[Il 16 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Ambrosini. [...] Passiamo alla composizione del Senato. Anche qui le legislazioni ci offrono svariati esempi. I diversi sistemi, che sono stati escogitati dagli studiosi e dai legislatori, non hanno lasciato contento nessuno. Ed è naturale, giacché è impossibile arrivare a raggiungere la perfezione. Io non andrò ad elencare i diversi sistemi, perché all'ora in cui siamo arrivati e nell'aspettativa dei discorsi degli onorevoli Nitti e Sforza, è opportuno stringere ed andare avanti rapidamente. Quindi mi limiterò a sottoporre all'Assemblea quelle considerazioni che possono giustificare la richiesta della composizione di un Senato sulla base di un sistema misto.

L'Assemblea sa che il Gruppo al quale ho l'onore di appartenere, oltre ad altri Gruppi di questa Camera, ha sostenuto e sostiene il principio che suole chiamarsi della «rappresentanza degli interessi». È una espressione poco simpatica e spesso non è adeguata. È bene dire subito che quando noi parliamo di rappresentanza degli interessi, non intendiamo affatto riferirci a sistemi di classi, a metodi e sistemi come quelli che vi erano nella Germania o nell'Austria fino al 1918. Noi intendiamo riferirci agli interessi, alle forze vive del Paese, alla produzione, al lavoro in tutte le sue manifestazioni, con particolare riguardo (come dirà l'onorevole Piccioni nel suo ordine del giorno) alle forze del lavoro qualificato ed intellettuale. Noi cioè affermiamo che, mentre in quello che si chiama parlamento politico c'è la rappresentanza politica delle ideologie dei cittadini indifferenziati, raggruppati per settori elettorali dal punto di vista territoriale, ci debba essere una seconda Camera nella quale abbiano posto, anche limitatamente, le rappresentanze di quelle forze sociali che per il congegno elettorale non arrivano a trovar ingresso nella Camera dei Deputati. Questa Camera, fondata sui partiti, non basta. Ne occorre un'altra composta in modo da rispecchiare la volontà delle organizzazioni economiche e sociali, culturali e lavoratrici in genere.

Si dice in contrario, che una tale rappresentanza specifica non è necessaria in quanto tali forze hanno già modo di farsi valere per mezzo dei partiti. Ciò può in parte ammettersi, ma non basta.

I partiti si basano sulle ideologie, partono da alte vedute di insieme, da un proprio modo di vedere e di sentire le cose della Nazione ed anche del mondo, da una propria Weltanschauung, che necessariamente porta a riguardare da quell'alto punto di vista le cose particolari piegandole al raggiungimento degli scopi supremi segnati nel programma del partito.

Ma oltre alla necessità di indirizzare la società sulla scia della grande luce delle ideologie, si appalesa opportuno sentire la voce dei singoli interessi particolari, si appalesa opportuno che questi, come tali, riescano ad avere una propria rappresentanza, che acquistino la possibilità di dire il proprio pensiero, non solo per la maggiore competenza che sicuramente metterebbero nell'esprimerlo, ma anche per la responsabilità che direttamente ne assumerebbero.

Lussu. Può citarci un esempio di interessi non rappresentati qui dentro? Gli ufficiali in congedo...

Ambrosini. Onorevole Lussu, lei sa come io seguo i suoi slanci con ammirazione ed affetto, ma, mi perdoni, la sua domanda non è giusta. Un esempio? Agricoltura, commercio, industria, trasporti terrestri, marittimi ed aerei. Come rappresentante degli agricoltori qui chi c'è? Quali saranno quando la futura Assemblea dovrà discutere della riforma agraria? Fatalmente l'agricoltore, che appartiene al partito o parla per il partito, deve non solo tener conto delle vedute del partito ma subordinare tutte le esigenze particolari della sua categoria alle esigenze generali del partito, oppure propugnarle obliquamente, prospettandole sotto la vernice dell'interesse di partito. Onorevole Lussu, ciò lei lo ha detto varie volte nella seconda Sottocommissione, quando parlava di interessi a volte obliqui che si fanno valere attraverso ai partiti.

Ma non sarebbe molto meglio, molto più giusto che ci siano rappresentanti speciali che dicano apertamente e tassativamente quello che è l'interesse della propria categoria?

Una voce a sinistra. Questo è corporativismo.

Ambrosini. Non è esattamente corporativismo della maniera alla quale vi riferite. Preciso subito. Innanzi tutto, permettetemi, non si chiede di stabilire su questa sola base tutta la composizione dell'Assemblea. Noi chiediamo che un settore di essa venga destinato alle rappresentanze delle categorie. Così finalmente noi sapremmo dai rappresentanti degli agricoltori, dai grandi proprietari ai medi proprietari e ai piccoli coltivatori, quale è il loro punto di vista specifico specie nelle riforme che dovranno farsi.

Ma quale male ne deriva? Lussu, tu lo dicesti l'altra volta ed altri egregi collegi come te. Rispondo alle vostre obiezioni. C'è il pericolo, dite, che l'Assemblea si trasformi in una Assemblea di interessi che lottano per soverchiarsi, con la conseguenza che i componenti, i rappresentanti di un gruppo la vincano sugli altri e impongano la propria tirannia, oppure che non si riesca a stabilire la supremazia di alcun gruppo né ad arrivare ad una comune soluzione, col che si avrebbe il disordine e il caos. Ma questo può avvenire, avviene anche con i partiti, specie sul piano internazionale. Non devo dirlo a voi. Lo sapete bene (la tragedia della guerra lo insegna), mentre sulla base degli interessi, discutendo al tavolino, sarebbe facile accordarsi, all'inverso difficilissimo diventa l'accordo quando entrano in gioco le ideologie; le guerre più terribili e feroci sono state le guerre di ideologia.

Il pericolo che prospettate è quindi di molto esagerato, e comunque diventa infondato quando si ammetta nell'Assemblea soltanto una qualche rappresentanza limitata delle forze della produzione e del lavoro. Non ne verrebbe alcun danno. Si avrebbe il vantaggio di sapere apertamente quello che desidera la categoria. C'è inoltre da tenere conto del fatto, che facendo parte di un'Assemblea, i rappresentanti delle singole categorie saranno influenzati da quella che è l'aria generale che si respira nell'Assemblea e sentiranno quindi l'opportunità di indirizzare le loro richieste in modo da non urtare in maniera violenta contro gli interessi delle altre categorie e da adattarle all'interesse generale del Paese.

Comunque sarà l'Assemblea che finirà per decidere con la sua responsabilità, guardando e valutando tutti i vari interessi particolari in vista dell'interesse generale della Nazione.

Quindi l'inconveniente al quale si accenna non esiste o può ridursi al minimo, giacché è il congegno stesso di funzionamento dell'Assemblea che riduce gli eccessi e ristabilisce l'equilibrio.

Ci sono altre obiezioni.

Nella seconda Sottocommissione, quando si discusse questo argomento (che ci prese per tanto tempo), a un certo punto anche gli onorevoli Lussu, Laconi, Grieco e Paolo Rossi si mostrarono per lo meno impressionati e propensi a pigliare in considerazione la nostra proposta, ma prospettando altri dubbi ed inconvenienti, che secondo loro renderebbero il sistema praticamente inattuabile.

L'onorevole Paolo Rossi obiettò che è difficile fare l'elenco delle categorie. Un po' è l'obiezione, che onorevole Lussu mi ha fatto ora: difficile stabilire quali sono le categorie. E poi che è ancora più difficile distribuire fra le varie categorie quel determinato numero di seggi che verrebbe assegnato ai rappresentanti delle categorie.

Risposi allora ampiamente e rispondo ora brevemente perché il tempo incalza e sono anch'io ansioso di sentire la parola dell'onorevole Nitti, rispondo che le obiezioni possono agevolmente venire risolte, e che comunque non sono insuperabili. In proposito abbiamo l'esempio di molte legislazioni. Non vi parlo di quelle vigenti prima del 1918 nella Germania e nell'Austria, dove c'era la rappresentanza per classi; non vi parlo nemmeno di quelle alle quali accennò il collega Clerici quando parlò delle prime Costituzioni italiane dell'800, che sostanzialmente non facevano che copiare la Costituzione francese voluta da Napoleone; ma faccio richiamo ai sistemi adottati nei tempi recenti. Io le ho qui tutte elencate; non vi annoierò con una indicazione specifica. I libri ne parlano ampiamente, e possono essere consultati con facilità. L'argomento non è affatto nuovo giacché se ne è sempre parlato quando è venuta in discussione l'organizzazione del lavoro, verso la fine del secolo scorso e nel nostro secolo, quando le classi lavoratrici specialmente hanno pensato, attraverso alle proprie organizzazioni, ad entrare nel vivo delle forze dello Stato e ad arrivare — non con la rivoluzione, ma attraverso forme legali, con la costituzione di corpi consultivi e deliberativi formati dai rappresentanti delle varie categorie — ad arrivare alla conquista del potere. Come può dirsi che ci siano difficoltà su questo punto? Si pensi che non in Italia ma in quasi tutti i paesi del mondo si sono costituiti tali organi consultivi. Non mi si risponderà certo che l'ostacolo esiste soltanto quando si tratta di costituire un corpo che si chiami per avventura Senato, e che non esiste più quando si tratta di costituire un altro corpo che si chiami Consiglio Superiore del lavoro o Consiglio dell'economia o altro? (Commenti a sinistra).

Gli inconvenienti e le obiezioni sarebbero perfettamente uguali.

Ora, se è stato trovato il modo di superare quelle obiezioni, di risolvere quegli inconvenienti, per i Consigli del lavoro ed i Consigli economici, lo stesso o identici sistemi possono seguirsi per organizzare un altro corpo da chiamare Senato.

Faccio richiamo ad una sola legislazione, alla Costituzione di Weimar, la tanto deprecata Costituzione di Weimar, a proposito della quale proprio potrebbe dirsi che è stata ingiustamente criticata per il fatto che non resistette che poco. Ma, onorevoli colleghi, quando c'è un uragano non c'è ombrello che salvi dalla pioggia, e quando c'è terremoto non ci sono case asismiche che resistano allo scuotimento della terra; ora, la Costituzione di Weimar non resse perché non solo ci fu un uragano, ma un terremoto. Tuttavia se noi dobbiamo giudicare, dobbiamo guardare alle situazioni normali.

Bene, la Costituzione di Weimar in quel famoso articolo 165, col quale si istituiva il Consiglio economico del Reich, che rappresentava una transazione tra il sistema occidentale dei parlamenti ed il sistema sovietico dei consigli, in quell'articolo 165 affermò il principio a cui noi facevamo richiamo nella seconda Sottocommissione e che continuiamo avanti a quest'Assemblea a propugnare, sia pur limitatamente, cioè non per la composizione di tutto il Senato, ma solo per una parte di esso. Anche all'Assemblea di Weimar furono fatte le stesse obiezioni al sistema di composizione del Consiglio, giacché le obiezioni non derivano dallo spirito cervellotico dell'uno e dell'altro deputato, ma vengono dalla natura delle cose. Ma è dalla stessa natura che sono suggeriti i rimedi. L'articolo 165 affermò il principio; l'attuazione fu rimessa alla legge speciale. Lo stesso potremmo fare noi.

Come fu composto il Consiglio economico del Reich nel primo tempo con una legge di carattere provvisorio? Fu costituito con un totale di 326 membri, così distribuiti fra le categorie: 68 rappresentanti dell'agricoltura e delle foreste, 68 dell'industria, 44 del commercio, banche e istituti di assicurazione, 34 delle imprese di trasporto, 36 del piccolo commercio e della piccola industria, 30 dei consumatori (comuni, associazioni di consumatori e organizzazioni femminili), 16 dei funzionari e delle professioni liberali, e di altre 24 persone nominate dal Governo.

Avvenuta la distribuzione dei seggi fra le varie categorie, sorse la questione se questi rappresentanti dovessero essere nominati sul piano nazionale o su quello regionale, sorse cioè la stessa obiezione che fu sollevata nella seconda Sottocommissione e che si affaccia anche qui all'Assemblea. Ma la questione fu bene risolta per la formazione di quel Consiglio economico, come bene potrebbe essere risolta da noi per il Senato.

Ma si presenta un'altra obiezione, che ugualmente potrà essere superata. Avanti alla seconda Sottocommissione il collega onorevole Paolo Rossi obiettò: «Ma, in questo modo, voi cristallizzerete la situazione». No, risposi e rispondo, noi non cristallizzeremmo la situazione perché domani potrà benissimo procedersi alla revisione delle categorie prese in considerazione e dei posti prima assegnati a ciascuna categoria.

Se è così — e così è — perché respingere la nostra proposta?

Fu detto nella seconda Sottocommissione e numerose volte ripetuto anche in questa Assemblea, che si tratterebbe di un sistema antidemocratico. Mi si permetta, onorevoli colleghi, che io risponda a una simile obiezione, come dire, candidamente: confesso infatti che io provo una certa esitazione quando sento dire che si tratta di un sistema antidemocratico.

Ma, onorevoli colleghi, un sistema è antidemocratico o per l'obietto o per l'intenzione la quale lo determina. Ora, io credo su questo punto di poter parlare non solo a nome mio personale, ma a nome di tutto il Gruppo al quale ho l'onore di appartenere, quando vi dico che non v'è in noi la minima idea che un tale sistema sia determinato da spirito antidemocratico, e tanto meno che possa funzionare in modo antidemocratico. Noi siamo ben lontani dal volere che la Camera dei deputati sia diminuita nel suo prestigio e nel suo potere; noi vogliamo semplicemente integrarla con l'adozione di un sistema il quale risponda a quelle tali necessità cui abbiamo dianzi accennato.

Quindi credeteci, noi parliamo con lealtà assoluta, in noi non c'è il minimo recondito pensiero che una simile riforma possa portare a conseguenze antidemocratiche.

Ma c'è di più: l'ho detto in varie occasioni. La proposta riforma tende ad attuare una più perfetta democrazia, a completare la rappresentanza che è nella Camera dei deputati, giacché la rappresentanza delle categorie dovrebbe venire ugualmente formata per mezzo delle elezioni. Per altro, tenetelo presente, da qual parte sono venute, nel secolo scorso e nell'attuale, proposte simile alla nostra? Sono venute principalmente da quelli che si chiamavano partiti estremi: nel 1919 da noi, dalla Confederazione italiana dei lavoratori e dalla Confederazione generale del lavoro.

Nella seconda Sottocommissione — permettetemi, onorevoli colleghi, che vi dica che non fu per un motivo polemico (credetemi, non amo la polemica), ma per dimostrare il mio assunto — io mi riferii, fra gli altri, leggendone vari passi, ad un discorso dell'onorevole Cabrini. No, Cabrini non era, né può certamente passare per antidemocratico. Non rileggerò qui il discorso, che è consacrato nei verbali della seconda Sottocommissione, e che si trova per altro nei resoconti della Camera del 1919. Cabrini chiedeva in quel discorso la trasformazione del Senato in un corpo di rappresentanze professionali. L'onorevole Paolo Rossi ribatté allora subito che Cabrini era un soreliano. Gli risposi e ripeto che non occorre fare simili indagini. L'interessante è stabilire che non si trattava certo di un reazionario. Aggiungo che l'onorevole Cabrini si faceva allora eco del pensiero esplicitamente manifestato dalla Confederazione generale del lavoro nel maggio del 1919; la quale Confederazione ritornò nell'ottobre dello stesso anno sull'argomento con un voto esplicito indirizzato al Ministro dell'industria e del commercio.

C'è un aureo libro — mi consentirà l'onorevole Meuccio Ruini che io lo citi — pubblicato nel 1920, dal titolo Il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale egli, che fin dal 1906 aveva propugnato il sistema del quale ci occupiamo, riporta con assennati commenti il testo delle richieste della Confederazione generale del lavoro.

È proprio istruttivo; ed è istruttivo non solo per dimostrare che la nostra è una richiesta nient'affatto antidemocratica, ma anche per la sostanza delle considerazioni che in quel testo sono limpidamente enunciate. Nel voto della Confederazione generale del lavoro si chiede «che tutta la materia legislativa riguardante il lavoro venga affidata ad un organismo costituito con la rappresentanza delle classi lavoratrici, delle categorie professionali, con l'intenzione di sottrarre completamente alla Camera elettiva il suo diritto di interloquire nella formazione di leggi, che, pur interessando solamente certe categorie, involvono la politica finanziaria ed economica dello Stato». Nella motivazione del voto si prospettano quasi tutti gli argomenti che noi abbiamo illustrati per sostenere la nostra richiesta di riforma. Non leggo per non prendere altro tempo. Mi limito a notare che la Confederazione proponeva che il Consiglio nazionale del lavoro, trasformandosi da corpo consultivo in corpo deliberante, venisse composto dai rappresentanti di tutte le classi e categorie.

In quel tempo c'era il progetto di riforma del Senato. Il grande maestro e uomo politico di prim'ordine che, con tutta la signorilità dei suoi modi e la benevolenza del suo tratto, aveva una fermezza veramente eroica, Francesco Ruffini, relatore al Senato su questo progetto, aveva presentato delle proposte concrete per riformare una parte del Senato proprio sulla base sulla quale noi ci soffermiamo; la Confederazione generale del lavoro andò più avanti, chiedendo nell'ottobre 1919 addirittura la soppressione del Senato e la sostituzione di tale Assemblea con l'Assemblea composta dai rappresentanti delle categorie.

Lussu. Ma venti anni fa era in auge il biplano, oggi è in auge il monoplano. È la stessa questione.

Ambrosini. Raccolgo la interruzione e ringrazio l'onorevole Lussu. E allora, caro Lussu, non si tratta (perché ho detto, egregi, onorevoli colleghi, che noi dobbiamo esaminare con assoluta obiettività i problemi), non si tratta di inconvenienti insuperabili, ma di una questione di principio, e di una questione più generale di principio, che riguarda non la composizione del Senato — se si parla di monoplano — ma l'Assemblea unica; si tratta di un'obiezione che tende a scuotere quello che deve essere uno dei pilastri della Costituzione, e che il nostro progetto ha accettato in pieno, cioè il sistema bicamerale.

[...]

Nitti. [...] Il Senato deve essere la seconda Camera, e va concepito quale è nella sua reale funzione. Ora, nel Progetto, mi trovo di fronte a una serie di questioni di cui non trovo la spiegazione. Come deve essere eletto da noi il Senato? Qui vi è una cosa che m'imbarazza: non vi sono solo disposizioni riguardanti l'elettorato del Senato, vi sono anche le disposizioni per le categorie degli eleggibili. Chi sono gli eleggibili? È una novità piuttosto spiacevole. Con che diritto fissiamo quelli che devono essere gli eleggibili? Perché fissiamo addirittura le liste degli eleggibili? L'età: 35 anni. Bisognerebbe arrivare per lo meno a 40. La stessa parola «Senato» (i patres) dice che non erano dei giovani senatori. Ma vi è la categoria degli eleggibili che mi imbarazza e per cui trovo la cosa anche più strana. Noi non abbiamo il diritto di fissare queste categorie. Noi non facciamo un Senato economico e professionale; allora si spiegherebbero le categorie. Ma volendo lasciare al Senato il carattere di Assemblea politica non si spiega perché dovremmo indicare chi è eleggibile. Se noi volessimo entrare nell'idea di Senato e di Camera a fondo sindacale o corporativo od a fondo censitario, me lo spiegherei. Ma ora, con che diritto facciamo categorie chiuse?

Qualche volta si cade anche nell'irragionevole.

Trovo, per esempio, che, anche prima di fissare le categorie degli eleggibili, la prima eleggibile, vi è una disposizione che mi sbalordisce e deve essere un errore: è quella secondo cui agli elettori si impone di essere nati o domiciliati nella regione. Nessuno di noi può essere eletto senatore se non è nato o domiciliato nella Regione. Cosa grave, perché è una limitazione assurda e inspiegabile. Se non si è nati bisogna andarsi a domicilare. Ma chi, in un Paese libero, concede queste limitazioni territoriali? Si può concepire maggiore stravaganza? Si può arrivare, come in America, perfino a togliere il diritto di voto ai cittadini della Capitale. La Capitale deve essere fuori contestazione; non vi devono essere vere lotte politiche. La Capitale deve rappresentare il luogo dove tutti si possono incontrare serenamente al di fuori dei partiti. Non conosco le ultime disposizioni al riguardo. I cittadini di Washington non erano né elettori né eleggibili. Questa idea è entrata anche nei singoli Stati. Lo Stato di New York non ha per capitale New York, ma Albany, che in paragone è una piccola città. E così sull'Oceano Pacifico vi è la grandissima città di San Francisco; ebbene, la capitale dello Stato della California è Sacramento.

Dunque, si possono imporre limitazioni, se vi sono ragioni di diritto e scopo di utilità pubblica. Ma perché i candidati devono essere nati o domiciliati nella Regione dove vogliono essere eletti? Non lo trovo né logico né conveniente.

Poi vi sono le categorie di eleggibili. Non vi devo negare la mia sorpresa. Con tutto il rispetto che ho per i partigiani e per i combattenti contro il Fascismo, trovo però molto strano che la prima categoria degli eleggibili è rappresentata dai decorati al valore della guerra di liberazione 1943-45. Ora, a queste categorie di persone si possono rendere tutti gli onori, ma come si può creare questa categoria a parte? Come si può ammettere una misura di questo genere, che non sia estesa a tutti i decorati di guerra, i quali hanno tanto sacrificio sostenuto? Come si può rinchiudersi nel breve periodo 1943-45, quale che sia lo scopo e la dignità? Ammesso che si voglia tenere conto dell'elemento del valore in qualche categoria, non possiamo considerare soltanto il valore militare, ma anche il valore civile. Se vogliamo costituire una categoria di privilegiati, quella dei decorati al valore, possiamo dire che tutti i decorati al valore civile e militare sono eleggibili. Perciò, senza mancare affatto di riguardo verso i partigiani, mi pare che si faccia atto di giustizia e di dignità nel considerare tutti coloro, che hanno dato il loro sangue e messo la loro vita a servizio della Patria.

Bisogna poi cominciare col rivedere il nome di Camera dei senatori e trovare il mezzo di distinzione.

Dobbiamo dare alla Camera e al Senato gli stessi diritti; ogni limitazione dell'uno o dell'altro è ingiusta. Nello stesso Statuto albertino le leggi di carattere finanziario devono essere sottoposte prima alla Camera dei deputati, come Camera eletta a suffragio più largo. Non possiamo negare lo stesso diritto al Senato. In che stabilire la differenza?

Prima di tutto nell'elettorato. Io credo, non vi scandalizzate, che ciò che vogliamo fare in materia di Regioni non durerà. Voi siete tutti in gran parte per le Regioni; non lo sarete a lungo di fronte ai risultati della forma attuale di suffragio e di elezione. Io credo invece che bisogna ritornare, mediante un processo di revisione, alla realtà, cioè a un sistema più logico. Non so se la proporzionale, di cui è mia la colpa originaria, abbia dato buona prova. Devo riconoscere che sono stato io che ho messo il primo nome alla legge della proporzionale. Non prevedevo le esagerazioni e le deformazioni che sono sopravvenute. Le conseguenze sono estese a tutte le amministrazioni che non funzionano più, perché con la proporzionale non hanno modo di ordinarsi e di formare gruppi omogenei che abbiano maggioranza. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la democrazia, che può esistere con qualunque forma elettorale e non è legata all'una o all'altra.

Mi chiedo se non sia il caso di procedere ad una revisione di questa materia, e ciò voglio sottoporre al parere e alla decisione dei miei amici democratici cristiani, «le quadrate legioni», come direbbe Mussolini (Si ride), che impongono il rispetto, a parte tutte le altre considerazioni, per il numero e, quando riesce loro, per la disciplina. Ora, le quadrate legioni considerino se proprio conviene loro di spingere a tutti i costi la proporzionale o non volere piuttosto che almeno una Camera sia eletta col collegio uninominale. Noi potremmo ottenere, poiché il collegio uninominale si presta meglio alla scelta dei candidati, che esso renderebbe ancora dei servigi. Noi ci ostiniamo: tante cose, che crediamo durevoli, non lo sono: noi siamo in continua mutazione. (Interruzione dell'onorevole Piccioni). Anche le nostre Assemblee sono un po' come le sabbie mobili del deserto. Non sappiamo più quelli che sono i partiti, che si uniscono e si disuniscono, annunziando nuove formazioni e nuove eliminazioni (Interruzione dell'onorevole Piccioni): ed allora ci dobbiamo preparare a molte mutazioni. Basta osservare le cose da vicino.

[...]

Sforza. [...] Io credo che posso in brevissimi momenti indicarvi uno dei casi che mi è venuto in risalto leggendo il progetto. All'art. 56, sesto capoverso, vedo che «possono essere nominati membri del senato, i magistrati e i funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni di grado non inferiore, ecc., ecc.». È su questo punto che io voglio attirare la attenzione dell'Assemblea, aggiungendo che il pericolo che vedo pel Senato lo vedrei egualmente per la Camera. E perché?

Ve lo dirò rapidamente; e poi avrò assolto il mio compito e la mia coscienza sarà tranquilla.

Eccovi la prova della vanità relativa di tanti discorsi sulle Costituzioni; uno dei problemi massimi della nostra vita politica è fissato in un articolo non scritto: la costituzione dei grandi partiti di massa. Che sia un bene, che sia un male; che il bene sia maggiore del male, che il male sia maggiore del bene, questo non ci riguarda.

Ora noi siamo nel periodo dei partiti di massa anche se, grazie a Dio, esistano altresì alcuni partiti, come quello dalle cui file vi parlo, partiti che hanno una fiamma viva individualistica e feconda che sarà a volte preziosa nelle lotte fra i grandi giganti.

Questo noi dobbiamo tenere presente per il bene dei partiti di massa, per il bene della Repubblica italiana e per il bene della nostra vita morale: che più forti sono i partiti di massa, più influenti sono i partiti di massa e più indipendente, più sacrosantamente indipendente, più impervia ad ogni pressione e corruzione deve essere l'amministrazione pubblica: altrimenti si scenderà rapidamente al livello dei più bassi e corrotti paesi del mondo.

Badate, sia ben chiaro che dicendo questo non son mosso dalla menoma avversione verso i partiti di massa: constato che sono un fatto di storia naturale, constato che per lungo tempo esisteranno, constato (non c'è l'amico Porzio ed allora oserò dirlo), pensando alla prolungata se pur rara corruzione di certi «galantuomini» del Sud... [i]

Mazza. Noi potremmo pensare a quelli del Nord.

Sforza. ...che i partiti di massa possono portare le discussioni a un livello di concetti morali invece che d'interessi materiali. Pensando che i partiti di massa possono fare questa cosa meravigliosa, ricostituire e rinsaldare al massimo l'unità nazionale, anche morale, dalle Alpi alla Sicilia, sono convinto che i partiti di massa potranno nel complesso fare più bene che male alla cosa pubblica, ma ad una condizione: che non diventino a turno, secondo che il fato delle elezioni darà loro il potere, i proprietari discrezionali dell'amministrazione pubblica. E quando io vedo che si propone dalla Costituzione attuale (trovandoci noi in un lungo e, spero, felicemente lungo periodo di partiti di massa) la elezione di numerosi funzionari — senza neppure la fissazione di un numerus clausus — mi domando: com'è che non si vede il pericolo di tutto ciò? È vero che circa il personale della nostra burocrazia, con cui da mesi e mesi sono in contatto, sia con quella del mio Ministero sia di altri, io posso ben testimoniare, checché si sia detto e malgrado le corruzioni del fascismo e della guerra, che essa continua, nei suoi alti gradi e anche nei gradi minori, ad essere veramente uno degli elementi più rispettabili della nostra vita pubblica.

Ma come osar di offrir loro una troppo grossa tentazione? Per un impiegato, per un professore di università, anche prima del fascismo, entrare nel Senato era come entrare nell'empireo prima della morte, era una gioia suprema. Ma allora non c'erano partiti di massa; come i nostri funzionari potrebbero oggi essere eletti se non dopo essere stati accettati nella lista di un grande partito di massa al quale essi dovranno aver prima dato prove indubbie di devozione, forse di cieca obbedienza?

Pensate soprattutto alla formazione dei funzionari in Italia. Il funzionario è per buona parte figlio di funzionario, non ha, come noi tutti qui abbiamo, una regione, una città, un gruppo di villaggi, che sono la vita della nostra vita, che sanno come siamo nati e cresciuti, che hanno fede in noi. Per moltissimi funzionari il ricordo natio è una sede di Prefettura o Intendenza di finanza o di Tribunale, da Cuneo a Caltanissetta. Essi non hanno quasi mai un legame speciale, una regione o circoscrizione, che li vorrebbe eleggere. Come potranno essere eletti? Essi non potranno essere eletti che attraverso la protezione di un grande partito di massa, a cui essi vorranno bensì opporre il sentimento del loro dovere e la loro coscienza intatta; ma sapete come van le cose. Quando si comincia con una prima concessione, è la via insaponata che porta alle scivolate più impreviste.

I partiti. Io mi auguro che da noi i partiti di massa diventino così forti, così sicuri della loro coscienza e delle loro virtù morali e politiche, che non avranno nessun bisogno di farsi per tali guise una clientela. Sono stati citati poc'anzi molti episodi della vita politica dell'Europa e del mondo. Io vi voglio citare una sola cosa. Quali sono — credo che nessuno possa negarlo, quale che sia la sua dottrina politica — le due più potenti ed efficienti democrazie esistenti attualmente nel mondo, nel mondo almeno che concepisce l'esistenza di più partiti? Sono gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna; sono anche paesi che hanno i partiti più specificamente divisi. Quali partiti di massa più forti che il partito democratico ed il partito repubblicano agli Stati Uniti? Quali partiti più grandi in Inghilterra che il formidabile partito laburista ed il partito unionista o conservatore?

Ebbene, questi due paesi hanno un Gabinetto, in cui il posto più modesto, il posto che nessuno desidera, è quello di Ministro dell'interno. Se conoscete qualche amico all'Ambasciata britannica o americana a Roma, domandategli a bruciapelo chi è il Ministro dell'interno del suo paese. Egli si gratterà la testa e risponderà: non lo so; non ne ho sentito parlare.

Questa è la vera atmosfera di democrazia pura, alta e forte, che permette di accettare anche tutti i funzionari dell'interno nel gruppo dei candidati, perché non vi sono prebende da sperare, non vi sono atti di corruzione da temere. Purtroppo, in Italia a questo punto ancora non ci siamo; non certo perché si sia da meno, ma perché siamo troppo poveri.

Badate, io ho detto che i nostri funzionari, data la fame che soffrono, sono ancora in parte veramente eroici. E gli uomini politici, che cercano di dare la colpa ai funzionari, allontanano da sé una responsabilità, che probabilmente pesa su di loro.

Ricordo, mesi fa, l'onorevole Scoccimarro da quel banco, essendo Ministro delle finanze, dichiarò ufficialmente che egli era ammirato dell'onestà, della spartana austerità dei maggiori funzionari del Ministero delle finanze. Chi, come voi, come me, ricorda i tempi avanti al 1914, sa bene che degli uomini come Luciolli alle finanze, Brofferio al tesoro, Vigliani all'interno, Malvano e poi Contarini agli esteri, erano veramente dei tipici servitori dello Stato, che giorno e notte non pensavano che allo Stato. Questi tipi di uomini noi possiamo ancora ricostituire per l'Italia; e se possiamo, dobbiamo. Ma noi non dobbiamo domandare l'impossibile e quindi non dobbiamo domandare ai funzionari che vogliamo elevare all'alto rango dei nomi che ho citato, non possiamo permetterci di dire loro: badate, se vi mettete con quel partito o con quel tal'altro, diventerete senatori, deputati e con ciò tanti vantaggi. Questo è proporre l'immoralità a coloro che vorremmo siano onesti, che vorrebbero essere onesti. Certe prebende, certi vantaggi e certi alti premi noi dobbiamo senza dubbio creare pei funzionari, anche al di fuori della loro carriera; perché no la Corte Suprema? Ma non il Parlamento, almeno finché l'Italia non sia arrivata a quel grado di elevazione a cui sono giunti, insieme colla prosperità, i due grandi paesi in cui nessuno sa chi è il Ministro dell'interno. Ricordatevi che l'onestà della burocrazia domani si giudicherà unicamente a questa stregua: dal suo grado di indipendenza dai partiti, questi nuovi sovrani del periodo attuale; e ricordiamoci anche che i partiti possono e debbono guadagnare prestigio alle loro dottrine, alle loro forze, con larghi programmi di riforma sia lenta sia rapida, ma non certo attraverso maneggi di influenze, mezzi meschini e subdoli che possono bensì giovare per un'elezione, ma che alla lunga colpirebbero di morte coloro che li usano. Noi dobbiamo desiderare forti i partiti, ed io mi auguro in un certo senso che tutti siano forti, perché la storia non è che il ricamo di cui tutti i partiti sono i fili, per ostili che siano fra di loro. Sì, dobbiamo desiderare anche la forza morale del partito che ci è opposto, perché questo rialzerà noi stessi, rialzando l'insieme della vita pubblica. E dobbiamo far sentire e ricordare ai partiti che o vinceranno per le loro grandi idee morali, ché se vincessero unicamente con capziose manovre di accaparramenti di funzionari, i loro trionfi saranno frutti di cenere e tosco. (Applausi al centro).


 

[i] Le affermazioni dell'onorevole Sforza sui meridionali, provocano, al termine della seduta, la reazione di alcuni deputati, e nella seduta pomeridiana del 17 settembre 1947 la richiesta di chiarimenti (in sede di discussione sul processo verbale) da parte dei Deputati Rodinò e Codacci Pisanelli. L'onorevole Sforza (assente nella seduta del 17 settembre) tornerà sull'argomento in sede di discussione sul processo verbale nella seduta pomeridiana del 18 settembre 1947. Tali discussioni non vengono qui riportate in quanto non coinvolgono il tema della Costituzione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti