[Il 21 ottobre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Parlamento».

È in discussione il tema dell'Assemblea Nazionale (Parlamento in seduta comune). Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 55 per il testo completo della discussione.]

Bozzi. Io volevo dire le cose che lei, onorevole Presidente, ha detto. In fondo il problema dell'Assemblea Nazionale o delle due Camere riunite presuppone che si risolvano questi tre problemi: [...]

Secondo: se la guerra debba essere dichiarata dalle due Camere.

Io dico che sono contrario, perché, siccome noi abbiamo già votato un articolo in cui abbiamo detto che l'Italia rinuncia alla guerra e ammettiamo soltanto un'azione di difesa, è evidente che un'azione di difesa non può essere determinata da una deliberazione delle Camere, ma deve essere una deliberazione di urgenza che spetta al Governo.

[...]

Presidente Terracini. [...] Passiamo ora ad esaminare l'articolo 75, il quale indica specificatamente alcune delle funzioni che dovrebbero essere affidate alle sedute riunite delle due Camere. Se ne dia lettura.

Riccio, Segretario, legge:

«Spetta all'Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l'entrata in guerra.

L'amnistia e l'indulto sono deliberati dall'Assemblea Nazionale».

[Presidente Terracini.] L'onorevole Terranova ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo con i due seguenti:

Art. ...

Spetta all'Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l'entrata in guerra, sempre che ricorrano le condizioni di cui all'articolo 6, e previa la consultazione delle Assemblee regionali.

Art. ...

L'amnistia e l'indulto sono deliberati dall'Assemblea Nazionale».

L'onorevole Terranova ha facoltà di svolgerlo.

Terranova. Onorevoli colleghi, l'emendamento da me proposto all'articolo 75, prima che una chiarificazione di indole tecnica e specifica, ha bisogno di una giustificazione di carattere morale e, direi persino, psicologica. Desidero, infatti, subito avvertire che il mio emendamento non mira affatto a correggere la procedura costituzionale della dichiarazione di guerra, la quale procedura, così come è prevista nel progetto in esame, può considerarsi, per quel tanto che posso giudicarne, conforme al più ortodosso costituzionalismo democratico. Il mio emendamento non mira neppure, come potrebbe immaginarsi, a dar rilievo alle Assemblee regionali, al solo scopo di valorizzarne la portata, quasi a sminuire la capacità rappresentativa e deliberativa del Parlamento nazionale.

L'emendamento che ho l'onore di proporre si rifà a motivi più sostanziali ed intimi; ha per iscopo l'istituzione di un sistema più ampio e più approfondito di accertamento della volontà popolare di fronte a quella terribile cosa che è la guerra; di un sistema, che renda la responsabilità della decisione relativa all'entrata in guerra più larga e, di conseguenza, più determinante. La verità è che l'idea della guerra ci rattrista e ci atterrisce. E questo articolo 75 ci richiama alla guerra, ci ricorda che la guerra non è scomparsa, che è ancora possibile, che potrà essere ancora fatta dai nostri figli, se non addirittura da noi stessi. Constatazione amara, che ripugna al nostro animo, seppure il pensiero deve essere indotto a considerarla in tutta la sua obiettività. Perché, se il nostro spirito e perfino il nostro organismo fisico si ribellano a sentir soltanto parlare di guerra, la nostra mente, purtroppo, non può non rifiutarsi dal prendere in esame tutto ciò che alla guerra si riferisce, per ovviarne le cause o, quanto meno, per ridurne le possibilità.

Riguardo alle cause, esse, com'è noto, sono molteplici, né io tenterò di enumerarle. Credo opportuno, tuttavia, rilevarne una che è fondamentale e che va considerata come la matrice di tutte le guerre: voglio dire dello spirito di esagerato nazionalismo, che deve essere estirpato dalle radici se si vuole assicurare quella pace che tutti i cuori sinceri auspicano; di quel nazionalismo che è cieco, violento, aggressivo, perché privo di umana e legittima comprensione dei diritti altrui, perché al diritto sostituisce la violenza, alla giustizia la forza.

Ma già ad eliminare tale causa è ordinato l'articolo 6 del nostro progetto di Costituzione.

Con unanime sentimento di solidarietà infatti, questa Assemblea ha approvato il detto articolo, il quale, al primo comma, dichiara solennemente che l'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli: segno, questo, che il nuovo Stato italiano, uscito dal tormento della più spaventosa conflagrazione della storia, s'impegna solennemente a non far uso delle armi se non per motivi eticamente e giuridicamente legittimi.

Con l'articolo 6 ci si assume anche l'impegno di facilitare l'organizzazione della pace, mediante quelle inevitabili limitazioni di sovranità che possono dar luogo ad un ordinamento internazionale capace di assicurare il rispetto reciproco fra i popoli e di formare un organo comune per il mantenimento della pace.

Vengono pertanto nel detto articolo fissati i tre punti che, in armonia con la dottrina della Chiesa, costituiscono i pilastri per il mantenimento della pace e cioè: proscrizione della guerra di aggressione; necessità di formare un valido ordinamento per la garanzia della pace, ed infine, esigenza di considerare la società dei popoli come una sola unità morale e politica.

È alla luce di quest'articolo, che si chiarisce il significato che occorre dare a quanto forma oggetto dell'articolo 75. Quando cioè si parla di dichiarazione di guerra, non ci si può riferire che a guerra legittima. Ma anche in tal caso, non vi è qualche altra fondamentale esigenza, oltre quella di giusta difesa, che bisogna tenere presente, prima che si addivenga ad un atto formale di dichiarazione di guerra?

A tale domanda io non esito a rispondere affermativamente nel senso cioè, che la dichiarazione di guerra deve rispondere alla volontà della Nazione.

L'articolo 75 del progetto, nel fissare il principio che spetta all'Assemblea nazionale di deliberare la mobilitazione generale e l'entrata in guerra, indubbiamente ha tenuto conto di tale esigenza. Ed è giusto, è onesto, che quando si affronti un così micidiale rischio, quando ci si immerge in una così spaventosa voragine, il popolo, il quale è chiamato a combattere e soprattutto a soffrire la guerra, possa esprimere la sua volontà, possa decidere delle sue sorti e di quelle del Paese tutto.

Certamente l'Assemblea Nazionale è espressione della volontà della Nazione e nella sua democratica composizione rappresenta il popolo; tanto meglio lo rappresenterà in quanto con la prevista trasformazione del Senato, che diventerà, come la Camera dei deputati, una schietta manifestazione del volere e delle opinioni del Paese, essa sarà l'emanazione diretta della sovranità popolare.

Tuttavia, vien fatto di chiedersi se una responsabilità così grave, se un impegno così solenne debbano pesare soltanto su un migliaio di persone che, per quanto degni, per quanto liberamente designati dalla Nazione a rappresentarla anche per le decisioni più importanti, potrebbero non interpretare esattamente quel particolare stato d'animo popolare, quella specifica volontà nazionale che eventi eccezionali determinano. Non occorre essere scaltriti osservatori della vita sociale per rendersi conto che, in alcuni momenti di straordinaria importanza storica, si può verificare una discrasia fra popolo e classe politica, tra la Nazione e coloro stessi che ne sono stati i depositari della volontà e della sovranità. Di fronte ad una siffatta soluzione di continuità della rappresentanza che si verifica in alcuni speciali periodi storici si è dai teorici proclamato il diritto delle élites ad assumersi la responsabilità delle decisioni supreme. La democrazia, valevole per la via ordinaria, non avrebbe più senso, dunque, nelle ore in cui è della vita stessa del popolo che occorre decidere.

Il protagonista quindi, di quella terribile ed atroce avventura che è la guerra, il diretto e designato attore della vicenda bellica, il popolo, rimarrebbe estraneo ad una determinazione che lo riguarda come nulla può riguardarlo più esplicitamente, giacché sacrifici, fame, distruzioni, sono sofferti da lui, il sangue che si versa è il suo sangue.

Ad ovviare siffatta ingiustizia, sarebbe certamente utile e soprattutto onesto, alla vigilia di una decisione di tanta gravità, potere interpellare il popolo; poter consultare i padri che hanno faticato a costruirsi un campicello od una casa; i vecchi, che assommano tanta saggezza e tanta esperienza; le madri e le spose, che dovranno vedersi allontanare, e forse per sempre, i figli ed i mariti, restando loro stesse in balìa di pericoli imprevedibili; poter interrogare gli stessi uomini destinati al combattimento.

L'istituto del referendum che il progetto di Costituzione opportunamente introduce nella nostra vita pubblica, potrebbe essere adoperato per chiedere al popolo il suo responso sul più solenne e grave atto della sua esistenza fisica e storica, qual è quello della dichiarazione di guerra. Esso certamente offrirebbe il vantaggio di una consultazione diretta e di una conseguente espressione libera e sincera di volontà.

Una difficoltà insormontabile tuttavia si oppone ad una simile ipotesi: la macchina per far agire il referendum si mette in moto solo lentamente ed i risultati di una votazione simile sarebbero conosciuti a distanza di tempo, mentre la decisione di un intervento di guerra dev'essere rapido e tempestivo. Il referendum, utile in molte circostanze, purtroppo nella circostanzia suprema della storia di una nazione si appalesa, per la sua lentezza, d'impossibile attuazione.

Un'altra consultazione di larga portata potrebbe essere quella effettuata a mezzo dei Consigli comunali. Devo confessare che questa idea mi ha per molto tempo sedotto. Il Comune torna ad essere, com'è stato nei secoli passati, la linfa, la sorgente, il centro della vita nazionale. I Consigli comunali, specie nei comuni minori, aderendo più direttamente alle popolazioni che rappresentano, ne interpretano più schiettamente i bisogni, le opinioni, i sentimenti. Interpellare i Consigli comunali della Repubblica in caso di guerra, avrebbe potuto costituire un mezzo di consultazione sufficientemente approfondita nel paese. Mi rendo, tuttavia, conto che difficoltà tecniche si frappongono ad un simile progetto: non sarebbe facile, fra l'altro, coordinare sollecitamente ed organicamente i voti di ottomila assemblee comunali.

Ed allora io oso proporre un altro sistema certo più rapido anche se non altrettanto diretto di consultazione, propongo cioè di far pronunziare le assemblee regionali.

In realtà i Consigli regionali, una volta che saranno istituiti dovunque, rispecchieranno la volontà popolare; la rispecchieranno, mi sia lecito dirlo, in maniera più rispondente alle particolari esigenze delle singole Regioni nelle quali si costituisce e si articola l'Italia. Interpellare le assemblee regionali sulla decisione da adottare, ove lo stato di guerra dovesse profilarsi all'orizzonte della storia nazionale, sarebbe cosa facile e rapida; sarebbe soprattutto un gesto di lealtà, di coerenza democratica, di conforto per la stessa Assemblea Nazionale, che vedrebbe poggiare la responsabilità della sua decisione su un parere espresso da numerose assemblee, investite anch'esse di un potere di rappresentanza emanante dal popolo. Perché, sia lecito dirlo, la rappresentanza politica per quanto possa essere ampia e diretta, per quanto possa costituire il presupposto e la garanzia insieme di un'azione parlamentare, legislativa, e direi persino direttiva del paese, essa tuttavia può essere limitata: ed il limite è costituito da quell'immenso tesoro che si getta nel rogo della guerra: le vite umane, le opere, l'avvenire stesso del Paese.

Onorevoli colleghi! Alla fine di quest'ultimo conflitto, in molti abbiamo creduto che la guerra sarebbe stata cancellata dalla storia futura; e sarebbe stata cancellata non tanto per virtù di uomini, quanto per la forza degli eventi. Di fronte all'immane catastrofe che s'è abbattuta su tanta parte dell'umanità per oltre sei anni, di fronte alla furia devastatrice, che si è scatenata sulle cose, sugli uomini, sullo spirito stesso della civiltà, ebbene, abbiamo pensato che di guerre non ve ne sarebbero state mai più; abbiamo creduto che a rinsavire gli uomini, soprattutto taluni uomini, dalla follia di gettare i popoli gli uni contro gli altri, di farli dissanguare, di annullare il divino destino di pace, fosse sufficiente lo spettacolo offerto dai numerosi nuovi cimiteri, dalle distruzioni di città, dalla rovina di paesi, dell'annichilimento di intere razze e di intere regioni.

Purtroppo invece, oggi, e non da oggi soltanto, la situazione internazionale appare precaria e barcollante; il mondo si rivela diviso di già in due campi, entro ognuno dei quali s'agitano pressioni, ambizioni, insofferenze, maligni spiriti di lotta.

I voti, i programmi, i solenni principî enunciati in documenti ed in atti, che avrebbero dovuto far testo, dalla Carta atlantica alla dichiarazione di San Francisco, sembrano di già lontani nel tempo e, quel che più conta, nell'animo dei contemporanei.

Ebbene, approvando noi l'articolo 6 del progetto di Costituzione, abbiamo inteso fissare, più che una norma specifica, un principio generale. Abbiamo voluto dare una prova tangibile della nostra buona volontà di evitare la guerra, di dichiarare nel modo più categorico e solenne che la guerra è fuori legge.

Accogliendo ora l'emendamento che ho l'onore di proporre io ho fiducia che mentre si pone in maggior luce il carattere che ha l'Assemblea Nazionale, di essere fedele interprete della volontà del popolo, si dà anche un contributo sostanziale alla causa della pace, che, mai come oggi, ha bisogno di tutori inflessibili e sinceri.

Presidente Terracini. L'onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Soltanto le due Camere possono con legge deliberare la mobilitazione generale e l'entrata in guerra.

«Ad esse solo spetta il diritto di accordare per legge amnistie e indulti».

L'onorevole Persico ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Persico. Ho deciso di abbandonare il primo comma del mio emendamento, secondo il quale le due Camere avrebbero dovuto deliberare la mobilitazione generale e l'entrata in guerra.

Avendo riflettuto sulla questione ed anche in seguito alle opinioni manifestate in questa Aula da molti oratori e agli emendamenti presentati dai colleghi Terranova, Gasparotto, Meda, Clerici ed altri, mi sono convinto che, se l'Assemblea Nazionale dovrà restare, essa dovrà avere soltanto delle funzioni eccezionalissime, come la nomina del Capo dello Stato, e come quella di dichiarare la guerra e di promuovere la mobilitazione generale.

Non vale l'obbiezione, che c'è l'articolo 6, già approvato, il quale dice che l'Italia non farà mai guerre di aggressione o di offesa ad altri popoli. Ciò non toglie che l'Italia possa essere coinvolta in una guerra; ed anche una nazione aggredita deve dichiarare la guerra e subirla, deve quindi fare la mobilitazione generale; atto, questo, il più solenne della vita nazionale, forse superiore anche alla nomina del Capo dello Stato.

Per queste ragioni dichiaro di rinunziare alla prima parte del mio emendamento.

Invece sostengo a ragion veduta la seconda parte.

Su questo problema, che conosco per motivi di pratica professionale, ho avuto occasione di esprimere la mia opinione in scritti su riviste giuridiche ed anche in questa Aula, nella seduta del 19 luglio 1946. Cioè, che l'amnistia e l'indulto devono essere discussi e approvati dalle Camere, e non sono atti che possono essere demandati al Governo; sono atti eccezionali che devono corrispondere a momenti e a necessità eccezionali. Non possiamo seguire la prassi fascista per la quale un anno sì e uno no si emanavano decreti di amnistia. Durante il passato regime abbiamo avuto dieci amnistie in venti anni, di modo che, con ben congegnati sistemi di appelli e di ricorsi in Cassazione, si finiva per far sì che nessun delinquente, entro certi limiti, andasse mai in carcere, ciò che finiva per annullare il valore della legge: il valore morale, psicologico e giuridico. I magistrati sapevano che dopo un dato periodo di tempo le loro sentenze sarebbero state poste nel nulla, tanto che presso alcune magistrature minori rimanevano sospesi migliaia di processi (ricordo infatti che alla vigilia del decennale presso la Pretura di Roma ben 12.000 processi erano rimasti sospesi), perché era certo che ben presto sarebbe venuta una benefica amnistia che avrebbe posto fine a tali procedimenti.

Ora, un tale sistema deve finire, perché un organo politico come le due Camere, solo in casi veramente eccezionali, concederà l'amnistia, quando riconoscerà che essa corrisponde ad un bisogno e ad una necessità del Paese, per adeguare la situazione giuridica ad una nuova situazione politica e sociale. Né si dica, come è stato da taluno obiettato, che, in questo modo, ci sarebbe un periodo di tempo in cui, perdurando le discussioni delle Camere sull'opportunità e sulle modalità di emanazione dell'amnistia, le persone potrebbero delinquere tranquillamente, sicuri che poi tutto sarebbe sanato, perché l'amnistia sarà goduta soltanto da coloro i quali avranno commesso il reato prima della presentazione del relativo disegno di legge. In tal modo sarà eliminato questo inconveniente.

Pertanto noi avremo che il disegno di legge concernente l'amnistia andrà prima alla Commissione competente della Camera dei deputati, che, dopo averlo esaminato, presenterà la sua relazione, che sarà discussa dalla Camera stessa e, dopo la sua approvazione, passerà all'esame del Senato, cioè al secondo vaglio. In tal modo potremo anche evitare quei difetti che normalmente si riscontrano nei decreti di amnistia, i quali contengono sempre lacune, incertezze e contraddizioni, che procurano una disparità di trattamento attraverso i diversi responsi dei tribunali e delle Corti di merito e della Corte Suprema. Io credo quindi che sia opportuno togliere all'Assemblea Nazionale questa facoltà, la quale ne snaturerebbe le eccezionali funzioni, perché si verrebbe quasi a formare una terza Camera, con una funzione legislativa che noi non vogliamo darle: noi vogliamo attribuirle soltanto la nomina del Capo dello Stato e la deliberazione sulla mobilitazione generale e sull'entrata in guerra. Resta poi la questione del voto di fiducia: io ritengo che tale compito non debba spettare all'Assemblea Nazionale, ma di questo discuteremo a suo tempo. Limitate così le sue funzioni, esse non possono evidentemente essere estese all'approvazione delle leggi concernenti l'amnistia e l'indulto.

Perciò conservo il mio emendamento soltanto per quanto riguarda la sua seconda parte.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta all'Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione e l'entrata in guerra. In caso di aggressione improvvisa da parte di uno Stato straniero, il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, prende i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, e convoca d'urgenza l'Assemblea Nazionale».

L'onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.

Gasparotto. Il mio emendamento porta, oltre alla mia firma, quella dei quattro Sottosegretari del Ministero della difesa del tempo. Con questo non abbiamo inteso certamente di involgere nella questione la responsabilità del Ministero della difesa, ma abbiamo inteso soltanto di dare alla Costituente la sensazione che nella nostra formulazione ci siamo valsi degli elementi tecnici che gli uffici hanno messo a nostra disposizione.

Lo scopo dell'emendamento è quello di concordare i diritti e i doveri dell'Assemblea legislativa (o delle due Camere riunite o separate) col principio contenuto nell'articolo 6 della Costituzione, che bandisce la guerra come mezzo di offesa e come attentato alla libertà dei popoli. Giustamente ha ricordato poco fa l'amico Persico che non vi è contraddizione tra l'articolo in discussione e l'articolo 6, in quanto l'articolo 6 presuppone, perché l'Italia rinunci alla guerra, che ci sia reciprocità ed uguaglianza di impegni anche da parte delle altre nazioni. Ove mancasse questa reciprocità, l'Italia certo non potrebbe rinunciare al terribile diritto di dichiarare la guerra.

Comunque è chiaro che lo spirito dell'articolo 6 potrebbe trovare una risonanza concreta nella vita internazionale ove intervengano accordi fra le varie nazioni, che portino alla creazione di un esercito di polizia internazionale, una gendarmeria o esercito di polizia internazionale a difesa della pace e della libertà di tutti i popoli, con limitazioni parziali dei diritti di sovranità di ciascun paese. Questo concetto è stato accettato nel 1944 da due congressi: uno del partito laburista, l'altro del partito socialista, in Inghilterra.

Comunque, vengo al concreto. L'emendamento mio si distingue dagli altri, in quanto intendo sottoporre all'approvazione delle due Camere o dell'Assemblea Nazionale, non soltanto la mobilitazione generale, ma qualunque mobilitazione, anche quella parziale, perché bisogna tener presente che oggi mobilitazione vuol dire guerra, mobilitazione è sinonimo di guerra, e che la mobilitazione generale è ormai abbandonata, perché è impossibile che venga applicata in concreto. Infatti, data la mole degli eserciti e l'immenso numero dei cittadini chiamati alle armi, il deliberare la mobilitazione generale vorrebbe dire portare lo scompiglio e il disordine economico in tutto il paese, perché le guerre moderne non sono guerre di eserciti, non sono contrapposizioni di forze armate, ma sono guerre di popolo, guerre di nazioni, inquantochè alla mobilitazione militare corrisponde la mobilitazione civile che chiama tutto il paese a collaborare con le forze armate. Quando si pensi che nel recente ultimo conflitto l'Italia ha messo in campo quasi 6 milioni di uomini, la Francia 5 milioni, gli Stati Uniti 11 milioni, e che del numero dei mobilitati dalla Russia e dalla Germania non si è ancora potuto fare il calcolo, perché la Russia ha chiamato alle armi tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni, e la Germania non ha fatto questione di età ed ha chiamato alle armi tutti i cittadini validi, ognuno comprende che da queste cifre si ricava la risultanza che è impossibile far luogo di colpo alla mobilitazione generale militare e cioè alla leva di tutta questa immensa massa di cittadini, alla quale deve corrispondere a sua volta la mobilitazione generale civile. Far questo di colpo vorrebbe dire portare la paralisi nella vita del Paese.

Inoltre, vi è un altro argomento. Si credeva un tempo che la mobilitazione generale si potesse fare mantenendo la segretezza degli apprestamenti preparatori. Ciò è impossibile oggi, perché i servizi di informazione di tutti gli Stati e i mezzi di trasmissione delle notizie sono ormai tali e agiscono in tale estensione e profondità che molte volte, per non dire sempre, la notizia di una mobilitazione in preparazione arriva prima all'estero che nell'interno del paese.

Dunque, distinzione, anzi differenziazione precisa, fra l'emendamento mio e parecchi altri emendamenti, inquantochè ritengo che se si vuole veramente assicurare all'Assemblea Nazionale o alle Camere e soltanto ad esse il diritto di dichiarare l'entrata in guerra attraverso la mobilitazione, occorre sopprimere le parole «mobilitazione generale» e fermarsi semplicemente alla parola «mobilitazione». Però, può darsi anche che il nostro Paese come qualunque altro sia soggetto ad una aggressione improvvisa. Il clamoroso precedente di Pearl Harbour va tenuto presente. Ed allora, deve intervenire l'autorità del Capo dello Stato, su proposta del Consiglio dei Ministri, per far luogo a tutti gli apprestamenti necessari per fronteggiare l'aggressione e rendere possibile l'immediata reazione difensiva. Non si tema che per fare questo occorrano dei grandi eserciti. Su questo punto, già quando io ebbi a proporre nel 1921 il nuovo ordinamento dell'esercito ero, e credo di essere tuttora, d'accordo con l'onorevole Bencivenga, al quale è dovuta la fortunata frase «esercito scudo lancia». Può anche un piccolo esercito perfettamente attrezzato, munito cioè dei mezzi tecnici più moderni, fronteggiare una prima aggressione, in attesa che i centri di mobilitazione diffusi nel Paese preparino i nuovi mezzi di difesa. Occorre però che ci sia un potere supremo, che intervenga con tutta prontezza e risolutezza, e questo potere non può essere rappresentato che dal Capo dello Stato in piena solidarietà, s'intende, con il Consiglio dei Ministri.

Le idee che ho esposto trovano corrispondenza nella legislazione militare moderna.

La Costituzione spagnola, all'articolo 76, dice: «Spetta al Presidente della Repubblica di prendere le misure urgenti richieste dalla difesa della sicurezza della Nazione, dandone immediato conto alle Cortes».

La Costituzione sovietica all'articolo 48: «Il Presidium dell'U.R.S.S. ordina la mobilitazione parziale o generale».

La Costituzione estone, al paragrafo 82, dice: «La mobilitazione (non si dice se generale o parziale) delle forze in difesa della Repubblica è ordinata dall'Assemblea nazionale. Tuttavia, se uno Stato straniero ha dichiarato la guerra alla Repubblica, il Governo ha la facoltà di ordinare la mobilitazione senza attendere le decisioni dell'Assemblea nazionale».

La Costituzione lettone all'articolo 44 dice: «Il Presidente della Repubblica ha il diritto di prendere misure di difesa indispensabili qualora uno Stato straniero dichiari guerra alla Lettonia o attacchi le sue frontiere. Nello stesso tempo convoca la Dieta e decide sulla dichiarazione di guerra e sull'inizio della medesima».

Con queste disposizioni si viene a caricare il Capo dello Stato di una grande responsabilità; ma di fronte ad una non preveduta aggressione, non c'è che il Capo dello Stato che abbia l'autorità e la responsabilità di provvedere, in piena solidarietà — è inutile dirlo — con il Consiglio dei Ministri.

Ecco perché il nostro emendamento dice che, pur assegnando all'Assemblea Nazionale o alle due Camere la potestà di deliberare la mobilitazione e l'entrata in guerra, in caso di aggressione improvvisa da parte di uno Stato straniero, ha facoltà il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, di prendere i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, salvo l'obbligo di convocare di urgenza l'Assemblea Nazionale.

Presidente Terracini. L'onorevole Fuschini ha presentato i seguenti emendamenti.

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare maggiori poteri al Governo in caso di guerra».

«Sopprimere il secondo comma».

L'onorevole Fuschini ha facoltà di svolgerli.

Fuschini. Onorevoli colleghi, io mi sono limitato a proporre una modifica che si riferisce al primo comma dell'articolo 75, ed ho poi presentato poco fa un emendamento relativo all'amnistia ed all'indulto. Sono d'accordo sulla seconda parte dell'emendamento presentato dall'onorevole Gasparotto, per quanto ritenga che la dizione «in caso di aggressione improvvisa il Consiglio dei Ministri, d'accordo col Presidente della Repubblica, prende i provvedimenti di urgenza» sia superflua; è evidente, comunque, che il potere esecutivo, nella sua integrale espressione del Consiglio dei Ministri e del Governo, insieme al Presidente della Repubblica, hanno il dovere generico di provvedere sempre alla difesa della Patria e quindi del territorio nazionale. Però, per quanto riguarda la prima parte riferentesi alla mobilitazione, ritengo che l'affidare alle Camere riunite in Assemblea tale questione non possa ammettersi. Né per la mobilitazione a scaglioni, come si è usata negli ultimi tempi (io non sono un tecnico; i tecnici potranno correggermi), né per la mobilitazione generale, penso che occorra l'intervento preventivo delle Camere; perché, secondo me, questo provvedimento, qualunque forma assuma parziale o generale, deve sempre rientrare nei poteri del Governo, dovendosi usare cautele e precauzioni di vitale importanza.

La minaccia di aggressione o l'aggressione stessa da parte di un paese non avvengono ex abrupto, in un batter d'occhio, ma in seguito ad una serie di eventi attraverso i quali lo Stato minacciato è posto in guardia e deve premunirsi con misure di vario ordine, indispensabili per non divenire vittima dell'aggressione.

Ora, non mi sembra che sia opportuno portare innanzi alle Camere una questione tanto delicata come è quella della mobilitazione e sottoporla ad una discussione di carattere pubblico.

Ogni forma precauzionale di difesa della patria deve avere quella segretezza indispensabile, se si vuole che risulti efficace. Sarebbe poi, a mio avviso, un'imprudenza dare notizie ufficiali di tali precauzioni e coinvolgere in esse la responsabilità del potere legislativo. La loro pubblicità poi, anziché allontanare il pericolo di una guerra, potrebbe provocarla o potrebbe perlomeno inasprire i rapporti internazionali.

Quindi, non mi pare che sia nell'interesse del Paese stabilire una norma per la quale la mobilitazione debba ottenere la preventiva approvazione delle Camere. Le Camere, quando il Governo nella sua integrale responsabilità avrà adottato i provvedimenti del caso, potranno discuterli come tutti gli altri atti che tendono a premunire la difesa del territorio nazionale.

Per quello che si riferisce alla dichiarazione di guerra vera e propria, credo che dobbiamo tener presente in linea generale, che le dichiarazioni di guerra sono cadute dall'uso internazionale, perché si comincia ad agire dal punto di vista bellico, prima ancora che vi sia stata la dichiarazione e anche quando nessuna dichiarazione di guerra è stata fatta.

Comunque, se vogliamo mantener fede a quelle che sono le buone norme del diritto internazionale, che desidereremmo fossero riprese e mantenute, così come avvenne nel 1914, quando vi fu la prima guerra mondiale, occorre tuttavia ricordare che nel 1915, quando l'Italia volle entrare in guerra, vi entrò con tutta una preparazione di mesi e mesi, direi quasi dopo una vera e propria battaglia politica sulla neutralità o sull'intervento. E quando il Governo allora in carica, che era il Governo dell'onorevole Salandra, si presentò alla Camera, si presentò non per domandare l'autorizzazione vera e propria alla dichiarazione di guerra, ma si presentò alla Camera presentando un disegno di legge nel quale si domandavano i poteri straordinari in caso di guerra. E le dichiarazioni che fece l'onorevole Salandra il 20 maggio 1915 furono dichiarazioni che poterono essere considerate come una decisione dell'Italia di entrare in guerra; ma la vera e propria dichiarazione di guerra fu fatta il 24 maggio, cioè quattro giorni dopo che le Camere avevano concesso al Ministero i poteri straordinari.

Ecco perché mi sono permesso di apportare un emendamento nel senso che alle Camere siano presentate le richieste dei mezzi straordinari di cui ha bisogno un Governo che ritenga necessario dichiarare la guerra.

Il problema, quindi, non consiste tanto nel fatto che le Camere facciano esse la dichiarazione di guerra, ma consiste piuttosto nel fatto che le Camere debbono dare i poteri necessari perché si possa dichiarare la guerra; cioè, in altre parole, quando le Camere hanno conferito al Governo che è in carica i poteri straordinari — poteri di ogni ordine e grado di carattere giuridico e, soprattutto, di carattere militare, economico e finanziario — sarà poi il potere esecutivo che sceglierà il momento preciso di fare la vera e propria dichiarazione di guerra.

Per quanto riguarda l'altro mio emendamento, che si riferisce all'amnistia e all'indulto, mi risparmio di illustrarlo perché trattandosi di materia penale lo svolgerà in mia vece il collega onorevole Giovanni Leone che è competente in materia penale.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Meda e Clerici:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale».

L'onorevole Meda ha facoltà di svolgerlo.

Meda. Onorevoli colleghi, la ragione del nostro emendamento ha riferimento con la situazione attuale del nostro Paese in rapporto all'esistenza del trattato di pace che limita enormemente le forze militari e che ha stabilito dei confini i quali indubbiamente non possono darci né sicurezza né tranquillità.

Io sono d'accordo con i colleghi, i quali hanno proposto che qualsiasi deliberazione relativa a una pronunzia, ad una decisione di intervento militare in un conflitto a scopo difensivo, debba essere riservata all'Assemblea Nazionale. Ma noi andiamo più in là; noi affermiamo, infatti, che l'Assemblea Nazionale debba anche decidere in ordine all'azione preventiva di difesa del territorio nazionale.

Sappiamo infatti per esperienza come nel passato le spese militari abbiano sempre raggiunto cifre elevatissime, contrariamente a quello che poteva essere il sentimento delle popolazioni. Si sono apprestati eserciti, si sono apprestate marine per azioni di offesa, per creare la guerra che poi i popoli hanno dovuto subire. Ecco perché noi riteniamo invece che, in funzione di quello che deve essere il nuovo spirito della Repubblica italiana, l'Assemblea Nazionale debba essere interpellata allorché si tratti di stabilire, allorché si tratti di determinare le modalità, i sistemi, allorché si tratti di moderare anche i mezzi con i quali si dovrà provvedere alla difesa del territorio nazionale.

Noi ci auguriamo che mai più il nostro Paese si debba trovare nelle condizioni di dover decidere una mobilitazione. D'altra parte, io sono completamente d'accordo con il collega onorevole Gasparotto quando afferma che la mobilitazione sia ormai, nella sua espressione comune, decisione completamente sorpassata. Oggi, infatti, con i mezzi meccanici di cui uno Stato può disporre, con l'aviazione, con i sistemi di offesa e di difesa di cui è dotato un esercito moderno, non occorre più grande impiego di uomini, ma piuttosto utilizzazione di macchine e di reparti particolarmente attrezzati.

Noi ci auguriamo, ripeto, che mai l'Assemblea Nazionale debba essere chiamata a deliberare per un'aggressione ai confini della Patria: però noi desideriamo nel contempo che l'Assemblea, che è la più pura, che è la più diretta espressione dei sentimenti del popolo italiano, sia interpellata ogni qual volta si debbano adottare provvedimenti che riguardino la sicurezza delle nostre frontiere.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Benvenuti e Clerici:

«Al primo comma, alla parola: Spetta, premettere le seguenti:

«Fermo restando il dovere del Governo di provvedere, in qualsiasi circostanza, alla difesa delle frontiere terrestri, marittime, aeree della Repubblica».

L'onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

Benvenuti. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io mi assocerei senz'altro all'emendamento dell'onorevole Gasparotto e degli altri firmatari: ma v'è una sfumatura, sulla quale mi permetto di insistere e che, a mio avviso, presenta notevole importanza.

Il collega onorevole Fuschini, un momento fa, ha proclamato essere evidente, anzi lapalissiano, che il potere esecutivo in qualsiasi momento deve difendere le frontiere del Paese: onde dovrebbe ritenersi superfluo inserire tale principio nella legge costituzionale.

Mi permetto di esprimere un ben diverso parere. Ritengo cioè che il dovere inderogabile del Governo di resistere sempre ed automaticamente ad ogni aggressione debba essere consacrato chiaramente in una norma costituzionale. Basterà a questo fine una lieve modifica al testo dell'emendamento dell'onorevole Gasparotto. Mi si consentano brevi considerazioni.

Potrà sembrare paradossale quello che io dico, ma la verità è questa: la terribile responsabilità, la responsabilità diretta ed immediata dello scoppio della guerra grava più sull'aggredito che sull'aggressore. È una constatazione che può sembrare paradossale, ma risponde a verità. C'è un sistema assolutamente sicuro, matematico, di non far scoppiare la guerra: ed è quello di non resistere all'aggressore. Chi non resiste non fa scoppiare la guerra! (Commenti). Perché l'aggressore non vuole la guerra, vuole soltanto l'annessione, la sottomissione del vicino, la conquista di posizioni economiche o strategiche. E finché può cerca di pervenirvi persuadendo la vittima a non resistere. Abbiamo avuto esempi recentissimi, onorevoli colleghi: abbiamo l'esempio dell'Austria e quello della Cecoslovacchia, le quali nel 1938 e nel 1939 non hanno resistito ed hanno evitato la guerra. Quando è scoppiata la guerra? Quando s'è trovato un aggredito, l'eroica Polonia, che ha resistito. È quindi colui che spara il primo colpo di fucile, per difendersi, che fa scoppiare la guerra (Commenti). Di fronte a una responsabilità tanto grande, qualsiasi Governo può avere un moto di perplessità: resistere o trattare coll'aggressore? Occorre che una precisa norma costituzionale tolga al Governo ogni dubbio sul suo unico dovere: che è quello di resistere ad ogni costo.

Io mi auguro che il nostro Paese non debba mai trovarsi nella tragica situazione di dover scegliere fra la guerra e la capitolazione; ma se mai questa scelta dovesse porsi, il Governo dovrà assumersi la responsabilità di resistere: non potrà assumersi mai quella di trattare o tanto meno di capitolare. Noi dobbiamo cioè accollare al Governo la responsabilità assoluta, inderogabile della difesa contro l'aggressione: che se le tragiche circostanze che la storia può proporre alla vita di tutti i popoli dovesse rendere necessario di valutare a un certo momento il rapporto di forze coll'aggressore e di venire ad una forma di accordi o di patteggiamenti, questa triste atroce responsabilità non potrebbe essere presa se non dalla rappresentanza nazionale, ossia dal Parlamento.

Quindi, onorevoli colleghi, mi pare che non possa essere lasciato dubbio alcuno nel nostro testo costituzionale che il Consiglio dei Ministri debba in ogni caso prendere i provvedimenti necessari per la difesa nazionale; debba far ciò sempre automaticamente, in ogni circostanza, escluso qualsiasi apprezzamento di convenienza (che spetterà poi ai rappresentanti del Paese) costi quel costi, implichi ciò tutte le responsabilità gravissime che può implicare, porti a tutte le conseguenze cui può portare. Guai a noi se alle nostre frontiere si potesse pensare che di fronte ad un'aggressione il Governo della Repubblica italiana possa avere libertà di scelta, possa porsi il quesito: «Che cosa conviene fare: resistere o capitolare?». Se questo dubbio potesse sorgere, in un mondo come quello attuale, onorevoli colleghi, resterebbero profondamente scalfite sul piano psicologico, e anche su quello diplomatico, la nostra sicurezza e la nostra libertà. Tanto più, onorevoli colleghi, in un momento come questo in cui assistiamo a fenomeni singolarissimi. In Francia, per esempio, da pubblicazioni recenti si è fatto l'elogio della «non resistenza». Se ne è parlato anche nei giornali. Sono comparsi libri di autori noti, i quali sostengono che dopo tutto si è fatto molto meglio a fare «Vichy», che la collaborazione ha successivamente evitato molti guai, ed ha salvato alla Francia un milione di vite umane. Questo è quello che leggiamo oggi: la svalutazione opportunistica della resistenza. Onorevoli colleghi, in tali argomentazioni ci può essere, tristemente, qualche cosa di vero: ma è un ordine di idee che il Governo della Repubblica italiana dovrà, in caso di aggressione, intransigentemente ignorare. Ecco perché suggerisco un emendamento all'emendamento dell'onorevole Gasparotto o, se egli preferisce, mi rimetto a lui, per la modifica del testo. Propongo, quindi, di formularlo così: «Il Consiglio dei Ministri deve proporre al Presidente della Repubblica i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese. Il Presidente della Repubblica dà corso a tali provvedimenti e convoca d'urgenza le due Camere legislative».

Mi rimetto alla saggezza dell'onorevole Gasparotto perché faccia in modo che questo concetto rientri nel suo emendamento, in modo che sia ben chiaro che il Governo è tenuto costituzionalmente a prendere tutte le misure necessarie per la difesa del Paese.

Presidente Terracini. L'onorevole Azzi ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere la parola: generale, dopo la parola: mobilitazione».

«Fare del secondo comma un articolo a parte».

Ha facoltà di svolgerli.

Azzi. Sull'articolo 75 ho presentato due emendamenti. Nel primo ho proposto di sopprimere la parola «generale» dopo la parola «mobilitazione» contenuta nel primo capoverso, che pertanto verrebbe ad essere così espresso: «Spetta all'Assemblea Nazionale» (o Parlamento o Camere Riunite) «deliberare la mobilitazione e l'entrata in guerra». Questa dizione coincide esattamente con quella dell'emendamento proposto e svolto dall'onorevole Gasparotto, alle considerazioni del quale mi associo pienamente.

Chiarisco che mi sono astenuto dal proporre nel mio emendamento qualsiasi riferimento all'articolo 6, sembrandomi inconcepibile pensare che l'Assemblea Nazionale (o il Parlamento), deliberando sulla mobilitazione e sull'entrata in guerra, non debba tener presenti le disposizioni dell'articolo 6.

Mi è sembrato altresì superfluo qualsiasi riferimento all'azione da svolgere dal Governo in casi di improvvisa aggressione, perché ritengo che il Governo in questa circostanza, che può essere considerata una calamità nazionale, possa o meglio debba, come per qualsiasi altra calamità, prendere i provvedimenti necessari per fronteggiare la situazione, salvo a convocare d'urgenza l'Assemblea Nazionale (o Parlamento) per avere la sanzione di quanto ha già fatto e per discutere e deliberare i provvedimenti da adottare successivamente.

Il secondo mio emendamento propone di fare un articolo a sé di quanto riguarda l'amnistia e l'indulto che devono essere deliberati dall'Assemblea Nazionale (o Parlamento).

È una semplice questione di forma, ma confesso che quando ho letto il secondo comma dell'articolo 75 mi sono domandato: che c'entra la mobilitazione e l'entrata in guerra con l'amnistia e l'indulto? E ho dovuto risalire al titolo del capitolo: «formazione delle leggi» per rendermi conto che erano due provvedimenti riguardanti argomenti diversi attinenti alla formazione delle leggi e contenute in uno stesso articolo. Penso allora che, per semplicità e chiarezza, convenga di questo articolo 75 fare due articoli distinti.

E sempre in tema di forma, chiarezza e semplicità, osservo che l'importantissimo argomento della difesa nazionale è diviso in tre o quattro parti, in più Titoli, con articoli sparpagliati un po' dappertutto. Per cui, chi volesse sapere come la Costituzione della Repubblica italiana ha provveduto alla difesa nazionale, deve leggere tutta la Costituzione dalla prima all'ultima parte.

Data l'importanza dell'argomento, sembrerebbe opportuno che, una volta fatta la Costituzione, e stabilito quale deve essere la struttura dello Stato, si facesse un piccolo capitolo in fondo, una piccola parte a sé, che dicesse: Difesa Nazionale:

Art. 1. — L'Italia ripudia la guerra, ecc.

Art. 2. — La difesa nazionale è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio, ecc.

Art. 3. — Spetta all'Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione e l'entrata in guerra.

Art. 4. — Il comando delle Forze armate è affidato al Capo dello Stato (o a chi per esso).

Vedremo questa questione quando si discuterà su questa facoltà data al Capo dello Stato.

E così, questo argomento, che oggi in qualsiasi Nazione ha assunto un'importanza tanto grande, troverebbe un posto più logico, più comprensivo e più chiaro nella nostra Costituzione.

Presidente Terracini. L'onorevole Damiani ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: e l'entrata in guerra, aggiungere: che, in relazione all'articolo 6, può essere dichiarata soltanto in caso di legittima difesa».

Non essendo presente, s'intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Segue l'emendamento dell'onorevole Codacci Pisanelli:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L'amnistia e l'indulto non potranno essere concessi se non mediante legge di natura costituzionale».

L'onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

[L'intervento dell'onorevole Codacci Pisanelli è riportato a commento dell'articolo 79.]

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Buffoni, Carpano Maglioli, Costantini, Nobili Tito Oro, Stampacchia, Vigna, Amendola e Targetti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L'amnistia e l'indulto sono deliberati per legge».

In assenza del primo firmatario, ha facoltà di svolgerlo l'onorevole Carpano Maglioli.

[L'intervento dell'onorevole Carpano Maglioli è riportato a commento dell'articolo 79.]

Presidente Terracini. Gli onorevoli Leone Giovanni, Fuschini, Mortati, Moro, Bettiol, Dominedò, Balduzzi, Zaccagnini, Cappugi e Ferrario Celestino hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L'amnistia e l'indulto sono disposti con decreto legislativo.

«Essi non possono avere effetto nei confronti di reati commessi in epoca posteriore alla presentazione del disegno di legge di delegazione».

L'onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.

[L'intervento dell'onorevole Leone Giovanni è riportato a commento dell'articolo 79.]

Presidente Terracini. L'onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma dell'articolo 75».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobile. Veramente, io sarei favorevole alla soppressione di tutto l'articolo; ma, siccome non mi riconosco competente per quanto riguarda la materia regolata dal secondo comma, mi sono astenuto dal proporre la soppressione anche di questo comma.

Il primo comma attribuisce all'Assemblea Nazionale il potere di deliberare la mobilitazione generale e l'entrata in guerra. Mi pare che vi sia un grosso equivoco in questa disposizione. La dichiarazione di guerra è cosa d'altri tempi, è un residuo dei tempi della cavalleria errante allorquando si dichiarava cavallerescamente di voler fare la guerra, prima di muover battaglia. Ma oggi non si fa più così. La guerra scoppia, la guerra viene. È un fatto che si manifesta brutalmente come tale prima ancora di essere annunziato. Le sole dichiarazioni di guerra dell'ultimo conflitto mondiale sono state quelle imposte dagli Stati i quali per primi sono entrati in guerra e che per assicurarsi che altri Stati minori non potessero parteggiare per il nemico, hanno loro imposto di dichiarare la guerra, anche se poi a questa dichiarazione non è seguito alcun fatto di guerra. Questo è il caso della Repubblica di San Marino e di altri Stati. Nei tempi moderni, insomma, la dichiarazione di guerra è un anacronismo.

Sulla sostanza dell'emendamento proposto dall'onorevole Gasparotto e da altri colleghi, si può essere d'accordo. Che in caso di aggressione sia il Governo a prendere i primi provvedimenti e che poi siano convocate d'urgenza le Camere legislative è cosa ovvia; e non occorre nemmeno dirla.

Per far comprendere l'assurdo al quale si potrebbe giungere se si accettasse integralmente sia il primo comma dell'articolo in discussione che il primo periodo dell'emendamento Gasparotto, domando che cosa succederebbe se, mentre la cosiddetta Assemblea Nazionale sta deliberando, giungesse una bomba che la distrugge. Nessuno allora potrebbe fare la dichiarazione di guerra: mancherebbe l'organo competente, e il Governo, stando alla Costituzione, si troverebbe nella condizione di non poter provvedere alla difesa.

Gasparotto. Questo è un caso limite di forza maggiore.

Nobile. La dichiarazione di guerra è cosa ormai sorpassata. Per questa ragione non se ne deve parlare nella Costituzione. Tanto più è ridicolo parlarne, in quanto noi — come ha osservato l'onorevole Bozzi — nell'articolo 6 abbiamo dichiarato che l'Italia rinuncia alla guerra come arma di offesa. Per queste ragioni propongo la soppressione del primo comma dell'articolo 75.

Presidente Terracini. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti proposti all'articolo 75.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti