[Il 18 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Targetti. Essendo stati illustrati i vari ordini del giorno, ha facoltà di parlare uno dei Relatori, l'onorevole Mortati.

Mortati, Relatore. Parlo come correlatore della Commissione dei Settantacinque sul titolo dedicato al Parlamento, allo scopo di formulare alcune osservazioni sui rilievi che sono stati mossi qui, in sede di discussione generale, a questa parte del progetto, e per accennare io stesso ad alcune critiche, naturalmente uniformandomi allo spirito del progetto, al quale ho dato la mia opera e la mia approvazione.

Un tema obbligato di esame in questa materia è naturalmente quello del bicameralismo. Io non mi fermerò a riesaminare ancora le ragioni che possono confortare la tesi che sostiene l'esigenza del sistema bicamerale, o a ribattere le obiezioni sollevate. Vorrei semplicemente rilevare alcune impostazioni troppo astratte che sono state formulate qua dentro a sostegno della tesi contraria al bicameralismo. Proprio adesso abbiamo sentito, dall'onorevole Gullo, ripetere ancora una volta la tesi secondo la quale non è possibile pensare ad un regime bicamerale, in quanto la unicità della volontà popolare non tollera che questa si esplichi mediante molteplici modi di manifestazione. Mi pare che non ci possa essere un punto di vista più astratto di questo, che considera un popolo sempre e necessariamente come unità indifferenziata, che contesta sub specie aeternitatis, la possibilità di un bicameralismo, indipendentemente da quelle che possono essere le condizioni dei vari paesi nelle varie epoche storiche. Come tutti sanno, questa è una posizione di pensiero di origine illuministica, che fu assunta dalle Costituzioni rivoluzionarie francesi costruite sulla base di una struttura sociale resa omogenea dall'esclusione dalla vita politica, sotto diverse forme, dell'antica nobiltà e del popolo non fornito di censo. Come pensare di poter dare validità universale ad un'ideologia così strettamente condizionata a particolari condizioni storiche?

Inficiata dalla stessa astrattezza è anche l'eccezione che si vorrebbe porre a questa regola, secondo quanto è stato qui ripetutamente affermato: quella che sarebbe costituita dallo Stato federale. Non c'è nulla di più inesatto di questo. Non è affatto vero che nello Stato federale ci sia un'esigenza istituzionale interna ad esso, che porti ad esigere due forme di rappresentanza popolare, quella dello Stato nel suo complesso e quella dei singoli Stati membri, e ciò perché nello Stato federale, una volta che esso sia formato, l'ultima istanza, il potere supremo, viene ad essere costituito non dai singoli Stati ma da tutto il popolo nella sua unità indifferenziata. Ed è a questo organo costituito dal popolo che si affida la funzione della revisione costituzionale.

Se negli Stati federali, di norma (ma non sempre, perché abbiamo esempi di Stati federali in cui non c'è duplicità di Camere parlamentari, come nella Costituzione tedesca di Weimar, in cui c'è uno Stato federale, o per lo meno largamente decentrato, con decentramento garantito costituzionalmente, e dove tuttavia non esiste una seconda Camera, concorrente alla formazione delle leggi tale non potendosi ritenere il Reichsrat), vi è una duplicità di rappresentanza parlamentare, ciò avviene non per una esigenza intrinseca, essenziale a questa struttura statale, ma per ragioni di opportunità, perché essendovi differenziazioni costituite dai singoli Stati, differenziazioni di interessi, si ritiene opportuno che queste differenziazioni siano riflesse nell'organo supremo dello Stato, nel potere legislativo. Quindi la ragione che giustifica negli Stati federali la doppia Camera è una ragione che va oltre l'ambito di applicazione che riceve dalla Costituzione, cioè che è applicabile al di là di questo ambito, perché l'esigenza che la promuove è più vasta di quella che non sia costituita dai bisogni organizzativi dello Stato federale.

Si è dagli avversari del bicameralismo citato anche l'esempio inglese; si è detto che l'Inghilterra ha in realtà una sola Camera, essendo stata la Camera dei Lords, dopo la riforma del 1911, svuotata dell'antico potere, pari ordinata rispetto ai Comuni. Ma anche questa osservazione pecca di astrattezza, e ciò perché, anzitutto, non tiene conto di quello che, al di là dei poteri giuridici, è il valore morale della Camera dei Lords, trascura cioè la rilevanza politica delle sue deliberazioni; perché inoltre non tiene conto della esistenza di larghe correnti dell'opinione pubblica inglese, le quali agitano il problema della riforma della Camera dei Lords, appunto per aumentarne l'efficienza di fronte all'altra Assemblea, ed in terzo luogo non considera il complesso di fattori di varia natura che in Inghilterra influiscono a temperare l'azione della prima Camera, i suoi eventuali abusi e quindi rendono meno sentita la esigenza di una seconda Camera. Non si pensa che, fra l'altro, in Inghilterra si verifica l'inserzione nello Stato delle forze organizzate del lavoro, le quali non pongono delle istanze sovvertitrici dell'ordine costituito e del metodo democratico, ma trovano la loro espressione ed il mezzo di assunzione di una diretta responsabilità politica nel partito politico che li rappresenta. Informate ad una considerazione anch'essa, secondo me, non strettamente aderente alle esigenze veramente essenziali di una seconda Camera sono altresì alcune delle giustificazioni che si vogliono addurre a sostegno dell'introduzione di tale istituto. Questo può dirsi dell'opinione, che abbiamo inteso affermare anche qui dentro, secondo cui la seconda Camera risponde al bisogno di porre dei freni, dei limiti, di esercitare una azione ritardatrice e di ripensamento dell'azione della prima Camera. Senza dubbio questa azione ritardatrice è importante, ma non può assumersi come l'essenza, la vera ragione d'essere del sistema bicamerale. Infatti questa azione ritardatrice, questo freno, questo ripensamento, questa riflessione si potrebbero ottenere con altri mezzi, e sono state infatti ottenute in certi ordinamenti con altri mezzi, o con la istituzione di certe magistrature speciali, l'eforato, il tribunato, ecc., o ancora mediante l'obbligo fatto alla Camera unica di ritornare sulle sue deliberazioni, imponendo cioè ad essa una duplice deliberazione ad intervallo di tempo. Se si vuole identificare l'esigenza veramente essenziale che giustifichi il costituirsi di un sistema bicamerale bisogna rintracciarla altrove, e precisamente nel bisogno dell'integrazione del suffragio. Bisogna chiedersi in altri termini se, data una determinata struttura sociale, questa struttura sia sufficientemente espressa e rispecchiata nella Camera unica, bisogna porsi il problema del modo di attuare la massima possibile efficienza rappresentativa nel Parlamento, in modo che esso rispecchi fedelmente gli interessi della Nazione in tutta la loro varietà e complessità. Problema fondamentale questo dell'organizzazione della rappresentanza politica, da cui dipendono le sorti della democrazia moderna.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti