[Il 3 settembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione generale sull'organizzazione costituzionale dello Stato partendo dalla relazione dell'onorevole Mortati.

Vengono qui riportate, per questa e per le successive sedute, solo le parti relative all'articolo in esame, e più precisamente quelle riguardanti la forma bicamerale o monocamerale; le parti riguardanti invece la composizione e le modalità di elezione del Senato vengono riportate a commento degli articoli 57, 58 e 59, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo delle sedute.]

Mortati, Relatore, passando al problema dell'unicameralismo e bicameralismo, osserva che, per risolverlo, bisogna chiedersi quali sono i fini politici che si vogliono raggiungere con l'esistenza di due Camere anziché di una sola. Tali fini possono essere molteplici e si tratta di vedere come si possano realizzare.

Un primo fine è quello di esercitare una funzione ritardatrice, di controllo dell'operato della prima Camera. Si osserva che il meditare su una deliberazione presa dalla prima Camera, l'approfondire il problema e il ripetere la discussione, possono agevolare così la valutazione della convenienza politica della legge come il suo perfezionamento tecnico. Questo scopo può essere raggiunto da una seconda Camera qualsiasi: anche una seconda Camera formata con la stessa struttura della prima può esercitare questa funzione ritardatrice, questa ripetizione dell'esame. Il caso tipo di una seconda Camera formata esclusivamente con questo intento è offerto dalla costituzione norvegese; l'unica che forma la seconda Camera dallo stesso seno della prima: il corpo elettorale norvegese elegge, infatti, un certo numero di Deputati, i quali eleggono nel loro seno un numero più ristretto di membri che vanno a formare la seconda Camera; e si dice che il risultato di questo sistema sia assai soddisfacente, il che significa che non è esatta la tesi che quella seconda Camera non sia che un duplicato della prima.

Ma, accanto a questo scopo ve ne è un altro più particolare e che esige forme specifiche di realizzazione: quello dell'integrazione della rappresentanza. Ammessa una rappresentanza generale del popolo, indifferenziato, può apparire utile accompagnare la prima Camera con una seconda, la quale sia formata in modo diverso, pur essendo sempre di origine popolare. Bisogna partire dal presupposto che questa seconda Camera debba essere capace di decisioni politiche, cioè di manifestazioni di volontà e non di pure espressioni di pareri o manifestazioni di desideri. Questa seconda Camera, posta in posizione di parità con la prima, potrebbe realizzare meglio il suo fine quando fosse espressione di una integrazione del suffragio.

Richiama l'attenzione della Sottocommissione sul fatto che, comunque si decida la questione dell'organizzazione del suffragio, la Costituente dovrà tener presenti certe linee essenziali dell'ordinamento del suffragio, perché vi sono istituti che con determinati regimi elettorali funzionano in un certo modo, con altri regimi funzionano diversamente.

Ammessa una rappresentanza formata in un dato modo, si domanda se, insieme o accanto a questa rappresentanza politica che esprime gli orientamenti dei vari partiti fra cui si divide il corpo elettorale, non vi sia posto per un'altra forma di rappresentanza, la quale esprima la volontà dello stesso popolo, che sia quindi anche espressione del suffragio generale, ma in una veste diversa. Naturalmente queste forme di costituzione della seconda Camera hanno una funzione in quanto portano ad uno spostamento del peso politico che emerge dalla prima Camera. Questo è il risultato pratico.

Qualunque Senato tende a modificare il peso politico dei cittadini quale potrebbe essere espresso attraverso il suffragio universale e la rappresentanza di partiti. Il sistema francese del 1875, modificato nel 1884, si basa sulla rappresentanza territoriale: la legge francese dà una rappresentanza eguale a comuni o a organismi territoriali diversamente composti nel loro rapporto demografico; e la conseguenza politica che ne deriva è che i comuni piccoli hanno una influenza maggiore delle grandi città, onde una impronta speciale che deriva al Senato da questa rappresentanza, la quale sposta il rapporto realizzato nella prima Camera con il suffragio universale.

Vi possono essere altre forme per una diretta integrazione del suffragio, ed una di queste è quella della rappresentanza di categoria. Le categorie si possono intendere con due significati: o col significato economico, in cui le categorie rappresentano gli interessi delle professioni che intervengono nella vita economica come fattori della produzione e del consumo; o col significato super-economico, e quindi culturale, assistenziale, o, se si vuole anche dire, professionale, in cui però la parola «professionale» va intesa in senso generico. Naturalmente l'accettazione di una rappresentanza di questo genere solleva problemi numerosi e di varia natura e presupporrebbe o l'organizzazione di queste categorie in gruppi determinati o il realizzarsi delle categorie anche indipendentemente dalle organizzazioni di questo genere, sulla base di una semplice anagrafe delle popolazioni nei vari settori delle attività economiche o culturali. In questo secondo caso l'attribuzione di un numero di seggi a ciascuna categoria verrebbe fatta avendo soltanto in vista il quadro di ripartizione, indipendentemente da una organizzazione delle singole categorie in sindacati appositamente riconosciuti. Si potrebbe, cioè, pensare ad una terza forma, la quale non considerasse le categorie nelle loro specializzazioni, ma che abbracciasse gruppi di categorie sulla base di certi interessi sociali più eminenti e più importanti: per esempio la cultura, la giustizia, il lavoro, l'industria, l'agricoltura. E sarebbe, questo, un tentativo di dare alla rappresentanza una maggiore organicità e di eliminare o attenuare l'influenza strettamente proporzionale degli interessi, per allargare la visuale verso forme di valutazione più propriamente politica. Non si deve, infatti, dimenticare che, se si vuol dare alla seconda Camera una funzione politica, si debbono anche creare i presupposti perché i rappresentanti possano elevarsi a questa più ampia valutazione politica.

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Ma la formazione di una seconda Camera può tendere anche ad un altro scopo, cioè a quello di selezionare particolari capacità e competenze; e allora bisogna affrontare il problema della competenza, che vale anche per la prima Camera, ma che per la prima Camera si risolve più difficilmente, appunto perché ad essa si vuol dare un carattere di rappresentanza politica generale.

Nella seconda Camera, per lo meno storicamente, si è realizzata la tendenza a delimitare la scelta degli eleggibili per assicurare la presenza nell'assemblea legislativa di certe competenze individuali che il sistema dei regimi rappresentativi di per se stesso non assicura. Questo terzo scopo a cui si può tendere nella costituzione della seconda Camera, formata nell'ambito di certe categorie, cioè prescrivendo che gli eleggibili siano scelti nell'ambito di determinati gruppi, che si suppone abbiano una certa competenza, è molto importante, perché uno dei fattori che ha contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il difetto di competenza, tanto più sensibile nello Stato moderno che ha visto estendersi la sua sfera di attività in settori sempre nuovi e sempre più tecnici. Questo fine politico particolarmente importante può essere soddisfatto con la costituzione di una seconda Camera in cui si faccia una selezione degli eleggibili. Naturalmente se si stabilisce una rappresentanza di categoria, per evitare la forma di rappresentanza fascista, in cui alla Camera delle Corporazioni un poeta o un filosofo rappresentava, per esempio, gli ortofrutticoli, bisogna esigere che i rappresentanti appartengano alle categorie rappresentate, determinando certi requisiti di capacità: età, appartenenza a certe attività, aver fatto parte di certi corpi od uffici, ecc.

[...]

Un altro punto da affrontare a proposito del sistema bicamerale è quello della parità, o meno, da concedere alle due Camere: parità piena, semipiena, o non parità. Questa ultima pone la seconda Camera in una situazione di inferiorità di fronte alla prima, limitandone la competenza all'emissione di pareri o alla sospensione dell'attuazione di certe misure. Uno dei casi è quello della Camera dei Lords inglese che, dopo la riforma del 1911, non è più una Camera legislativa in senso proprio, ma ha una funzione sospensiva di certe misure; ed anzi, nella materia finanziaria non ha neanche questa funzione. Questo era il caso del Reichsrat della costituzione di Weimar. A suo avviso, il sistema bicamerale non può consentire forme di seconda Camera con questi limiti; la seconda Camera dovrebbe avere non solo piena parità di diritti in materia legislativa, ma anche piena parità in ordine alla fiducia da accordare al Governo. Egli, anzi, aveva proposto di formare un organo misto, una riunione plenaria delle due Camere per votare sulla fiducia al Governo, in modo che fosse meglio attuata una compenetrazione dei vari punti di vista attraverso la discussione e la votazione. In considerazione del fatto che la prima Camera ha un valore politico di fatto, non di diritto, preminente, si potrebbe escogitare un sistema che desse una preminenza numerica alla prima Camera in modo da metterla nella sua giusta posizione.

Quindi, egli è per la piena parità anche nel campo finanziario, perché, evidentemente, quei limiti che sono valsi per diminuire l'efficienza in questo campo della seconda Camera negli ordinamenti in cui questa ripeteva la sua origine non dal popolo ma dal Sovrano, non hanno più ragione d'essere in un ordinamento nel quale l'origine della seconda Camera è anche essa popolare, e manca la ragione di un trattamento diverso alle due Camere anche in questo campo.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti