[Il 19 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Conti, Relatore. [...] Si è discusso tanto, onorevoli colleghi, di Repubblica presidenziale, di Repubblica direttoriale. No! io sono convinto che per l'Italia il sistema migliore è quello che è stato predisposto dal testo costituzionale. Io credo che noi faremo bene ad approvarlo. Non credo che per il Titolo che riguarda il Capo dello Stato debbano farsi modificazioni; io non ne farei nessuna. Abbiamo tanto meditato intorno a questo problema. Ricordo le discussioni che feci con l'amico onorevole Perassi, cinque, sei, sette anni or sono. Ci siamo convinti da allora che il sistema presidenziale per l'Italia non è assolutamente accettabile. Siamo favorevoli al sistema che in Francia non diede cattivi risultati. In fondo si tratta di un potere che, in certi momenti e per certe funzioni, si afferma come e quanto è necessario, ma di un potere che per tutto il resto è au dessus de la mêlée, è fuori della mischia ed è di natura arbitrale al di sopra di tutto e di tutti.

Giannini. Allora, il Capo dello Stato non deve essere eletto dal popolo?

Conti, Relatore. L'elezione popolare può turbare in Italia l'andamento della vita politica, perché il popolo italiano non è portato, per suo temperamento, a decisioni che richiedono una certa valutazione diretta, specifica di elementi, che possono sfuggire alla collettività.

Voi discutete tanto sulla elezione dei deputati; dite: rappresentanza proporzionale, perché il popolo non può giudicare i singoli candidati; dite: sistema uninominale, perché v'è forse possibilità di giudizio intorno a un uomo, solo perché lo consentirebbe la limitata estensione del collegio elettorale; come potrebbe raggiungersi una seria valutazione e un giusto giudizio mettendo in discussione un uomo fra 45 milioni di italiani?

Contentiamoci della elezione di secondo grado. Restando fermi al sistema previsto dal progetto di Costituzione credo che provvederemo bene per l'avvenire del nostro Paese.

Giannini. Spero ci permetterete di parlare contro questa tesi.

Conti, Relatore. Naturalmente e si potrà discutere di allargare il collegio degli elettori, oltre alla Camera ed al Senato; si potrà pensare all'intervento di altri corpi legislativi ed amministrativi, come i Consigli regionali ed i Consigli comunali, ma queste sono questioni di non grande importanza.

[...]

Tosato, Relatore. [...] Affrontiamo subito l'argomento relativo al Presidente della Repubblica. Durante la discussione generale in Assemblea si sono manifestate a questo proposito due tendenze, se non assolutamente opposte, certo notevolmente contrastanti. Da una parte si è detto: in sostanza la figura del Presidente della Repubblica, quale emerge dal testo del progetto, è una figura scialba, evanescente, inconsistente; voi ci date con questo progetto un Capo dello Stato privo di mordente e privo di forza, senza poteri effettivi; un Capo di Stato che sta al vertice dell'edificio, ma che è privo di poteri effettivi e che non avrà un peso sostanziale nella direzione politica e nel Governo della Nazione. È necessario — si è detto — un Presidente che rappresenti veramente qualcosa nell'organizzazione costituzionale dello Stato; un Presidente che, almeno nei momenti decisivi della vita della Nazione, possa far sentire la sua voce; i poteri che voi gli avete dati sono troppo scarsi; ma indipendentemente dai poteri — ed è questo, se non erro, l'argomento fondamentale — anche ammesso che i poteri siano sufficienti (e mi pare che qualcuno si sia anche dichiarato pronto a diminuirli), ciò che è assolutamente e strettamente indispensabile è che il Presidente della Repubblica sia posto effettivamente nella condizione di esercitarli. Ora — si soggiunge — siccome avete stabilito che il Presidente venga eletto dalle Camere riunite in Assemblea Nazionale, voi venite in tal modo a dar vita a una figura di Presidente che è originariamente debole, che non può rappresentare alcuna parte effettiva nella vita dello Stato. Perché il Presidente, si dice, possa effettivamente valere e far sentire la sua parola decisiva nella vita politica dello Stato, occorre abbandonare il sistema dell'elezione indiretta e passare all'elezione diretta da parte del popolo.

Così una delle due correnti che si sono manifestate nell'Assemblea.

Contro di essa si è manifestata un'altra corrente, la quale, in definitiva, ci rimprovera di aver sbozzato un Presidente troppo forte. Troppi poteri avete dato al Presidente si dice. E l'attenzione degli onorevoli colleghi è stata richiamata soprattutto sui poteri di nomina dei Ministri e di scioglimento delle Camere legislative; non solo, ma anche sul potere di deferire al popolo la decisione su eventuali contrasti fra le due Camere. Da parte dei rappresentanti di questa tendenza, si osserva: una repubblica parlamentare non consente assolutamente un Presidente forte; nella repubblica parlamentare il Presidente deve essere necessariamente debole. In sostanza, si afferma, accontentiamoci di un Presidente decorativo, di un personaggio che abbia un significato puramente simbolico, di un Capo dello Stato che non sia, secondo una recente frase di Herriot più che «Le Président de la figuration nationale». E a questo scopo, è evidente, occorre che il Presidente sia eletto dalla Camera, per esserne prigioniero.

Ora, di fronte a queste due correnti bisogna che ci parliamo con molta franchezza. Fra chi vuole un Presidente forte e chi vuole un Presidente debole, a mio avviso è necessario anzitutto che noi ci intendiamo sul significato da dare alle parole «Presidente forte». Che cosa intendiamo per «Presidente forte»? Forse un Capo dello Stato che sia anche Capo del Governo? Che possa essere fonte autonoma di decisioni politiche in determinati settori ed in determinati momenti della vita della Nazione? S'intende, in altre parole, un Presidente di tipo americano? In questo caso sì, evidentemente, il Presidente deve essere eletto direttamente dal popolo, perché solo l'elezione diretta consente un Presidente di questo tipo; ma in questo caso bisogna anche accettare tutte le conseguenze, e cioè arrivare ad una forma di Governo presidenziale.

Nella Commissione dei Settantacinque, e in particolar modo nella seconda Sottocommissione, si è discusso, ad un certo momento, di tale questione, si è esaminata cioè l'opportunità o meno di adottare la forma di Governo presidenziale invece che quella parlamentare.

Ricordo però che in seno alla seconda Sottocommissione la quasi totalità dei Commissari si pronunciò decisamente per la forma di Governo parlamentare. Soltanto, mi pare, l'onorevole Calamandrei manifestò un avviso contrario, ed il sottoscritto a questo proposito manifestò la sua grande perplessità.

Quali sono, in sostanza, le ragioni in base alle quali la Commissione non ha ritenuto di adottare la forma di Governo presidenziale? Qui si è parlato di pericolo di cesarismo. Non credo che questa sia una ragione molto sostanziosa, perché i pericoli di cesarismo ci sono sia con la forma di Governo presidenziale che con quella di Governo parlamentare. La ragione fondamentale è, a mio avviso, che il Governo presidenziale per sua natura esige che nella vita dello Stato si affermino soltanto due partiti, in modo che il Presidente, che non è soltanto Capo dello Stato ma anche Capo del Governo, completamente indipendente dalle Camere, abbia però la certezza di essere d'accordo col partito dominante nelle Camere. Ciò è necessario per l'attuazione, in sede legislativa, della politica del Presidente.

Esistono in Italia le condizioni per creare una forma di Governo presidenziale? Se teniamo presente il fatto della notevole molteplicità dei partiti, vediamo che creeremmo a priori una figura di Presidente che sarebbe rappresentativa non di una grande corrente politica ma semplicemente di un compromesso fra alcuni partiti, un Presidente poi che sistematicamente non potrebbe mai poggiare su una maggioranza sicura presso le Camere legislative in modo da poter realizzare una certa uniformità di indirizzo fra il potere legislativo ed il potere esecutivo, ed in modo soprattutto che la politica del Capo dello Stato possa trovare applicazione in seno alle Assemblee legislative. Questa, se non erro, è la ragione fondamentale per cui in Italia non sembra attuabile la forma di Governo presidenziale.

Qualcuno mi dirà: ma, in fondo, anche per la forma di Governo parlamentare la condizione ideale è l'esistenza di pochi partiti. Esatto. Però nel Governo presidenziale la molteplicità dei partiti, e quindi possibilità di contrasto fra il Capo dello Stato e le diverse maggioranze esistenti nelle Camere, diventa ancora più grave, perché una delle caratteristiche di questo Governo presidenziale è che il Capo dello Stato duri in carica per un tempo determinato. Ora, questo fatto può determinare conflitti molto gravi, conflitti che non sorgono, normalmente, negli Stati Uniti di America, ma che possono sorgere, data soprattutto la diversa mentalità, in Italia.

Queste sono le ragioni, a mio avviso, fondamentali che hanno indotto la Commissione a scartare la forma presidenziale e ad adottare invece la forma di Governo parlamentare.

Ed allora, dato che questa forma di Governo parlamentare risponde al voto quasi unanime della Commissione dei settantacinque, dato che, se non erro, non si è manifestata in Assemblea, nella discussione generale, nessuna voce precisa che abbia perorato una forma di Governo diversa da quella parlamentare, mi domando: che cosa si può intendere, in un Governo parlamentare, per «Presidente forte»? Non si può intendere evidentemente che questo: un Presidente che, pur non avendo un peso autonomo nella vita dello Stato, rappresenti però (come direbbe l'onorevole Ruini) uno dei piloni fondamentali della struttura costituzionale dello Stato, vale a dire un elemento il quale concorra con le Camere alla formazione delle leggi e alle decisioni politiche più gravi. Si avrebbe così, da un lato il Capo dello Stato, dall'altro le Assemblee legislative, e in mezzo il Governo con funzione essenziale di tramite fra il Capo dello Stato e le Camere.

Ora, questa è una concezione del Governo parlamentare. Indubbiamente una concezione del Governo parlamentare che corrisponde alle prime attuazioni storiche del Governo parlamentare negli Stati monarchici, e che è stata accolta anche nel 1919 in Germania, nella Costituzione di Weimar. Ed è evidente che se si vuol dare, nel Governo parlamentare, al Presidente una funzione sostanziale, ne consegue che il Capo dello Stato non può avere un'origine puramente parlamentare. Da questa difficoltà non si esce.

Di fronte a questa concezione, legata a determinate situazioni storiche e politiche, si afferma l'altra che si è manifestata in questa Assemblea, concezione che considera il Governo parlamentare come un Governo nel quale si afferma e si deve attuare esclusivamente la volontà delle Camere e in cui il Capo dello Stato non ha che una funzione del tutto secondaria. Il che esclude l'elezione diretta.

Ora, di fronte a queste due concezioni, a quale concezione si è ispirato il testo del progetto?

Non si è ispirato alla prima concezione e non si è ispirato nemmeno alla seconda. Non si è ispirato alla prima concezione, perché si ritiene che in una forma di Governo repubblicano, con un Capo dello Stato rappresentativo, l'attribuzione di un potere effettivo al Capo dello Stato, eletto a questo scopo dal popolo darebbe luogo a continui conflitti fra il Presidente e le Camere e metterebbe praticamente il Governo nella impossibilità di governare.

D'altra parte, noi non abbiamo nemmeno seguito l'altra concezione, la concezione prettamente parlamentare, che in verità più che definirsi un Governo parlamentare dovrebbe definirsi come Governo di Assemblea, quella concezione in base alla quale i Ministri rappresentano — tutto sommato — il comitato esecutivo dell'Assemblea legislativa e in cui il Capo dello Stato ha una funzione puramente dichiarativa e rappresentativa, senza alcuna possibilità di intervenire menomamente nelle cose dello Stato.

Noi abbiamo seguito un'altra concezione del Governo parlamentare, che, in Italia, sembra l'unica possibile. Io non ritengo che, specialmente in Italia, sia possibile istituire né la prima né la seconda forma di Governo parlamentare. Nella forma di Governo parlamentare, il Capo dello Stato ha, indubbiamente, una sua funzione: questa funzione non è soltanto rappresentativa, né importa la possibilità di partecipare effettivamente ad atti di Governo dello Stato, facendo sentire direttamente, ma decisamente, la sua voce. Ha, tuttavia, una funzione essenziale, quella di essere il grande regolatore del gioco costituzionale, di avere questa funzione neutra, di assicurare che tutti gli organi costituzionali dello Stato e, in particolare, il Governo e le Camere, funzionino secondo il piano costituzionale.

Non è una funzione irrilevante, ma essenziale, che corrisponde a tutta la struttura vera e propria del Governo parlamentare.

In fondo, il Governo parlamentare si costruisce in questo modo: alla base sta il popolo, dal popolo derivano direttamente i corpi rappresentativi e, mediatamente, deriva il Governo. L'una e l'altra Camera e il Governo rappresentano ugualmente il popolo. Possono sorgere conflitti fra il Governo e le Camere, fra le Camere e il popolo, fra il Governo e il popolo: chi mantiene il regolare funzionamento di questo sistema in uniformità alla volontà popolare? Ecco la funzione essenziale del Capo dello Stato.

Ora, nel nostro progetto abbiamo cercato di dare alla figura del Capo dello Stato un ordinamento che sia corrispondente a questa sua funzione e, per questo, non si è ritenuto opportuno che il Capo dello Stato sia eletto direttamente dal popolo.

Non si può prescindere, a mio avviso, da questa considerazione: in regime repubblicano, con un Presidente elettivo, eletto cioè direttamente dal popolo col voto di milioni e milioni di cittadini, questo Presidente non si limiterà ad essere un organo che tuteli l'ordinato e corretto funzionamento degli organi costituzionali secondo la Costituzione, ma vorrà intervenire effettivamente e decisamente — la natura stessa delle cose lo porta — nella vita dello Stato, far sentire la sua voce, far valere e imporre la sua volontà. Per questo non è stata accolta la tesi di far eleggere il Presidente direttamente dal popolo.

D'altra parte, anche la soluzione accolta nel progetto, debbo confessarlo, presenta pure degli inconvenienti. Presenta degli inconvenienti nel senso che vi spiegherò. Secondo il progetto, il Presidente della Repubblica sarà eletto da un collegio speciale, costituito dalle due Camere riunite in Assemblea Nazionale, con la partecipazione di due rappresentanti per ogni Regione.

Noi siamo partiti — compilando tale norma — da questo punto di vista, che un Presidente eletto direttamente dal popolo è pericoloso per le ragioni che ho dette, ma che, d'altra parte, un Presidente eletto esclusivamente dalle Camere sarà inesorabilmente dipendente dalle Camere stesse e quindi incapace di rendere i servigi che deve rendere, di adempiere cioè a quella sua essenziale funzione di supremo equilibratore.

Abbiamo così formato un collegio speciale, costituendo un corpo elettorale allargato, rispetto alle due Camere. La prima nostra idea sarebbe stata anzi di allargare ulteriormente questo collegio, includendovi delle categorie qualificate; ma la Commissione non ha creduto di accettare questo criterio di ulteriore allargamento.

D'altra parte, sempre per rafforzare i poteri e il prestigio del Presidente, noi abbiamo stabilito che la sua durata in carica sia di sette anni, sia cioè superiore a quella delle Assemblee.

Ma, soprattutto, noi abbiamo preso una altra disposizione: e cioè che il Presidente è eletto bensì dall'Assemblea Nazionale, ma si esige, in seno ad essa, la maggioranza dei due terzi. Ci è sembrato che questo requisito della maggioranza di due terzi possa dare veramente la garanzia che venga eletto un Presidente il quale risponda ai requisiti essenziali, il quale abbia cioè la capacità di esercitare quella funzione neutra, imparziale, che occorre abbia il Presidente della Repubblica.

Siamo riusciti in questo intento? Evidentemente no. No, perché non basta stabilire che il Presidente sia eletto a maggioranza qualificata di due terzi. Infatti, se al primo scrutinio non si ottengono i due terzi, si procede a un secondo scrutinio; se poi anche a questo scrutinio non si ottenesse la maggioranza di due terzi, si procederà a un terzo scrutinio; e, se anche a questo terzo scrutinio la maggioranza di due terzi non si dovesse ottenere, è prescritto allora che ci si dovrà rimettere al volere della maggioranza assoluta.

Ora, a mio avviso questo rappresenta effettivamente un grave inconveniente, rappresenta una grave lacuna del progetto. Noi ci siamo preoccupati di non avere un Presidente che rappresenti esclusivamente la maggioranza, perché, in questo caso, noi avremmo evidentemente un Presidente il quale non potrebbe svolgere la sua funzione in quanto sarebbe completamente collegato alla maggioranza che lo ha eletto e da essa dipendente.

Ebbene, onorevoli colleghi, che cosa si può escogitare per risolvere questo problema? Mi permetto di presentarvi non dico un suggerimento, ma un'idea che mi è venuta: io penso che, nell'ipotesi in cui il candidato alla Presidenza della Repubblica, dopo il terzo scrutinio non abbia raccolto i 2/3 previsti dal primo comma dell'articolo 79 del progetto, in questo caso — e in questo caso soltanto — si debba ricorrere all'elezione diretta. Perché in questa ipotesi? Perché io ritengo che in questo caso, la ipotesi e la possibilità di un'elezione diretta del Presidente da parte del popolo, nel caso che non si ottengano i due terzi, indurrà anzitutto le Camere ad ottenere più facilmente la maggioranza richiesta dei due terzi. Ritengo poi che si introduca in tal modo un elemento di «souplesse» nella Costituzione, che è sempre bene abbia una certa fluidità, una certa possibilità di adattamento a situazioni nuove che possono formarsi.

D'altra parte, qui si tratta di fare una scelta: è necessario un Capo dello Stato che svolga determinate funzioni e non sia un Capo dello Stato puramente simbolico, un Capo dello Stato, e non un capo del Parlamento. Orbene, si domanda: nel caso che il Presidente non raccolga il largo suffragio dei due terzi dell'Assemblea Nazionale, e quindi, almeno in parte, non ottenga anche il voto della minoranza, in tal caso è preferibile un Presidente di maggioranza dell'Assemblea nazionale o un Presidente di maggioranza del popolo?

Una voce a destra. Del popolo.

Tosato, Relatore. Questo è il problema che voi dovete decidere.

[...]

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. [...] La Commissione ha respinto la forma del governo presidenziale di tipo americano, dove il Capo dello Stato è il Capo del Governo, ossia di tutto il potere esecutivo. Forma che ha fatto buona prova al Nord, pessima al Sud America. E non sembra possa essere oggetto di importazione in Europa, dove si è storicamente sviluppato il sistema di Governo parlamentare o di gabinetto; e — prescindendo da ogni altra considerazione — può anche essere necessario modificarlo ed integrarlo; ma sarebbe imperdonabile imprudenza sradicarlo ed abbandonarlo, nel procedere alla ricostruzione del nuovo Stato repubblicano. Tanto più, d'altro lato, non è possibile trapiantare da noi il tipo direttoriale o di praesidium, che è in sostanza una spersonalizzazione della presidenza, e non ha da noi le condizioni ed i presupposti che lo consentono altrove.

Il Capo dello Stato non deve essere, dunque, Capo del Governo; ma ciò non esclude a priori che possa essere eletto, direttamente, dal popolo. Non ho nascosto il mio pensiero personale al riguardo. So di avere con me, per l'elezione popolare, parlamentari di primo piano, Orlando, De Gasperi, Saragat; ma siamo in definitiva esigua minoranza; e ci vorrebbe un miracolo, se questa soluzione dovesse prevalere.

L'onorevole Tosato ha detto che l'elezione presidenziale da parte del popolo non è possibile da noi, perché i partiti sono troppo divisi, e non vi è l'avvicendamento di due soli, che dà al Presidente americano, per l'esercizio dei suoi poteri, salde basi nel partito vincitore. Certamente da noi le cose sono diverse, ma è proprio la discrasia, la polverizzazione, l'oscillante incertezza dei partiti — ed il fatto che il più degli italiani son fuori partito — a rendere opportuno il ricorso all'elezione popolare, perché il Capo dello Stato abbia l'autorità ed il prestigio, nell'instabilità dei Governi e nella mutevolezza dei partiti, di rappresentare qualcosa di più solido e più alto. L'immagine del pilone caduto, da cui mi sono mosso ed è motivo ricorrente del mio discorso, induce all'elezione popolare, per sostituire, in quanto è democraticamente e repubblicanamente ammissibile, quel vecchio pilone.

La formidabile obbiezione, che prevarrà qui, è il pericolo del cesarismo, del bonapartismo, dell'hitlerismo. Consento con Tosato che questo pericolo non è legato proprio all'elezione presidenziale, anziché da parte delle Camere. Sono fenomeni di ben più ampia base; terremoti che travolgono ogni anteriore ordinamento costituzionale; ed il voto del popolo è un post, non un prius. Ma insomma lo spettro della dittatura e la possibilità che si possa aprire il varco con l'elezione del popolo, spaventano i più; né chi pur ammette dittatura di Parlamento vuol contrapporle la forza autonoma di un Capo dello Stato. Se io pensassi che il cesarismo fosse sensibilmente favorito dall'elezione di popolo non sosterrei questa, in modo alcuno. Ma penso che il pericolo non è tanto aggravato, in confronto all'elezione di Parlamento, da contrappesare i vantaggi di autorità e di consolidamento del Capo dello Stato, che vengono dalla più ampia e diretta designazione. Mi sono quindi concesso — perdonate — un pur inutile gesto.

Il progetto stabilisce, per la nomina appunto del Presidente della Repubblica, un voto qualificato delle Camere riunite in Assemblea Nazionale, con l'aggiunta di due delegati di ciascun Consiglio regionale; piccolo numero di aggregati — meno di 50 — che non peserà sulla scelta da parte dell'Assemblea; e che ha soltanto un valore simbolico; alterando — e ciò non mi piace — la linearità del metodo e dell'istituto. Si è accennato alla convenienza di collegi misti più larghi; e vi sono in altre Costituzioni. A me sembra più logico adottare l'uno o l'altro sistema — elezione dal popolo tutto o dalla sola Assemblea Nazionale — senza ibride contaminazioni.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti