[L'8 gennaio 1947, nella seduta antimeridiana, la prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere esecutivo.]

Il Presidente Terracini riapre la discussione sull'articolo 22, riguardante le mozioni di sfiducia. Ricorda che era stata anzitutto trattata la questione se le mozioni di sfiducia debbano o no essere sottoposte all'Assemblea Nazionale formata dalla riunione delle due Camere, e sottolinea l'importanza di questo problema.

Fuschini fa presente che la delicatezza del problema, cui ha accennato il Presidente, deriva dal fatto, già ammesso, della parità delle due Camere. Ricorda che, per consuetudine e tradizione, il voto di fiducia o di sfiducia sull'attività del Governo era sempre dovuto a una manifestazione della Camera dei Deputati, eletta a suffragio universale, non essendosi mai dato il caso di crisi determinate da un voto del Senato, che non era elettivo.

Non crede che questa consuetudine della nostra storia parlamentare possa essere applicata alla nuova Costituzione, la quale ha creato un sistema bicamerale con parità di poteri.

Rilevato come le discussioni di carattere politico partano quasi sempre dal presupposto che il Governo faccia delle dichiarazioni, e si concludano con un ordine del giorno sulla politica generale governativa e con un voto che può essere di sfiducia, prospetta il caso che la discussione avvenga in una delle due Camere e che il voto di sfiducia sia dato solo da questa Camera, senza che sia interpellata l'altra. In questo caso il Governo può dare senz'altro le dimissioni. Ma può anche — e qui è l'aspetto nuovo della questione offerto dall'articolo in esame — riunire le due Camere in Assemblea Nazionale, invitandole a riesaminare le sue dichiarazioni e a decidere se il voto di sfiducia formulato da una Camera debba essere mantenuto o corretto.

Non ritiene però che questo sistema di appello all'Assemblea Nazionale, valevole, a suo avviso, per le discussioni sulla politica generale del Governo, possa essere applicato alle discussioni particolari delle leggi, a meno che non siano leggi che importino la firma di tutti i componenti del Ministero. Non crede, cioè, che un voto di non approvazione di un determinato disegno di legge possa considerarsi un voto di sfiducia.

Fa notare, a questo proposito che l'articolo in esame parla di mozione di sfiducia, e non di mozione di fiducia che è sempre proposta dal Governo, e osserva che bisogna distinguere tra mozione di sfiducia originata da una discussione provocata dal Governo, e mozione di sfiducia non preceduta da una discussione del genere. Solo nel primo caso, quando la mozione di sfiducia sia stata votata da una Camera sola, il Governo può avere facoltà di chiamare le due Camere riunite a un riesame della situazione politica. Quando invece l'eventuale mozione di sfiducia sia stata provocata da un disegno di legge presentato a una determinata Camera, le dimissioni del Governo non debbono essere obbligatorie, ma il Governo potrà chiedere il riesame della situazione da parte delle due Camere riunite in Assemblea Nazionale. Deve anche restare inteso che i disegni di legge siano discussi separatamente dalle due Camere, all'infuori di quelli pei quali la Costituzione stabilisce che vengano discussi dalla Assemblea Nazionale; altrimenti il sistema bicamerale sarebbe svuotato del suo contenuto.

Dichiara che l'articolo in esame va preso in considerazione come un modo per impedire che i Governi possano essere soggetti a crisi troppo frequenti, essendo la stabilità del Governo un'esigenza sentita da tutti. Ma questa stabilità deve essere frutto di una evoluzione del costume politico, e per aiutare siffatta evoluzione occorre evitare che ogni singolo problema diventi motivo di dissidio così profondo col Governo che questo possa essere messo in mora con una mozione di sfiducia. Il voto contrario capace di provocare una crisi deve essere diretto contro la politica generale del Governo, lasciando la possibilità a questo di appellarsi all'Assemblea Nazionale. E, anche quando l'Assemblea Nazionale avrà manifestato la sua fiducia, dovrebbe rimanere aperta al Governo la scelta: o le dimissioni o, d'accordo col Presidente della Repubblica, lo scioglimento del Parlamento. E ciò dovrebbe essere detto con chiarezza.

Concludendo, dichiara di ritenere necessario trovare una soluzione che mantenga la parità delle due Camere, ma nello stesso tempo dia loro la possibilità di risolvere i conflitti che potranno sorgere fra loro. L'appello del Governo all'Assemblea nazionale è uno dei mezzi per risolvere tali conflitti.

Non ha formulato alcuna proposta a questo riguardo, ma si riserva di formularla, se sarà il caso, dopo la discussione.

Nobile osserva che nel sistema bicamerale, del resto già accettato, le due Camere si equivalgono in tutto, anche politicamente. Infatti, nonostante la loro diversa origine elettorale, non è da aspettarsi che la fisionomia della seconda Camera sia molto diversa da quella della prima. Saranno sempre i grossi partiti che presenteranno le liste dei candidati, e quindi le forze politiche saranno egualmente bilanciate nell'una e nell'altra Camera. In realtà si è creato con la seconda Camera un doppione della prima, rendendo così meno efficace il sistema legislativo. Queste critiche postume non hanno importanza, ma servono a rilevare che non è da aspettarsi che, se il Governo non gode la fiducia di una Camera, possa godere quella dell'altra. L'appello dell'Assemblea Nazionale rappresenta una formalità di più, non essendo da attendersi che essa dia un parere diverso da quello dato da una qualunque delle due Camere, poiché la formazione politica è la stessa.

Per quanto riguarda la convocazione automatica dell'Assemblea Nazionale per presentare un voto di sfiducia, propone di dire che la mozione di sfiducia dovrà preliminarmente essere presentata all'Assemblea Nazionale da almeno un terzo del numero complessivo dei membri delle due Camere. Fa rilevare che quest'ultima parte della sua proposta considera il caso, ammissibile soltanto teoricamente, che un certo numero di membri delle due Camere chieda la convocazione dell'Assemblea Nazionale per presentare una mozione di sfiducia senza averla già presentata in una Camera.

Il Presidente Terracini osserva che la prima parte della proposta dell'onorevole Nobile, che mira a modificare la disposizione del secondo comma, dicendo: «un voto contrario su una proposta del Governo», richiama alla mente quanto è stabilito nel decreto del marzo 1946 che regola l'attuale Assemblea Costituente. Infatti quel decreto, all'articolo 3, dice: «Il rigetto di una proposta governativa da parte dell'Assemblea Nazionale non porta come conseguenza le dimissioni del Governo»[i]. È dunque una idea che si avvicina a quella dell'onorevole Nobile.

Tosato, Relatore, avverte che nel testo distribuito manca una frase, e che bisogna aggiungere le parole: «sull'operato del Governo».

Nobile preferirebbe dire: «su proposta», o «su atto del Governo».

Il Presidente Terracini, quanto alla proposta dell'onorevole Nobile, di prevedere che una mozione di fiducia sia prima votata da una delle due Camere e poi portata all'Assemblea Nazionale, chiarisce che, dicendo che una mozione di sfiducia è di competenza dell'Assemblea Nazionale, si esclude che sia di competenza delle singole Camere. Secondo questo sistema, se in una Camera avviene una discussione che in qualche modo metta in evidenza un dissidio fra la Camera e il Governo, la conseguenza è che un certo numero di deputati e di senatori presenta la mozione di sfiducia, la quale dovrebbe importare la convocazione dell'Assemblea Nazionale. Oppure potrebbe darsi che lo stesso Governo, di fronte ad un disagio manifestatosi in una Camera, prendesse esso l'iniziativa di promuovere in sede di Assemblea Nazionale una discussione che portasse alla questione di fiducia. Le due ipotesi, così prospettate, rispondono anche a quanto è stabilito nella Costituzione francese, in cui si prevede il caso che il Governo stesso prenda l'iniziativa di porre la questione di fiducia. L'altra ipotesi prevista dalla Costituzione francese è che qualcuno proponga una mozione di censura.

Quindi occorrerebbe, forse, considerare le due ipotesi, quando si voglia introdurre una norma che preveda la convocazione dell'Assemblea Nazionale, precisando che l'Assemblea si dovrà convocare dal Presidente quando sia presentata una mozione di sfiducia firmata da un certo numero di componenti dell'Assemblea stessa; o che la convocazione dell'Assemblea possa avvenire su richiesta del Governo, quando questo intenda porre la questione di fiducia.

Tosato, Relatore, osserva che questa seconda ipotesi nel progetto è senz'altro scartata. Ottenuto il voto di fiducia, il Governo entra in carica e dura in carica, finché l'Assemblea Nazionale non lo revochi. L'Assemblea Nazionale può revocarlo in qualsiasi momento, ma solo l'Assemblea Nazionale. Quindi le discussioni sulla politica generale del Governo in seno alle Camere, con possibilità di crisi, sono estranee allo spirito del progetto.

Se le Camere respingono i progetti di legge presentati dal Governo, il Governo potrà, ma non è obbligato a dimettersi; e se le due Camere che hanno dato la loro fiducia al Governo ritengano modificata la situazione politica, oppure ritengano che il Governo abbia dato così prova nell'uso dei suoi poteri, presenteranno una mozione di sfiducia all'Assemblea Nazionale.

Si ha così una semplificazione notevole, perché si ha l'abolizione concreta di tutte le discussioni generiche, che non sono altro che tentativi di provocare disordini in qualsiasi momento con danno del Paese, che invece ha bisogno della stabilità del Governo.

Fabbri dichiara, come fautore del sistema bicamerale, di ritenere che questo sia vulnerato sostanzialmente e diminuito nei suoi vantaggi peculiari, ogni qualvolta le due Camere votino contemporaneamente.

Vi possono essere casi in cui ciò sia necessario, come la nomina del Presidente della Repubblica, per la quale si comprende che sia affidata all'Assemblea Nazionale; ma per il resto il funzionamento abbinato delle due Camere è una contraddizione in termini.

La pretesa di surrogare l'eventuale mancanza di fiducia da parte delle Camere elette a suffragio universale con una maggioranza che si vada a ricercare in una sola Camera costituita dalla riunione delle due, è letale per il sistema parlamentare ed è contraria al sistema bicamerale.

Il Governo deve godere la fiducia di ciascuna delle due Camere, appunto perché il sistema è bicamerale. Se invece si stabilisce a priori che la fiducia è data soltanto dall'Assemblea Nazionale, è naturale che si debba andare dinanzi all'Assemblea stessa per ogni eventuale conferma di tale fiducia.

Ritiene un controsenso l'ipotesi di un voto di sfiducia da parte di una delle Camere che non provochi una crisi del Governo. Egli è naturalmente disposto ad ammettere che ciò non debba avvenire se non con piena consapevolezza di tutte le possibilità di difesa da parte del Governo e che il voto contrario non importi l'obbligo delle dimissioni, se non quando sia preceduto da una discussione preannunziata con un dato intervallo di tempo; ma, una volta che vi siano questi accorgimenti e queste cautele, se il voto di una Camera si palesa contrario al Governo, bisogna che il Governo modifichi la sua composizione, o si dimetta, o faccia appello al Paese attraverso lo scioglimento della Camera che gli ha dato il voto contrario.

Conclude osservando che concepisce il principio bicamerale come un sistema di equilibrio, in quanto si è stabilito che la seconda Camera debba essere diversa dalla prima, e per l'origine e per la durata e per il rinnovamento. Invece, strada facendo, si sono venute sovvertendo tutte le decisioni che erano già state prese al riguardo, cosicché si è ridotta la seconda Camera ad una copia della prima, non si capisce per quali reconditi fini.

Tosato, Relatore, per quanto si riferisce alla questione in discussione, dichiara che il sistema proposto nei riguardi dell'Assemblea Nazionale non lede il sistema bicamerale. Questo ha una sua propria ragion d'essere per l'esercizio della funzione legislativa; trova invece un limite logico per quanto attiene alla concessione e alla revoca della fiducia al Governo.

Fabbri afferma che il sistema bicamerale presuppone un lavoro distinto per cui una Camera deve essere indipendente dall'altra. Quando si stabilisce che il voto di fiducia deve essere dato dalle due Camere riunite insieme, il sistema bicamerale si trasforma in sistema unicamerale.

Nobile ancora una volta dichiara la necessità di ammettere che ciascuna Camera possa votare una mozione di sfiducia. Se questa è approvata, si tratterà poi di riunire eventualmente l'Assemblea delle due Camere per decidere. Nel caso che la mozione di sfiducia venisse presentata direttamente all'Assemblea Nazionale, dovrebbe essere necessaria per la proposta una forte percentuale dei membri dell'Assemblea stessa.

Mortati osserva che presupposto della stabilità del Governo è un certo equilibrio risultante da un'intesa tra i partiti. Quando non vi sono gruppi saldamente formati, la stabilità è rimessa alle iniziative di gruppetti isolati che cercano di provocare un voto di sfiducia allo scopo di impadronirsi del Governo: fenomeno che in Italia si può considerare superato, grazie alla formazione dei partiti cosiddetti di massa, risultato benefico dell'applicazione del sistema proporzionale.

Pertanto la speranza che con il Collegio uninominale e con un sistema maggioritario si possa rafforzare la compagine ministeriale è un assurdo: in un regime in cui l'azione dei partiti fosse frantumata attraverso i piccoli collegi, si avrebbe una diminuzione delle forze dei grossi partiti e una moltiplicazione di gruppetti irresponsabili che determinerebbe un aggravamento della situazione e quindi una maggiore instabilità.

Premesso ciò, rileva che l'articolo in esame solleva varie questioni. La prima è se debba essere, oppure no, attribuita al Governo una fiducia preventiva. Il progetto non fa alcuna menzione di come si conferisca la fiducia, ma parla solo di mozioni di sfiducia. Questo rappresenta una lacuna e un'incongruenza, perché, mentre un Parlamento è costretto a subire un Governo, a cui non ha accordato alcuna fiducia con un suo voto esplicito, per liberarsene deve emettere un voto di sfiducia a maggioranza qualificata. Ritiene pertanto conveniente, per rendere evidente l'accordo tra l'Assemblea e il Governo e impegnare una certa responsabilità dell'Assemblea nel mantenimento del Governo stesso, di stabilire che l'Assemblea si pronunci espressamente sul programma che il Governo intende attuare. Tale voto preventivo di fiducia dovrebbe essere emesso dalle due Camere riunite, cioè dall'Assemblea Nazionale nel suo complesso.

All'onorevole Fabbri, il quale ha detto che questo sistema distruggerebbe il sistema bicamerale, fa osservare che invece con esso rimane integra quella esigenza di parità che è appunto messa a base del sistema bicamerale, il quale viene utilizzato più efficacemente.

Emesso questo voto di fiducia preventiva da parte delle due Camere riunite su un programma esplicito di Governo, le singole Camere, come tali, non avrebbero il potere di provocare la caduta del Governo. L'affermazione del sistema bicamerale comporta che le due Camere funzionino come organi distinti nella votazione delle singole leggi, per le quali egli si dichiara contrario all'intervento dell'Assemblea Nazionale. Agendo separatamente, le due Camere, potranno votare o respingere le singole leggi loro sottoposte, senza che questo agisca sul rapporto di fiducia nei riguardi del Governo. Anche se la votazione negativa da parte delle Camere su singole proposte di legge dovesse essere sistematica, spetterà al Governo di valutare l'opportunità di dimettersi. Finché non vi ha l'iniziativa del Governo, il rigetto delle singole leggi non dovrebbe portare alla caduta. Questa è una delle armi maggiori al servizio della stabilità che si vuole raggiungere, e a questo punto si innesta un altro problema: quello della possibilità del referendum su singole leggi. Un correttivo dell'attrito, che si verificasse su singole misure legislative fra Camera e Governo, potrebbe trovare il suo sbocco precisamente nel ricorso al referendum.

Fa osservare che, nel sistema da lui previsto, trascorso un certo tempo dal voto preventivo di fiducia (tempo fissato in un mese, ma che potrebbe essere protratto fino a sei mesi), il Governo dovrebbe rimanere in carica per un minimo di due anni, entro i quali non potrebbe essere mai revocato. In questi due anni verrebbe meno la possibilità di un espresso voto di sfiducia, salva invece la possibilità dello scioglimento del Parlamento, quando l'antitesi tra questo e il Governo divenisse così grave da compromettere la vita normale dello Stato.

Dichiara a questo proposito che, ove non venisse accolta la soluzione della durata rigida, egli ripiegherebbe sulla soluzione che la sfiducia dovesse essere votata in Assemblea Nazionale, con la stessa maggioranza qualificata richiesta per l'attribuzione della fiducia; ma escluderebbe in ogni caso la tesi sostenuta dagli onorevoli Nobile e Fuschini, perché incongrue col sistema. Infatti, una volta posto il principio che la caduta del Governo possa essere provocata solo da un voto di sfiducia espresso dall'Assemblea Nazionale, non vi sarebbe più luogo per manifestazioni di sfiducia da parte delle singole Camere, che pregiudicherebbero il funzionamento del sistema nel senso di influire preventivamente sulla decisione dell'Assemblea plenaria. Nel caso che si manifestasse la necessità della votazione su una mozione di fiducia o di sfiducia, la discussione dovrebbe essere sospesa per convocare l'Assemblea Nazionale.

Conclude facendo presente la necessità di affrontare, anzitutto, il problema nel modo come si attribuisce la fiducia, se cioè essa si presuma per il semplice fatto che l'Assemblea non la neghi, o se debba essere richiesta in modo espresso. Dichiara di ritenere opportuno di richiedere il modo espresso, anche per vincolare di fronte al Paese il Governo e le stesse Camere, e quindi aumentare le responsabilità di questi organi nei confronti di eventuali dissensi.

Il Presidente Terracini, circa il modo con cui il Governo ottiene la fiducia una volta nominato, osserva che nell'articolo 22 è detto che «il Primo Ministro e i Ministri devono godere la fiducia dell'Assemblea Nazionale», e che quindi in questa formula è sottinteso evidentemente che è l'Assemblea Nazionale quella che esprime la fiducia. Invece l'onorevole Mortati vorrebbe che l'Assemblea Nazionale, una volta costituito un Governo, gli manifestasse la sua fiducia in modo esplicito.

Fabbri rileva che quindi le discussioni sulle comunicazioni del Governo si farebbero nelle Camere riunite.

Il Presidente Terracini conferma il rilievo dell'onorevole Fabbri, e fa presente che, inoltre l'onorevole Mortati ha sollevato anche il problema se il voto di fiducia iniziale al Governo debba essere dato con una maggioranza qualificata o no. Osserva che questo problema si collega con la questione più generale, se nel meccanismo del giuoco parlamentare la fiducia e la sfiducia debbano essere pronunciate dall'Assemblea Nazionale e dalle Camere separatamente; questione che deve essere risolta prima di ogni altra.

Einaudi rileva che la tesi che la fiducia debba essere data o tolta dall'Assemblea Nazionale discende dalla premessa che sia desiderabile ottenere per mezzo di legge che i Governi siano stabili, e che sia un danno la instabilità dei Governi; premessa che egli ritiene priva di consistenza sostanziale.

Dichiara di considerare desiderabile la stabilità se spontanea, ma dannosa se ottenuta per forza di legge, perché la stabilità non esiste oggettivamente, dipendendo da condizioni che stanno al di fuori dei Governi, e sono invece insite in quelle forze che hanno condotto alla loro formazione. L'instabilità dei Governi è un vantaggio quando essi non hanno una salda radice nelle forze del Paese.

Inserendo nella Costituzione norme dirette a rendere forzatamente stabili dei Governi per loro natura instabili, si fa cosa dannosa, perché si apre la via a colpi di Stato e a rivoluzioni.

Osserva quindi che altra premessa che si pone alla necessità di una votazione solenne di fiducia o di sfiducia al Governo, è la fiducia nei programmi invece che nei capi. Ora, i programmi possono essere formulati da chiunque, e non si distinguono mai l'uno dall'altro: badando ad essi non si costruisce niente. Se v'è una costruzione solida, essa dipende dalle persone che rappresentano il programma e vogliono attuarlo. Figurarsi che soltanto con una votazione fatta su un programma si possa assicurare stabilità al Governo, è figurarsi qualcosa che può stare sulla carta, ma che non ha alcun rapporto con la realtà.

Si dichiara dubbioso sulla convenienza che il voto di fiducia sia dato dall'Assemblea Nazionale, composta di due Camere d'origine diversa, e prive di quel valore che ogni Camera acquista solo col tempo, col permanere nelle successive legislature di un certo numero di deputati e di senatori che, rimanendo in carica, danno a quella Camera uno spirito di corpo che non può essere trasmesso ad un'Assemblea convocata improvvisamente.

Per queste ragioni dichiara di non aver fiducia in una fiducia imposta da una Costituzione, e di avere invece fiducia in una fiducia che nasce spontaneamente verso un Governo in un corpo chiamato prima o seconda Camera.

Mortati risponde all'onorevole Einaudi che vi sono due forme di instabilità. Una è quella alla quale egli ha accennato, che deriva dal mutamento dello spirito pubblico e dalla modificazione della situazione politica del Paese. Su questa, evidentemente, non v'è niente da fare. È stata prevista l'esistenza di un Capo dello Stato che ha la funzione peculiare di accertare quando questi mutamenti dello spirito pubblico si verifichino, ed appunto al suo intervento è affidato il mutamento del Governo e comunque le decisioni che devono servire a mantenere omogeneo lo spirito pubblico con l'azione di Governo.

Ma vi è anche un'instabilità provocata da una serie di crisi che non trovano fondamento nel Paese, il quale non solo non le approva, ma anzi ne è estraneo e le critica. Tutti sanno che queste crisi sono determinate da situazioni particolari che si verificano nei Parlamenti, dove manca quella composizione che può assicurare la stabilità di un Governo; crisi provocate da manovre di partiti che hanno interesse a rovesciare il Governo in certi momenti, e che non sono sentite nel Paese. Contro questo genere di crisi sono dirette le disposizioni legislative da lui progettate.

Si può dubitare, come ha fatto l'onorevole Einaudi, dell'efficacia di tali espedienti legislativi; ma essi si affidano all'influenza della Costituzione sul costume. Se questa influenza dovesse essere scarsa, sarebbe inutile fare una Costituzione e basterebbe affidarsi agli usi.

Einaudi replica che tali manovre parlamentari v'erano anche prima del fascismo, e quanto meno leggi si fanno, tanto meglio è.

Mortati osserva che, comunque, è opportuno che le crisi artificiose provocate da certi gruppi trovino dei limiti nel congegno costituzionale, in modo che siano ridotte al minimo.

Quanto alla distinzione fatta dall'onorevole Einaudi tra programmi e persone, fa osservare che nel sistema da lui progettato vi è una proposizione rivolta a vedere il modo come un programma si attui, in maniera che il giudizio possa riguardare non solo il programma astratto, ma anche quello concreto. Non si tratta di un generico programma di un partito, ma di programmi di Governo su singole misure pratiche e particolari.

Einaudi osserva che, in tal caso, bisognerebbe scrivere nella Costituzione che i Governi, quando presentano un programma, lo presentano su un punto solo.

Mortati replica che i programmi dovranno riguardare problemi attuali, di urgente soluzione. Trova degni di molta attenzione i rilievi dell'onorevole Einaudi circa lo spirito di corpo delle due Camere, ma osserva che la confluenza dei due spiriti diversi nell'Assemblea Nazionale potrà dar luogo ad uno scambio proficuo.

La Rocca, Relatore, dichiara di concordare con l'onorevole Einaudi nel rilievo che le formule costituzionali, gli accorgimenti tecnici e gli espedienti legislativi non possono creare una realtà inesistente. Osserva quindi che le funzioni che si vogliono attribuire alla Assemblea Nazionale annullano praticamente il sistema bicamerale, dando luogo a una Camera sola. Se il rigetto di una legge da parte di un ramo del Parlamento non deve determinare la crisi del Governo, a che cosa si riduce il compito della seconda Camera? Ritiene che la questione della seconda Camera dovrebbe essere regolata o rivedendo il principio della parità, o dando alla seconda Camera una diversa origine.

Nobile presenta il seguente emendamento:

«Il Governo, appena nominato, deve esporre davanti a ciascuna Camera il suo programma, provocando un voto di fiducia. La mozione di fiducia dovrà essere approvata dalla maggioranza assoluta di ciascuna Camera. Nel caso che ciò non avvenga, il Governo è obbligato a dimettersi. Il voto contrario dell'una o dell'altra Camera su una proposta del Governo non importa, come conseguenza, la dimissione di questo. Le dimissioni sono obbligatorie solo in seguito ad una espressa mozione di sfiducia approvata dalla maggioranza assoluta di una delle due Camere. La mozione dovrà essere motivata e sottoscritta da almeno un terzo dei membri della Camera. Essa non potrà essere discussa prima che siano trascorsi tre giorni dalla data della sua presentazione».

Il Presidente Terracini fa presente che il solo quesito che si pone è se il Governo inizialmente abbia bisogno di un voto di fiducia espresso dalla maggioranza semplice o no. Secondo la prassi attuale è sufficiente la semplice maggioranza. Secondo il sistema qui indicato, dato che la sfiducia dovrebbe essere pronunziata a maggioranza qualificata, si domanda se anche il voto iniziale di fiducia debba essere dato a maggioranza qualificata. Il problema fondamentale è quello di decidere se questo voto debba essere espresso dall'Assemblea Nazionale o da una delle due Camere.

Fabbri osserva che la questione è molto grave, e che forse non conviene deciderla in piccolo Comitato.

Nobile ritiene utile procedere ad una votazione, poiché un voto rappresenta sempre una indicazione.

La Rocca, Relatore, esprime il parere che i presenti alla riunione non possano assumersi da soli la responsabilità di una decisione così importante.

 


 

[i] La prima frase del terzo comma dell'articolo 3 del Decreto Legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 citata dal Presidente Terracini non dice, naturalmente, «Assemblea Nazionale» ma solo «Assemblea».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti