[Il 13 gennaio 1947, nella seduta antimeridiana, la prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere esecutivo.]

Il Presidente Terracini riapre la discussione sull'articolo 22, non ancora esaurito, ricordando che per quanto concerne il procedimento per la mozione di sfiducia, vi sono due tesi contrapposte: per l'una il voto di sfiducia può essere dato soltanto dall'Assemblea Nazionale, con determinate modalità ed in seguito a richiesta di un quorum dei membri dell'Assemblea stessa; per l'altra il voto di sfiducia può essere emesso anche dalle singole Camere, e porta come conseguenza le dimissioni del Governo, salvo appello all'Assemblea Nazionale.

In quest'ultimo senso è una proposta dell'onorevole Nobile, che personalmente ha sottoscritto, così concepita:

«In seguito ad un voto di sfiducia approvato, su mozione motivata da una delle due Camere a maggioranza assoluta, il Governo è obbligato a dimettersi, salvo appello all'Assemblea Nazionale, che in tal caso deve subito essere convocata.

«La mozione di sfiducia deve essere presentata da almeno un terzo dei componenti la Camera chiamata a discuterla e non può essere discussa prima di tre giorni dalla data di presentazione».

Dell'altro ordine di idee erano invece alcune proposte che vennero respinte in seguito a votazione, salvo una dell'onorevole Tosato, che si avvicinava di più alla formula dell'onorevole Nobile, e la cui votazione ha dato risultati incerti.

Fuschini ricorda che la sua formula era più completa di quella dell'onorevole Nobile, in quanto prevedeva anche l'ipotesi che il voto di sfiducia derivasse da una discussione provocata dal Governo. Infatti, nella vita parlamentare, più frequente del caso di presentazione di una mozione di sfiducia, è quello della sfiducia manifestata a seguito di una discussione su un disegno di legge (anche in sede di esame degli articoli), ovvero su dichiarazioni o comunicazioni del Governo. Insiste quindi sull'opportunità di prevedere tutte le ipotesi o di non prevederne nessuna.

Nobile replica che non v'è bisogno di disciplinare anche il caso di una discussione provocata dal Governo, perché è implicito che questo ha sempre la facoltà di porre davanti ad una delle due Camere la questione di fiducia e di provocare su di essa un voto. Ciò che interessa, invece, stabilire è che il Governo in seguito ad un voto di sfiducia è obbligato a dimettersi, a meno di riproporre la questione dinanzi all'Assemblea Nazionale.

Mortati, per mozione d'ordine, propone, dal momento che dovrà ancora riunirsi la Sottocommissione nel suo complesso per esaminare alcune questioni lasciate in sospeso (come ad esempio, il referendum popolare), di rinviare anche l'esame dei rapporti di fiducia tra Governo e Parlamento in quella sede. Trattasi, infatti, di tutti problemi fondamentali, strettamente connessi tra loro e che implicano dei presupposti che si completano a vicenda, per cui una decisione presa in questo momento potrebbe poi trovarsi in contrasto con le risoluzioni che la Sottocommissione adottasse.

Il Presidente Terracini non nega che vi sia un certo nesso tra le varie questioni, ma ritiene opportuno risolvere intanto il problema in esame, sia perché le decisioni odierne potranno, se necessario, essere corrette e coordinate, sia per non accumulare troppo materiale da sottoporre alla Sottocommissione, la quale potrà tenere solo un numero limitatissimo di sedute.

Mortati non insiste.

Fabbri, circa la critica dell'onorevole Fuschini alla proposta Nobile-Terracini, rileva che la dizione originale della proposta stessa non conteneva l'inciso «approvato su mozione, motivata». Venivano così ad essere considerate due ipotesi, in cui, a suo avviso, si esaurisce la fattispecie: quella di una esplicita mozione di sfiducia presentata da un certo quorum di parlamentari e quella di una manifestazione di sfiducia provocata dal Governo. Suggerisce pertanto di tornare a quella dizione — anche perché pensa che non si possa aderire all'idea dell'onorevole Fuschini di non prevedere alcuna ipotesi — della quale però trova eccessivo il criterio di richiedere per la presentazione di una mozione di sfiducia la firma di un terzo dei componenti la Camera chiamata a discuterla.

Critica quindi lo schema proposto dall'onorevole Fuschini, osservando che, in quanto implica il ricorso in ogni caso all'Assemblea Nazionale, altera il principio della indipendenza di una Camera dall'altra.

Lussu, dopo aver ricordato la sua contrarietà al sistema in discussione e la sua preferenza per l'idea che il voto di sfiducia rientri nella competenza esclusiva dell'Assemblea Nazionale, consiglia, dal momento che non ha prevalso il punto di vista di cui si è fatto sostenitore, di passare senz'altro alla votazione sulla proposta Nobile-Terracini, che, a suo avviso, non lascia lacune. L'ipotesi, accennata dall'onorevole Fuschini, di una palese manifestazione di sfiducia, senza il rispetto di determinate modalità, non costituisce un voto di sfiducia vero e proprio.

Propone altresì, aderendo all'opinione dell'onorevole Fabbri, di ridurre il numero delle adesioni necessarie per la presentazione di una mozione di sfiducia ad un quarto dei componenti la Camera chiamata a discuterla.

Rossi Paolo, nel dichiararsi sostanzialmente favorevole alla formula Nobile-Terracini, propone alcune lievi modificazioni in omaggio alle opinioni espresse, nel corso della discussione, particolarmente dagli onorevoli Fabbri e Fuschini. In conseguenza il testo dovrebbe risultare del seguente tenore:

«In seguito ad un voto di sfiducia di una delle due Camere, il Governo deve dimettersi, salvo appello all'Assemblea Nazionale che, in tal caso, sarà subito convocata.

«Una mozione di sfiducia non può essere posta in discussione se non è firmata da un quarto dei componenti la Camera chiamata a discuterla e non può essere votata prima di tre giorni dalla data di presentazione».

In tal modo non si prevede alcun caso in particolare e, mentre non viene esclusa l'ipotesi che la questione di fiducia sia stata posta dal Governo stesso, si abbandona quella garanzia della «maggioranza assoluta», che d'altronde è superflua, in quanto si ha già un correttivo adeguato nel capoverso (presentazione da parte di un quorum dei componenti la Camera e votazione non prima di tre giorni dalla data di presentazione). Viene altresì ridotto ad un quarto — come proponeva l'onorevole Lussu — il numero dei Deputati che debbono sottoscrivere la mozione.

Mortati si dichiara nettamente contrario alla proposta Nobile-Terracini e agli emendamenti dell'onorevole Rossi, che, a suo avviso, peggiorano ancora la situazione. Fa presente che originariamente la Sezione è partita dal concetto di dare all'Assemblea Nazionale funzioni specifiche e le si sono conferiti alcuni diritti (dichiarazione di guerra, amnistia, fiducia al Governo, ecc.), che ne facevano veramente un organo nuovo con l'altissima posizione politica di arbitro dei supremi interessi dello Stato. Ora si vorrebbe ignorare l'esistenza di questo nuovo Corpo che, pur avendo il compito di vincolare le Camere e di limitarne i poteri, non le spoglia della loro funzione politica. Nulla vieta che si possa rivedere una decisione già presa, ma, una volta che la si mantiene ferma, sarebbe una incongruenza venir meno alle sue necessarie conseguenze ed alla logica del sistema. Invece, nello schema proposto, indubbiamente la situazione viene completamente modificata: l'Assemblea Nazionale diviene un organo d'appello, ma di un appello che giunge quando la questione è pregiudicata. Nel caso poi che una Camera costringa il Governo a dimettersi, l'altra si vede esclusa da ogni intervento nella decisione e, nel conflitto, non è parte in causa che in appello. Non può, ad esempio, chiedere la convocazione dell'Assemblea Nazionale, la quale soltanto dal Governo può essere chiesta.

Rossi Paolo obietta che non si può costringere a rimanere in carica un Governo che non voglia rimanervi. Né trova esatto che l'appello arrivi a fatto compiuto: si avrà il fatto compiuto solo se il Governo non si appellerà, e questo lo farà quando sia convinto di trovare un appoggio nell'altra Camera.

Mortati, riprendendo l'esposizione del suo punto di vista, sostiene che il giudizio definitivo sulla questione di fiducia deve sempre competere all'Assemblea Nazionale, come logica conseguenza del sistema approvato. Aggiunge che quello che l'onorevole Rossi chiama il «correttivo del capoverso» in realtà non ha alcuna efficacia. La disposizione che la mozione non possa essere votata prima di tre giorni dalla presentazione poteva essere utile in una situazione politica come quella antecedente al fascismo, quando esisteva un solo partito organizzato e poteva temersi un voto di sorpresa; ma questo stato di cose ormai è superato con la presenza di grandi raggruppamenti che determinano la vita politica del Paese e, anziché il voto di sorpresa, è da temere la decisione di un partito della coalizione di Governo che provochi la crisi al momento e nelle condizioni che sembrino più propizie alla soddisfazione dei suoi interessi particolari.

L'unico correttivo — seppure di modesta portata — contenuto nel capoverso, ai fini di garantire la stabilità del Governo, era rappresentato dalla maggioranza assoluta richiesta per l'approvazione della mozione di sfiducia, e di questo l'onorevole Rossi propone la soppressione.

Tosato, Relatore, non condivide l'opinione dell'onorevole Mortati circa la maggioranza assoluta, che preferisce non richiedere per non rendere impossibile a verificarsi l'ipotesi dell'appello all'Assemblea Nazionale. È invece d'accordo con lui nel disapprovare la formula Nobile-Terracini. Nota in proposito che questa vorrebbe rappresentare una via di conciliazione tra le due opposte tendenze: quella in favore della competenza esclusiva dell'Assemblea Nazionale a pronunciarsi sulle questioni di fiducia, e quella per una analoga potestà delle due Camere. Ma il congegno è tale che l'appello difficilmente avrebbe luogo ed il parere di una delle Camere sarebbe decisivo. Si può infatti essere sicuri che il Governo, di fronte al voto di sfiducia di una Camera, si dimetterà.

Allo stato attuale delle cose crede che, per ragioni di coerenza, occorra decidersi per l'uno o l'altro dei due sistemi, accettandone tutte le conseguenze.

Personalmente si mantiene fedele al suo punto di vista ed accetterebbe soltanto, in via subordinata, di accordare alle Camere la facoltà di presentare mozioni di sfiducia, lasciando però al Governo il compito di decidere se queste investano o meno questioni di importanza così preminente da consigliare la convocazione dell'Assemblea Nazionale. Ritiene che questa sia l'unica possibilità di conciliazione tra le due tesi.

Concludendo, tiene a ricordare che la Sezione è impegnata a studiare un sistema parlamentare con dispositivi che possano impedire il ripetersi delle crisi ad ogni piè sospinto e che la situazione politica odierna è ben diversa da quella del passato, essendo caratterizzata dalla presenza di forti partiti organizzati.

Mortati riconosce l'esattezza dell'osservazione con cui ha esordito l'onorevole Tosato e, ritornando sulle sue precedenti dichiarazioni, conviene che il richiedere la maggioranza assoluta nella votazione della mozione valga a rendere ancor più remota la possibilità dell'appello all'Assemblea Nazionale. Tuttavia, poiché, accogliendosi l'emendamento proposto, l'appello all'Assemblea Nazionale non sarà praticamente utilizzato, è opportuno lasciare almeno l'ostacolo costituito dalla maggioranza qualificata per le deliberazioni di sfiducia delle singole Camere.

Perassi, dopo aver ricordato che più volte ha parlato di coerenza, ribadisce l'opinione degli onorevoli Tosato e Mortati che la formula proposta non sia in armonia con le decisioni precedenti. Del pari è stata un'incongruenza da parte della Sezione il respingere la proposta che l'Assemblea Nazionale potesse essere convocata per pronunciarsi sulla fiducia al Governo, e su richiesta di un certo numero di deputati o del Governo stesso.

Suggerisce quindi, allo scopo di trovare una formula conciliativa, di modificare il testo dell'onorevole Rossi nel senso di non parlare più di un obbligo del Governo a dimettersi e di dire invece che, in seguito ad un voto di sfiducia di una Camera, il Governo, se non intende dimettersi, deve convocare l'Assemblea Nazionale.

La Rocca, Relatore, conferma la sua opinione che la tesi sostenuta dai suoi contraddittori dà un colpo mortale al sistema bicamerale, in quanto comporta la creazione di un organo — il quale tra l'altro avrebbe anche una composizione eterogenea — che si sovrappone alle Camere e ne riduce l'attività al solo compito di elaborazione legislativa. Le Camere, considerate isolatamente, perdono così ogni rilevanza politica come strumento di espressione della volontà popolare.

Insiste quindi per l'approvazione della formula Nobile-Terracini, la quale, se non altro, salvaguarda l'autorità e il prestigio delle Camere. Non ha tuttavia alcuna difficoltà ad aderire all'emendamento proposto dall'onorevole Perassi.

Quanto all'osservazione che oggi le crisi possono essere provocate solo dai grandi partiti, fa presente che i partiti non sono che la parte più organizzata di una classe sociale e rappresentano una vasta corrente di opinioni. Se, quindi, in un particolare momento assumono un determinato atteggiamento, lo fanno in quanto sentono che questo è corrispondente alle aspirazioni di una parte del Paese.

Il Presidente Terracini osserva che l'esigenza di dare una certa stabilità al Governo non deve costituire la nota dominante nella discussione, e soprattutto non deve essere invocata ogni momento per frapporre ostacoli artificiali allo sviluppo politico del Paese. D'altronde, crede che questa esigenza possa considerarsi soddisfatta dalle norme in esame, le quali escludono la possibilità di voti di sorpresa, richiedono una mozione motivata che raccolga l'adesione di un certo numero di deputati e concedono al Governo anche la possibilità di appellarsi.

All'onorevole Mortati, che ha parlato di euritmia del sistema, fa rilevare che talvolta le necessità politiche possono consigliare di contravvenire al logico sviluppo di un sistema.

Nota quindi che l'atteggiamento di coloro che sostengono la tesi contraria alla sua, può spiegarsi soltanto in un modo: essi evidentemente hanno maggiore fiducia nell'Assemblea Nazionale, perché pensano che in questa sede la seconda Camera possa rappresentare un correttivo politico della prima. Sennonché questa aspettativa è errata, perché non tiene conto del fatto che, se la seconda Camera avrebbe potuto corrispondere a tale scopo ove fosse stata eletta col sistema approvato in un primo momento, non lo può con la fisionomia che ha assunto in seguito alle ultime decisioni che ne fanno un organo simile alla prima Camera. La decisione dell'Assemblea Nazionale pertanto non si discosterebbe da quella della prima Camera perché, se un partito manovrerà il suo gruppo parlamentare in una Camera allo scopo di rovesciare il Governo, non mancherà di dare la stessa parola d'ordine al suo gruppo nell'altra Camera. È convinto quindi che non possa rappresentare una maggiore garanzia di stabilità il sistema che sostengono i suoi contraddittori.

Concludendo, insiste nella formula che ha proposto insieme all'onorevole Nobile, accettando le modifiche suggerite dall'onorevole Perassi e dall'onorevole Rossi, salvo quella relativa alla soppressione della maggioranza assoluta, che invece ritiene opportuno conservare.

Tosato, Relatore, assicura che, nel consigliare il ricorso all'Assemblea Nazionale sia per la formazione del Governo che per le crisi, non ha pensato nemmeno lontanamente alla possibilità di un correttivo rappresentato dalla seconda Camera: ha invece pensato che quest'organo è la risultante di due grandi corpi rappresentativi dello Stato e che, quando si tratta di giudicare le direttive generali della politica del Governo, è opportuno che questi due grandi corpi esercitino la loro funzione unitamente, anche allo scopo di evitare ogni possibilità di dissidio.

Una delle cose che fa peggiore impressione al Paese è la frequenza con cui le crisi si verificano. E il popolo spesso non riesce a rendersi conto dei motivi che le hanno determinate, in quanto non si tratta di crisi esterne provocate da un voto di sfiducia, ma di crisi interne generate da mancanza di accordo nella coalizione governativa. La discussione dell'Assemblea Nazionale serve appunto a illuminare l'opinione pubblica, come serve a guidare il Capo dello Stato nella scelta della persona che dovrà formare il Governo.

Per quanto concerne il sistema bicamerale, osserva che i suoi vantaggi appaiono evidenti nella elaborazione della legge; ma se vi è un limite logico al suo funzionamento è proprio rappresentato da ciò che attiene alle questioni di fiducia. In questo caso non vi è un testo legislativo da perfezionare, non vi è quindi da pensare a correttivi.

Peraltro, mentre non può dirsi che il ricorso all'Assemblea Nazionale costituisca una menomazione del principio della parità delle funzioni, in realtà, dato il minor numero dei componenti alla seconda Camera, praticamente le crisi politiche saranno determinate dalla prevalente volontà della prima Camera.

Nobile rileva che, se nelle due Camere il numero dei componenti è diverso, rimane però inalterato il rapporto di forze tra i vari partiti.

Quanto all'osservazione del Presidente che la fisionomia politica delle due Camere sarà identica, fa presente che personalmente ha sostenuto più volte la stessa tesi; ma, ripensandoci bene, deve riconoscere che non è esatta. Può parlarsi di un'eguale fisionomia solo in un periodo di stabilità politica del Paese, dal che oggi si è ben lontani. In realtà avverrà che la seconda Camera, dato il modo in cui è eletta, rispecchierà la situazione politica di un momento precedente a quello della sua elezione, la quale situazione nel frattempo potrebbe essere mutata notevolmente. In questo senso effettivamente potrebbe divenire un correttivo della prima Camera, e ciò non sarebbe giusto, dato che non rappresenta, come quella, l'opinione popolare del momento. Raccomanda perciò di riesaminare le decisioni già prese, per eliminare un tale inconveniente che dimostra tutta la illogicità del sistema approvato.

Fabbri rileva che l'argomento su cui si è più volte insistito, di una logica nel sistema, non può troppo invocarsi, dato che il criterio di rimettere la decisione sulle questioni di fiducia all'Assemblea Nazionale contrasta col principio della bicameralità e con quello della parità, che sarebbero rispettati solo concedendo a ciascuna Camera il potere di rovesciare il Governo. Che se invece le due Camere debbono votare insieme, cessano dall'essere pari, per la diversa composizione numerica, e la maggioranza dell'una può essere surrogata dalla minoranza dell'altra.

Tiene quindi a far rilevare che, da parte dei sostenitori del sistema bicamerale, si è commesso un grave errore quando si è accettato che si modificasse la fisionomia della seconda Camera sopprimendo le due caratteristiche fondamentali del rinnovamento parziale e della diversa durata in carica. Si è così dato un colpo veramente mortale al sistema bicamerale.

Mortati avverte che il suo gruppo, nell'insistere affinché la fiducia sia votata dall'Assemblea Nazionale, non si preoccupa eccessivamente di un'esigenza di euritmia formale, perché sa benissimo che in una Costituzione spesso le disarmonie e le illogicità sono elementi necessari per non venir meno ad esigenze politiche.

All'osservazione dell'onorevole Fabbri, secondo il quale la seconda Camera potrebbe essere un correttivo della prima, solo se eletta come si era deciso in un primo momento, replica che non si può pretendere che la prima Camera sia corretta politicamente da una seconda Camera che abbia un carattere meno rappresentativo. Anzi, a suo avviso, la seconda Camera, per meglio rispondere alla sua funzione, dovrebbe essere anch'essa eletta a suffragio diretto, ma seguendo determinati criteri — che ha già avuto occasione di illustrare — in modo da avvicinare di più i partiti alla situazione concreta del Paese e da giocare, non come correttivo, ma come integrativo della prima Camera.

Il Presidente Terracini dà notizia della seguente nuova formula dell'onorevole Tosato:

«Se in seguito ad una manifestazione di sfiducia di una delle due Camere il Governo non si dimette, su richiesta del Governo o di due quinti dei membri di una delle due Camere, sarà convocata l'Assemblea Nazionale, che si pronuncerà a maggioranza assoluta su una mozione motivata».

Pone quindi ai voti la formula dell'onorevole Rossi, che è precedente in ordine di presentazione, nel seguente testo modificato:

«In seguito ad un voto di sfiducia di una delle due Camere il Governo, se non intende dimettersi, deve convocare l'Assemblea Nazionale che si pronuncerà su una mozione motivata.

Una mozione di sfiducia non può essere presentata in una Camera, se non è motivata e firmata da un quarto dei suoi componenti, né posta in discussione prima di tre giorni dalla data di presentazione».

(È approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti