[Il 3 ottobre 1946, nella seduta antimeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'intrapresa economica.]

Il Presidente Ghidini ritiene che nessuno degli articoli presentati nella riunione di ieri possa essere approvato, anche in considerazione che, a suo avviso, è dubbio se nella Carta Costituzionale si possa, sia pure a grandi linee, regolamentare la riforma agraria.

Dato che la Sottocommissione ha già in precedenza espresso il convincimento che la piccola e media proprietà industriale ed agraria devono essere tutelate, ritiene che non vi sia altro da aggiungere ai due articoli, già approvati, sul diritto di proprietà. Infatti il terzo comma del primo articolo dice: «Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell'attività economica, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di singoli beni, ecc.». Con ciò è consacrato il diritto dello Stato di espropriare beni singoli e complessi produttivi e quindi sono già poste le basi di quella che è la riforma agraria, in quanto l'espropriazione di beni non può avere altro esito, se non la riforma stessa. Altrettanto si deve dire per quello che riguarda la riforma industriale, in quanto l'ultimo comma dell'articolo sulle imprese sancisce che: «Allo scopo del bene comune, quando l'impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali, o a situazioni di privilegio o di monopolio, o a fonti di energia, assume carattere di preminenti interessi generali, la legge può autorizzare l'espropriazione mediante indennizzo, devolvendone proprietà ed esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti». Ora è chiaro che questa espropriazione, questa utilizzazione di una grande proprietà industriale da parte dello Stato o di un altro ente pubblico non può avere altro esito se non quella riforma industriale della quale si è tanto parlato e che rappresenta una delle aspirazioni comuni ed una necessità del divenire sociale del popolo italiano. Ritiene quindi che tutto ciò che riguarda il presupposto della riforma industriale ed agraria sia consacrato nei due articoli.

Osserva però che, oltre alla riforma strutturale ve n'è un'altra: quella cioè che si persegue mediante il controllo e l'incrementazione dell'agricoltura da un lato e dell'industria dall'altro, per cui ritiene sia necessario aggiungere i due seguenti articoli:

1°) «Lo Stato, al fine di potenziare il rendimento nell'interesse sociale, ha il diritto di controllare le aziende private industriali ed agrarie».

2°) «Lo Stato, al fine di potenziarne il rendimento nell'interesse sociale e dei singoli, predispone, promuove od integra istituzioni dirette a garantire il credito e l'approvvigionamento dei necessari mezzi di produzione a favore delle piccole e medie aziende industriali ed agrarie».

Taviani, Relatore, si dichiara d'accordo sull'impostazione che ha fatto il Presidente; ma, per quanto riguarda i due articoli proposti, ritiene che essi debbano essere rinviati alla discussione sul controllo dell'economia da parte dello Stato.

È d'accordo con l'impostazione del Presidente, perché effettivamente nei due articoli già deliberati sulla proprietà e sull'impresa ci sono tutte le premesse per poter giungere alla riforma agraria, la quale, secondo il pensiero dell'onorevole Fanfani, si manifesta sotto cinque aspetti, ossia: problema fondiario, agrario, di credito agrario, di contratti agrari e istruzione degli uomini.

Non è in questa sede che si deve fare la riforma agraria; ci si deve soltanto preoccupare che essa venga attuata mediante una legge, che gli articoli della Costituzione devono accontentarsi di permettere con le loro statuizioni.

Il dilemma è a suo avviso: o rinunciare a trattare completamente l'argomento, limitandosi ai due articoli già deliberati e rimandando alla discussione del controllo sull'economia gli articoli proposti dal Presidente; o fare un articolo sul problema della proprietà terriera, che lasci aperta la possibilità verso la riforma agraria.

Avendo preso visione, per suggerimento del Presidente onorevole Ruini, di una sintesi del lavoro compiuto in materia dalla Commissione presso il Ministero della Costituente, ha ritenuto, tenendo conto di quelle risultanze e delle esigenze emerse nella discussione del giorno precedente, di formulare su tale base un tipo di articolo, che non è però indispensabile, perché, a rigore, i concetti sono contenuti in articoli precedenti:

«Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale, conservandone e potenziandone l'efficienza produttiva nell'interesse di tutto il popolo, ed a promuovere l'elevazione materiale e morale dei lavoratori, specie nelle regioni più arretrate, più povere e minacciate.

«A questi scopi, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, esso potrà imporre con precise disposizioni di legge obblighi, limiti e vincoli alla proprietà terriera».

Dichiara che, se si ritenesse che sia detto troppo poco a proposito dei contratti agrari, accetterebbe — quando si tratterà dei contratti di lavoro — di aggiungere una formulazione analoga a quella proposta nel volume della Commissione presso il Ministero della Costituente.

Fanfani, dichiarando di non entrare per ora nel merito della discussione, cioè nella formulazione dell'articolo, fa osservare che la proposta del Presidente di dedicare uno o più articoli al problema del controllo pubblico dello sfruttamento agricolo, anticipa gli argomenti che dovranno essere trattati sul problema del controllo sociale in genere, per quanto riguarda tutte le forme di attività. Prega quindi il Presidente di accantonare la proposta, in attesa che la Sottocommissione abbia affrontato il problema generale, per scendere poi a quello particolare delle imprese agricole.

Per quanto riguarda l'altro aspetto delle proposte dell'onorevole Presidente, concorda nel ritenere che probabilmente la Sottocommissione dovrà fermare nuovamente la sua attenzione sugli articoli dedicati alla proprietà e alla impresa, per vedere se sia possibile l'inclusione di altri termini, che, oltre a rendere più comprensibili gli stessi articoli, estendano la loro efficacia anche al settore dell'agricoltura.

Non nasconde tuttavia la sua perplessità sull'opportunità di non includere nella Costituzione almeno un articolo, sia pur breve, dedicato particolarmente alla questione agraria. La cosa sarebbe forse opportuna da un punto di vista strettamente giuridico, ma sarebbe un errore da quello psicologico e politico. Non si tratta di fare della demagogia, ma bisogna tener presente che la Costituzione non va soltanto in mano a dei giuristi, ma alle più svariate categorie dei cittadini. Una buona metà del popolo italiano cercherà nella Costituzione non qualche inciso sibillino che faccia pensare ad una trasformazione agraria, ma almeno un articolo che parli chiaramente della terra.

Il Presidente Ghidini domanda l'opinione dell'onorevole Fanfani sull'opportunità di fare un accenno alla piccola e media proprietà.

Fanfani ritiene che se ne potrà parlare quando vi sarà un testo completo sul quale discutere.

Noce Teresa si dichiara d'accordo, in linea di massima, con l'onorevole Fanfani. La Costituzione che si sta elaborando passerà alla storia come la Costituzione del 1946; e siccome attualmente il problema agrario è uno dei più sentiti, non è possibile non dedicare ad esso un apposito articolo, senza il quale la Costituzione sarebbe manchevole anche dal punto di vista politico. Quanto agli eventuali pleonasmi, essi potranno essere eliminati in seguito; per ora la preoccupazione principale deve consistere soprattutto nell'indicare le linee generali che il legislatore dovrà seguire in avvenire.

Osserva che mentre l'articolo già approvato sulla riforma industriale è chiaro, quello sul diritto di proprietà non è altrettanto comprensibile, in quanto occorre essere dei giuristi per capirlo.

Il Presidente Ghidini non condivide questa ultima osservazione, ritenendo che non occorra essere dei giuristi per capire che l'espropriazione del latifondo deve essere fatta in vista del conseguimento di determinate finalità sociali.

Dominedò, proprio come giurista, avrebbe dovuto formalizzarsi sulla base del testo proposto dal Presidente, che in verità contiene il germe per giungere alle conclusioni desiderate. Conviene tuttavia nel riconoscere che la possibilità di fare discendere dagli articoli proposti tutte le conseguenze alle quali si mira, potrebbe anche essere incerta. Tali finalità sono anzitutto l'incremento della trasformazione agraria nell'interesse della produzione e l'elevazione dei lavoratori della terra. Le disposizioni potrebbero quindi apparire fredde o incomplete, se da esse le suddette finalità dovessero venire faticosamente estratte.

Si associa pertanto alla proposta di un'apposita norma che dimostri l'intendimento di compiere in sede costituzionale il primo passo sulla via della riforma agraria. Quanto alla formulazione, essa potrebbe essere elaborata anche sul testo proposto dall'onorevole Taviani, purché comprensivo delle varie esigenze affiorate nella discussione sia dalla presente che dalla precedente seduta.

Colitto osserva che, come ebbe ieri a rivelare e come ha riconosciuto lo stesso Relatore, le desiderate riforme agrarie e industriali trovano la loro disciplina, in grandi linee, negli articoli già approvati. Le ripetizioni, che si debbono evitare nelle leggi, sono assolutamente da bandire nella Costituzione, che è la legge delle leggi. Ritiene infine che siano da approvarsi i due articoli proposti dal Presidente in materia di controllo, in quanto esprimono concetti esattissimi, già consacrati in altre norme.

Corbi si associa alle considerazioni fatte dagli onorevoli Fanfani, Dominedò e Noce sulla necessità di parlare nella Costituzione, in termini più intelligibili a tutti, del problema della terra, fondamentale nella vita economica e politica del nostro Paese. Ritiene soprattutto che ciò sia necessario per le considerazioni fatte dall'onorevole Colitto. Non è un fatto nuovo per nessuno che le sue posizioni divergono sostanzialmente e profondamente da quelle dell'onorevole Colitto in materia di proprietà. Il fatto quindi che l'onorevole Colitto ritenga già sufficientemente trattato, nell'articolo statuito, il problema della terra e quello della proprietà, deve porre in sospetto. È quindi d'avviso che una precisazione sia non solo utile ma necessaria, al fine di non lasciare possibilità di equivoci in avvenire.

Concorda nell'affermare che nell'articolo approvato sulla proprietà è detto tutto; c'è forse troppo e troppo può significare, in certi casi, anche il poco nella sostanza. Si parla, è vero, di limiti; ma non si stabilisce affatto, ad esempio — come era stabilito in un articolo precedentemente proposto dall'onorevole Taviani — che la Repubblica deve impedire l'esistenza della formazione di grandi proprietà terriere private. Si parla anche delle esigenze e dell'utilità collettiva, ma non si accenna al problema fondamentale di assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra.

Ritiene quindi che gli articoli già approvati sulla proprietà non siano sufficienti, perché il problema della riforma agraria e quello della terra sono problemi di ordine economico e politico, dalla cui soluzione dipendono le sorti della democrazia italiana.

Colitto chiede la parola per fatto personale per manifestare la sua profonda meraviglia per quanto ha affermato nei suoi confronti l'onorevole Corbi, il quale evidentemente non ha tenuto conto, nei suoi sospetti del tutto infondati, del fatto che la proposta non era stata presentata da lui ma bensì dal Presidente, al quale egli si era soltanto associato.

Marinaro, premesso che la materia in esame va trattata specialmente dal punto di vista del potenziamento della produzione e non da quello del trattamento dei lavoratori della terra, la cui tutela e la cui elevazione morale sono state previste e stabilite in altra sede e saranno ancora oggetto di esame quando si parlerà dei rapporti sindacali, osserva che le disposizioni statutarie riguardanti l'agricoltura devono avere carattere specifico ed essere formulate con speciale riferimento ai beni fondiari rustici. Esse devono garantire in modo particolare sia la consacrazione della proprietà fondiaria, indispensabile ai fini della realizzazione del migliore bene comune, sia le più larghe possibilità di innovazione, segnando, tuttavia, limiti precisi alla legislazione futura.

A suo avviso, pertanto, i principî da fissare potrebbero essere i seguenti: primo, garanzia ai limiti della proprietà terriera; secondo, valorizzazione della proprietà fondiaria, con speciale riguardo alle regioni più arretrate e più povere.

Togni parla per mozione d'ordine. Nella discussione svoltasi, si è chiarito che la grande maggioranza è d'accordo sul fatto che la Costituzione deve contenere un articolo relativo alla parte agraria. Ritiene quindi che, superata questa questione di principio, non resti che passare alla discussione: in pratica sulla proposta dell'onorevole Taviani che sembra raccogliere, salvo eventuali emendamenti e modifiche, una certa unanimità di adesioni.

Il Presidente Ghidini, dato che, in sostanza, tutti riconoscono che nei due articoli già approvati sulla proprietà sono implicite le premesse di una riforma agraria e industriale, non vede la necessità di inserire un nuovo articolo nella Costituzione. Unico scopo attendibile sarebbe che, siccome non tutti le possono comprendere, si debba mettere in luce questa conseguente finalità. Dichiara che se tale è lo scopo, non ha nulla da opporre. Ma al fine di non creare duplicati, ritiene che si possa raggiungere lo scopo, formulando il terzo comma dell'articolo già approvato sulla proprietà nel modo seguente:

«Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell'attività economica e di costituire le premesse della riforma strutturale nel campo agrario, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità dei lavoratori la proprietà della terra».

Ritiene inoltre che si debba aggiungere una frase per quanto riguarda l'incremento, il potenziamento, l'incoraggiamento e la tutela della piccola proprietà e della industria, secondo le promesse che sono state fatte.

Canevari, per le considerazioni svolte da diversi colleghi, ritiene indispensabile che la Carta costituzionale contenga affermazioni direttive e impegni per la riforma agraria, attesa da tutto il Paese, e che tali affermazioni possano essere riassunte nella proposta da lui fatta e sulla quale insiste. Ove tale proposta non fosse accettata dalla maggioranza, dichiara di associarsi a quella dell'onorevole Taviani.

Taviani, Relatore, dichiara che, se si passa alla discussione dell'articolo proposto sulla base delle risultanze degli studi del Ministero della Costituente, può consentire, a priori, di omettere la frase «conservandone e potenziandone l'efficienza produttiva», in quanto il concetto è compreso nelle parole «valorizzazione del territorio nazionale»; e di tralasciare i due aggettivi «materiale e morale», come pure l'espressione «più arretrate».

Colitto chiede il significato della frase «nelle regioni più minacciate» contenuta nella proposta dell'onorevole Taviani.

Taviani, Relatore, fa presente che l'espressione è usata nel volume compilato dalla Commissione del Ministero per la Costituente e si riferisce soprattutto ai fenomeni meteorologici.

Canevari si dichiara contrario a considerare tale eventualità.

Fanfani ritiene che al terzo comma dell'articolo sulla proprietà, dove più che ad una ripartizione delle terre si può pensare ad un coordinamento, occorrerebbe aggiungere un concetto atto a far intendere che, oltre alla attività concentrativa, ce ne può essere una inversa, ripartitrice.

Togni torna ad insistere sulla sua mozione d'ordine.

Fanfani osserva che la mozione d'ordine dell'onorevole Togni non può essere ritenuta contraria ad un tentativo di completamento degli articoli precedentemente approvati, in quanto si è parlato e discusso sulla opportunità di stabilire un articolo unico relativo al problema agrario, previa estensione degli articoli precedenti sulla proprietà e sulla impresa. Ritiene quindi che, prima di passare alla discussione dell'articolo proposto, occorra esaminare l'opportunità di completare i suddetti articoli.

Dominedò prega l'onorevole Togni di non insistere, solo per ragioni di principio, nel suo atteggiamento, e di ascoltare le argomentazioni dell'onorevole Fanfani, il quale, a suo avviso, pare voglia riprendere in esame anche il criterio della ripartizione.

Togni dichiara di non insistere.

Fanfani insiste sulla sua precedente proposta di aggiungere all'articolo sulla proprietà un quarto comma che corregga parzialmente la lettera ed anche lo spirito del terzo. Tale comma aggiuntivo dovrebbe sancire che, per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell'attività economica, le terre non sufficientemente sfruttate possono essere ripartite fra i coltivatori diretti. Aggiunge che a questo proposito esiste già la legge Gullo, modificata dal ministro Segni, legge provvisoria che la nuova Costituzione non può trascurare. A grandi linee il nuovo comma potrebbe essere così formulato:

«Per le stesse ragioni e negli stessi modi, la legge può ripartire tra i coltivatori le terre non sufficientemente sfruttate».

Assennato direbbe piuttosto: «Al proprietario fondiario è fatto obbligo di coltivare i suoi beni, pena l'esproprio».

Fanfani rileva che una tale formulazione darebbe la possibilità ad un latifondista di mantenere la sua proprietà passando dalla coltura estensiva a quella intensiva con l'impiego di migliaia di lavoratori.

Togni ha l'impressione che la precisazione avanzata dall'onorevole Fanfani tenda a diminuire l'importanza e il significato del terzo comma, in quanto, sottolineando la questione relativa all'esproprio delle proprietà terriere, sorge il problema della grande proprietà immobiliare che qui non viene considerata, ma che oggi rappresenta un problema gravissimo.

Fanfani crede che a tale scopo si potrebbe formulare un quinto comma.

Taviani, Relatore. Le esigenze prospettate dall'onorevole Fanfani sono giuste, ma non crede sia questo il momento opportuno di prospettarle.

L'articolo sulla terra deve soltanto aprire la possibilità alla legge di fare la riforma agraria. Tenuto presente ciò che è stato detto sul diritto di proprietà, questo articolo deve essere un'applicazione, nel campo terriero, del principio dei limiti della proprietà.

Fanfani richiama l'attenzione dell'onorevole Taviani sul suo punto di vista, in quanto non ritiene che questa non sia la sede adatta per una tale discussione, dato che è stato accettato il concetto dei «singoli beni e dei complessi produttivi», fra i quali va inclusa anche la terra coltivata. Occorre evitare che sorga il dubbio che l'articolo crei il fatto compiuto e si trovi in conflitto con un altro articolo: ecco la necessità di una precisazione.

Dominedò, pur prendendo in considerazione la proposta Fanfani, tendente a inserire il concetto in discussione nel corpo dell'articolo già approvato sulla proprietà, dichiara di dissentire dall'opinione da lui espressa, secondo cui lo spirito e la lettera di quell'articolo mirerebbe essenzialmente ad una concentrazione dei beni, nel mentre il conferimento può aver luogo nei confronti dei singoli, di organismi cooperativistici, di comunità, senza portar seco una necessaria concentrazione, in antitesi alla idea della ripartizione. La formula ha una latitudine così vasta, da non essere legittimati ad introdurre una tale restrizione interpretativa. Se tuttavia restasse qualche dubbio su questa portata, che nessun interprete è autorizzato a restringere, si potrebbe ad abundantiam eliminare la parola «singoli» e ritornare alla dizione lata che più tranquillizza. Dichiara di non aver inoltre nessuna difficoltà che vicino ai «beni» si parli di «complessi», anche perché questo è un concetto giuridicamente rilevante, cui è connesso quello di azienda e di avviamento.

Ritiene inoltre che si debba tener presente la portata generale dell'articolo, per cui non è opportuno inserirvi una norma particolare, in quanto esso abbraccia tutta una materia e sarebbe strano che nel corpo di una norma generale, indifferenziata rispetto ai particolari settori tecnici, si contemplasse poi un determinato settore e non altri.

Fanfani dichiara che l'onorevole Dominedò si è soffermato a considerare la parte dell'articolo in materia di beni o complessi produttivi; ma se avesse attentamente esaminate le parole precedenti si sarebbe accorto come la destinazione stessa a determinati enti o collettività, crei il presupposto della concentrazione. Quindi, tenendo presenti tali ragioni, richiama ancora una volta l'attenzione dei colleghi sul fatto che una specificazione relativamente alla ripartizione non correggerebbe nulla.

Dominedò, replica che, anche tenendo conto della prima parte dell'articolo, resta ferma la sua non esclusiva riferibilità all'ipotesi di concentrazione dal momento che, ad esempio, la devoluzione dei beni alle comunità di lavoratori e di utenti, o alle società cooperative, risponde precisamente ad un'ipotesi di frazionamento in materia agraria.

Conferma in secondo luogo che, per armonia legislativa, non è opportuno differenziare un articolo di carattere generale mediante riferimenti ad un dato settore produttivo (agricoltura) e non anche agli altri (industria).

Taviani, Relatore, ritiene che sia molto importante precisare e mettere a fuoco l'esigenza posta in rilievo dall'onorevole Fanfani. Che il terzo comma dell'articolo sulla proprietà riguardi piuttosto la concentrazione che la ripartizione risulta effettivamente dall'espressione «attribuire agli enti pubblici ed alle comunità di lavoratori e di utenti», ed è vero che in tale dizione sono comprese le cooperative; ma sta di fatto che viene esclusa la possibilità dell'attribuzione di proprietà di beni a famiglie o a privati. Quindi il problema della ripartizione non è risolto da questo terzo comma.

Prendendo atto che l'onorevole Fanfani è favorevole a trattare della ripartizione, dichiara di sentire profondamente la seconda esigenza prospettata dall'onorevole Dominedò, cioè il fatto che in un articolo riguardante i beni economici si venga a trattare specificamente soltanto della terza. Ritiene perciò che della ripartizione si debba parlare soltanto in sede di proprietà terriera, oppure (ed è forse la soluzione migliore) che si debba aggiungere un quarto comma all'articolo sulla proprietà, parlando della proprietà fondiaria ed usando le espressioni più generiche.

Fanfani dichiara di essere favorevole alla proposta Taviani di riferirsi a tutte le forme di proprietà fondiaria. Osserva però che la dizione «proprietà fondiaria», nonostante tutta la buona volontà dei giuristi, può prestarsi ad equivoci. Quindi, nel caso specifico, riterrebbe più opportuno parlare di terre o di case, ovvero trovare una dizione più appropriata. Il comma potrebbe essere, grosso modo, così formulato:

«Per le stesse ragioni e nello stesso modo la legge può anche dividere fra i singoli coltivatori ed utenti terre e case».

Noce Teresa ritiene che, per quanto riguarda le proposte fatte, si possa accettare il principio della terra, ma non quello delle case. Infatti il coltivatore che coltiva la terra può avere un diritto di proprietà sulla terra stessa, mentre l'utente che abita la casa, non è necessario che abbia lo stesso diritto. La terra non è soltanto un uso, ma uno strumento, un bene. Anche la proprietà urbana può essere divisa, ma si tratta di tutt'altro problema, e non ritiene che la Costituzione se ne debba occupare in modo specifico.

Marinaro ritiene utile, ai fini della discussione, ricordare l'articolo formulato dal Comitato di studio del Ministero della Costituente, nel quale sono precisati con criteri veramente ammirevoli i concetti della limitazione di proprietà fondiaria, di espropriazione nel pubblico interesse, di maggiore produttività e di un migliore stabilimento dei rapporti sociali. L'articolo dice:

«La Costituzione garantisce in particolare la proprietà della terra. Qualora tuttavia essa ecceda un limite di ampiezza tale da essere di impedimento alla migliore sua utilizzazione e allo stabilimento di sani rapporti sociali o qualora essa non sia gestita in modo da assicurarle la più alta valorizzazione, può essere oggetto di esproprio per pubblica utilità nei modi e nei limiti che le leggi stabiliscono o stabiliranno».

Dominedò comprende che il relatore si è proposto, con il comma aggiunto, di non frazionare la disciplina della proprietà, circoscrivendo la norma alla sola proprietà terriera. Ciò è logico, e giuridicamente accettabile, ma non si può ad un tempo ignorare che la riforma agraria è il problema del giorno. Insiste pertanto, per considerazioni di opportunità politica, affinché il problema della proprietà terriera sia affrontato in un articolo a parte.

Corbi si associa, in quanto voler comprendere la questione agraria in un articolo di portata generale significa diminuire l'importanza della norma.

Ritiene pertanto che la Sottocommissione debba riportare la sua attenzione sull'articolo proposto dal Relatore. Preso infatti come base di discussione l'articolo dell'onorevole Taviani, si potrà eventualmente migliorarne la dizione, tenendo soprattutto presente che la Costituzione deve limitarsi ad aprire le porte alla riforma agraria, senza specificare i modi con i quali essa dovrà essere realizzata: compito, quest'ultimo, che sarà assolto dal futuro legislatore.

Colitto osserva che il Relatore è stato indotto a presentare una nuova formulazione dell'articolo in esame per accedere a giuste considerazioni espresse ieri in seno alla Sottocommissione.

Per parte sua, non trova difficoltà ad accettare tale articolo, salvo la sostituzione ed eliminazione di alcune parole che gli sembrano di significato poco intelligibile o di dubbia utilità pratica.

Propone, ad esempio, di sostituire le parole «conservandone l'efficienza produttiva» con le altre «potenziandone l'efficienza produttiva»; di eliminare l'espressione «nell'interesse di tutto il popolo»; e di togliere infine le parole «più arretrate e minacciate» per dire più semplicemente «nelle regioni più povere».

Federici Maria dichiara di accettare questa nuova formulazione dell'articolo, in quanto non esclude il concetto già espresso dall'onorevole Corbi di promuovere l'elevazione materiale e morale dei lavoratori. Nella riforma agraria c'è il concetto economico, prevalente, della maggiore e migliore utilizzazione del suolo; vi è però anche un concetto di carattere etico che, praticamente, è alla radice della riforma, e cioè quello che porta alla considerazione che la classe dei lavoratori ha particolare bisogno di vedere, attraverso questa riforma, finalmente risolto il problema della sua elevazione morale. Non si potrà mai pensare ad una elevazione dei ceti contadini, specie nell'Italia centrale e meridionale, se non attraverso questa riforma che dovrà prendere in considerazione non solo la ripartizione terriera, ma, per esempio, anche le abitazioni, le scuole rurali, ecc.

Togni si associa alla collega Federici, in quanto effettivamente, sia nella forma che nella sostanza, l'articolo — secondo la formulazione odierna dell'onorevole Taviani — è più completo proprio per le considerazioni fatte dall'onorevole Corbi.

Pur ritenendo che il secondo comma sia sufficientemente chiaro perché, quando si parla di limiti alla proprietà è evidente che questi riguardano l'eccesso della proprietà, tuttavia, volendo ricorrere ad una maggiore precisazione, sarebbe dell'opinione di aggiungere il controllo da parte dello Stato affinché non sorgano eccessive proprietà terriere, che sono antisociali e contrarie all'interesse della produzione nazionale. D'altra parte tale riferimento è già incluso nella nuova formulazione. A suo avviso, quindi, non è necessario attardarsi in ricerche o in riesumazioni di articoli già approvati, ma è meglio esaminare la formula definitiva proposta dal collega Taviani.

Per quanto riguarda le modifiche proposte dallo stesso onorevole Taviani, è d'accordo nel togliere l'espressione «conservandone e potenziandone l'efficienza produttiva», che è pleonastica; è evidente che, quando si afferma che lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale, ciò significa conservare e potenziare l'efficienza produttiva, cioè eccitare e convogliare verso le finalità del suolo l'interessamento dello Stato. Però tale interessamento deve avere come fine primario di perseguire principalmente il bene comune, il bene di tutto il popolo. Per quanto riguarda la frase «promuovere l'elevazione dei lavoratori» è d'accordo nell'eliminare i nuovi due aggettivi «materiale e morale», che sono pleonastici da un lato e limitativi dall'altro: si deve intendere elevazione completa, anche culturale e spirituale, del lavoratore. È infine d'accordo per togliere le parole «più arretrate» che, se nella sostanza possono essere giuste, nella forma possono dar luogo ad equivoci.

Taviani, Relatore, ritenendo che nella maggioranza tutti siano d'accordo per quanto riguarda il primo comma, dichiara di avere lui stesso dei dubbi sul secondo, che dovrebbe essere meglio precisato. Propone pertanto di mettere in votazione il primo comma e di cercare poi di dare una espressione più robusta al secondo, in modo da venire incontro alle esigenze esposte dall'onorevole Togni sull'eccessiva proprietà terriera.

Noce Teresa proporrebbe alcune modifiche sul primo comma, tendenti ad includervi taluni concetti mancanti, quale quello della utilizzazione o ripartizione. Il comma dovrebbe quindi essere così formulato: «Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione e utilizzazione (o ripartizione) ecc.».

Per quel che riguarda l'elevazione, proporrebbe «elevazione morale e miglioramento materiale», allo scopo di meglio specificare e distinguere i due concetti.

Togni preferirebbe la dizione «mettere i lavoratori in condizioni materiali e morali da elevarsi».

Taviani, Relatore, ritiene che la collega Noce tema che nell'elevazione si veda soltanto l'elemento morale.

Dominedò osserva che anche il miglioramento materiale è strumento di elevazione morale.

Noce Teresa dichiara di preferire, in ogni caso, la precisazione.

Dominedò fa presente che il concetto della ripartizione viene nel secondo comma.

Noce Teresa ritiene allora che sia necessario porre in discussione l'articolo per intero.

Nella seconda parte, lasciando nel primo comma la dizione «ripartizione», farebbe la seguente modifica: «A questo scopo, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, la Repubblica impedirà l'esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere».

Togni sostanzialmente è d'accordo per includere nell'articolo il concetto della ripartizione, ma non nel primo comma, in quanto lo scopo primario dello Stato non deve essere quello della ripartizione della terra, ma bensì della sua valorizzazione e utilizzazione. La «ripartizione» è un mezzo col quale si giunge a realizzare una migliore valorizzazione e utilizzazione. È evidente che anche come logica si premettano gli scopi e poi si precisino i mezzi con cui essi debbono essere raggiunti. Scopo primo da parte dello Stato deve essere quello di valorizzare al massimo il suolo nazionale e di ottenere una migliore giustizia sociale e una migliore situazione economica, sociale e morale dei lavoratori. A tal fine lo Stato dovrà eliminare tutte le possibilità che possono ostacolare questa valorizzazione ed elevazione, tra cui appunto quella di una eccessiva proprietà terriera. Ma lo Stato non deve avere, come fine principale e immediato la ripartizione della terra.

Taviani, Relatore, chiede all'onorevole Noce se accetta di lasciare nel primo comma la locuzione «si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell'interesse di tutto il popolo ed a promuovere l'elevazione materiale e morale dei lavoratori».

Noce Teresa preferirebbe la seguente formulazione: «Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio mediante il controllo della ripartizione nell'interesse di tutto il popolo», osservando che in luogo di «ripartizione» si potrebbe anche dire «distribuzione».

Taviani, Relatore, propone che la seconda parte dell'articolo sia così formulata: «In vista di questo scopo, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, esso impedirà la formazione e l'esistenza di grandi proprietà terriere private».

Dominedò pur riconoscendo che le esigenze prospettate dalla onorevole Noce rispondono ad un problema essenziale, preferirebbe che non si adottasse una formula rigida di opposizione alla grande proprietà fondiaria, anche se industrializzata o industrializzabile: l'adozione di un tale criterio quantitativo è, oltre tutto, troppo empirica nei riguardi di una linea di demarcazione fra grande, media e piccola proprietà. Propone che, al fine di eliminare tale empirismo, si tenga presente la possibilità di adottare un criterio qualitativo oltre che quantitativo.

Federici Maria, tenuti presenti sia l'articolo dell'onorevole Taviani che le formulazioni fatte in sede di studio dalla Commissione del Ministero della Costituente, propone che il secondo comma sia così formulato:

«A questo scopo e per stabilire più equi rapporti sociali, esso potrà, con disposizioni di legge, impedire la formazione di proprietà che eccedano limiti di ampiezza tale da essere di impedimento alla migliore sua utilizzazione».

Fanfani dichiara di non essere d'accordo sulla dizione «valorizzazione del territorio nazionale», che è troppo vasta e può addirittura comprendere l'industria turistica. La locuzione «territorio nazionale» dovrebbe essere sostituita dalla parola «terra», poiché evidentemente in tale articolo si ha di mira solo la terra coltivata o coltivabile. Riguardo al concetto dell'elevazione materiale e morale dei lavoratori, osserva che è necessario andar cauti per non suscitare l'impressione negli altri lavoratori che si fanno condizioni di privilegio soltanto a quelli della terra; sarebbe quindi del parere di limitarsi ad affermare che «lo Stato incoraggia la razionale utilizzazione della terra nel rispetto dei diritti e del benessere dei coltivatori».

Per quanto riguarda la seconda parte dell'articolo, osserva che in essa si tiene conto dei problemi relativi al riordinamento dell'agricoltura italiana solo in termini di riforma fondiaria. Si richiama pertanto a quanto ha affermato nella seduta di ieri, ribadendo che non può condividere tale punto di vista. Pur ritenendo che non si possa in una Costituzione affrontare e risolvere tutti i problemi dell'agricoltura, rileva che bisogna dare comunque una guida al futuro legislatore per avviare tali problemi a soluzione. Gli attuali problemi non sono soltanto di divisione, ma anche di concentrazione, ed osserva in proposito che in Liguria, ad esempio, l'86 per cento del territorio è ripartito in 298.000 particelle con reddito annuo inferiore a 1700 lire. Situazioni analoghe si trovano in molte altre zone d'Italia; ciò dimostra che in molti casi si dovrebbe pensare a favorire la concentrazione piuttosto che la divisione. Chiede pertanto che in questa sede si parli sia dell'uno che dell'altro fenomeno e che si tenga conto dell'altro gravissimo problema riguardante l'ignoranza tecnica dei coltivatori, che non può essere risolto né con le scuole elementari, né con un eventuale risorgere delle cattedre ambulanti di agricoltura.

Prospetta quindi l'esigenza, non meno sentita, della bonifica intensiva, perché non si verifichi ciò che già è avvenuto in qualche zona d'Italia dove, ripartite le terre per iniziativa degli stessi grandi proprietari, dopo cinque anni i coltivatori avevano già rivenduto la loro quota per mancanza di strumenti di lavoro e di credito. Si affaccia così anche il problema del credito agrario nonché dei consorzi come strumenti determinanti, in vista della trasformazione e del progresso delle colture.

Allo scopo di tener presenti tutte queste esigenze, propone che il secondo comma dell'articolo sia così formulato:

«A questo scopo, diffusa l'istruzione agraria e completata la bonifica, la legge predisporrà la divisione del latifondo e delle terre incolte e il concentramento di quelle eccessivamente parcellate e promuoverà il credito agrario cooperativo ed i consorzi per il potenziamento dell'attività dei coltivatori diretti, specie in vista della trasformazione e del progresso delle colture».

Corbi ritiene che la proposta dell'onorevole Fanfani possa essere oggetto di studio. Per quanto riguarda le osservazioni degli onorevoli Togni e Federici osserva che non è esatto che lo Stato abbia solo il compito di favorire e potenziare la produzione e che non debba occuparsi di altri aspetti del problema. Lo Stato ha anche l'obbligo di garantire la libertà economica di tutti i cittadini e di difenderne le libertà politiche. È perfettamente noto che i grandi proprietari hanno creato il fascismo in Italia ed anche oggi essi costituiscono le forze più retrive della Nazione. Ecco perché è necessario limitare l'ampiezza della proprietà terriera e non ritiene che ciò possa eludere una maggiore produzione, poiché i limiti saranno stabiliti dai legislatori, confortati dai tecnici. La Sottocommissione deve soltanto preoccuparsi del fatto che la proprietà terriera non costituisca ancora, come per il passato, una prepotenza ed una potenza politica che si sovrapponga allo Stato e ad una grande massa di lavoratori italiani che rappresentano il 50 per cento della popolazione. Conclude affermando che l'articolo proposto dall'onorevole Taviani risponde meglio ai fini da perseguire e insiste perché in tale articolo sia chiaramente detto che la Repubblica deve impedire la formazione e l'esistenza di grandi proprietà terriere private.

Togni deve precisare all'onorevole Corbi che, in merito all'articolo proposto dall'onorevole Taviani, ha parlato di fine primario e non esclusivo dello Stato, nel senso che se lo Stato vuole difendere quella libertà economica, che è conquista della democrazia, deve preoccuparsi di aumentare il più possibile il benessere sociale e generale di tutto il popolo italiano. In questo compito rientra la giusta ripartizione della terra. Ecco perché ha insistito che nel primo comma si parli di valorizzazione e di elevazione sociale e nel secondo di limitazioni alla proprietà della terra.

Fa poi osservare all'onorevole Fanfani che una norma costituzionale deve essere necessariamente sintetica. A ragion veduta, quindi, il Relatore ha usato la dizione «territorio nazionale» e non la parola «terra», in quanto il problema terriero non si esaurisce nella migliore coltivazione dei campi, ma riguarda anche le acque interne, le acque demaniali, le fonti idriche che sono connesse allo sfruttamento della terra.

Quanto al concetto relativo alla elevazione dei lavoratori della terra, ritiene che sarebbe inopportuno, sia dal punto di vista politico che da quello giuridico, voler stabilire in una Carta Costituzionale, che deve contenere affermazioni nel senso più generale ed estensivo, una citazione particolare ad una determinata categoria di lavoratori. Non è inoltre favorevole ad includere il concetto della concentrazione della proprietà terriera, perché considerazioni di ordine sociale ed economico sconsigliano l'intervento dello Stato nella ripartizione, nei limiti inferiori, della proprietà terriera. È invece d'accordo sulla limitazione della eccessiva proprietà terriera, sempre che alla parola «eccessiva» sia data una interpretazione non soggettiva ma oggettiva, nel senso di un riferimento alle grandi proprietà che eccedano le normali possibilità utili di coltivazione. Infatti le grandi proprietà terriere possono consistere in migliaia di ettari di terreno incolto, in determinate zone dell'Italia meridionale, mentre in altre regioni, specie nell'Italia settentrionale, si considera già grande una proprietà di 50 ettari di terreno fertilissimo e ben coltivato. Si dichiara quindi convinto che, salvo qualche perfezionamento formale nel senso di una ulteriore precisazione, l'articolo proposto dall'onorevole Taviani possa essere accolto nella sua prima parte; quanto alla seconda essa potrà venire conciliata con le proposte delle onorevoli Federici e Noce.

Il Presidente Ghidini ritiene che la discussione si sia eccessivamente spezzettata così da far perdere di vista il criterio centrale. È difficile votare contro la proposta dell'onorevole Taviani, in quanto taluni concetti in essa espressi sono accettabilissimi. Tuttavia non può aderire al concetto di includere nella Carta Costituzionale il principio che la Repubblica dovrà impedire l'esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere private, in quanto non sempre la grande proprietà è dannosa ma anzi, alle volte è utile.

Ripete che, a suo avviso, l'articolo già approvato sulla proprietà è comprensivo, in grandi linee, di tutti i concetti che dovrebbero essere inclusi in un nuovo articolo. Infatti, essendosi sancito che «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato, che la legge ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», si è già dato al legislatore il modo di contenere entro determinati limiti la proprietà, e si assegna anzi, a questa limitazione, lo scopo preciso di fare obbedire la proprietà alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Corbi fa presente che nessuno ha sostenuto lo spezzettamento delle terre, che è notoriamente antieconomico.

Il Presidente Ghidini chiede allora che cosa si voglia intendere con la parola «ripartizione».

Corbi risponde che si vuole intendere una migliore distribuzione.

Il Presidente Ghidini fa osservare che la dizione è estremamente pericolosa, in quanto può essere interpretata in modi diversi, a seconda di chi detiene il potere.

Colitto dichiara di essere d'accordo nel sostenere la necessità di una riforma agraria in Italia, al duplice fine di potenziare la produzione e di stabilire più sani rapporti sociali; ma ritiene che le proprietà terriere non debbano essere toccate in qualsiasi caso eccedano determinati limiti di ampiezza, ma bensì quando la loro ampiezza sia tale o siano gestite in guisa da impedire quella migliore valorizzazione della terra che, diversamente, sarebbe possibile.

Fanfani d'accordo con il Presidente propone il seguente articolo:

«Lo Stato per accrescere il rendimento della terra, nell'interesse sociale e dei coltivatori — diffusa l'istruzione agraria e completata la bonifica — espropria il latifondo e le terre incolte; favorisce il concentramento di quelle eccessivamente parcellate; promuove ed integra istituzioni dirette a garantire il credito e l'utilizzazione di mezzi di produzione a favore della piccola e media proprietà; incoraggia la stipulazione di patti agrari secondo giustizia».

Taviani, Relatore, osserva che l'esposizione fatta dal collega Fanfani mette in evidenza che egli intende giungere ad un articolo che tratti della riforma agraria in tutto il suo complesso. Non essendo di tale avviso, dichiara che preferirebbe allora la proposta del Presidente di non aggiungere nuove norme, ma di limitarsi agli articoli sulla proprietà già approvati.

Il Presidente Ghidini avverte che il seguito della discussione avrà luogo nel pomeriggio alle ore 17.30

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti