[Il 25 ottobre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato. — Presidenza del Vicepresidente Conti.

Dopo aver approvato alcuni testi relativi all'iter delle leggi (vedi commento all'articolo 72) la commissione esamina alcuni aspetti del passaggio delle leggi da una Camera all'altra. Pur non essendo entrati nella Costituzione i testi discussi dalla Sottocommissione, il resoconto viene qui riportato in quanto la tematica fa riferimento alla necessità che le leggi siano approvate da entrambe le Camere.]

Mortati, Relatore. [...] Prospetta poi alla Sottocommissione l'opportunità di inserire nella Costituzione una norma che fissi il limite di tempo entro il quale deve pronunciarsi la Camera che esamina il provvedimento per ultima. Propone la seguente dizione:

«Le proposte di legge discusse ed approvate da una Camera sono trasmesse all'altra Camera, che dovrà pronunciarsi su di esse entro 6 mesi dal ricevimento. Tale termine potrà essere variato per accordo fra le due Camere».

Fa presente che rimane insoluta l'ipotesi che il termine decorra senza che la seconda Camera abbia esaminato il progetto.

Bozzi sopprimerebbe le parole «discusse» e fisserebbe il termine in 4 mesi.

Fabbri ritiene in primo luogo che si debba fissare l'obbligo da parte della Camera di deliberare, senza fare ostruzionismo, sui progetti di legge che le sono trasmessi dall'altra Camera; e secondariamente sia necessario stabilire il termine entro il quale una Camera dovrà deliberare su tali progetti.

Bozzi ritiene troppo vaga l'espressione «dovrà pronunciarsi».

Mortati, Relatore, spiega che «pronunciarsi» ha, a suo avviso, il significato di «approvare o respingere»; in una parola «deliberare».

Bozzi preferirebbe che si dicesse «deliberare».

Nobile è invece favorevole ad una maggiore specificazione: direbbe «approvare o respingere».

Fuschini osserva che si può deliberare anche né affermativamente né negativamente.

Fabbri fa presente che una deliberazione che non ha una portata positiva, pur non essendo esplicitamente negativa, costituisce, a suo parere, una manifestazione di dissenso, ed è quindi sostanzialmente negativa.

Perassi dichiara che l'essenziale è che si arrivi ad un voto della Camera, il quale può essere di approvazione pura e semplice, di approvazione con emendamenti, di rigetto. Propone si dica «dovrà esprimere il voto».

Laconi prospetta l'opportunità di usare una formula chiara per indicare qual è l'obbligo della Camera che riceve il progetto di legge.

Bozzi concorda con l'onorevole Laconi. Ritiene che si potrebbe aderire alla proposta Perassi e stabilire che la Camera deve esprimere il proprio voto.

Nobile ritiene che si debba indicare con assoluta chiarezza quale specie di deliberazione la Camera deve prendere, perché una formulazione generica potrebbe dar luogo ad una manovra ostruzionistica.

Patricolo ritiene che la maggiore chiarezza si raggiunga dicendo «approvare o respingere».

Cappi osserva che la formula suggerita dall'onorevole Patricolo non considera il caso dell'approvazione con emendamenti. Proporrebbe la formula: «pronunciarsi nel merito della proposta», che abbraccia tutti i casi ed esclude la deliberazione di sospensiva.

Il Presidente Conti è favorevole al concetto formulato dall'onorevole Perassi.

Nobile completerebbe la dizione suggerita dall'onorevole Patricolo dicendo: «dovrà approvare con eventuali emendamenti o respingere».

Vanoni, poiché trova inutile servirsi di un giro di parole per indicare un concetto che si può esprimere con un solo vocabolo, propone di usare l'espressione «pronunciarsi», la quale comprende tutte le possibili ipotesi. Fa poi osservare che risulterà dal verbale che a tale parola si intende attribuire il significato di «dare una deliberazione concreta».

Bulloni propone si dica «esprimerà il suo voto».

Perassi aggiungerebbe, alla parola «voto», l'altra «definitivo».

La Rocca direbbe: «deciderà col suo voto».

Vanoni propone di demandare la scelta dell'espressione più opportuna al Comitato di coordinamento.

Fabbri dubita dell'opportunità di lasciare al Comitato la scelta della formulazione. Ritiene che nella Costituzione ci si debba limitare a stabilire l'obbligo da parte della Camera, che esaminerà il progetto di legge per ultima, di «deliberare in merito» entro un determinato periodo di tempo. Aggiunge che, se tale deliberazione non sarà conforme a quella presa dalla prima Camera, sorgerà un conflitto fra le due Camere che bisognerà poi disciplinare; ma, per il momento, gli sembra che non sia il caso — ed il farlo sarebbe anche tecnicamente difficile — porre dei vincoli alla pronuncia di una delle Camere.

Laconi concorda con l'onorevole Vanoni sull'opportunità di incaricare il Comitato di trovare una dizione più soddisfacente.

Il Presidente Conti direbbe «approvare, emendare o respingere».

Laconi osserva che l'ipotesi dell'emendamento non costituisce un caso a sé, ma rientra in quello dell'approvazione.

Piccioni è d'avviso di dire «approvare o respingere», essendo implicito nell'approvazione il diritto di emendare.

Mortati, Relatore, concorda con l'onorevole Piccioni.

Il Presidente Conti osserva che le dizioni che riscuotono i maggiori consensi sono quelle di dire «pronunciarsi» o «approvare o respingere», e pone in votazione il concetto contenuto in queste parole, con l'intesa che della formulazione esatta sarà dato incarico al Comitato di coordinamento.

(Con questa intesa, è approvato).

Pone in discussione la questione del termine, che l'onorevole Mortati ha proposto di fissare in sei mesi e l'onorevole Bozzi in quattro.

Nobile limiterebbe il termine ad un mese, dal momento che, come propone l'onorevole Mortati, esso potrà essere variato per accordo fra le due Camere.

Mortati, Relatore, ritiene eccessivamente ristretto il termine proposto dall'onorevole Nobile.

Perassi concorda con l'onorevole Mortati, in considerazione anche del fatto che il ricorso all'accordo fra le due Camere è evidentemente un meccanismo eccezionale.

Vanoni pensa che il termine di sei mesi possa costituire una base di accordo, per quanto dubiti che anch'esso sia troppo breve. A proposito della lentezza con la quale si svolgono i lavori parlamentari, cita il recente esempio della Consulta — il cui compito era semplicemente quello di dare un parere e non di approvare i provvedimenti sottoposti al suo esame — la quale difficilmente riuscì ad assolvere il suo compito nel termine accordatole di un mese, malgrado che molte delle sue Commissioni si riunissero frequentemente.

Fa presente inoltre che se si arriverà alla sanzione, ove la Camera che esaminerà per ultima il provvedimento non l'approvi entro il termine fissato, di intendere egualmente approvato il provvedimento, si potrà verificare il caso che detta Camera, nel corso di una rapida seduta, respinga il progetto per il solo fatto di non aver avuto il tempo materiale di discuterlo.

Bulloni concorda con l'onorevole Vanoni, nel concetto che non si deve fissare un termine iugulatorio, ma di sufficiente ampiezza, il quale garantisca il regolare processo di formazione della legge; e rileva l'incongruenza che si verificherebbe, se si pretendesse dalla seconda Camera un rapido esame di un provvedimento, quando la prima Camera avesse impiegato parecchi mesi od anche un anno nella relativa discussione.

Nobile rileva che la maggior parte dei provvedimenti legislativi — ad eccezione di pochissimi che richiedono una lunga elaborazione ed un'ampia discussione — potrebbero essere approvati dalle Camere entro breve tempo. Ritiene che l'acceleramento e lo snellimento dei lavori delle due Camere porterà di conseguenza una riduzione nel numero dei decreti legge, perché il Governo non avrà più ragione di servirsi in larga misura di tale mezzo di urgenza. Ripete quindi di essere favorevole a stabilire nella Costituzione un breve termine.

Laconi crede che l'esempio citato dall'onorevole Vanoni non sia molto probante. Ritiene al contrario che, avviati i lavori parlamentari, la trasmissione dei progetti di legge dall'una all'altra Camera si svolgerà gradatamente e quindi il loro esame non richiederà — salvo il caso di provvedimenti di notevole importanza — un periodo di tempo eccessivamente lungo. Propone perciò la seguente formula: «entro il termine di due mesi, escludendo dal computo il periodo di vacanza parlamentare».

Patricolo, per evitare il pericolo che si possa strozzare in seno alla seconda Camera la discussione di progetti di legge che invece sono stati discussi molto a lungo dalla prima Camera, propone o che si fissi un termine piuttosto largo, che consenta un esame relativamente ampio del provvedimento, o che si stabilisca un periodo di tempo proporzionato a quello impiegato dalla prima Camera.

Nobile insiste per il termine di un mese. In via subordinata, dichiara di aderire alla proposta dell'onorevole Patricolo, nel senso di proporzionare il tempo che la seconda Camera ha a disposizione per l'esame di un progetto di legge a quello impiegato dalla prima nell'esame del medesimo provvedimento.

Il Presidente Conti pensa che in tal caso si potrebbe stabilire che il termine sarà concordato tra le due Camere, in relazione alla ampiezza della discussione svoltasi in seno alla prima.

Vanoni distingue il problema di discutere e approvare celermente provvedimenti che interessano il Governo (problema che può essere risolto attraverso la richiesta della procedura d'urgenza da farsi successivamente all'una e all'altra Camera), dall'altro della determinazione del limite di tempo entro il quale la Camera, che per ultima esamina il provvedimento, dovrà deliberare sul medesimo, e che, come ha osservato giustamente l'onorevole Bulloni, non deve essere iugulatorio.

Fabbri suggerisce il termine di sei mesi, lasciando alle Camere la facoltà di ridurre, nei casi d'urgenza, tale termine a tre o quattro mesi.

Il Presidente Conti pone in votazione la proposta dell'onorevole Bozzi, come quella che concilia le varie opinioni e per cui il termine accordato alla Camera, che per ultima esaminerà il progetto di legge, sia fissato in quattro mesi.

(È approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti