[Il 19 maggio 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo quarto della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti politici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Gasparotto. Il Titolo quarto sfiora, dico sfiora perché rimane semplicemente ai margini, il problema dell'ordinamento dell'esercito.

L'articolo 49 dice: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».

Egregiamente. Soggiunge che l'ordinamento dell'esercito si uniforma allo spirito della Repubblica democratica italiana. Ottimamente. Sennonché, fissato questo principio, si afferma che «il servizio militare è obbligatorio». E qui occorre una chiarificazione. Contro questa formula restrittiva, io ed i miei colleghi Sottosegretari al Ministero della difesa ne abbiamo presentata un'altra, tecnicamente più precisa e prudentemente estensiva, in conformità delle disposizioni che regolano tutte le legislazioni straniere e della stessa tradizione italiana. Proponiamo cioè che essa sia sostituita da questa: «La prestazione del servizio militare è obbligatoria; le modalità sono stabilite dalla legge». Come dissi, questa è la dizione di tutte le legislazioni odierne europee e americane. Già lo Statuto Albertino, all'articolo 75, diceva che «La leva militare è regolata dalla legge», ed al successivo articolo 75: «È istituita una milizia comunale sulle basi regolate dalla legge». A sua volta lo scultoreo Statuto della Repubblica romana del 1845 più audacemente diceva: «L'arruolamento dell'esercito è volontario». Tutte le legislazioni estere, che potrei ad una ad una indicare, riassumono la formula relativa al reclutamento militare in questi termini: «Tutti i cittadini sono obbligati al servizio militare: i particolari sono regolati dalla legge». Perché, questa costante e uniforme dizione? Perché, fissato l'obbligo dei cittadini di servire la patria, lasciare alla legge speciale la disciplina dei singoli ordinamenti? Per lasciare aperta deliberatamente la porta al volontariato. Lo spirito che informa tutte le legislazioni è che l'obbligo del servizio militare è generale e personale. Ora bisogna vedere se, e fino a qual punto, l'obbligatorietà del servizio, o meglio della prestazione del servizio militare, possa essere sostituita (interamente o parzialmente) dalla volontarietà della prestazione. Dichiaro subito: io sono personalmente, ripeto personalmente, favorevole al volontariato della prestazione del servizio militare. Però, siccome in questa materia delicata ed alta non si può agire per improvvisazione, ed alla adozione di questo principio si può arrivare solo per gradualità, mi guarderei bene dall'applicarlo senz'altro in questo momento, in questi giorni. Bisogna distinguere avanti tutto il servizio militare in tempo di guerra e quello in tempo di pace. In tempo di guerra, l'obbligo del servizio militare indubbiamente è totalitario. In tempo di pace bisogna separare la situazione dei grandi eserciti e degli stati organizzati militarmente, cioè su basi prevalentemente militari, dove indubbiamente l'obbligatorietà è necessaria, da quella dei piccoli eserciti dove devono necessariamente prevalere gli elementi tecnici capaci di addestrare le classi da mobilitare e di assolvere i compiti nuovi fissati dall'esperienza dell'ultima guerra, che da guerra di uomini è diventata prevalentemente guerra di macchine. Ora, i tecnici non possono essere che elementi permanenti, o quanto meno sottoposti ad un lungo servizio militare. Di qui la necessaria conseguenza della volontarietà della prestazione.

La formula albertina, che lasciava aperte le porte al volontariato, ha consentito a Cavour di chiamare nel 1859 Garibaldi alla testa dei Cacciatori delle Alpi, corpo volontario sì, ma parte integrante dell'esercito piemontese; ha consentito al Ministro Di Pettinengo, nel 1866, di permettere allo stesso Garibaldi la creazione del Corpo italiano dei volontari, che si è illustrato nel Trentino.

Del resto, il volontariato è già in atto. Il corpo dei carabinieri recluta volontari al cento per cento; il corpo delle guardie di finanze altrettanto; la Marina recluta volontari attualmente al 61 per cento, l'Aviazione al 64 per cento, l'Esercito al 24 per cento. Secondo le leggi di reclutamento, fino all'anno scorso, il volontariato nella Marina era ammesso al 40 per cento; quest'anno è stato portato al 50 per cento; tuttavia, in fatto, la percentuale dei volontari è arrivata al 61 per cento.

Cito un episodio recentissimo per dimostrare come il volontariato sia penetrato ormai nell'animo del popolo italiano. Nell'ultima leva di marina, di pochi mesi or sono, su 7800 volontari soltanto 800 hanno potuto essere accettati dalla base di Taranto. Dunque, il volontariato si è offerto generosamente all'arma della Marina; la quale ha dovuto mettere alla porta la quasi totalità dei giovani che le si offrivano. Ed il comandante del deposito navale di Taranto mi ricordava giorni or sono che le madri di queste giovani reclute si erano presentate a lui, quasi piangendo, per pregarlo di accogliere le domande dei loro figli.

Una voce imprudente ha detto che noi non dobbiamo creare dei corpi mercenari. Adagio colle male parole! Che forse sono mercenari i carabinieri che tutelano l'ordine pubblico? Sono mercenarie le guardie di finanza che sorvegliano i nostri confini? Se questo termine dovesse avere cittadinanza nel vocabolario militare o nel costume politico, dovremmo dire che sono mercenari i Ministri o i deputati che volontariamente accettano il mandato ministeriale o parlamentare...

Lo spirito democratico fissato nell'articolo 49 esige forme brevi. In questa materia non sono un improvvisatore, perché le idee che espongo oggi le ho sostenute ed attuate nel 1921, quando ero Ministro della guerra. In precedenza, le aveva proposte l'altro Ministro, onorevole Bonomi. In quel tempo noi, appunto per imprimere un bene inteso spirito democratico all'esercito ed andare incontro ai voti della pubblica opinione, avevamo proposta la ferma degli otto mesi. Oggi forse questa è insufficiente, perché l'istruzione premilitare, che allora era già in pieno vigore, non è consentita dalle condizioni del trattato di pace.

Quindi, sia per i precedenti disposti dal Ministro Facchinetti, sia per le disposizioni già prese da me, si promette alla gioventù italiana la ferma dei dodici mesi, che è stata accettata recentemente anche nell'Inghilterra.

Noi intendiamo quindi, inserendo all'articolo 49 il nostro emendamento, cioè demandando alle leggi particolari la disciplina del reclutamento, che non si chiuda la porta all'avvenire, che non ci si fermi in una formula rigida, che possa infirmare il principio del volontariato.

L'articolo 6 della Costituzione ripudia la guerra come strumento di offesa, e consente perfino, a parità di condizioni, le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale. Già nel 1919 a Parigi era stato firmato il patto Kellogg, che bandiva la guerra come strumento di risoluzione delle questioni internazionali. Ora, per poter rinunciare, sia pure parzialmente, da parte di uno Stato, al principio ed ai privilegi della propria sovranità, bisogna che intervenga una specie di Stato superiore agli Stati territoriali, un organo super-statale che sia in grado di regolare le grandi controversie che minacciano di dividere il mondo.

Già nel 1940 il partito laburista inglese aveva fissato in una mozione, che ha trovato larga eco nella stampa internazionale, il principio di sottoporre l'autorità territoriale di uno Stato ad una autorità superiore internazionale, la quale avesse sotto il suo controllo forze militari ed economiche, il che è a dire un esercito di polizia a garanzia della pace.

E successivamente, nell'aprile del 1942, sempre in Inghilterra, il partito socialista, col concorso di un giovane italiano che siede in questi banchi, Paolo Treves, ha riaffermato questo principio. Nel 1898, nella repressione della rivolta dei boxers in Cina, le nazioni, Italia compresa, hanno dato vita a un piccolo ma autentico esercito internazionale. Recentemente, proprio in questi giorni, sempre auspicando all'avvento di una polizia, od esercito o, chiamatela pure, gendarmeria internazionale capace di applicare le sanzioni stabilite dalla Corte internazionale di giustizia, il generale Montgomery diceva che gli eserciti nuovi debbono costituire un complesso operativo leggero, rapido, e congegnato in modo che le tre Armi si muovano come un solo organismo. La guerra — soggiungeva — va condotta su basi scientifiche sostituendo l'uomo con i mezzi meccanici. Di qui la necessità, nel campo dei piccoli eserciti, come deve essere quello di un Paese ad economia povera qual è l'Italia, di dare largo ingresso agli elementi specializzati, a quegli elementi tecnici che non possono essere reclutati, per la lunga ferma, che fra i volontari. In tal modo, del resto, l'esercito diventa una scuola di avviamento alle professioni, sopratutto meccaniche, come è attualmente nell'Aviazione e anche nella Marina italiana, dove i giovani dei cantieri navali e delle officine aeronautiche si preparano a diventare tecnici provetti.

Il 4 febbraio scorso, il Capo provvisorio dello Stato ha firmato il decreto legislativo col quale le tre Forze armate sono unificate. Ho il piacere di dire che il principio dell'unificazione fu lealmente accettato da tutte e tre le Armi, per quanto tutte e tre siano gelose della propria tradizione, come la Marina, sopratutto, che presso la pubblica opinione costituisce un corpo quasi aristocratico, e che, pure essendosi imposta con le sue gesta all'ammirazione del mondo, com'è avvenuto per l'Aviazione (l'Esercito e fuori questione), non ha fatto obiezione a questa innovazione prettamente democratica e aderente alla situazione economica del Paese.

E, con questo, noi abbiamo raggiunto uno scopo: quello di avvicinare l'esercito al popolo. Fu per lunghi anni lamentato il dissidio tra l'esercito e il Paese: oggi l'esercito gode l'affetto cordiale del Paese. Oggi non vi sono manifestazioni militari, per quanto contenute in termini modesti, come vogliono i tempi nuovi, a differenza delle manifestazioni orgiastiche o panoramiche del cessato regime, le quali non trovino il pieno consenso dell'anima popolare.

Un tempo, dai banchi dell'estrema, un deputato e poeta che veniva dalle schiere garibaldine, disse che l'esercito doveva essere l'anima armata della nazione. Oggi questa seducente verità, allora immatura, sta diventando realtà. Noi non pensiamo a guerre nuove. Chi ha fatto la guerra nel passato sente tutto l'orrore delle guerre future. (Approvazioni).

Per questo, con l'anima rivolta agli ideali umani della pace, della fraternità e del lavoro, noi vogliamo fare delle forze armate la scuola della Nazione: scuola di coraggio, di disciplina e di educazione civile: le armi di guerra serviranno così alle arti della pace. (Vivi applausi).

[...]

Rodi. [...] Ha parlato or ora l'onorevole Gasparotto sul servizio militare. Credo che, nelle condizioni in cui si trova l'Italia attualmente, il servizio militare debba essere effettivamente obbligatorio.

Io ho letto che una corrente è contraria a questa obbligatorietà, forse perché questa corrente si è ispirata alla necessità di conferire al servizio militare quel carattere di volontariato che dovrebbe essere già completamente formato in quella gioventù che deve rappresentare l'esercito nuovo. Noi però non possiamo rompere una tradizione con la stessa rapidità e con la stessa fermezza con la quale si può tagliare un nodo gordiano; e quindi l'obbligatorietà del servizio militare dovrebbe essere conservata se non altro per il fatto che il servizio militare obbligatorio ha dato alla nostra gioventù il modo di completare la sua educazione e questa gioventù nostra suol prepararsi in anticipo al servizio militare: questa sua obbligatorietà prepara anche lo spirito di questi giovani.

Però, nell'ultimo capoverso dell'articolo 49, si dice: «L'ordinamento dell'esercito si informa allo spirito democratico della Repubblica italiana».

L'onorevole Gasparotto ha già parlato di questo spirito democratico; e non sono certamente io che posso oppormi all'essenza di questo capoverso, perché, evidentemente, in uno Stato democratico anche l'esercito deve avere una fisionomia democratica. Però, osservando bene questo capoverso, dirò che esso è o privo di significato in una Nazione democratica, o si può prestare ad un'interpretazione particolare, se non altro perché la contingenza attuale, in cui troppo spesso si parla di spirito democratico, potrebbe nascondere un pericolo del quale noi abbiamo già fatta un'amara esperienza; e cioè l'ingerenza politica nelle file dell'esercito. Dicevo amara esperienza, perché in tutti i tempi, sol che la politica si infiltri nelle file dell'esercito, questo viene ad essere dominato da una forza estranea che turba essenzialmente le sue funzioni; ed anzi, poiché l'onorevole Gasparotto ha chiamato — riferendosi ad antiche parole — l'esercito «anima armata del popolo» — è essenziale che quest'anima armata rimanga estranea ad influenze esterne, che potrebbero compromettere la sua compagine, come è già difatti avvenuto.

Quindi, noi non possiamo parlare di esercito democratico e di esercito antidemocratico; noi dobbiamo parlare soltanto di «esercito»; tanto più che l'esercito ha le sue leggi speciali, ha la sua particolare fisionomia, ha le sue gerarchie ben stabilite; ha insomma tutte quelle forze che, unite insieme, pur se divise gerarchicamente, danno l'aspetto di «anima armata» alla Nazione.

E io credo che sarebbe opportuno sopprimere questo capoverso, per lasciare all'esercito il suo pieno significato; in modo, cioè, che al nostro esercito, educatore soprattutto di giovani, sia lasciata la sua autonomia, la sua indipendenza e la sua particolare fisionomia.

[...]

Bencivenga. [...] Vi sono calamità nazionali, tra le quali è compresa la guerra, che esigono la solidarietà di tutti i cittadini. Preferibile pertanto quanto la Costituzione francese pone nel suo preambolo: «La Nazione proclama la solidarietà e la uguaglianza di tutti i francesi di fronte ai pesi che risultano dalle calamità nazionali».

Come corollario al primo dei due principî sopraesposti, la nostra Costituzione fa seguire questo dovere: «Il servizio militare è obbligatorio».

Su questo argomento sono stati proposti alcuni emendamenti sui quali ritengo opportuno richiamare l'attenzione.

Comincio da quello che porta come prima la firma dell'onorevole Cairo.

In questo emendamento si propone l'abolizione del servizio militare obbligatorio. Ora, a parte il fatto che ciò contrasta col principio, che pure i firmatari dell'emendamento ammettono, quello cioè che la difesa della Patria è dovere di tutti i cittadini, mi permetto di far rilevare come l'abolizione del servizio militare obbligatorio contrasta coi principî di una sana democrazia ed espone il Paese al pericolo di avere in tempo di pace un esercito di pretoriani.

D'altronde la coscrizione obbligatoria in guerra è una necessità, dato lo sviluppo degli ordinamenti militari odierni. Gli stessi Stati Uniti d'America si videro costretti ad introdurla con legge 16 settembre 1940.

Naturalmente il principio della coscrizione obbligatoria non significa che si debbano periodicamente chiamare alle armi centinaia di migliaia di cittadini. Sono poi le leggi sul reclutamento e sull'ordinamento dell'esercito (sulle quali è chiamato a deliberare il Parlamento) quelle che stabiliscono il contingente da chiamare alle armi, il quale può essere ridotto al minimo indispensabile per mantenere in forza l'esercito di pace. Se si pensa poi al grande numero di raffermati che gli odierni armamenti impongono, è facile intuire che la coscrizione obbligatoria si ridurrà — specie per le poche forze armate che oggi ci è concesso avere — ad un minimo contingente.

La proposta di abolire la coscrizione obbligatoria da parte dei sottoscrittori dell'emendamento in parola sembra voglia essere messa in relazione con una dichiarazione di neutralità perfetta.

Senza discutere la nobiltà del fine che essi si propongono, mi limiterò a rilevare come questa sia praticamente una utopia, come ha dimostrato la recente guerra. Ed in realtà la tecnica operativa, cioè a dire la condotta di guerra, è tale oggi, che il rispetto della neutralità di una grande nazione si risolve a vantaggio di uno dei gruppi contendenti. Ed è ovvio che quello dei gruppi che si risente danneggiato trovi un pretesto per violarla. Comunque, noi saremmo sempre nell'obbligo di difenderla. E come difenderla senza adeguate forze armate? Si pensi alla anfrattuosità delle nostre coste, nelle quali trovano sicuro rifugio i sottomarini; si pensi alle nostre estese frontiere di terra e di mare; si pensi all'estensione dei nostri cieli nei quali potranno navigare aerei e comunque aprirsi la via siluri volanti!

D'altra parte ognuno comprende che oggi, dato il genere di mezzi di difesa, si è stabilita una gerarchia di potenze che domina il mondo, per il solo fatto di avere nikel, stagno, manganese, bauxite, gomma e petrolio! Una politica indipendente a nazioni che non hanno queste materie prime non è più possibile; e già infatti si delinea uno schieramento di forze, al quale nessuna Nazione potrà restare estranea.

Su questo argomento della coscrizione obbligatoria, l'amico e collega Coppa ha presentato un emendamento col quale viene esplicitamente detto essere limitata ai cittadini di sesso maschile.

Orbene, tanto per rompere la monotonia di questo discorso, mi sia concesso di portare l'attenzione dell'Assemblea sull'impiego della donna in guerra. Io invito i miei colleghi a leggere la relazione del Comando Supremo Americano in data 1° marzo 1944 (si noti, un anno prima della fine della guerra). Risulta, da questa relazione, come tanto l'esercito, quanto la marina e l'aviazione istituirono speciali corpi di donne inquadrate da propri ufficiali, che resero grandi servizi; talché era previsto, per la fine di tale anno, di portare questi corpi femminili ad un complesso di circa 400.000 unità. Non so quante siano state alla fine della guerra, ma certamente non inferiori al mezzo milione!

Esse dimostrarono particolari attitudini al disimpegno di compiti delicatissimi, richiedenti particolari sensibilità e diligenza, lavori nei quali diedero maggior rendimento degli uomini. A parte il loro impiego nei trasporti per via aerea od automobilistica — specie nell'interno del Paese — furono impiegate nei servizi di intercettazione, nei servizi di vigilanza, nei lavori di ufficio e in quelli inerenti ai materiali di aviazione (costruzione e riparazione di paracadute, montaggio di aeroplani, ecc.).

Io non voglio turbarvi questa sera colla visione apocalittica di quello che, allo stato delle cose, sarà la guerra di domani, ma pure qualche cenno non mi sembra superfluo per venire alla conclusione che essa, più che dai quadrati battaglioni, sarà decisa da mezzi distruttivi lanciati da un paese all'altro, anzi da un continente all'altro! Pensate soltanto alla bomba atomica, che ha già raggiunto un potere esplosivo mille volte superiore a quella lanciata sul Giappone; pensate che oggi è possibile lanciare bolidi ultrasonori senza pilota, radioguidati, con spoletta radar, con spolette a televisione, con spolette a ricerca automatica di un dato bersaglio!

Non è pertanto esagerato affermare che la difesa del territorio nazionale richiederà un vero esercito disseminato all'interno per i servizi di segnalazione tempestiva, per l'uso di mezzi intesi a neutralizzare quelli di offesa dell'avversario; ed infine, e soprattutto, per fronteggiare le tragiche conseguenze delle devastazioni derivanti dalle offese nemiche. Esercito che non potrà essere più formato da quella vecchia cara milizia territoriale del buon tempo antico; ma un esercito di élite, di persone giovani, intelligenti, capaci di usare i delicati strumenti dei quali dovrà far uso la difesa.

Indubbiamente la donna potrà portare in questo campo un grande contributo; il che avrà anche il vantaggio di risparmiare le braccia necessarie al lavoro dei campi e delle officine, allo scopo di non inaridire le fonti di produzione, che costituiscono tanta parte, se non la maggiore, della forza di resistenza di un Paese in guerra.

È bensì vero che le forze femminili, inquadrate dagli Americani furono volontarie ed istituite regolarmente sulla base di una legge votata dal Senato; ma nessuno può escludere che, nella deficienza di un gettito adeguato di questo reclutamento volontario, si debba ricorrere ad una vera e propria coscrizione. Ed io sono convinto che se la necessità si presentasse, le nostre donne, sul cui patriottismo nessuno può elevare dubbi, accoglierebbero con disciplina il provvedimento legislativo, che certamente dovrebbe essere preso con la necessaria ponderazione.

E pertanto io penso che, sia per venire incontro a coloro che propongono l'abolizione del servizio militare obbligatorio, sia alle preoccupazioni del collega Coppa, suggerite da uno squisito senso di cavalleria, si potrebbe far seguire al periodo «Il servizio militare è obbligatorio» la frase: «secondo la legge».

Si avrebbe così il vantaggio di non ipotecare l'avvenire.

Io ho parlato finora dei doveri dei cittadini verso la Patria.

Mi sia concesso però di far scaturire da questo dovere un diritto: quello di veder onorato il sacrificio ed il valore, nonché l'istituzione di organismi giuridicamente ordinati ed in grado di provvedere alle minorazioni subite nella persona, nella famiglia, nei beni. Mi riservo di presentare un emendamento in proposito.

Meritevole di alta considerazione è anche l'emendamento che porta come prima firma quella del collega Calosso. Secondo tale emendamento si vorrebbe porre un limite alle spese per le forze armate, nel senso che dette spese non debbano superare quelle per la pubblica istruzione.

Non vi è uomo sensato, che sappia che cosa è la guerra e la devastazione morale e materiale che da essa deriva, che non si auguri la riduzione a zero delle spese militari. Ma ahimè! pare non sia dell'umanità la volontà di rinunziare alla guerra per comporre le questioni che turbano la vita dei popoli. Orbene, fino a che la guerra sia nelle eventualità, le spese militari saranno quelle che si renderanno necessarie per assicurare l'indipendenza e la sicurezza della Patria.

È un errore ritenere che i bilanci militari siano dettati da una volontà astratta di incremento delle forze militari. L'entità di queste forze è quella che scaturisce dalle esigenze di ordine politico nei rapporti internazionali. Il disastro avviene sempre, purtroppo, quando la potenza dell'apparecchio militare non è in stretto rapporto con i pericoli che derivano dalla politica estera. È proprio quello che è accaduto al fascismo.

Il problema della difesa nazionale non è soltanto quello delle forze armate e dei relativi bilanci, ma si estende all'economia, all'attrezzamento industriale del Paese e non solo nella sua entità, ma anche nella ubicazione e nelle caratteristiche degli impianti (dico per incidente che oggi sono condannati i grandiosi complessi, la cui distruzione recherebbe un grave colpo al potenziale industriale della Nazione!). Ora è compito del Consiglio supremo di difesa previsto nella nostra Costituzione la soluzione del problema della difesa nazionale. I bilanci militari sono una conseguenza di queste decisioni, sulle quali poi l'ultima parola spetta al Parlamento.

Comunque, se anche la nostra Costituzione sancisse il principio dell'emendamento proposto, non mancherebbero mezzi per eluderne la portata, inserendo su altri bilanci tutte le spese che non riguardano il puro mantenimento delle truppe sotto le armi! Per ironia del caso dirò che proprio sul bilancio della pubblica istruzione potrebbero essere portate le ingenti spese per studi ed esperienze riguardanti la chimica e la fisica atomica sulle quali sarà impostata la guerra di domani!

Ed ora, visto che il tempo stringe, un breve cenno sulla questione delicata dell'esercizio dei diritti civili da parte dei cittadini che adempiono all'obbligo del servizio militare; diritto sancito dal secondo capoverso dell'articolo 49. Se la legge elettorale dovesse informarsi, come dovrebbe, a questa disposizione, nessuno potrebbe evitare che caserme, aeroporti e navi si trasformassero in palestre di discussioni politiche, con le gravi conseguenze che ognuno può immaginare!

Di conseguenza io penso che dovrebbe essere espressamente vietato dalla legge, agli ufficiali e sottufficiali in servizio attivo permanente, di far parte di partiti politici e di accettare candidature nelle elezioni politiche.

La gravità del mio rilievo risulta evidente quando il disposto dell'articolo 49 lo si metta in relazione con il secondo comma dell'articolo 50. Lo ricordo: «Quando i poteri politici violino le libertà fondamentali ed i diritti (e richiamo l'attenzione su questa parola!) garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino».

Autorevoli colleghi hanno rilevato, nel corso delle precedenti discussioni, come la nostra Costituzione garantisca troppi diritti, che certo non potranno all'atto pratico essere garantiti. Lascio ai colleghi che hanno proposto, come emendamento, la soppressione di questo comma, sviluppare l'argomento; io mi limito a chiedere: questo diritto sarà pure esteso alle forze armate? Non credo di dover spendere molte parole per dimostrare i pericoli che dall'esercizio di questo diritto deriverebbero.

Ricorderò ai colleghi che hanno i capelli bianchi (e invito i giovani ad informarsi al riguardo) che la così detta marcia su Roma del fascismo fu coronata dal successo soltanto per il dubbio, avanzato dal maresciallo Diaz, circa il comportamento dell'esercito nel caso fosse stato decretato lo stato di assedio!

Dubbio infondato, ma che tuttavia bastò per aprire a queste forze rivoluzionarie le porte della capitale, e permettere la conquista del potere.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti