[Il 13 gennaio 1947, nella seduta pomeridiana, la prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere esecutivo.]

Il Presidente Terracini pone in discussione l'articolo 14, proposto dal Comitato di redazione:

«Il Presidente della Repubblica può convocare le Camere e, sentito il parere dei loro Presidenti, può scioglierle».

Osserva che si tratta in sostanza dello scioglimento anticipato delle Camere, e comunica che sull'argomento l'onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«Se nel corso di un medesimo periodo di dieci mesi abbiano avuto luogo due crisi ministeriali in seguito a voto di sfiducia dell'Assemblea Nazionale o di una delle due Camere, queste potranno essere sciolte con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri.

«In nessun altro caso le Camere potranno venire sciolte prima del termine normale della legislatura».

Nobile fa presente che il sistema da lui proposto è adottato nella Costituzione francese e presenta innegabili vantaggi, perché mira ad eliminare le possibilità di atti arbitrari da parte del potere esecutivo nell'esercizio del diritto di sciogliere il Parlamento, ed insieme a porre una remora alle crisi ministeriali. Quando il Parlamento ha già rovesciato una prima volta il Governo, sarà più cauto prima di rovesciarlo una seconda volta. D'altra parte, se la Camera è convinta della ragionevolezza del suo atteggiamento, provocherà il proprio scioglimento e le nuove elezioni risolveranno il conflitto.

Il Presidente Terracini spiega che lo scopo della proposta dell'onorevole Nobile è di creare una remora più di interesse che di valore politico alla provocazione di crisi ministeriali, poiché in genere tutti i corpi costituiti hanno una certa repulsione a determinare il proprio scioglimento.

Einaudi osserva che si può verificare il caso che le Camere non votino una mozione di sfiducia per non essere sciolte, ma facciano in modo di lasciar cadere i disegni di legge che il Governo presenta.

Nobile ricorda che il Governo può sempre porre su un disegno di legge la questione di fiducia.

Il Presidente Terracini si richiama all'articolo già approvato che regola i rapporti tra Governo e Parlamento in materia di votazione, e fa presente che il Governo in qualsiasi momento può chiedere che sia posta la questione di fiducia. L'ipotesi fatta dall'onorevole Einaudi trova la sua soluzione in una mozione di fiducia presentata dal Governo. È difficile che, di fronte ad una mozione di fiducia motivata, una Camera che abbia assunto una posizione ostile nei confronti del Governo, voti favorevolmente.

Einaudi osserva che non è da escludere che una Camera, la quale dimostri la sua opposizione al Governo, rifiutando sistematicamente i disegni di legge da lui presentati, voti poi la fiducia al Governo stesso motivando la sua opposizione ai progetti governativi con motivi di carattere tecnico e non politico.

Nobile ricorda che, ove il Governo ponga la questione di fiducia e la Camera determini di conseguenza la crisi ministeriale, si rientra nel caso contemplato nella sua proposta.

Einaudi osserva che funzione principale del Presidente della Repubblica deve essere quella di interpretare le correnti politiche esistenti nel Paese che non hanno trovato, per una qualunque ragione, il modo di manifestarsi nel Parlamento. Può darsi che Parlamento e Governo procedano d'accordo, ma nel Paese si sia determinata una situazione e si sia diffuso uno stato di malcontento per cui il Parlamento non risponda più alla volontà popolare. In questi casi il Capo dello Stato non avrebbe alcuna possibilità di intervento, riguardo alle proposte che sono state presentate. Il Capo dello Stato non può e non deve intervenire né sul potere legislativo, né sul potere esecutivo, ma deve poter sempre richiedere che il Paese sia chiamato a manifestare il proprio punto di vista. Non è opportuno togliere al Capo dello Stato questa facoltà. Del resto una ipotesi del genere non potrà verificarsi che rarissimamente.

Il Presidente Terracini osserva che spesso in Italia il Capo dello Stato si è servito della sua facoltà di sciogliere la Camera. Sono rare le legislature che hanno concluso la loro vita nei termini stabiliti.

Zuccarini rileva che, se è giustificata la preoccupazione di mantenere una certa stabilità di Governo, non si deve tuttavia per questa preoccupazione creare un sistema per cui il Governo diventi praticamente arbitro del Parlamento. La minaccia di nuove elezioni esercita una vera pressione sui componenti delle Camere. È opportuno che il Governo eserciti questa pressione? La regola dovrebbe essere che le Camere non possano essere sciolte, salvo casi espressamente contemplati, ed egli è del parere che tra questi casi non vi debba essere quello della frequenza di crisi ministeriali.

Osserva che nell'attuale periodo politico, quanto mai instabile, le crisi governative si presentano con una rapidità molto maggiore di quella contemplata nella proposta dell'onorevole Nobile. Se questa proposta fosse accettata, si cadrebbe nell'esagerazione opposta: e se si arrivasse ad ottenere che nel nuovo sistema parlamentare le crisi avvenissero due volte in 18 mesi, la situazione sarebbe già molto migliorata.

Perassi non ritiene che si possa parlare di arbitrio da parte del Presidente della Repubblica, poiché si presuppone che egli eserciti i suoi poteri non con criteri personali, ma in considerazione del pubblico interesse. Fa presente che nel testo proposto dal Comitato vi è già una limitazione alla facoltà di sciogliere il Parlamento, poiché vi si dice che il Presidente della Repubblica deve sentire il parere dei Presidenti delle Camere, e in più è sempre sottinteso il concorso del Governo; perché non può il decreto del Presidente della Repubblica essere emanato, se non in conseguenza di una deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Rileva inoltre che nella formula proposta dall'onorevole Nobile non è tenuta presente l'ipotesi di una Camera invecchiata dopo quattro anni di legislatura, che non risponda più alla situazione del Paese, ma nella quale non sussistano le condizioni previste dalla proposta Nobile per il suo scioglimento. Cosicché si renderebbe impossibile uno scioglimento che potrebbe essere richiesto dal Paese e desiderato dalla Camera stessa.

Ritiene pertanto che, se mai, un limite potrebbe essere messo in senso opposto, formulandolo nel modo seguente:

«Le Camere non possono essere sciolte, se non dopo due anni dalle elezioni».

Zuccarini insiste sulla necessità di porre dei limiti alla facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento, perché si può dare anche il caso di un Presidente della Repubblica che pensi di valersi di nuove elezioni per rafforzare la propria posizione personale. Ricorda in proposito l'episodio di Napoleone III, quand'era Presidente della Repubblica, ed osserva che dare al Presidente della Repubblica una indiscriminata facoltà di sciogliere la Camera potrebbe equivalere a mettere nelle sue mani un'arma per un colpo di Stato.

Einaudi fa presente che, secondo il progetto di Costituzione che si sta apprestando, il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere che su proposta del Presidente del Consiglio.

Zuccarini obietta che, entro certi limiti, si dovrebbe ammettere l'iniziativa del Presidente della Repubblica, mentre è inammissibile che l'iniziativa debba partire dal Capo del Governo. Il potere esecutivo deve sempre sentirsi come espressione della rappresentanza popolare e non come padrone del Parlamento.

La Rocca, Relatore, osserva che la questione in esame merita uno studio approfondito. Mentre da qualcuno si può pensare che il Presidente della Repubblica, nel sistema che si sta costruendo, non abbia alcun potere, in realtà egli ha nelle mani un'arma che, secondo la lettera dell'articolo 14, può essere da lui adoperata a sua discrezione, poiché il fatto di udire i Presidenti delle Camere è una pura formalità, non essendo il loro parere vincolante secondo il testo proposto.

Einaudi rileva che vi è anche il vincolo del parere conforme del Presidente del Consiglio.

La Rocca, Relatore, replica che praticamente il Presidente della Repubblica può convocare le Camere e, sentito il parere del loro Presidente, può scioglierle. L'onorevole Perassi ha espresso sull'argomento una sua opinione personale, che non ha valore d'interpretazione ufficiale.

Perassi ricorda che tra gli articoli approvati ve n'è uno il quale stabilisce che ogni atto del Presidente della Repubblica deve essere controfirmato dal Primo Ministro.

La Rocca, Relatore, ritiene che non si possa ammettere che il Presidente della Repubblica abbia facoltà di sciogliere le Camere anche contro il parere dei loro Presidenti, e che sia quindi necessario stabilire che tale parere è vincolante.

Lo scioglimento del Parlamento può essere richiesto quando in un dato momento della vita politica si ritenga che vi sia una frattura tra Parlamento e Paese, o quando sia sorto uno stato di conflitto tra potere esecutivo e potere legislativo. Ma il ricorso a questa estrema misura dovrebbe essere meglio adeguato alla reale situazione italiana, adottando la norma sancita dalla Costituzione francese che dà alle Camere il diritto di autosciogliersi.

Ritiene che questo sia il terreno più adatto sul quale avviarsi per trovare una soluzione del problema. La prassi politica inglese, tanto spesso invocata, non si addice all'Italia nelle diverse condizioni storiche in cui essa si è formata, e per la diversità del costume politico dei due Paesi. Il Paese che dal punto di vista parlamentare più rassomiglia all'Italia e sul quale ci si è più spesso praticamente modellati, è la Francia e nessun Paese è stato più della Francia travagliato da quelle crisi di Governo che tutti sono ansiosi di evitare. Il problema è proprio quello di dare stabilità al Governo e di impedire che assalti alla diligenza governativa possano essere sferrati da parte di una minoranza faziosa. Se un Paese come la Francia, dopo aver discusso per circa tre anni intorno a questo problema, ha finito per riconoscere che in fondo questo è il correttivo migliore, è certo che avrà preso la sua deliberazione con spirito di saggezza e di previdenza.

La facoltà delle Camere di autosciogliersi e lo scioglimento automatico, qualora si verifichino determinate situazioni, risolverebbero tutte le ipotesi, esclusa quella di un conflitto tra Parlamento e Paese e metterebbero il Parlamento di fronte alle proprie responsabilità. Riservando, invece, al Presidente della Repubblica la facoltà dello scioglimento dopo che si siano verificate due crisi governative in un tempo che potrà essere determinato, si dà al Presidente della Repubblica un'arma che egli non potrà maneggiare a suo arbitrio.

Ritiene pertanto che si debba, accogliendo in parte la formula proposta dall'onorevole Nobile ed ispirandosi un po' alla norma sancita della Costituzione francese, formulare un articolo il quale dica che, ove si determinino in un determinato periodo di tempo due crisi ministeriali, il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere.

Lami Starnuti dichiara che, pur essendo stato in sede di Comitato di redazione, uno degli avversari più tenaci della concessione della facoltà di scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, deve ora riconoscere che questa facoltà non può essere del tutto negata, essendovi dei casi in cui lo scioglimento del Parlamento si impone. Ma come formulare questa norma in modo preciso e non pericoloso? La formula dell'onorevole Nobile riguarda soltanto uno dei casi in cui appare legittimo lo scioglimento della Camera, cioè quello del Parlamento che non funziona ma non l'altro, che è quello del capovolgimento della situazione politica del Paese. E anche nel primo caso la formula proposta dall'onorevole Nobile può costituire un pericolo. Se, infatti, essa fosse votata così come è, senza per lo meno il temperamento proposto dall'onorevole Perassi, che lo scioglimento possa avvenire soltanto dopo un certo tempo dalla data delle elezioni generali, potrebbe accadere che il Presidente della Repubblica si servisse arbitrariamente della facoltà concessagli, affidando la formazione del nuovo Governo a un uomo appartenente a uno dei partiti che rappresentasse la minoranza del Parlamento, ripetendo la manovra dopo che questo Governo fosse rovesciato, e provocando così artificialmente due crisi subito dopo le elezioni generali. Perciò il temperamento dei due anni proposto dall'onorevole Perassi si rende necessario.

Per quanto poi riguarda l'altro caso, di un mutamento radicale della situazione politica, la formula proposta dall'onorevole Nobile, ripete, non dice nulla.

Ricorda che, in sede di Comitato di redazione, egli propose la formula «su parere conforme dei Presidenti delle due Camere», a cui l'onorevole Perassi oppose che essa equivaleva all'altra, «sentito il parere», adottata dal Comitato. Perciò egli lasciò cadere la sua proposta; ma, se questa interpretazione potesse essere messa in dubbio, aumenterebbe la sua perplessità sulla formula del Comitato.

Concludendo, si dichiara insoddisfatto così della formula del Comitato come di quella dell'onorevole Nobile, e si augura che dalla discussione possa uscire una formula migliore.

Nobile ritiene infondata la preoccupazione espressa dall'onorevole Einaudi e confermata dall'onorevole Lami Starnuti, che possa avvenire un capovolgimento della situazione politica del Paese e che il Presidente della Repubblica, in contrasto col Governo, senta il bisogno di sciogliere le Camere. Del resto, il caso non è previsto neppure dalla formula del Comitato di redazione.

Circa il caso prospettato dall'onorevole Lami Starnuti, che il Presidente della Repubblica possa provocare artificiosamente due crisi governative a breve distanza dalle elezioni generali, fa osservare che è stata votata una disposizione per cui il Governo è nominato dal Presidente della Repubblica, ma deve avere la convalida dell'Assemblea Nazionale. Un voto contrario al Governo in questo caso non equivale a una crisi ministeriale, perché il Governo è rovesciato sul nascere. D'altra parte, se un Governo ha ricevuto l'approvazione delle due Camere, non è prevedibile che esse lo rovescino a distanza di poco tempo.

Lami Starnuti replica di aver ragione di ritenere che anche il voto di sfiducia dato dall'Assemblea Nazionale al Governo che si presenta valga come una crisi.

Il Presidente Terracini osserva che, se esiste questo dubbio, si può eventualmente aggiungere, nella proposta dell'onorevole Nobile, una precisazione, nel senso che il voto di sfiducia dato dall'Assemblea Nazionale in occasione della presentazione di un nuovo Governo non vale agli effetti della disposizione contenuta nella proposta stessa.

Piccioni dichiara di accontentarsi della formula proposta dal Comitato, perché non si può fare a meno dell'anticipato scioglimento delle Camere, e il potere di scioglierle non può essere attribuito ad altri che al Capo dello Stato. Osserva che il Presidente della Repubblica, in un ordinamento democratico come quello che si sta costruendo, non può essere considerato come un elemento pericoloso altro che in via eccezionale. Ed anche per eliminare questo pericolo è stata introdotta tutta una serie di garanzie.

Premesso ciò, ritiene che la soluzione più logica e meno pericolosa sia quella di lasciare al Presidente della Repubblica la possibilità di procedere allo scioglimento delle Camere, sentiti i pareri dei loro Presidenti, i quali si deve presumere rappresentino la reale consistenza delle due Camere rispetto alla volontà del Paese. Il voler stabilire formule predeterminate, come quella dell'onorevole Nobile e di altri, vuol dire cristallizzare certe situazioni senza lasciare ad esse quella elasticità che è pure indispensabile.

Non vede per quale ragione si debba stabilire che le Camere non possano essere sciolte prima di 18 mesi o di due anni dalle elezioni generali. Può darsi che dalle elezioni venga fuori una delle due Camere che non possa funzionare per la sua stessa composizione; non si può costringerla a rimanere in vita contro l'interesse stesso della Nazione. Non vede neppure perché si debba opporre una barriera di tempo al ricorso ad un nuovo appello al Paese, la cui necessità può determinarsi anche dopo tre mesi dalle elezioni. La proposta dell'onorevole Nobile costituisce un espediente meccanico, fittizio, che non aderisce alle necessità dello svolgimento della situazione politica e alle supreme necessità della situazione costituzionale del Paese.

Pertanto è d'avviso che si debba riconoscere al Presidente della Repubblica la facoltà di sciogliere le Camere, ponendo soltanto come condizione l'obbligo di sentire il parere dei loro Presidenti. Non sa se si possa eventualmente sentire qualche altro parere, anche perché non si conoscono ancora le funzioni che potrà avere la Suprema Corte Costituzionale, la quale in fondo non è un organo di emanazione diretta dalla volontà popolare. Naturalmente ci dovrà essere sempre l'iniziativa del Governo. Essendovi dunque l'iniziativa del Governo e i pareri dei Presidenti delle due Camere, è un caso eccezionalissimo che da parte del Capo dello Stato si approfitti del potere di scioglimento in maniera arbitraria. D'altra parte, se il Presidente della Repubblica si orientasse verso un colpo di Stato di tipo violento, qualunque espediente costituzionale non riuscirebbe ad impedire il sorgere di una nuova situazione politica affermatasi in modo anticostituzionale. Ritiene perciò che debba essere accolta la formula proposta dal Comitato di redazione.

La Rocca, Relatore, domanda di che natura deve essere il parere dei Presidenti delle due Camere.

Piccioni risponde di ritenere giusta l'interpretazione che ne ha dato l'onorevole Perassi: la frase «sentito il parere dei Presidenti delle due Camere» vuol dire che, se i pareri di costoro sono disformi dalla volontà del Presidente della Repubblica, questo, di fronte a una situazione di crisi per cui il Governo non riesce più a funzionare, potrà cercare di far funzionare le Camere fino al possibile, oppure potrà scioglierle. Ci deve essere una responsabilità del Presidente della Repubblica, il quale in uno Stato, sia pure a tipo parlamentare, non può essere raffigurato come un elemento decorativo che sta al vertice senza un effettivo potere, neanche nel momento più critico della vita costituzionale del proprio Paese.

D'altra parte, considerare la possibilità dell'autoscioglimento delle Camere è una vera chimera che può riservare dei pericoli più gravi di quelli che un uomo responsabile, come deve essere il Presidente della Repubblica, possa determinare nello svolgimento di una crisi.

Zuccarini presenta il seguente emendamento:

«Il Presidente della Repubblica può convocare le Camere e, quando queste abbiano manifestato una loro evidente incapacità ad un regolare funzionamento col ripetersi troppo frequente di crisi ministeriali, può scioglierle dietro parere favorevole dei loro Presidenti. Il provvedimento non può essere preso avanti che siano trascorsi due anni di vita parlamentare».

Illustra quindi la sua proposta, dichiarando di avere aggiunto che il provvedimento di scioglimento non può essere preso avanti che siano trascorsi due anni di vita parlamentare perché, se è vero che la incapacità di funzionamento delle Camere può manifestarsi anche il giorno dopo le elezioni, è anche vero che la ripetizione delle elezioni a distanza di pochi mesi produrrebbe forse un maggiore disordine, essendo impossibile che da un giorno all'altro le opinioni del Paese siano capovolte. Le elezioni che si rinnovano con eccessiva frequenza, invece di un sanamento della crisi, producono un aggravamento della situazione, e occorre preoccuparsi che, almeno nel periodo iniziale di una vita statale, come è quello verso cui va il nostro Paese, vi sia un certo periodo di stabilità e di tranquillità.

Ritiene che la formula da lui proposta risponda alle esigenze manifestate dalla Commissione, senza arrivare ad una regolamentazione che presenterebbe poi i pericoli a cui è stato accennato, e primo fra tutti quello della pressione esercitata dal potere esecutivo sulla Camera, con la minaccia dello scioglimento. Di questa influenza del potere esecutivo sui Deputati i vecchi Governi si sono serviti spesso e non è il caso che ciò debba ripetersi.

Fabbri ricorda, a proposito di quanto ha affermato l'onorevole La Rocca sulla lunga elaborazione della dottrina francese riguardo allo scioglimento delle Camere, che la soluzione attuale della Costituzione francese, che è poi quella richiamata dall'onorevole Nobile, è una soluzione recentissima di un problema che è sorto per la prima volta nella storia parlamentare francese in seguito alla soppressione delle due Camere. Infatti, fino a quando il sistema francese era rimasto bicamerale, il Presidente della Repubblica non aveva in alcun caso la facoltà di sciogliere le due Camere, ma l'aveva limitatamente alla Camera dei Deputati, mentre il Senato non si scioglieva mai e doveva dare l'autorizzazione al Presidente della Repubblica per lo scioglimento della Camera dei Deputati. L'indice della frattura tra composizione della Camera e spirito del Paese era dato periodicamente dal rinnovamento parziale del Senato, rinnovamento che avveniva con un intervallo molto più breve che non quello della Camera dei Deputati. Ricorda anche di aver rievocato questo sistema quando sostenne che in Italia si sarebbe dovuto fare un Senato rinnovabile ogni due anni per un terzo dei membri.

Dal punto di vista strettamente giuridico, rileva che il dire «uditi i Presidenti delle due Camere» non significa che questo parere debba essere vincolante; che, se dovesse esserlo, bisognerebbe specificarlo. Fa presente inoltre, a proposito dell'affermazione che il decreto di scioglimento deve recare la firma del Primo Ministro, che dal punto di vista giuridico non è detto che questa firma debba essere quella del Primo Ministro in carica, e che perciò essa potrebbe essere invece di un altro Primo Ministro sostituito dal Presidente della Repubblica al Primo Ministro uscente.

Einaudi dichiara di essere favorevole alla formula del Comitato di redazione e di aderire alle osservazioni dell'onorevole Piccioni, in quanto è impossibile prevedere i casi che si possono presentare durante la lunga vita di una Costituzione. Ricorda in proposito un episodio della nostra storia: quello che culminò nel famoso proclama di Moncalieri, e si domanda che cosa sarebbe avvenuto, se il re non avesse avuto allora la possibilità di sciogliere più volte le Camere. Si dichiara anche favorevole a mantenere la formula «sentito il parere», perché non si può prevedere se i pareri dei due Presidenti delle Camere saranno conformi oppure in contrasto.

Tosato, Relatore, non ritiene che la materia dello scioglimento sia disciplinabile, perché non si possono prevedere tutti i casi in cui lo scioglimento stesso si renda necessario. Tra questi non ne è stato prospettato uno molto importante: quello cioè che a breve distanza dalla convocazione delle Camere, all'inizio della legislatura, sorga una questione di carattere fondamentale intorno a cui il Paese non abbia avuto occasione di pronunciarsi durante la campagna elettorale. Se sorge una questione nuova, di particolare gravità, dopo le elezioni, è necessario che il popolo abbia modo di intervenire. Donde l'inopportunità di stabilire dei limiti di tempo per un nuovo appello al Paese.

Lami Starnuti osserva che in questo caso il popolo potrebbe manifestare la sua opinione per mezzo di un referendum.

Tosato, Relatore, replica che il referendum è adatto soltanto per questioni determinate e concrete, sulle quali il popolo possa pronunciarsi con un o con un no; mentre possono sorgere, come sorgono spesso, gravi questioni attinenti all'orientamento generale, sulle quali il popolo non può esprimere una decisione precisa. D'altra parte, egli non è favorevole all'emendamento proposto dall'onorevole Nobile, perché le Camere, sapendo di poter essere sciolte dopo una seconda crisi, non la provocherebbero mai, lasciando permanere una situazione confusa. Con l'emendamento Nobile praticamente si vieta lo scioglimento delle Camere, e perciò si riduce il Governo in una situazione di assoluta dipendenza verso le Camere stesse, andando verso quella forma di Governo che precisamente non si vuole.

Nobile osserva che, facendo la sua proposta, riteneva di rispondere alle preoccupazioni tante volte manifestate dall'onorevole Tosato circa la stabilità dei Governi.

Tosato, Relatore, replica che la stabilità è relativa alla situazione della Camera.

Nobile obietta che, se si tratta di conflitto tra Governo e Camera, il Governo provvederà a modo suo, finché non sarà messo in crisi da un voto di sfiducia. Non vede quindi come si possa creare una situazione confusa, e si meraviglia che siano proprio coloro che si erano preoccupati della stabilità del Governo a rigettare la sua proposta.

Piccioni osserva che non bisogna confondere la stabilità del Governo con la forzata permanenza del Governo, né bisogna confondere la stabilità del Governo con quella forzata della Camera. Quando il Governo non corrisponde più alla situazione parlamentare, è inutile volerlo conservare forzatamente. Non è più questione di stabilità del Governo, ma di impossibilità di funzionamento da parte sua e i casi di impossibilità di funzionamento del Governo, per la situazione particolare in cui sono le Camere, non trovano altra via di uscita che l'appello al Paese, il quale risolverà la crisi.

Mortati rileva che l'onorevole Tosato ha messo bene in rilievo i punti essenziali della questione. Vi sono due modi di scioglimento che rispondono a due situazioni politiche: uno si potrebbe chiamare lo scioglimento di tipo inglese, ed è quello fatto da un Governo di maggioranza il quale scioglie le Camere non per un conflitto tra Governo e Parlamento, ma semplicemente perché si sono presentate situazioni nuove. L'altro è uno scioglimento di tipo costituzionale parlamentare, praticato dove non sono rappresentanze omogenee e che deriva dall'impossibilità per il Governo di governare. Ora, in un regime democratico non si possono escludere queste ipotesi e limitare il diritto di scioglimento al caso di crisi governativa, come vorrebbe l'onorevole Nobile.

Non ritiene che si possa richiamare il caso del proclama di Moncalieri, perché allora il re era ritenuto l'arbitro della situazione, mentre le Costituzioni moderne, come quella di Weimar, hanno stabilito che non si possa sciogliere due volte la Camera per lo stesso motivo. Oggi il principio generale è quello che lo scioglimento tende a rendere il popolo arbitro di una determinata situazione.

Si tratta di intendersi sulle modalità dello scioglimento, che non è un atto personale del Presidente della Repubblica, perché deve recare la controfirma del Primo Ministro. Per questa non v'è da meravigliarsi se è la firma di un Ministro rimasto in minoranza della Camera, perché il fatto che vi siano due crisi significa che il Governo non ha potuto trovare una solida base parlamentare, ed è perciò un Governo in minoranza il quale scioglie la Camera.

Ritiene che, invece, la questione da porre sia se un Governo possa sciogliere la Camera prima di essersi presentato al Parlamento ed aver avuto un voto di sfiducia. Esprime a questo proposito il parere che la revoca del Governo debba essere preceduta da un voto di sfiducia motivato, in modo che questo voto serva di piattaforma elettorale; che elezioni, cioè, si facciano sulla questione sulla quale è caduto il Governo.

Il Presidente Terracini rileva che il caso di fatti nuovi avvenuti dopo le elezioni non si è mai presentato nei primi tempi della vita di un Parlamento, perché i fatti nuovi nascono da situazioni che si sono maturate a lungo e non si presentano mai improvvisamente. Il solo fatto nuovo che si può presentare improvvisamente è quello della guerra, ma questo è stato già previsto.

D'altra parte, in linea generale si sa che quelli che provocano lo scioglimento dell'Assemblea non sono conflitti tra Parlamento e opinione pubblica, ma conflitti tra Governo e Assemblea parlamentare. Non ritiene che un Governo possa essere considerato più sensibile alle esigenze del Paese di quel che non lo sia il Parlamento. Anzi, i Governi sono in genere più sordi, e più volte si è verificato il caso di Governi che hanno sciolto Assemblee parlamentari appellandosi al Paese e ne hanno avuto come risposta l'elezione di una Camera press'a poco eguale a quella sciolta. Trattandosi quasi sempre di una lotta del Governo contro il Parlamento, non vede perché si dovrebbero prendere le parti del Governo in questa lotta.

All'onorevole Tosato, il quale ha detto che con la formula dell'onorevole Nobile si avrebbe un Governo subordinato alla volontà del Parlamento, risponde che è proprio questo genere di Governo che si vuole, perché se un Governo deve godere la fiducia del Parlamento e cadere per la sua sfiducia è evidente che deve essere subordinato al Parlamento stesso. Concorda con l'onorevole Piccioni che, per avere la stabilità del Governo, non bisogna ricorrere a provvedimenti che rivoluzionino il sistema. Perciò per la facoltà di scioglimento delle Camere da parte del Governo è stato elaborato un sistema molto cauto, secondo le norme fissate nella proposta dell'onorevole Nobile, analoghe in parte a quelle proposte dall'onorevole Zuccarini. In certi casi bisogna porre determinati vincoli, se si ritiene che questi vincoli sono necessari.

Fuschini fa presente che le crisi possono essere indipendenti dalla situazione del Paese.

Il Presidente Terracini riconosce che si assiste oggi a un episodio il quale fa pensare all'ipotesi prospettata dall'onorevole Fuschini; ma osserva che le crisi dei grandi partiti, che oggi costituiscono i Parlamenti, non sminuzzano il Parlamento, ma lo lasciano, nelle linee generali, sulle stesse basi. Per queste ragioni ritiene opportuno vincolare in qualche maniera il potere rilasciato al Presidente della Repubblica, che è un potere assolutamente decisivo e risolutivo. Pertanto si dichiara favorevole alle proposte presentate dall'onorevole Nobile e dall'onorevole Zuccarini, che possono essere facilmente fuse insieme: ma, qualora queste proposte non dovessero essere accolte, accederebbe alla proposta dell'onorevole Perassi.

Dovrà anzitutto prendersi una decisione sulla proposta dell'onorevole Nobile così formulata:

«Se nel corso del periodo di dieci mesi abbiano avuto luogo due crisi ministeriali in seguito a voto di sfiducia dell'Assemblea Nazionale, o di una delle due Camere, queste potranno essere sciolte con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri.

In nessun altro caso le Camere potranno essere sciolte prima del termine normale della legislatura».

Lami Starnuti osserva che l'onorevole Nobile aveva accettato il termine di tempo proposto dall'onorevole Perassi.

Il Presidente Terracini fa presente che l'articolo formulato dall'onorevole Nobile è completato dalla seguente aggiunta:

«Il voto di sfiducia dato dall'Assemblea Nazionale in occasione della presentazione di un nuovo Governo non vale agli effetti delle disposizioni contenute nel presente articolo».

Mortati domanda se si è previsto il caso che, per l'opposizione dell'Assemblea Nazionale, non si riesca a formare il Governo.

Il Presidente Terracini risponde che in questo caso la ragione della carenza del Governo è da ricercarsi nella ostinazione del Presidente della Repubblica a presentare alle Camere Primi Ministri che non ne riscuotano la fiducia.

Rileva che l'onorevole Nobile ha tenuto presente questa obiezione e ha creduto di superarla inserendo, appunto, l'aggiunta che ha letto. Se essa non fosse approvata, è chiaro che il Presidente della Repubblica avrebbe la possibilità di sciogliere in pochissimi giorni il Parlamento.

Mortati si domanda da che cosa dipenda questa paura di ricorrere al popolo. Ricorda che la prima Costituzione francese, forse per il timore che il Governo potesse influire sulle elezioni sciogliendo la Camera, stabiliva che il Governo fosse ritenuto dimissionario e che se ne formasse un altro presieduto dal Presidente dell'Assemblea coadiuvato dai Presidenti delle Commissioni parlamentari, destinato a rimanere in carica per il periodo delle elezioni. L'unico timore potrebbe essere che il Governo, sciogliendo le Camere, facesse delle elezioni addomesticate. Ma in uno Stato che ha 28 milioni di elettori e con partiti organizzati, è molto difficile che si possano fare delle elezioni addomesticate. Cadendo questa obiezione, la paura di richiamarsi al popolo non ha ragione di essere.

Il Presidente Terracini osserva che il ricorso al popolo può divenire in certe situazioni un modo di stancare il popolo e questo è appunto il modo con cui presentemente gli antidemocratici cercano di staccarlo dagli istituti democratici. Inoltre è da tener presente che, quando si sarà votato l'articolo sul referendum, si sarà aperta la porta per il ricorso al popolo in caso di necessità, senza che gli istituti democratici possano subirne nocumento.

Fuschini rileva che anche il Presidente della Repubblica è un istituto democratico. Il problema è di trovare l'equilibrio tra i vari istituti.

Zuccarini fa osservare che il Paese è ben lungi dall'aver organizzato la vera democrazia. In queste condizioni il Governo può avere sempre una certa influenza sulle elezioni, poiché egli ha in mano i poteri straordinari. Anche in regime democratico un Governo può rendersi padrone della volontà del Paese.

Il Presidente Terracini mette ai voti la proposta dell'onorevole Nobile.

Piccioni dichiara che voterà contro per le ragioni già addotte.

(Non è approvata).

Il Presidente Terracini mette ai voti la seguente proposta presentata dall'onorevole Zuccarini:

«Il Presidente della Repubblica può convocare le Camere e, quando queste abbiano manifestato una loro evidente incapacità ad un regolare funzionamento con un ripetersi troppo frequente di crisi ministeriali, può scioglierle dietro parere dei loro Presidenti. Il provvedimento non può essere preso avanti che siano trascorsi due anni di vita parlamentare».

(Non è approvata).

Fa presente che, prima di mettere in votazione il testo del Comitato, deve mettere in votazione una proposta di emendamento presentata dall'onorevole Nobile per il caso che fossero state respinte la sua prima e quella dell'onorevole Zuccarini. L'emendamento è così formulato:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le due Camere allorquando, su parere conforme di ambedue i Presidenti di queste, ritiene che il Parlamento non risponda più alla situazione politica del Paese.

Lo scioglimento non potrà aver luogo nei primi dieci mesi della legislatura».

La mette ai voti.

(Non è approvata).

Mette ora in votazione il testo proposto dal Comitato di redazione:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere, sentito il parere dei loro Presidenti».

Fa presente che la parte dell'articolo 14 relativa alla convocazione è stata omessa perché inutile, essendosi già stabilito, là dove si parla della convocazione delle Camere, che la convocazione avviene a data fissa, oppure su iniziativa del Presidente della Repubblica o dei Presidenti delle Camere, oppure di una certa aliquota dei membri delle Camere stesse.

Lami Starnuti domanda se l'opinione del Comitato di redazione è che «sentito il parere» debba essere interpretato come «su parere conforme».

Tosato, Relatore, risponde che, se il Presidente sciogliesse le Camere in disaccordo con uno o con ambedue i Presidenti delle Camere stesse, non commetterebbe una incostituzionalità.

(È approvato).

Lami Starnuti propone un'aggiunta alla formula dell'articolo 14 che è stata testé approvata, nel senso che lo scioglimento non può essere pronunciato nel primo anno della legislatura. Questa aggiunta gli è stata suggerita dal ricordo storico a cui ha accennato l'onorevole Einaudi: in un momento della storia parlamentare italiana il Capo dello Stato ha proceduto allo scioglimento delle Camere per ben quattro volte, in quanto l'opinione del Paese era diversa da quella delle Camere. Può essere stato benefico lo scioglimento ripetuto quattro volte in breve tempo della Camera, ma non è detto che in un'altra occasione non potrebbe essere dannoso.

Tosato, Relatore, ritiene che oggi questa ipotesi non sia più pensabile.

Lami Starnuti non insiste nel suo emendamento aggiuntivo.

Il Presidente Terracini comunica che l'onorevole Perassi ha presentato la seguente proposta aggiuntiva:

«Le Camere non possono essere sciolte nei primi due anni della loro elezione, salvo che nei dodici mesi precedenti abbiano avuto luogo due crisi ministeriali».

Comunica altresì che egli presenta una proposta aggiuntiva del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non può, nel corso del suo mandato, valersi del suo potere di scioglimento più di due volte».

Le due proposte rispondono alla preoccupazione che la facoltà concessa al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere abbia nella Costituzione qualche disposizione limitativa; come può errare l'Assemblea parlamentare, può anche errare il Presidente della Repubblica.

Tosato, Relatore, ricorda che si è già stabilito che il Presidente della Repubblica non è rieleggibile. Questo fatto rappresenta una remora fortissima, e quindi non vi sono possibilità che il Presidente eserciti dei poteri personali.

Il Presidente Terracini risponde che il Presidente della Repubblica in linea generale può anche appartenere ad un partito, e quindi può essere soggetto alle influenze e alle pressioni di questo partito.

Mette ai voti la proposta dell'onorevole Perassi.

(Non è approvata).

Mette quindi ai voti la formula da lui proposta.

(Non è approvata).

Comunica che l'articolo 14 rimane nella formula che è stata approvata, cioè:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere, sentito il parere dei loro Presidenti».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti