[Il 29 gennaio 1947, nella seduta pomeridiana, la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discute sul potere di amnistia dell'Assemblea nazionale.]

Il Presidente Ruini ricorda che il Comitato di redazione ha proposto la seguente disposizione: «L'amnistia e l'indulto sono deliberati dall'Assemblea nazionale». L'onorevole Leone Giovanni proporrebbe di escludere l'amnistia.

Leone Giovanni ritiene che l'amnistia non risponda più alla struttura attuale dello Stato, in quanto negli ultimi secoli è stata una prerogativa regia e, per conservarla nel regime democratico repubblicano, bisognerebbe studiarne con rigore il fondamento. Pare indiscusso che essa possa avere come fondamento o che la coscienza sociale non reputi più un fatto come reato, o altri motivi particolari, come il desiderio di pacificare gli spiriti, o il desiderio di allentare il peso di numerosi processi. Per quanto attiene alla non corrispondenza di una legge alla coscienza sociale, vi è una formula più diretta, ed è la legge abrogativa. Si abroga una legge penale nel momento in cui sembra non rispondere più alla coscienza sociale. Se si consideri che la legge abrogativa ha effetto abolitivo anche nel campo penale, allora si può adattare la legge alla sopravvenuta visione della coscienza popolare preferendo il sistema più diretto dell'abrogazione della legge penale. Se si tratta di altri fini (quello di allentare il peso dei processi che possono gravare sull'Amministrazione della giustizia in un certo determinato momento), pare che risponda meglio l'istituto dell'indulto.

Inoltre, l'amnistia dal Codice vigente è intesa come una forma di estinzione del reato. Ora, non è corretto stabilire che si possa in un determinato momento, sia pure per legge, togliere carattere di reato ad un fatto che nel momento in cui veniva commesso tale carattere aveva.

Se si segnalano le infinite difficoltà pratiche a cui dà luogo l'amnistia, appare ancora più chiaramente che essa non possa trovare cittadinanza nella Costituzione italiana. Uno dei suoi inconvenienti più gravi è stato visto proprio nella recente ultima amnistia. O l'amnistia si configura dal punto di vista costituzionale come vincolante, e allora potrebbe colpire, come riflesso, anche dei cittadini rispettabili, degli innocenti, i quali non possono rifiutarla; o invece, come nell'ultimo decreto, è configurata come qualche cosa di rinunziabile, di declinabile, e allora si trasforma in un indulto; giacché o l'amnistia è rifiutata, ed allora il rifiuto importa che il cittadino non ne possa più beneficiare, o è accettata, ed allora è appresa dall'opinione pubblica come una forma implicita di accettazione della responsabilità penale.

Sorge, quindi, la inopportunità di mantenere l'amnistia come istituto e l'opportunità di mantenere l'indulto, che costituisce soltanto rinunzia ad eseguire la pena. Come dato storico rileva che anche nello Statuto Albertino l'amnistia non era riconosciuta e si parlava del diritto del Re di fare grazia.

Ritiene che, per queste brevi considerazioni, che nella coscienza di giuristi dei commissari troveranno ampio riscontro, l'istituto dell'amnistia possa essere abolito.

Togliatti rileva che le considerazioni dell'onorevole Leone possono essere teoricamente coerenti ed interessanti, ma le respingerebbe per un motivo politico, perché in Italia si è abituati a ricevere l'amnistia. È un fatto che in Italia, quando si è in carcere, si attende l'amnistia.

È stato detto dall'onorevole Leone che l'amnistia era un attributo della regalità e non si possa passarla alla Repubblica. Veramente l'amnistia era un attributo della sovranità, e se in questo momento fosse tolto alla Repubblica questo attributo, una parte considerevole del popolo penserebbe che la Repubblica vale meno della monarchia. Ricorda che durante la campagna a Napoli contro la Repubblica il motivo dominante era questo: perché volete mandare via il Re? Chi vi dà l'amnistia? Il Presidente della Repubblica non potrà. E si esumava la tradizione che il Re può cancellare la pena in quanto è investito di un diritto divino. Ora, a suo parere, togliere alla Repubblica in questo momento tale attributo di sovranità, sarebbe politicamente un errore e sarebbe pericoloso.

Pensa che le argomentazioni teoriche dell'onorevole Leone potrebbero reggere in un sistema giuridico perfetto, nel quale la pena sia adeguata al reato, che abbia un determinato carattere educativo e non soltanto un carattere punitivo, quando la pena sia applicata con eguale criterio in tutti i periodi della storia dello Stato ed in tutte le Regioni; ma ove si consideri l'attuale legislazione penale e la sua applicazione, appare evidente che l'amnistia debba essere mantenuta. Si pensi che sono previste pene altissime (ergastolo, 30 anni); che, per una quantità di reati le pene non hanno nessun carattere educativo; che le pene anche più piccole lasciano una traccia nella fedina penale e, quindi, nella vita successiva del cittadino. Tutto questo impone che, in un determinato momento, intervenga la misura non soltanto di indulto della pena, ma anche di cancellazione del reato, cioè di ogni conseguenza della condanna per il cittadino. Questa esigenza appare tanto più necessaria in un Paese come l'Italia, dove si è costretti alle volte a prendere misure di carattere punitivo abbastanza severe per ottenere determinati risultati politici o amministrativi. Si pensi alle pene severe per i reati annonari, nei confronti delle quali si impone, dopo alcuni anni, la concessione di un'amnistia in favore di chi abbia scontato abbastanza severamente la pena.

Afferma, concludendo, la necessità di mantenere all'Assemblea nazionale la facoltà di concedere l'amnistia.

Mastrojanni rileva che le argomentazioni dell'onorevole Leone non hanno, a suo avviso, fondamento né dal punto di vista politico, né da quello dottrinale. L'onorevole Leone ha lamentato che col mantenimento dell'amnistia si andrebbe incontro a degli inconvenienti, uno dei quali sarebbe che, estinguendosi il reato, questo continua a permanere nella sua identificazione giuridica, tal che si dovrebbe abrogare la figura del reato per essere coerenti con l'essenza dell'amnistia. Pensa che a tale inconveniente si potrebbe ovviare purché si ritornasse al codice Zanardelli, in base al quale l'amnistia non estingueva il reato, ma l'azione penale.

Circa l'altro inconveniente per il quale il condannato deve subire l'amnistia, senza avere la possibilità di ottenere un giudizio, rileva che è eliminato dall'attuale Codice, per il quale non solo il giudice ha l'obbligo di non applicare l'amnistia quando vi sono indizi manifesti che consentono la celebrazione del dibattito, ma il condannato ha la facoltà di ripudiare l'amnistia e di pretendere la celebrazione del dibattito.

È, peraltro, da considerare le due ipotesi dell'amnistia propria e impropria. L'amnistia viene a cadere anche sui reati per i quali è stata scontata la pena, e, quindi, il condannato, che l'ha scontata, va restituito nella sua personalità, cancellando il reato. Ora, il condono nella specie non può mai essere totale. Così come diceva l'onorevole Togliatti, si possono avere contingenze durante le quali sia necessario, a scopo preventivo, comminare pene eccessive per reati anche di scarsa importanza. In questo caso, se si dovesse far ricorso soltanto ad un'applicazione del condono, si dovrebbe snaturare la figura del condono con l'eliminare completamente la pena, il che è un assurdo.

Per queste considerazioni è dell'avviso che rimanga il duplice istituto dell'amnistia e dell'indulto.

Rossi Paolo osserva che non è del tutto esatto che sia in facoltà dell'imputato rinunciare all'amnistia. Il Codice penale stabilisce soltanto all'articolo 151 che si possa chiedere l'accertamento dei fatti quando le prove sono già raccolte.

L'onorevole Togliatti ha fatto un rilievo di carattere politico, sul quale non consente pienamente. Non tutto quello che è tradizione regia si deve mantenere, perché la Repubblica non abbia minore potere del sovrano. Se si tratta di poteri non utili, la Repubblica vi rinuncia.

Osserva, inoltre, per qualche esperienza in materia, che il criterio per cui è indispensabile talora stabilire pene evidentemente sproporzionate alla violazione di legge che si vuole colpire, non ha un fondamento giuridico. Occorre stabilire pene gravi per un semplice reato annonario, perché si sa che ogni due o tre anni vi sono delle amnistie. Il regime fascista ne ha fatto un abuso enorme. Fra l'ottobre 1922 e l'ultima amnistia fascista, vi sono state ogni due o tre anni delle totali complete sanatorie penali. Nella sua esperienza professionale ricorda il caso di un falsario, tante volte recidivo che era stato condannato complessivamente a 97 anni di reclusione. Ne ha scontati quattro o cinque, perché ogni tanto aveva delle amnistie.

È la certezza della pena, non l'entità di essa che ha qualche effetto impeditivo del reato. Qualora si stabilissero pene modeste per tutti in materia annonaria e si applicassero con sicurezza, non vi sarebbe bisogno di amnistia.

Per queste ragioni è favorevole alla proposta dell'onorevole Leone.

Perassi osserva che la proposta del Comitato di redazione si fonda sull'esatta premessa che tanto l'amnistia quanto l'indulto sono atti che nel loro contenuto hanno carattere legislativo.

Venendo alle questioni sollevate dall'emendamento Leone, non condivide tutte le osservazioni da lui fatte. Innanzi tutto non gli pare esatto dire che il potere di amnistia sia collegato con la regalità. Che il re esercitasse il potere di amnistia è stata una interpretazione non corretta dello Statuto. Lo Statuto infatti parlava del diritto di grazia, mentre la prassi si è determinata in senso molto estensivo. Del resto, si può ricordare che anche durante la monarchia si è avuto un progetto di legge del Ministro Mortara, col quale si disponeva che l'amnistia sarebbe stata concessa con legge. D'altra parte la dimostrazione che non c'è questa connessione con la regalità risulta dal fatto che in tutti i Paesi repubblicani l'amnistia è ammessa. Così nella recente Costituzione francese l'articolo 19 dice: «L'amnistie ne peut être accordée que par une loi». L'amnistia non è esclusa, ma negli ordinamenti repubblicani si stabilisce che questo potere è esercitato, come corrisponde al suo contenuto sostanziale, dal Parlamento, cioè con un atto legislativo.

Per quanto poi concerne la questione dell'opportunità e le altre questioni sollevate, non condivide tutte le osservazioni, come sempre, acute, fatte dall'onorevole Rossi. In fondo più che criticare l'amnistia come istituto egli ha criticato l'abuso dell'amnistia e anche l'abuso del condono. Certo l'amnistia non deve esser fatta ad ogni nascita di principessa. Queste occasioni di amnistia, del resto, non ci saranno più. Inoltre stabilendo che l'amnistia è concessa da una legge dell'Assemblea nazionale, si afferma implicitamente che il concederla sarà un atto solenne in relazione ad esigenze particolari. Che si presentino particolari esigenze per concedere un'amnistia non pare che si possa escludere. L'amnistia, e specialmente per reati politici, in certi momenti è utile colpo di spugna nell'interesse della pace sociale.

Concludendo, è d'avviso di non escludere l'amnistia, e di attribuire anche l'indulto alla competenza dell'Assemblea nazionale.

Leone Giovanni, per quanto concerne i rilievi fatti alla formula proposta dal Comitato di redazione, afferma che, se eventualmente la Commissione la votasse, essa sarebbe la più propria. L'emendamento risponde al suo pensiero, in quanto se si configura il diritto di grazia come un potere del Capo dello Stato, se l'indulto, che è un minus, viene attribuito all'Assemblea nazionale, ciò di conseguenza importa che l'amnistia, la quale rispetto all'indulto è un majus, non potrebbe spettare ad una soltanto delle Camere.

Rileva che le osservazioni dell'onorevole Togliatti concernono più l'istituto dell'indulto che l'amnistia. L'attesa di molti detenuti di ottenere la libertà; la necessità in Italia di provvedimenti in quanto la legislazione penale può apparire aberrante in tema di misure di pene; la necessità che la condanna non risulti sul certificato del casellario giudiziario; sono esigenze soddisfatte dall'indulto che, estinguendo la pena, restituisce la libertà, ristabilisce le proporzioni delle pene aberranti; e, per quanto attiene alla non iscrizione nel casellario, anche in caso di condanna non si può dimenticare che il giudice può stabilire la non iscrizione.

Non esiste un motivo politico in contrasto alla sua proposta, perché nel trapasso da una forma monarchica a quella repubblicana nulla vieta di restringere l'ambito dei poteri. Si tratta di sfrondare un istituto che non risponde più al sistema della legge, né alla coscienza civile.

Circa le osservazioni dell'onorevole Mastrojanni, rileva che non è necessario ricorrere all'amnistia per avere l'estinzione dell'azione penale. La legge penale abrogativa incide sul passato, fa cessare la condanna e i suoi effetti, compresa l'iscrizione nel casellario giudiziario. Questi stessi effetti si ottengono con l'indulto, che può essere totale. L'amnistia invece è un istituto antistorico, che ritiene vada cancellato dalla Costituzione.

Molè dichiara che voterà contro l'emendamento dell'onorevole Leone. La legge stabilisce che è reato qualunque violazione della legge penale. Ne risulta che in determinati momenti della vita politica sono dichiarati reati punibili a norma della legge penale anche fatti che non hanno ordinariamente gli elementi del reato. E allora, trascorso lo speciale momento politico che può aver fatto dichiarare reati quelli che sostanzialmente non lo sono, sorge l'opportunità di tornare alla concezione ordinaria. Non si può togliere all'Assemblea nazionale la facoltà di cancellare completamente le conseguenze di tale concezione politica dei reati.

Il fatto che si sia abusato dell'amnistia non deve condurre ad abolirla. Essendo l'amnistia una facoltà dell'Assemblea sovrana, si cercherà di evitare l'abuso fattone finora, ma non si può dimenticare che si tratta di un mezzo di pacificazione sociale, assolutamente necessario in determinati momenti.

Bulloni voterà contro la proposta dell'onorevole Leone, in quanto ammette e desidera che si costituisca una Repubblica umana e tollerante, che abbia la forza di perdonare incondizionatamente ai suoi eventuali avversari. Ritiene così di richiamarsi alle ragioni dottrinarie e storiche che giustificano l'istituto dell'amnistia.

Nobile dichiara che voterà contro l'emendamento Leone, perché, pur non essendo giurista, vorrebbe che tutta la questione fosse considerata da un punto di vista più alto, in rapporto alle misure che sono da prendere per la difesa della società e per la rieducazione del delinquente. Una volta che il delinquente fosse rieducato, dovrebbe essere completamente dimenticato il suo passato. Da questo punto di vista molto generale l'amnistia dovrebbe essere concessa ad ogni condannato.

Dominedò dichiara di votare a favore dell'emendamento Leone per ragioni di stretto diritto, ritenendo che la proposta Leone non apra la via ad alcuna preoccupazione politica. Al rilievo dell'onorevole Molè, che è calzante e può esercitare una certa presa, si potrebbe replicare considerando che la legge penale abrogativa potrebbe risolvere l'inconveniente prospettato.

De Vita si associa alle dichiarazioni dell'onorevole Molè e vota contro l'emendamento proposto.

Il Presidente Ruini pone ai voti la proposta dell'onorevole Leone.

(La Commissione non approva).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti