[L'8 novembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Musotto. [...] Dovrei interessarmi di un altro argomento, sul quale ho notato che c'è disparità di consenso nell'Assemblea Costituente. A me pare che il problema sia fondamentale. Mi riferisco al divieto, fatto dall'ultimo comma dell'articolo 94 del progetto di Costituzione, ai magistrati di iscriversi ai partiti politici.

Argomento molto importante, onorevoli colleghi, che va valutato davvero con molta ponderazione, e con molto senso di responsabilità. I magistrati non devono iscriversi ai partiti politici: ma intanto, ditemi, chi può negare ad un magistrato di manifestare la propria opinione politica, e di manifestarla anche pubblicamente? Chi può mai contestargli questo diritto? Il magistrato ha lo stesso diritto degli altri cittadini, ma non deve iscriversi. E perché non deve iscriversi? Perché egli iscrivendosi verrà, si dice, a perdere parte della sua indipendenza spirituale, tanto necessaria nell'esercizio della sua funzione.

Non è vero, onorevoli colleghi; noi dobbiamo tenere alla sincerità del costume politico: il magistrato che non si iscrive, al riparo da ogni eventuale controllo o richiamo da parte dei suoi superiori, si sentirà più libero nelle manifestazioni politiche; ne farà di più; appunto perché tutti sanno che egli non ha alcuna tessera di partito.

Ma poi, notate questo importante rilievo: il divieto di iscriversi ai partiti politici incide sull'elettorato passivo dei magistrati. Col sistema della proporzionale, un magistrato che non sia iscritto nei vari partiti politici, non ha praticamente diritto di porre la sua candidatura per le alte cariche politiche; non ha questo diritto. Ed allora, onorevoli colleghi, noi con questo divieto impediremo a molti magistrati, che oggi sono alla Camera, di ritornarvi.

Ma, io penso, se volete sanzionare il principio, occorre essere conseguenti: applicarlo in tutta la sua estensione: ai magistrati in servizio attivo, ai vice pretori onorari, ai conciliatori — che costituiscono un numero importante in tutta l'Italia — perché anch'essi esercitano una funzione giurisdizionale. Ed ai funzionari della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, a tutti coloro che hanno una funzione giurisdizionale. Starei per dire, anche a coloro i quali fanno parte degli attuali assessorati delle Corti d'assise, presso cui si dibattono processi importantissimi, gravissimi, che sfuggono anche all'esame del secondo grado di giurisdizione. Costoro non dovrebbero essere iscritti ai partiti politici, e così via dicendo, fino a quelli che fanno parte di magistrature speciali, tutti coloro, insomma, che esercitano una funzione giurisdizionale.

Il magistrato, quando è iscritto ad un partito politico trova il freno e il monito nella propria coscienza. Questa impedirà di far pesare la iscrizione nel giudizio, che a lui si chiede. Mi si è fatto rilevare, che il divieto sarebbe particolarmente necessario nei piccoli centri. Non è vero, onorevoli colleghi; ne abbiamo personale esperienza. Nei piccoli centri, il magistrato che fa parte di un partito politico si sforza, appunto perché è sotto il controllo vivo, giornaliero, costante della pubblica opinione, non solamente di essere giusto, ma anche di apparirlo.

Ed è per queste considerazioni che noi non siamo d'accordo sul divieto proposto dal progetto di Costituzione. In Italia — non dimentichiamolo — c'è il voto obbligatorio; il magistrato deve quindi necessariamente votare, deve necessariamente esprimere la propria opinione politica.

[...]

Bellavista. [...] Per quanto riguarda poi il terzo comma dell'articolo 94, io ho rilevato le osservazioni, che mi sembrano fondate, fatte ieri dal collega onorevole Ruggiero. A me pare tuttavia che il terzo comma debba comunque essere riformato quanto meno per il riferimento che fa alle associazioni segrete. Poiché infatti c'è già, nell'articolo 13, da noi approvato, tale proibizione, è evidente che le associazioni segrete sono già un illecito costituzionale, ed appare quanto meno superfluo interdirne l'appartenenza ai magistrati.

[...]

Persico. [...] Mi pare inutile soffermarmi sul divieto di appartenenza alle associazioni segrete. C'è l'articolo 13, da noi già approvato, e, come l'onorevole Bellavista ha ricordato poco fa, ciò che è reato nei confronti degli altri cittadini, lo è egualmente nei confronti del magistrato, sia che si tratti di peculato, di concussione, o di altro. Se una attività è proibita per tutti, è proibita anche per il magistrato: ciò è lapalissiano.

Voglio invece dirvi qualcosa sulla negata iscrizione ai partiti politici. Si tratta di una mia vecchia idea, e molti colleghi sanno che, durante il periodo clandestino, mi dilettai a scrivere un libro sulla Magistratura, un piccolo libro molto sintetico, in cui sono accennate parecchie nuove idee che speravo i colleghi avrebbero poi sviluppato; ma la cosa non è avvenuta. In tale libro scrivevo: «I magistrati debbono considerare la loro missione come un vero e proprio sacerdozio e conseguentemente non potranno iscriversi ad alcun partito politico, in quanto deve essere evitato, come per la moglie di Cesare, anche il più remoto e lontano sospetto sulla indipendenza ed imparzialità di esercizio della loro funzione». Diceva testé l'onorevole Musotto che l'iscrizione ad un partito non fa sorgere nessun vincolo coattivo e che il giudice iscritto ad un partito rimane sempre libero nel dare le sue sentenze e nel pronunziare i suoi giudicati. D'accordo: nessuno di noi pensa che il giudice iscritto ad un partito si faccia influenzare dal partito al quale appartiene nell'esercizio delle sue altissime e delicate funzioni. Ma noi dobbiamo pensare anche alla impressione che può venir suscitata nel cittadino che chiede giustizia, il vedere che i tre giudici i quali devono decidere della sua causa hanno all'occhiello un certo distintivo di partito politico, mentre il giuspetente non lo ha, o peggio ne ha un altro diverso. Ed allora nasce il dubbio che questo fatto possa profondamente turbare l'andamento della giustizia. Si capisce, amico Musotto, che anche i magistrati appartengono idealmente ad un partito, che votano per un partito e che possono essere anche eletti deputati nelle liste di un partito, come indipendenti. Abbiamo qui un esempio: l'amico Nobile, eletto in una lista di partito senza appartenere a quel partito. Nulla di male: questo è possibile. Potranno anche i magistrati aspirare a diventar senatori attraverso il collegio uninominale, senza essere iscritti a determinati partiti.

La non iscrizione ad un partito non vincola il loro pensiero politico, ma lo vincolerebbe invece una manifestazione esterna, perché, come dicevo nel mio scritto, la Magistratura è come la moglie di Cesare, che non deve dare luogo a sospetti.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti