgere altre ragioni che giustifichino l'intervento.

Lo scopo da affermare qui è quello della pubblica utilità o dell'ordine sociale; poi, a seconda degli uomini e del tempo, la legge interverrà per vedere se vi siano ragioni di pubblica utilità o scopi d'ordine sociale che giustifichino il provvedimento.

Assennato propone la formula seguente: «Allo scopo del bene comune, quando l'impresa, per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di privilegio o di monopolio o a fonti di energia, assuma carattere di preminente interesse generale, la legge ne devolve l'esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici». Così sarebbe tolta la frase «o a dimensioni relativamente rilevanti» come ha proposto l'onorevole Marinaro.

Canevari insisterebbe sulla formulazione già da lui proposta: «Per scopi di utilità pubblica o per ragioni di ordine sociale, la legge determina l'esercizio diretto o indiretto dell'impresa da parte dello Stato, di enti pubblici o di comunità di lavoratori e di utenti dietro pagamento di equo indennizzo, salvo diverse disposizioni».

Il Presidente Ghidini osserva che questa formulazione è più sintetica, mentre l'altra è più analitica. La seconda parte è alquanto diversa, perché viene aggiunta la frase «comunità di lavoratori e di utenti».

Taviani, cogliendo un punto della proposta Canevari, osserva che si potrebbe completare nel seguente modo: «Allo scopo del bene comune, quando l'impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di privilegio o di monopolio o a fonti di energia, abbia caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse generale, la legge ne devolve l'esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e utenti».

Dominedò, Correlatore, propone di sostituire le parole: «assume un aspetto di preminente interesse» con le parole: «assume carattere di preminente interesse generale».

Il Presidente Ghidini mette ai voti il comma proposto dagli onorevoli Colitto e Marinaro:

«Per imprescindibili esigenze di servizi pubblici o per necessità di eliminare situazioni di privilegio o di monopolio dannose alla collettività, lo Stato e gli entri locali possono con legge essere autorizzati ad assumere l'impresa o a parteciparvi, salvo indennizzo.

La gestione dell'impresa ha in tal caso luogo in forma industrializzata ed è sottoposta a controllo».

(Non è approvato).

Mette ai voti il comma proposto dagli onorevoli Taviani e Dominedò:

«Allo scopo del bene comune, quando l'impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di privilegio o di monopolio o a fonti di energia, assume carattere di preminente interesse generale, la legge devolve l'impresa in forma diretta o indiretta allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori ed utenti».

(È approvato).

Taviani dichiara che resta inteso che si rimanda alla discussione della relazione Fanfani l'eventuale aggiunta della frase «sotto il controllo dello Stato».

[Per la parte seguente della discussione vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 42 per il testo completo.]

[...]

Presidente Ghidini. [...] Nel terzo comma si propone di sostituire le parole: «agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti», con le altre: «agli enti pubblici, alle società cooperative o ad altre comunità di lavoratori e di utenti legalmente riconosciute»; ed inoltre di sostituire le parole: «mediante riserva originaria», con le altre: «a titolo originario».

Sempre a proposito del terzo comma avverte che l'onorevole Colitto, per ragioni del tutto inerenti al perfezionamento della forma, e non per ragioni di sostanza, propone di modificare la formula «le proprietà di beni e di complessi produttivi», in quanto anche i complessi produttivi sono dei beni.

Colitto si permette di aggiungere altre considerazioni. In luogo di «utilità collettiva» propone di dire «utilità pubblica», in quanto è evidente che la parola «collettiva» ha il significato di «pubblica». Laddove poi si parla di «coordinamento dell'attività economica», osserva che si dovrebbe parlare di attività «economiche», perché si coordinano almeno due cose, ma una cosa sola si può solo disciplinare e non coordinare, sicché la forma singolare è usata impropriamente.

Non comprende poi il significato delle parole «comunità di lavoratori» e chiede se ci si riferisca sempre alle cooperative, oppure ad altre società legalmente riconosciute o anche ad associazioni di fatto.

Taviani, Relatore, osserva che dal punto di vista strettamente giuridico le considerazioni dell'onorevole Colitto sono fondate, ma che le dizioni usate nell'articolo approvato non possono considerarsi imperfette dal punto di vista della terminologia economica.

Non ha tuttavia nulla in contrario a sostituire la parola «collettività» con «pubblica», per quanto con la prima espressione egli intenda, ad esempio, anche imprese giuridicamente rientranti nel diritto privato, come, ad esempio, l'Ansaldo, la quale, economicamente parlando, è una proprietà collettiva, dato che la maggioranza delle azioni è posseduta dallo Stato, mentre da un punto di vista giuridico, è una proprietà privata.

Colitto osserva che quando grande parte delle azioni è posseduta dallo Stato, ci si trova di fronte ad una forma di controllo da parte dello Stato. Qui si introducono delle innovazioni, ma si dimenticano i punti di partenza; occorre cominciare col dire che cosa si intende per proprietà.

Taviani spiega che proprietà è la facoltà di disporre, di usare e godere dei beni.

Colitto risponde che una proprietà privata può bene essere utilizzata a fini pubblici. Direbbe quindi: «per esigenze di utilità pubblica e di coordinamento delle attività economiche».

Il Presidente Ghidini osserva che può stare anche il singolare, trattandosi di un complesso che ha significato collettivo.

L'onorevole Colitto aveva inoltre proposto di dire «pubblica» anziché «collettiva». Su questo si può essere anche d'accordo.

Inoltre l'onorevole Colitto modificherebbe la frase «beni o complessi produttivi»; però la Carta costituzionale va redatta non solo in modo da poter essere letta dai professori, ma che sia alla portata di tutti. Comprende che si parli di beni singoli in contrapposto di complessi produttivi, e si dica: «di singoli beni e di complessi produttivi».

Taviani, Relatore, è per la formula: «proprietà collettiva», anziché «pubblica».

Assennato ritiene più restrittivo il termine «pubblico».

Presidente Ghidini, a suo avviso, c'è più ampiezza nella dizione «pubblica» che in quella di «collettiva».

Colitto è d'accordo col Presidente a questo riguardo.

Assennato osserva che potrebbe trattarsi di una società privata, per esempio in cui il dossier di azioni sta in mano allo Stato: avere una forma privata ed una sostanza pubblica.

Taviani, Relatore, ricorda che circa le modifiche di forma, da apportare all'articolo, l'onorevole Colitto ha proposto di dire «utilità pubblica», invece di «utilità collettiva». La maggioranza non è d'accordo; quindi ritiene che si debba lasciare «collettiva».

Anche la proposta di dire «cooperative» invece di «comunità di lavoratori» non è accettata dalla maggioranza.

Accetterebbe la variante: «la proprietà di singoli beni o di complessi produttivi, sia a titolo originario, sia mediante esproprio».

Quanto all'indennizzo, la questione sarà trattata in seguito.

Il Presidente Ghidini pone ai voti la formula:

«la proprietà dei singoli beni o di complessi produttivi, sia a titolo originario, sia mediante esproprio contro indennizzo».

(È approvata).

Colitto ricorda di avere proposto anche la formula: «comunità di lavoratori e di datori di lavoro, le une e le altre legalmente riconosciute».

Taviani, Relatore, osserva che questa è una modifica sostanziale; che non può essere apportata ad un articolo già approvato.

Colitto obietta che, se possono mettersi in votazione le modifiche di forma, non vede perché non si possa modificare anche la sostanza.

Corbi ritiene opportuno rivedere anche la sostanza, particolarmente per quanto riguarda l'indennizzo.

Colitto afferma che non è possibile procedere alla votazione distinguendo la forma dalla sostanza. O l'articolo resta fermo con le sue dichiarazioni postume, o, se si modifica, non c'è ragione di soffermarsi alla forma, obliando la sostanza.

Taviani, Relatore, dà atto che si debba ancora trattare il problema dell'indennizzo, perché già se ne è fatta riserva in verbale, ma non accetta che si debba rimettere in discussione tutta la materia. Cambiare la forma è cosa diversa dal mutare la sostanza. Alla stessa stregua si dovrebbero rivedere tutti gli articoli.

Il lavoro della Sottocommissione è un lavoro preparatorio: tutti gli articoli devono poi passare in sede di Commissione plenaria e saranno allora riveduti definitivamente.

Colitto non vede la ragione per la quale una Commissione di studio, che va alla ricerca di una formula che si augura sia sempre la migliore, non possa ritornare su un argomento già valutato, nella ipotesi in cui la stessa Commissione si accorga che vi è un errore. Errere humanum est, diabolicum perseverare.

Il Presidente Ghidini rinvia il seguito della discussione alla seduta antimeridiana del giorno successivo.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti