[Il 17 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo». — Presidenza del Vicepresidente Conti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Conti. [...] Passiamo allo svolgimento degli ordini del giorno.

Il primo è quello dell'onorevole Macrelli, del seguente tenore:

«L'Assemblea Costituente,

considerata la convenienza del sistema bicamerale;

ritenuto che — in coerenza con l'adozione dell'ordinamento regionale — la seconda Camera deve essere eletta su base regionale;

delibera

che il Senato della Repubblica sia costituito secondo i seguenti criteri:

1°) a ciascuna Regione sia attribuito, oltre ad un numero fisso di cinque senatori, un senatore per duecentomila abitanti;

2°) un terzo dei senatori assegnati a ciascuna Regione sia eletto dal Consiglio regionale ed il resto a suffragio universale;

3°) sia attribuita al Presidente della Repubblica la nomina di un ristretto numero di senatori (10-15);

4°) per l'eleggibilità a senatore sia fissata l'età di 40 anni;

5°) la libertà di scelta dei senatori non sia limitata mediante indicazione di categorie».

L'onorevole Macrelli ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

Macrelli. Onorevoli colleghi, il mio ordine del giorno è così chiaro e preciso che credo non abbia bisogno di molte parole a commento.

[...]

Le Regioni quindi dovranno avere (noi accettiamo quello che la Commissione ha proposto) ciascuna un numero fisso di 5 senatori ed un senatore per 200 mila abitanti, e saranno i Consigli regionali a nominare almeno un terzo dei senatori. Ma è legittima la domanda che tutti quanti noi ci siamo posti ed alla quale abbiamo cercato di dare, a seconda del punto di vista politico da cui partivamo, una risposta aderente alla realtà, alle necessità del momento ed anche alla nostra fede: e per gli altri due terzi come si provvede?

Le soluzioni prospettate in seno alla Commissione furono varie, come varie sono state quelle che altri colleghi hanno esposto all'Assemblea. Certo noi avremmo voluto affermare una nostra idea, una idea che risponde a quelle che sono le condizioni particolari, speciali della vita politica italiana in relazione anche a quelle che sono state le norme ormai segnate nella Carta costituzionale attraverso le discussioni che abbiamo fatto e attraverso gli articoli che abbiamo approvato.

Un nostro valoroso collega, appartenente al Gruppo repubblicano, ebbe a contrapporre il nostro pensiero a quella che era stata la proposta venuta, se non erro, dai rappresentanti di un grande partito, il democristiano, i quali avevano accennato alla possibilità che il Senato fosse l'espressione della volontà dei Consigli comunali o dei collegi di consiglieri comunali.

Il collega Perassi, a questo proposito, pensava — insieme a noi, naturalmente — che invece questa delega per la nomina dei Senatori fosse affidata ai rappresentati eletti a suffragio universale in ciascun mandamento o circondario della Regione, scelti fra gli elettori iscritti nei Comuni del mandamento o del circondario, in proporzione agli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge. Badate, non è un principio nuovo: è stato accolto anche in altre legislazioni, in altre Costituzioni. Le nostre Commissioni hanno creduto di superare questa proposta. Con ogni probabilità, in sede di emendamento, dovremo ritornare sul problema ed allora discuteremo; ognuno esprimerà la propria idea e l'Assemblea emetterà la sua decisione.

Aggiungo di più: noi avremmo preferito anche non dimenticare l'altra tendenza comune alle legislazioni moderne, quella cioè di assicurare una rappresentanza degli interessi economici. Dopo la prima guerra mondiale quasi tutti gli Stati si sono indirizzati verso questa tendenza. Se voi guardate alla lontana America, agli Stati Uniti — questa grande repubblica democratica — voi trovate, per esempio, persino che la Camera di commercio (dico la Camera di commercio) in un certo senso è considerata quasi come la terza Camera del Congresso, in cui altri organismi professionali, sindacali, culturali, hanno un'importanza veramente considerevole nell'opera legislativa. Ma noi abbiamo compreso le opposizioni, abbiamo sentito e sentiamo le difficoltà.

La stessa relazione della Commissione dei Settantacinque segna in proposito le seguenti parole: «la difficoltà di organizzare i necessari congegni e di ottenere una «dosatura» fra le varie categorie rappresentate ha consigliato la Commissione (e la Commissione consiglia noi) di accettare quel testo che è sottoposto al nostro esame ed alla nostra eventuale approvazione».

Gli altri due terzi del Senato dunque saranno eletti a suffragio universale e naturalmente, aggiungiamo noi, col sistema proporzionale.

[...]

Dicevo dunque: la seconda Camera, il Senato della Repubblica, sia costituito secondo i seguenti criteri: 1°) a ciascuna Regione sia attribuito, oltre ad un numero fisso di 5 senatori, un senatore per 200.000 abitanti; 2°) un terzo dei senatori assegnati a ciascuna Regione, sia eletto dal Consiglio regionale ed il resto a suffragio universale». Ho detto in proposito il mio pensiero succintamente, tralasciando i particolari.

[...]

Onorevoli colleghi, nell'ordine del giorno c'è una proposta che credo finirete per approvare, anche se non è in relazione a quello che vi ho detto prima: sia attribuita al Presidente della Repubblica la nomina di un ristretto numero di senatori. Per acquietare poi le coscienze timorate di qualche collega o di molti colleghi, ho posto tra parentesi due cifre: 10-15. Deciderete voi, ma io ho voluto affermare il principio, soprattutto per una ragione: se per l'articolo 86 del progetto di Costituzione il Presidente della Repubblica nomina il Primo Ministro e, su proposta di quest'ultimo, nomina i Ministri, io penso che a maggior ragione egli possa avere il diritto di scegliere alcuni senatori.

Badate che io pongo questa mia proposta in relazione all'ultima parte dell'articolo 56 del progetto, la quale comprende una elencazione di categorie di persone tra le quali debbono essere scelti i senatori. Se guardate l'ultima parte del mio ordine del giorno troverete che io chiedo sia lasciata piena libertà di scelta per gli elettori; quindi nessuna indicazione di categorie; la nomina dei senatori non deve avere limiti di sorta. Noi pensiamo che i cittadini italiani possano e debbano nominarsi i loro rappresentanti secondo la loro coscienza e la loro fede, starei per aggiungere anche secondo il loro interesse. Ma la legge, e soprattutto la legge costituzionale, dopo aver affermato quei principî etico-politici, che noi già abbiamo consacrato, non può né deve porre limiti di nessuna specie.

Orbene se voi rileggete la confusa elencazione dell'articolo 56 (che non è, badate, solo indicativa, ma è tassativa), voi vedrete che esiste una lacuna, alla quale si è accennato incidentalmente anche stamattina in una discussione molto vivace svoltasi nell'Assemblea, ed è una lacuna a cui possiamo ovviare soltanto con la proposta che vi abbiamo fatto; noi pensiamo cioè che ad un certo momento il Presidente della Repubblica, cioè la più alta autorità dello Stato, possa scegliere alcuni senatori, almeno fra coloro che onorano la Patria con alte benemerenze scientifiche ed artistiche.

Leggete l'articolo 56, onorevoli colleghi, e guardate le categorie in elenco. Potremmo fare della critica e della facile critica, non dico demagogica, ma una critica che porterebbe alle mie parole il vostro consenso. Io mi fermo alla prima parte, ove è l'accenno ai decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-45. E quelli della guerra 1915-18? Signori, io appartengo ad un partito, che ha dato dei volontari nelle Argonne ed in Serbia, nel Carso e nell'Isonzo: dovunque hanno pagato col loro sangue. Questi sono dimenticati. La guerra del 1915-18 non esiste per i nostri legislatori, non esiste per la Commissione dei Settantacinque.

Ora, noi non vogliamo qui stabilire rapporti tra categoria e categoria, tra persona e persona, tra classe e classe. Ecco perché, per una ragione superiore morale, diciamo: nessuna limitazione, nessuna elencazione.

L'articolo 56 deve parlare soltanto della composizione della Camera dei senatori o, meglio, del Senato della Repubblica, senza fissare limiti, senza stabilire norme per le categorie da cui i senatori si devono scegliere. E poi affidando al Presidente della Repubblica la prerogativa cui accenna il mio ordine del giorno, pensiamo di non urtare contro il principio della sovranità popolare; pensiamo anzi di dare una più alta espressione all'autorità, alla dignità del Capo dello Stato ed anche un maggior prestigio alla seconda Assemblea legislativa della Repubblica italiana. (Applausi Congratulazioni).

[...]

Condorelli. [...] E poi nulla esclude che a questo principio di rappresentanza regionale si possa anche associare il principio della rappresentanza di interessi: potrebbero benissimo essere combinati ed associati. Così avremmo creato un organo che ha funzioni sue, che gli darebbero tono e forza.

[...]

Presidente Conti. L'onorevole Piccioni ha presentato il seguente ordine del giorno firmato anche dall'onorevole Moro:

«L'Assemblea Costituente,

considerato che l'esistenza di una seconda Camera accanto a quella eletta a suffragio universale indifferenziato risponde alla necessità di integrare la rappresentanza politica, in modo che essa rispecchi la realtà sociale nelle sue varie articolazioni e tutti gli interessi politicamente rilevanti ed assicuri inoltre al lavoro legislativo, divenuto sempre più tecnicamente qualificato, il concorso di speciali competenze,

ritiene

che queste finalità si raggiungono, chiamando a partecipare alla seconda Camera i gruppi, nei quali spontaneamente si ordinano le attività sociali;

che tale rappresentanza deve essere realizzata — secondo un criterio di ripartizione a base territoriale regionale — con metodo democratico, mediante elezioni a doppio grado alle quali concorrano tutti gli appartenenti alle categorie sociali e in modo da promuovere la coordinazione degli interessi dei gruppi con l'interesse generale;

che la ripartizione dei seggi deve obbedire di massima al criterio della proporzione con l'entità numerica delle categorie ed insieme a quello della maggiore responsabilità del lavoro qualificato».

Ha facoltà di svolgerlo.

[...]

Piccioni. [...] Le ragioni sostanziali che militano a favore della seconda Camera si possono restringere a queste tre: la prima è quella di garantire l'equilibrio ed una certa integrazione del potere e della funzionalità della prima Camera; la seconda è quella di concorrere con una più ponderata competenza tecnica ed una maggiore maturità di esperienza alla elaborazione legislativa; la terza è quella di contribuire in qualche modo a risolvere il delicato problema di una maggiore stabilità del Governo parlamentare.

Ora, se si tengono presenti queste tre ragioni fondamentali, bisogna d'altra parte cercare di comporre, di formare la seconda Camera in modo tale che le ragioni che la giustificano trovino una seria applicazione, altrimenti, se non si riesce a dare alla Camera una composizione ed una funzionalità tale che possa seriamente rispondere a queste necessità sostanziali, si ricade in quello che si voleva evitare in partenza, cioè nell'aggravare in certo modo il difetto della Camera unica. Ed il criterio quindi che ci deve orientare nell'indagine, nell'esame della composizione della seconda Camera è precisamente questo: di non ricadere in un bis in idem della prima. Le difficoltà, evidentemente, ci sono e numerose, specialmente in un ordinamento che vuole essere genuinamente, autenticamente democratico. Non bisogna tuttavia farsi impressionare troppo dalle difficoltà medesime per ricadere, con un certo semplicismo e con una certa facilità, nel modo di composizione della prima Camera applicato anche alla seconda.

A me pare che dopo le lunghe discussioni che si sono avute in seno alla seconda Sottocommissione ed alla Commissione dei Settantacinque, per quanto si sia cercato di affrontare le difficoltà di una diversa, di una più differenziata formazione della seconda Camera, ci si sia poi lasciati impressionare, per ricadere, come è detto nel progetto, presso a poco nello stesso modo di formazione della prima Camera.

Ora, io ripeto quello che, con scarsa fortuna, avevamo detto in seno alla seconda Sottocommissione: che tenuta presente la necessità di un sano ordinamento democratico, di un ordinamento democratico non inteso in senso astratto, formalistico, che abbia come fondamento il suffragio universale che si esprime nella prima Camera, non ci si deve rifiutare di integrare il suffragio universale stesso con quelle altre forme di rappresentatività della struttura sociale moderna che hanno un peso forte, decisivo nella vita della collettività, dal punto di vista sociale ed anche dal punto di vista politico. Il suffragio universale va integrato attraverso una forma rappresentativa della stessa volontà popolare, non intesa come somma delle volontà individuali — così come è stato sempre inteso il suffragio universale ed i suoi risultati — ma come espressione di una volontà più organica, sia pure del popolo, veramente operante nella vita nazionale, volontà organica che si inquadra in certi gruppi, in certi nuclei, in certe categorie, che portano un peso veramente decisivo nella funzionalità della vita collettiva e nell'evoluzione stessa della vita sociale, dal punto di vista economico, dal punto di vista morale e politico.

Con questo, noi diciamo che per la seconda Camera, (per non ripetere sempre questa parola è meglio parlare di Senato, perché, come giustamente osservava l'onorevole Nitti, non ha senso, ha un senso un po' forzato il nome di Camera dei senatori da contrapporre alla Camera dei deputati, perché si sa cosa voglia dire Camera dei deputati, ma non si capirebbe quello che vorrebbe dire Camera dei senatori, in quanto senatore viene da Senato) noi proponevamo, non come affermazione di un principio programmatico nostro — ciò che può avere un po' allarmato taluno dei nostri amici di altri partiti — ma come espressione di una esigenza sociale moderna, di costituire il Senato come rappresentativo di interessi politicamente rilevanti, interessi che si esprimono attraverso certe categorie sociali che hanno un peso decisivo nella vita collettiva.

Tutto questo da alcuni è stato inteso come non so quale tentativo di conservazione sociale ed economica, da altri come una riviviscenza appena larvata del corporativismo fascista.

L'accusa di conservatorismo economico e sociale è del tutto infondata. Io ho qui la relazione che per la riforma del Senato fece Francesco Ruffini insieme ad altri illustri senatori nel 1919-20, quando si sentiva, fin d'allora, la necessità di dare al Senato una funzionalità ed una rispondenza con le esigenze della vita moderna, che anche allora il Senato aveva scarsamente mostrato di possedere. Ebbene, in questa stessa relazione fatta da un eminente rappresentante del liberalismo italiano come Francesco Ruffini, vi sono due o tre capitoli che parlano della riforma del Senato dal punto di vista della rappresentanza degli interessi e delle categorie. E non è una trovata — per quanto altissimo e nobilissimo fosse l'ingegno di Ruffini — ma in detta relazione si rifà accuratamente la storia di tutti gli studi, di tutta la letteratura vastissima che in materia si era venuta sviluppando negli ultimi anni precedenti al regime fascista.

Ebbene, la riforma del Senato o la costituzione di una seconda Camera, concepita come espressione rappresentativa di interessi socialmente e politicamente rilevanti, era un postulato delle sinistre più avanzate e democratiche: ricorse recentissimamente qui, fra gli altri, il nome di Vandervelde che mi pare sia stato il Capo del socialismo belga. Ed anche in Italia ci fu un ordine del giorno dell'onorevole Vigna, se non isbaglio, socialista, il quale affermava la necessità, per procedere ad un rinnovamento delle strutture legislative costituzionali, di inserire nel Senato le rappresentanze di interessi.

Sicché, anche tenendo presente questo precedente, l'accusa di reminiscenze corporativistiche non ha ragion d'essere. Io arrivo anzi a dire che, se non avessimo dovuto affrontare lo sciagurato ventennio fascista, la riforma del Senato sarebbe probabilmente avvenuta lo stesso; e sarebbe avvenuta per la spinta delle forze più rappresentativamente democratiche del nostro Paese.

Il fascismo non ha avuto, del resto, che l'adulterazione della rappresentanza degli interessi. Basta pensare che l'organizzazione corporativistica fascista rispondeva ad uno schema, visto astrattamente, dall'alto, in funzione del totalitarismo fascista e veniva applicata, realizzata, imposta dall'alto, senza che fosse minimamente tenuto conto di quella che è la germinazione spontanea delle varie categorie, del loro concatenarsi nella vita sociale ed economica e della loro capacità di esprimersi per avere una rappresentanza adeguata; basta, dicevo, tenere presente tutto ciò per comprendere e per concludere che l'accusa di corporativismo mossa ad una impostazione di questo genere è del tutto campata in aria. E non bisogna, onorevoli colleghi, lasciarsi troppo trascinare da quelli che sono i residuati che operano certo nel subcosciente più di quanto non si creda, i residuati di stati d'animo che avevano, sì, una giustificazione genuina e profonda di fronte alla dittatura fascista, ma che bisogna però superare, che bisogna staccare dalla nostra coscienza per poter guardare veramente in faccia la realtà, per poter stabilire quello che autenticamente si può in pratica costruire per la democrazia italiana.

Ora, noi riteniamo in pratica che questa differenziazione della seconda Camera rispetto alla prima, sia l'unica differenziazione veramente seria, sia l'unica differenziazione veramente solida che sia possibile. Noi possiamo esaminare insieme tutte le altre forme escogitate più o meno al riguardo. E, nell'iter che questa discussione ebbe in seno alla seconda Sottocommissione, noi partimmo proprio da un ordine del giorno firmato dall'onorevole Einaudi, e che fu poi approvato, nel quale si invocava appunto la costituzione della seconda Camera in questo senso.

Passammo poi attraverso la camera delle Regioni per un quarto d'ora — non è durata di più — la Camera rappresentante dei Comuni e degli altri enti locali; e abbiamo finito col ricadere in quella formulazione che è contenuta nel progetto di Costituzione, che in fondo, tranne per quel terzo lasciato all'elezione dei Consigli regionali, risponde esattamente a quello che è il meccanismo e la formazione di istituti democratici.

Ora, questa prima impostazione trovò la Commissione concorde in questo senso, perché la seconda Sottocommissione così si espresse in un suo ordine del giorno: «Riconosciuta la necessità dell'istituzione di una seconda Camera, al fine di dare completezza di espressione politica a tutte le forze vive della società nazionale, passa all'esame del sistema del rapporto tra le due Camere e al modo di composizione di ciascuna».

Quindi, lo scopo è segnato chiaramente; ed è quello di dare espressione viva, espressione completa alle forze vive ed operanti della Nazione. Ora, le forze vive alle quali si riferiva il concetto di questo ordine del giorno si sono ridotte a che cosa? Si sono ridotte al suffragio universale diretto. Non è certo questo il concetto al quale ci si riferiva, e non è certo questa la determinazione che possa in qualche modo differenziare una Camera dall'altra.

Lo so qual è l'obiezione maggiore che viene fatta a questo riguardo, ed è quella che, in fondo, fece deviare poi il lavoro della seconda Sottocommissione, per andare in cerca di qualche altro modo e di qualche altra possibilità. L'obiezione maggiore che viene fatta è quella della pratica realizzazione di una visione di questo genere, di una concezione della seconda Camera, come quella a cui io mi sono riferito.

Ma qui io vorrei premettere che lo sforzo non è stato veramente eccessivo da parte di nessuno di noi per trovare una soluzione pratica, concreta, delle difficoltà, alle quali ci si riferisce. Ieri l'onorevole Ambrosini citava, per esempio, quello che era stato fatto, per quanto sotto una visione leggermente diversa, trattandosi di un organo essenzialmente consultivo, dalla Costituzione di Weimar.

Ma io dico, praticamente, quando si siano identificate le sette, otto, nove maggiori categorie che sono effettivamente quelle rappresentative dei maggiori interessi, delle maggiori attività sociali, nelle quali si articola la vita collettiva, per esempio: industria, commercio, agricoltura, istruzione o corpi accademici vari, libere professioni e arti, artigianato — se non si crede di poterlo includere in un'altra di queste categorie — ceti impiegatizi; e si riesca a prospettarsi quella che è, sotto il profilo economico e sociale, la dinamicità della vita moderna, attraverso queste espressioni più salienti e più rilevanti; quando si sia fatto questo e si sia risolto l'altro problema, a cui noi non intendiamo minimamente sfuggire, di identificare la posizione del lavoro e dei lavoratori, o intesa come categoria o come categorie per sé stanti o operanti nell'ambito di ciascuna categoria, associando l'espressione dell'uno o dell'altro termine che operano nel processo produttivo, mi pare che si abbia davanti a sé il quadro di quelle che sono le maggiori e più operanti attività sociali della vita del Paese.

E quando, per il rapporto nei confronti di ciascuna categoria, si tenga presente — come è detto in un inciso del mio ordine del giorno che è stato interpretato, mi pare, un po' troppo rigorosamente — una certa proporzionalità col numero delle categorie, come ho detto, e con la maggiore responsabilità del lavoro qualificato (due fattori, due elementi che devono giocare concordemente e non disgiuntamente per poter arrivare all'espressione di un equilibrio economico che ha in se stesso gli elementi di un equilibrio sociale), mi pare che non sia un problema assolutamente insolubile quello di realizzare la rappresentanza di tali categorie.

Per esempio, (per fare una esemplificazione ancor più concreta e, direi, più visibile) la struttura della seconda Camera, così concepita, secondo il nostro modo di vedere, dovrebbe trovare veramente la sua ambientazione nell'orbita della Regione.

Ma quando, in ciascuna Regione si siano definite (e questo il Consiglio regionale lo può fare, perché ha tutte le legittimità democratiche per farlo), quali sono le categorie produttive predominanti nell'ambito della Regione stessa, ed in rapporto alla popolazione si stabilisca quanti devono essere i rappresentanti delle varie categorie, non rimane da risolvere che il problema dell'elezione dei senatori stessi.

Su questa elezione mi riservo di presentare, a conclusione della discussione generale un progetto completo, se il principio formulato nel mio ordine del giorno sarà accolto.

Come può essere fatta tale elezione? Le soluzioni sono diverse. C'è chi prevede i collegi di categoria, che direttamente nominano il rappresentante di categoria. C'è chi — come me — in maniera forse più pratica, pensa che i rappresentanti di categoria possono limitarsi alla designazione, per esempio, di una terna per ciascuna categoria, lasciando al Consiglio Regionale l'ultimo atto della scelta, nella elezione dei vari rappresentanti.

Può sembrare, esposto in questo modo, un progetto piuttosto complicato e farraginoso, ma tale non è, se si considera realisticamente secondo le varie fasi attraverso le quali il progetto stesso si esaurisce o si perfeziona.

Comunque, questa è una questione di attuazione pratica che da nessuno può essere ritenuta insolubile. Basta applicarsi e trovare il modo e il verso di risolverla praticamente. Quel che più conta e più vale è decidere se, nella composizione della seconda Camera, deve essere veramente realizzato un principio di rappresentatività democratica diversa dalla rappresentatività data esclusivamente dal suffragio universale.

E se questo principio si accetta, evidentemente la sua realizzazione effettiva non trova altra forma concreta ed aderente alle necessità ed all'esigenza della vita sociale al di fuori della rappresentanza d'interessi. Oggi, quelli che sono gli interessi veri della vita nazionale sono prementi e pressanti e giocano anche nella vita politica, tanto che non si può credere di tenerli fuori dalle aule legislative o dai poteri dello Stato. Mentre se, accanto alla genuina rappresentanza politica della prima Camera voi vorrete una seconda Camera che, senza ferire il principio della sovranità popolare, senza contraddire il principio dell'investitura da parte della volontà popolare, perché questa delle categorie è altresì volontà popolare come quella del suffragio universale, svolga la sua azione, si potrà avere un quadro armonico di quelle che sono le vedute di carattere generale che sono rappresentate anche dalle ideologie dei singoli partiti, ma anche l'espressione di questi interessi concreti, economici, culturali, sociali e politici.

Le competenze non sono invenzione di nessuno. Le competenze sono un fatto reale, sociale, effettivo e non si può prescindere da esse proprio nel campo della massima espressione della volontà collettiva. Ora, attraverso un congegno di questo genere, evidentemente anche questo problema potrebbe essere avviato ad una soluzione. Io non voglio naturalmente esagerare in nessun modo e ritengo che l'applicazione di una visione strutturale della seconda Camera, come quella che io ho cercato di delinearvi, difficilmente può trovare una applicazione immediata, perché presuppone evidentemente un enorme lavoro di organizzazione, di ordinamento di categorie, di interessi che, in questo dopoguerra, in questo dopodisfatta, è reso ancor più difficoltoso. Si potrebbe ricorrere oggi soltanto alla Confederazione generale del lavoro e ad altre Confederazioni di imprenditori di lavoro, ma esse non esauriscono il quadro delle attività sociali e non sociali.

Bisogna dunque prevedere un certo periodo di tempo per il quale e nel quale questa «categorizzazione», diciamo, possa essere realizzata con una certa spontaneità e secondo certe direttive, ai fini, appunto, della composizione della seconda Camera.

Cosa sarebbe, per esempio, indispensabile in maniera assoluta? L'anagrafe delle categorie, almeno questa: avere l'anagrafe per dire quali sono le maggiori categorie, come si differenziano fra di loro, e potere, su questa concludere praticamente il sistema della realizzazione della loro rappresentanza. Questo è elemento indispensabile, e saremmo avventati noi stessi se volessimo sostenere che siamo oggi in condizioni di poter realizzare una struttura della seconda Camera come quella alla quale mi sono riferito. Però, è importante aver sollevato il problema in questa sede. Se il principio viene accettato e se si possono determinare, insieme con il principio, le direttive generali entro le quali si prevede che in un non lontano domani una riforma di questo genere possa essere attuata, questo dà un valore nuovo, moderno, socialmente più aderente alle condizioni della vita moderna, alla nuova Costituzione che stiamo approvando.

Presidente Conti. Onorevole Piccioni, la prego di voler concludere.

Piccioni. Ho finito. Io penso, in contrasto con molti altri, che l'ordinamento regionale — quali che possano essere le difficoltà nelle quali si viene muovendo o si andrà movendo — sia una riforma che rinnovi veramente la funzionalità dello Stato democratico italiano. Io penso che il Senato, concepito come noi lo concepiamo e come ci siamo sforzati di delineare nell'ordine del giorno che ho presentato, completerebbe questo rinnovamento, in senso democratico e in senso sociale, della nuova democrazia italiana. (Applausi Congratulazioni).

Presidente Conti. L'onorevole Fuschini ha presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L'Assemblea Costituente

afferma la necessità che il Parlamento sia costituito da due Camere, delle quali la prima rappresenti, attraverso il suffragio universale diretto e la rappresentanza proporzionale dei partiti, o correnti politiche, gli interessi generali della Nazione, e la seconda, mediante un suffragio organico a doppio grado, rappresenti gli interessi territoriali ed economici a base regionale;

riconosce l'opportunità che le Camere possano riunirsi in Assemblea Nazionale e deliberare esclusivamente sui seguenti casi:

a) nomina del Presidente della Repubblica e sua messa in istato di accusa;

b) conferimento di maggiori poteri al Governo in caso di guerra;

ritiene che alle Camere siano assegnati uguali poteri per svolgere i rispettivi compiti, restando peraltro stabilito che, in caso di contrasto fra le loro deliberazioni, esperiti appositi accorgimenti procedurali, abbia la prevalenza la decisione della prima Camera, fermo il ricorso al referendum popolare».

Ha facoltà di svolgerlo.

Fuschini. Onorevoli colleghi, la prima parte dell'ordine del giorno da me presentato è stata già sviluppata, in questo momento, dal collega onorevole Piccioni con quella perspicacia che lo distingue; e nei passati giorni i colleghi onorevoli Clerici, Codacci Pisanelli e Ambrosini avevano pur essi insistito sull'opportunità che la seconda Camera sia costituita in base alle categorie di interessi di carattere economico. Nel mio ordine del giorno accenno anche agli interessi territoriali. Non vi è bisogno di spendere parole su questa distinzione perché già nell'articolo 55 del progetto di Costituzione abbiamo affermato che la seconda Camera deve rappresentare anche gli interessi territoriali, allorquando abbiamo stabilito che ad ogni Regione sia data la rappresentanza speciale di cinque Senatori e quindi abbiamo manifestato il proposito che gli interessi locali, nella nuova organizzazione dello Stato, siano rappresentati da individui specificamente scelti dai Consigli regionali.

Non credo che su questo punto vi sia dissenso in altri settori; perché numerosi rappresentanti di altri settori hanno accettato il principio della rappresentanza degli interessi territoriali. Quando si è discusso, nella Sottocommissione e nella Commissione dei settantacinque sulla opportunità che gli interessi locali fossero rappresentati, non solo siamo arrivati alla rappresentanza delle Regioni, ma vi è stata persino la proposta che la seconda Camera fosse nominata attraverso un sistema elettorale che ha la caratteristica precipua di esprimere gli interessi locali, quale è il sistema del collegio uninominale.

Non voglio attardarmi, ripeto, su questo punto, perché ritengo che l'Assemblea abbia ormai tutti gli elementi per potere prendere la sua decisione al riguardo, in modo che la formazione della seconda Camera rispecchi una differenziazione di espressioni popolari, che non sia identica alla manifestazione delle espressioni popolari, che si hanno nella formazione della prima Camera. Perché è fuori dubbio che, se ormai la maggioranza dell'Assemblea accetta il principio del bicameralismo, mi pare anche concorde nel ritenere che la seconda Camera debba essere diversa nella sua origine, nella sua formazione, dalla prima; altrimenti, noi avremmo un bis in idem, che non porterebbe nessun vantaggio nella elaborazione delle leggi e nella costituzione dei Governi.

[...]

Presidente Conti. L'onorevole Giolitti ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente,

considerato che la II Parte della Costituzione deve fondare un ordinamento della Repubblica tale da garantire la realizzazione del sistema di diritti e doveri sanciti nella I Parte e tale da sodisfare ai due requisiti essenziali della democraticità e della efficienza delle istituzioni parlamentari;

ritiene che la seconda Camera debba trarre origine dalla volontà direttamente espressa dall'intero corpo elettorale, secondo un sistema che permetta il miglior apprezzamento dei requisiti personali;

afferma che una seconda Camera di tipo corporativo sarebbe contraria allo sviluppo e al funzionamento delle istituzioni parlamentari in senso veramente democratico e moderno;

afferma altresì che una seconda Camera di tipo regionalistico si giustificherebbe solo ove le autonomie regionali avessero quel carattere federalistico che non è stato accolto nella Costituzione;

delibera che la seconda Camera venga eletta a suffragio universale col sistema uninominale e in base a determinati requisiti per l'elettorato passivo, tali però da non incidere sul carattere democratico della Camera stessa e da assicurarne la composizione più adeguata ai suoi fini».

Ha facoltà di svolgerlo.

Giolitti. Onorevoli colleghi, mi capita qualche volta — e penso sia capitato ad altri colleghi miei coetanei — di sentirmi dire: «Come, deputato, lei così giovane?». Quasi che in Parlamento sia sconveniente starci senza barba bianca. Orbene, mi pare che questa associazione di idee — conformista e conservatrice — tra Parlamento e barba bianca si sia insinuata anche in qualche parte del nostro progetto di Costituzione, perché, se esaminiamo questa sezione prima del Titolo primo della seconda parte del Progetto stesso, non vi riscontriamo il minimo sforzo di ringiovanire le nostre istituzioni parlamentari, di adeguarle cioè alla esigenze moderne della vita politica.

In sostanza, io credo che né il modo di formazione della seconda Camera né la natura dei suoi poteri, così come sono configurati nel progetto di Costituzione, valgano ad indicarci quella che è l'esigenza funzionale, in senso moderno, alla quale la seconda Camera deve rispondere. Dirò ancora di più: mi pare che il modo di composizione della seconda Camera, previsto in questi articoli 55 e 56 del progetto, non soddisfi neanche a quelle esigenze fondamentali di democraticità e di efficienza cui, a nostro avviso, devono rispondere le istituzioni nelle quali si concreta l'ordinamento della Repubblica.

Mi pare che queste due esigenze siano i criteri fondamentali in base ai quali noi dobbiamo giudicare questa seconda parte del progetto di Costituzione. È appunto per questa ragione, perché mi sembra che il progetto non soddisfi pienamente a queste esigenze che riteniamo essenziali, che ho presentato, anche a nome del mio Gruppo, l'ordine del giorno che mi propongo di illustrare con la massima concisione.

[...]

Quella che noi nettamente respingiamo è l'idea di fare della seconda Camera una rappresentanza, diciamo, di tipo corporativo. La respingiamo non soltanto per l'impossibilità di una sua attuazione pratica, ma anche in mancanza (come ha del resto ammesso l'onorevole Piccioni) di un'anagrafe professionale e per il crescente numero di categorie professionali in relazione al continuo sviluppo della divisione del lavoro. E allora si vede che di fronte a queste difficoltà di attuazione pratica si ricorre a sistemi che poi non soddisfano completamente; queste idee, che possono anche apparire suggestive, non riescono a trovare pratica applicazione e soluzione. Quando si parla di questa rappresentanza di interessi di categoria, ci si muove in una sfera di concetti giuridici e politici che possono avere aspetti suggestivi e interessanti; ma quando scendiamo all'attuazione pratica, incontriamo difficoltà. E nessuno degli oratori che ha sostenuto questa tesi ha risposto alle obiezioni di carattere pratico.

Ora, noi non dubitiamo affatto della lealtà delle intenzioni di chi propugna questo sistema della rappresentanza d'interessi, ma vediamo che di fatto sotto quella proposta si può profilare il pericolo di un ritorno anche larvato a quella che era la Camera dei fasci e delle corporazioni. Non voglio, ripeto, avanzare alcun dubbio sulle intenzioni, ma formulare una critica sulle conseguenze di fatto che possono derivare dall'accettazione di una simile proposta; perché, di fatto, una rappresentanza degli interessi di categoria mi sembra non possa venire ad avere altro scopo che la difesa di determinati interessi, giacché tutti gli interessi di categoria, a nostro avviso, si trovano già rappresentati in forma politica nella prima Camera, attraverso i partiti, i quali, nella società in cui viviamo, sono i soli che possano tradurre sul piano politico nazionale e generale i particolari interessi economici, perché possono dare a questi una forma politica, che è quella che deve trovare espressione in una rappresentanza politica. Ché se invece si vogliono far valere solamente esigenze di carattere tecnico, allora si sia coerenti e si faccia di questa rappresentanza di interessi di categoria un corpo tecnico e non politico: se ne faccia un Consiglio della Repubblica, per esempio; ma se ha da essere un corpo politico, deve soddisfare a esigenze politiche e soprattutto deve dare forma politica agli interessi che rappresenta.

Ma non soltanto per queste ragioni noi siamo contro questa cosiddetta rappresentanza di interessi di categoria. Siamo contrari anche perché ci sembra che essa venga ad incrinare il principio fondamentale sancito nella nostra Costituzione, e in parte già approvato: il principio della sovranità popolare. Ci sembra che la determinazione delle categorie non potrebbe essere che arbitraria e artificiosa e tale appare proprio dagli argomenti con cui è stata sostenuta quella tesi. E così pure arbitraria sarebbe la determinazione dei limiti e delle modalità dell'elettorato attivo e passivo, a meno che si intenda rispettare rigorosamente la proporzione numerica delle diverse categorie. Ma anche qui è difficile in pratica mantenere questo rigoroso rispetto della proporzionalità numerica, e d'altra parte vediamo che in tutte le proposte che sono state fatte la proporzionalità numerica è stata sempre affiancata (per citare le espressioni dell'onorevole Piccioni) dal peso d'una maggiore responsabilità del lavoro qualificato. Quindi, c'è un certo dosaggio che si viene a fare fra il peso numerico delle categorie e il peso economico di certi interessi, dosaggio che non può essere altro che arbitrario e che, a nostro avviso, rischia di ledere la sovranità popolare. Perciò mi sembra che questa proposta della rappresentanza della seconda Camera non soddisfi all'esigenza di democraticità delle istituzioni parlamentari.

Mi sembra però anche che essa finisca col nuocere all'efficienza di queste istituzioni, perché la rappresentanza di interessi di categoria non offre in sé un principio di integrazione proprio, tale da superare la netta differenziazione fra i vari gruppi di interessi che in una rappresentanza di questo tipo vengono assunti nella loro immediatezza. E d'altra parte anche qui vi è una obbiezione pratica. Evidentemente un simile tipo di rappresentanza è inconciliabile o difficilmente conciliabile con il principio della decisione a maggioranza; ma l'applicazione del principio della decisione all'unanimità o dell'accordo delle categorie di volta in volta specificatamente interessate a ogni determinato problema trova grandi difficoltà di applicazione pratica.

Il fatto è, onorevoli colleghi, che a nostro avviso i gruppi professionali non possono sostituire né integrare i partiti. Sono i partiti, secondo noi, che viceversa permettono precisamente l'integrazione degli interessi di categoria e la loro mediazione con l'interesse generale.

Ma abbandoniamo il terreno della teoria e guardiamo all'esperienza. C'è stata una esperienza nel campo di queste Camere di tipo corporativo. Che cosa ci insegna a questo proposito l'esperienza più o meno recente? Io, appunto per non lasciare il minimo dubbio che possa sorgere da me un sospetto sulle buone intenzioni e sulla perfetta lealtà di coloro che hanno sostenuto questa tesi, voglio semplicemente rispondere citando le parole del Kelsen (dall'opera Vom Wesen und Wert der Demokratie). Il Kelsen, dopo aver criticato a fondo sul piano teorico la cosiddetta rappresentanza d'interessi, conclude in questi termini: «Non vi è da stupirsi che l'organizzazione corporativa non abbia servito che ad uno o a vari gruppi per stabilire il loro predominio sugli altri; cosicché è lecito presumere che la rivendicazione recentemente di nuovo formulata d'introdurre una organizzazione corporativa, non manifesta tanto il bisogno di una partecipazione organica di tutti i gruppi professionali alla formazione della volontà statale, quanto piuttosto la volontà di potenza di certi gruppi d'interessi ai quali la Costituzione democratica non sembra più offrire possibilità di successo politico. Non è degno di nota il fatto che una simile rappresentanza venga richiesta, nel campo borghese, proprio nel momento in cui si presenta la possibilità che il proletariato, finora minoranza, conquisti la maggioranza, e che il parlamentarismo democratico minacci di ritrovarsi contro quel gruppo al quale aveva finora assicurato il predominio politico?».

L'esigenza dunque che ci fa ritenere opportuna una seconda Camera è quella di una maggiore ponderazione e competenza nell'opera legislativa, tale da realizzare al tempo stesso una piena efficienza ed una assoluta democraticità dell'istituto parlamentare. In altri termini, a noi sembra che, se accogliendo il suggestivo ammonimento di Giorgio Washington, vogliamo predisporre quel piattino sul quale versare il the troppo bollente che potrebbe prepararci la prima Camera, dobbiamo però evitare di incorrere nell'obbiezione di Beniamino Franklin, il quale citava l'esempio dei due cavalli che tirano in opposte direzioni. Ora mi sembra, come dicevo, che il progetto di Costituzione negli articoli che esaminiamo non soddisfi pienamente a siffatte esigenze. Perché? Quali sono le critiche che faccio a questa parte del progetto? Voglio fare anzitutto una osservazione. A me sembra che tutto quello che nelle norme regolanti la composizione dei poteri della seconda Camera non concorra a soddisfare le esigenze che ho prima indicato, costituisce sempre, in ultima analisi, il residuo di un altro movente — antidemocratico — che è all'origine storica della seconda Camera: porre un freno alla sovranità popolare, per un senso di sfiducia nel popolo, per salvaguardare le prerogative della monarchia o i privilegi di determinate classi o ceti, a seconda dei casi che si sono presentati nella storia; e credo che di questi residui il progetto ne contenga non pochi.

Altri colleghi hanno fatto una critica a fondo dell'articolo 55, che è appunto quello nel quale si compendiano tutte queste questioni. Ricordo le critiche dei colleghi Preti e Giacometti a proposito del limite di 25 anni per l'elettorato attivo, del numero fisso di senatori per regione, delle categorie di eleggibili, delle elezioni di secondo grado per due terzi dei senatori attraverso i Consigli regionali, e via dicendo. Evidentemente questo è un miscuglio di disposizioni riflettenti tendenze diverse spesso contrastanti. Ho sentito, a proposito di questo articolo 55, il collega Codacci Pisanelli dire che in questo modo si verrebbe a riprodurre nella seconda Camera la composizione politica della prima. Mi permetta il collega di osservargli che così egli dimostra di voler battere ancora quella strada di cui il Lees-Smith, nella sua classica opera sulle seconde Camere, ha da tempo mostrato l'errore, la strada per cui si vorrebbe sottrarre la seconda Camera all'influenza dei partiti, quasi a farne uno strumento per costringere la prima Camera a una maggiore aderenza a quello che si pretende essere, al di fuori dei partiti, lo stato d'animo dell'opinione pubblica. Ora, qui mi pare che siamo di fronte al solito misconoscimento dei partiti, della funzione democratica dei partiti. Così ci si inoltra in un vicolo cieco, perché la strada giusta e realistica è un'altra: riconoscere la funzione democratica ed ineliminabile che i partiti hanno assunto nella vita politica moderna; e su questa base del riconoscimento della funzione essenziale dei partiti affrontare realisticamente il problema della seconda Camera perché essa risponda, appunto, alle esigenze di una moderna democrazia parlamentare. Anzi, per noi, il fatto che la composizione politica della seconda Camera venga a corrispondere a quella della prima costituisce un pregio e non un difetto, perché questo significa che la seconda Camera corrisponde evidentemente a quella che è la volontà popolare che si esprime nella forma più diretta, attraverso il suffragio universale nell'elezione dei membri della prima Camera. Noi critichiamo il progetto proprio perché ci sembra non conduca a un tale risultato, risultato che del resto gli studi e le esperienze più recenti dimostrano essere un presupposto essenziale. Così, per esempio, nella Costituzione norvegese che ha dato ottima prova da oltre centotrenta anni; così nella famosa Conferenza Bryce del 1917, per la riforma della Camera Alta in Inghilterra, dove si proponeva che i membri della seconda Camera venissero scelti dalla prima proprio per garantire questa, se non identità, per lo meno corrispondenza di conformazione politica fra le due Camere. Non so perché la seconda Sottocommissione non abbia considerato più attentamente queste soluzioni, che hanno carattere molto moderno e pratico.

Non è ora il momento di riproporre soluzioni di questo genere, che ci farebbero risalire molto indietro nella discussione. La proposta concreta, intorno alla quale si è orientato il mio Gruppo, è precisamente quella formulata nel mio ordine del giorno: elezione della seconda Camera a suffragio universale col sistema uninominale, in base a determinati requisiti di eleggibilità, riprendendo la proposta avanzata, in sede di Sottocommissione, dall'onorevole Grassi, mi pare. Del resto, una proposta di questo tipo si avvicina molto all'idea fondamentale espressa da Cavour nel suo scritto, del 1848, sulla riforma del Senato, dove egli proponeva appunto che il Senato derivasse da una elezione popolare, ma non identica nel modo a quella della prima Camera.

A nostro avviso, il sistema uninominale consente una scelta secondo le qualità, le attitudini e le competenze personali; inoltre, consente di mantenere un più stretto legame fra eletto e interessi locali degli elettori. Ci sembra, quindi, rispondere, per questi aspetti, alle esigenze cui riteniamo debba rispondere la composizione di una seconda Camera democratica ed efficiente.

Il suffragio universale è anche esso, evidentemente, una condizione assoluta non solo di democraticità, ma di efficienza; perché il ricorso al suffragio universale per la elezione della seconda Camera ne garantisce la composizione corrispondente a quella della prima ed elimina o riduce le cause di eventuale conflitto tra le due Camere. D'altronde, solo nel caso di elezione a suffragio universale è ammissibile un conflitto inter pares tra le due Camere; perché, se la seconda Camera non derivasse dal suffragio universale, un eventuale conflitto non potrebbe non essere risolto, a priori, a vantaggio della prima Camera. Nel caso di divergenza fra due Camere, che traggano origine diversa per la diversa composizione del corpo elettorale, il conflitto può diventare grave e insanabile intorno a questioni politiche fondamentali. L'onorevole Einaudi, nella seconda Sottocommissione, volle dimostrare i vantaggi di conflitti tra le due Camere, anche frequenti. Se in linea teorica questa tesi può essere suggestiva, ritengo che, di fronte ai problemi urgenti e gravi che si porranno al Parlamento italiano, si rischi, a lasciar fermentare i germi di possibili conflitti, di scardinare l'istituto parlamentare e di evocare l'azione diretta. Allora, altro che esigenze di ponderazione e di riflessione nella formazione delle leggi! Se non garantiamo la massima efficienza dell'istituto parlamentare, rischiamo veramente di far prendere la decisione dalla piazza. Ed in certi casi questo rischio potrebbe verificarsi ove accettassimo l'ipotesi del referendum, come soluzione di eventuali conflitti.

Dunque, la elezione a suffragio universale della seconda Camera è anche questione di efficienza, ed essa non incide per nulla sulla funzione essenziale della seconda Camera che è quella di obbligare la prima Camera ad un riesame del disegno di legge secondo emendamenti e proposte conformi ai principî fondamentali ai quali si ispira la legge stessa, e non alla rinuncia a quelle finalità politiche essenziali, perché questo rivelerebbe un contrasto politico fondamentale, inammissibile, perché sostanzialmente contraddittorio alla unicità della fonte dalla quale le due Camere traggono origine e forza.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti