[Il 18 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Gullo Fausto. [...] Parlando del potere esecutivo, intendo soprattutto soffermarmi — ed è il punto centrale di questo mio modestissimo discorso — sulla veramente strana anomalia contenuta nell'articolo 93 del progetto. Invito gli onorevoli colleghi a valutare in tutta la sua importanza questo articolo 93. Un Governo non dirà mai in una maniera aperta: «io faccio a meno del consenso popolare». Anche Mussolini diceva di governare col consenso del popolo. Non vi è stato e non vi sarà mai un Governo che dirà il contrario; non sono però mancati i Governi che hanno esercitato la loro attività e la loro autorità contro la volontà e la sovranità popolare. E si sono serviti a tal fine di vari mezzi e vari strumenti che essi hanno inserito accortamente nel meccanismo costituzionale, tentacoli idonei a contestare la usurpata autorità illegittima. L'articolo 93 crea appunto due strumenti di tal genere: esso infatti disciplina costituzionalmente, ossia inserisce nella Costituzione due istituti: il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. È un fatto nuovo; non v'è Costituzione al mondo che contenga la disciplina di questi due istituti:...

Tosato. Non è esatto.

Gullo Fausto. ...uno, istituto di consulenza giuridico-amministrativa, e l'altro, istituto di consulenza e accertamento contabile. Sono due strumenti della cui necessità nella vita nazionale ognuno di noi può essere più o meno convinto; ma, insomma, non sono, non vogliono essere, non possono essere due istituti costituzionali.

Basti citare la Costituzione dell'Inghilterra. L'Inghilterra non conosce la Corte dei Conti, in quanto il controllo finanziario contabile è manifestazione diretta della Camera dei Comuni, la quale, ad ogni principio di legislatura, costituisce speciali Commissioni che fanno in pratica quello che da noi fa la Corte dei Conti.

Non è dunque una necessità di natura e di indole costituzionale, così come non è una necessità di natura costituzionale il Consiglio di Stato, quel Consiglio di Stato che — dobbiamo dirlo — a differenza della Corte dei Conti, non ha sul serio una brillante origine democratica. Il Consiglio di Stato nacque come Consiglio personale del monarca assoluto. La sola Costituzione che disciplini il Consiglio di Stato è quella del 1799, la Costituzione — chiamiamola così — di Buonaparte Primo Console. Essa, a fianco del Senato, del Tribunato, del Corpo legislativo, e dei consoli poneva il Consiglio di Stato. Vi fu chi vide senz'altro l'enorme pericolo di questa introduzione e lo denunciò; ma naturalmente la volontà preponderante di Bonaparte ne ebbe ragione. Entrato nella Costituzione quasi di straforo il Consiglio di Stato, divenne senz'altro l'organo più importante nella vita dello Stato. Esso continua a vivere anche nella Costituzione di Napoleone non più Primo Console, ma imperatore, e diviene il pilastro della tirannia bonapartista.

E perché soprattutto? Perché al Consiglio di Stato fu affidato uno dei compiti più gelosi e più delicati del meccanismo costituzionale: fu affidato il compito di studiare e formulare le leggi da presentare all'Assemblea legislativa.

Il pericolo contenuto nell'articolo 93 è nel fatto che si è voluto dare una disciplina costituzionale ai due istituti — Consiglio di Stato e Corte dei conti — portando alla conseguenza che domani, quando una Camera legislativa voglia modificare in questo punto l'ordinamento dello Stato, dovrà necessariamente seguire la speciale procedura richiesta per la modificazione della Costituzione.

Ma oltre questo, altri e più seri pericoli esistono. Non è inopportuno ricordare, a questo proposito, quanto sia forte lo spirito di corpo del Consiglio di Stato, quello spirito di corpo che il manuale del perfetto caporale dice, sì, essere un sentimento apprezzabile, ma di cui bisogna paventare e temere le esasperazioni.

A tal fine può essere molto utile leggere una pubblicazione fatta proprio a cura del Consiglio di Stato, e che è opera di una Commissione di cui era Presidente l'onorevole Ruini.

Badate, io non avrei paura della cosa, e potessi ipotizzare un Ruini eterno Presidente del Consiglio di Stato. Dell'onorevole Ruini ognuno di noi sa quanto egli sia poco invadente, e non ci sarebbe dunque pericolo. Ma noi dobbiamo pensare anche ai successori di lui.

Bene, nella relazione che questa Commissione ha redatto e con la quale si rivolge appunto ai costituenti perché meditino sull'importanza del Consiglio di Stato, ricordando che il Consiglio di Stato è «organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo e del Parlamento», si afferma che tale consulenza si svolge in una cerchia ristretta, e che è necessario che questa cerchia venga allargata.

Proprio quello che contribuì a creare la enorme potenza del Consiglio di Stato nella Costituzione napoleonica, ossia lo studio e la formazione delle leggi, è ciò che viene chiesto dalla relazione.

Si dice in questa relazione: «i controlli dovrebbero esercitarsi prima della definitiva deliberazione del Consiglio dei Ministri autorizzando la presentazione al Parlamento.

«In realtà su un atto del potere esecutivo, il parere relativo di carattere giuridico-amministrativo da allegarsi obbligatoriamente al disegno potrebbe costituire importante elemento per la discussione e l'esame in seno al Parlamento».

In definitiva si chiede di attribuire al Consiglio di Stato l'importantissimo compito di studiare e di preparare i progetti di legge che il Governo dovrà presentare alla Camera.

Questo non significa altro se non assumere la parte più importante dell'attività legislativa dello Stato.

Ora, quando dovesse essere approvato questo articolo 93, il quale, al Consiglio di Stato, quale organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione, attribuisce rilevanza costituzionale, ci si troverebbe senz'altro di fronte ad un fatto certo, e cioè ad un Consiglio di Stato il quale accamperebbe il suo diritto di esercitare un'azione decisiva nella formazione delle leggi, preparando e formulando i relativi progetti da sottoporre all'esame ed all'approvazione dell'Assemblea.

Ma vi è di più: il Consiglio di Stato afferma anche che: «Un esame sostanziale potrebbe innanzi tutto riguardare la costituzionalità delle norme amministrative».

Ecco come gradualmente, creato il varco, tutto finisce per passare attraverso il Consiglio di Stato. Non basteranno una Camera dei Deputati, un Senato, un'Assemblea nazionale, un Consiglio economico, tutta una varietà di assemblee deliberanti. Il Consiglio di Stato, quale organo di consulenza giuridico-amministrativa, vuole avocare a sé anche la facoltà di esaminare la costituzionalità delle leggi.

È inutile che creiamo una o due Camere, che diamo questa o quest'altra composizione particolare alla seconda Camera. Condensiamo tutto nel Consiglio di Stato e facciamone l'organo accentratore di tutta l'attività politica della Nazione. La democrazia si identifica nel Consiglio di Stato!

È ciò dico senza soffermarmi su quella che è l'esperienza di ognuno di noi che è stato al Governo in questi ultimi tempi. Si dice dagli amatori del bel tempo andato che una volta occorreva riunire le Gazzette Ufficiali di parecchie annate per fare un volume possibile. Invece ora quei buoni, antichi tempi sono passati: vi è un diluvio, una valanga, una tempesta di leggi. Non ho tanta tenerezza per il buon tempo passato. La verità è che allora la vita, nella sua semplicità e linearità, non richiedeva che un numero esiguo di norme legislative.

Ora invece la vita, nella sua complessità e fluidità, determina un mutamento continuo di situazioni e di rapporti per cui non si riesce a contenere tutto questo complesso di attività sociali nello schema fragile di poche disposizioni di legge. Occorre una ricca, abbondante legislazione che si rinnovi non più a distanza di decenni o di anni, ma a distanza di mesi.

È la situazione che sta alla base della legge, che crea la legge e che, modificandosi richiede una legge diversa. Ora, coloro che sono stati Ministri in questo tumultuoso periodo hanno tratto dalla loro pratica ministeriale questa convinzione: che questi istituti, Consiglio di Stato e Corte dei conti, frequentemente si palesano non più fonti di illuminati consigli ma cause di ostacoli insormontabili, sia per il complicato meccanismo che è loro proprio e che naturalmente porta alla conseguenza di un'azione che si svolge lentamente e faticosamente, sia anche per uno spirito conservatore che di solito li anima e che fa ad essi vedere con diffidenza ogni innovazione legislativa che scava profondamente nella vita della Nazione, pur se essa costituisca la premessa del rinnovamento che tutti quanti diciamo di desiderare. Ora, immettendo nella Costituzione il Consiglio di Stato, si dà ad esso la possibilità di esercitare un'influenza di molto maggior rilevanza nella vita dello Stato.

C'è da pensare con nostalgia financo al Senato di nomina regia. Può apparire senz'altro come una istituzione rivoluzionaria. Ma non solo il Consiglio di Stato viene organizzato costituzionalmente, ma anche la Corte dei Conti.

Ho già detto che l'Inghilterra non ha un istituto che sia simile alla nostra Corte dei Conti, in quanto il riscontro contabile-finanziario è considerato una delle prerogative più gelose della Camera bassa. E anche in ciò il progetto contiene una ingiustificata innovazione: marcia a ritroso finanche di fronte allo Statuto albertino, il quale sanciva una superiorità, sul terreno finanziario, della Camera popolare; qui è cancellata, perché, anche di fronte a ciò, le due Camere hanno uguali poteri.

La Corte dei conti, dicevo, è istituto di riscontro contabile e finanziario. Ma anch'essa tende ad allargare il suo campo d'attività, non senza suscitare contrasti impreveduti.

A proposito di contrasti ho già parlato di quelli facilmente prevedibili tra le due Camere, quando ad esse si conceda parità di poteri. Ed io noto con soddisfazione come ieri l'onorevole Fuschini, conscio di tale pericolo, ha affermato senz'altro la necessità, per la salvezza stessa dello Stato democratico, che la Camera dei Deputati abbia la prevalenza su quella dei Senatori.

Ma altri contrasti si profilano inserendo nella Costituzione il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. La Corte dei Conti mira anch'essa ad allargare di molto i confini della sua competenza, non vuole arrestarsi al mero riscontro contabile e finanziario, vuole andare oltre; tanto oltre, che in questa relazione del Consiglio di Stato — è quanto mai interessante, invito i colleghi a procurarsela — la Commissione dice: «Pur senza volere ora interferire nella soluzione dei problemi concernenti la Corte dei conti, sembra potersi riconoscere col generale consenso che quell'alto controllo non debba costituire un duplicato e vada in ogni modo ricondotto alla sua vera natura finanziario-contabile ed a questi limitati fini di merito, di mera osservanza della legge, secondo le stesse possibilità e la competenza dell'organo, reagendo alla ben nota tendenza della Corte stessa ad estendere il proprio compito (questa estensione va ad invadere proprio il campo, cui il Consiglio di Stato tiene gelosamente) al campo a lei estraneo dell'esame del buon uso delle norme di legge, invadendo così addirittura talora l'apprezzamento del merito amministrativo, con effetti sempre rallentatori e raramente correttivi dell'azione dell'Amministrazione dello Stato». Quando si è letto questo periodo, ci si domanda: come mai il Presidente della Commissione, che ha redatto questa relazione, e che è nello stesso tempo il Presidente della Commissione dei Settantacinque, può, nonostante ciò, ritenere giusto ed opportuno inserire nella Costituzione la Corte dei conti, la quale dimostra di sapere il fatto suo, mettendo in pericolo proprio il campo che il Consiglio di Stato vuole tutto riservato a sé?

E il contrasto sorge fin da ora, quando ancora, cioè, i due istituti non sono dichiarati costituzionali; lasciate che venga approvato l'articolo 93, e vedrete cosa verrà fuori, con un Consiglio di Stato che vuole addirittura essere il domino dell'attività legislativa, con la formulazione e l'esame della costituzionalità delle leggi, e con una Corte dei conti, la quale, secondo quanto afferma lo stesso Consiglio di Stato, cerca di decampare dai suoi limiti e di andare ben oltre.

Occorre senz'altro affermare che questa norma va esclusa dalla Costituzione. Vedo in questa un pericolo maggiore che in qualche altra norma, magari più sonora e rumorosa. La Costituzione deve essere tale da assicurare alfine al nostro Paese un Governo veramente democratico, che attinga direttamente cioè, e sempre, la sua forza e la sua autorità dalla volontà e dalla sovranità del popolo. Esaminato sotto questo profilo, ritengo che l'articolo 93 costituisca un serio pericolo per lo sviluppo democratico del nostro Paese.

Alcuni di noi pensavano, sì, ad una riforma dei due istituti, ma in senso perfettamente opposto. Pensavano, se mai, a svuotarli di parecchie attribuzioni e facoltà che, in parte per virtù di legge e in parte per virtù di consuetudine, essi son venuti assumendo. Nessuno di noi pensava di dare all'attività di questi istituti una sfera più ampia di attribuzioni, tanto meno di farne istituti costituzionali. E ciò vale anche per il Consiglio di Stato come organo di tutela e di giustizia della Nazione. Ebbene anche limitando l'esame all'aspetto giurisdizionale dell'attività del Consiglio di Stato, in cui molti di noi possono concordare (la giustizia amministrativa affidata al Consiglio di Stato ha oramai una lunga tradizione, che può essere valutata senz'altro favorevolmente), non possiamo tuttavia non considerare come importanti correnti ci siano nel pensiero giuridico moderno che tendono all'unificazione in un solo organo di tutta l'attività giurisdizionale dello Stato. Le varie relazioni presentate dalla Magistratura alla Costituente, sia come ordine sia come associazione, tutte sostengono la necessità di accentrare nell'organo della Magistratura ordinaria tutta l'attività giurisdizionale dello Stato. Tralasciamo di esaminare se è giusto ed opportuno che qualche giudice speciale — presa questa parola nel suo significato tecnico, non nel senso deteriore — sopravviva ancora, data la complessità stessa della vita moderna e la moltiplicazione delle sue attività, a giudicare le quali si richiedono competenze specifiche. Può essere giusto ed opportuno che vi siano giudici speciali; ma d'altro canto non si può contestare, come ho detto, che vi è un'autorevole corrente a favore della unicità dell'organo giurisdizionale. E se domani l'Assemblea legislativa riterrà di aderire a tale corrente giuridica, si troverà di fronte una norma costituzionale da modificare e, quindi, nella necessità di mettere in discussione la Costituzione per inserire in essa norme diverse in quanto suggerite da criteri diversi.

E così è per l'altra attività del Consiglio di Stato, quale organo di consulenza giuridico-amministrativa, anch'esso soggetto alla possibilità di una organizzazione diversa o a quella addirittura della soppressione. Sennonché questo è pur l'aspetto meno importante della questione; quello più grave è che noi, inserendo nella Costituzione questi due istituti, creiamo (è bene affermarlo con chiarezza e fermezza) degli ostacoli a che il Paese si rinnovi alfine democraticamente, a che sorga sul serio, sulle rovine del fascismo e della guerra, un'Italia nuova che ubbidisca soltanto ad una sola necessità, ad una sola superiore e sovrana esigenza: che sia rispettata, sempre e dovunque, la volontà del popolo. (Applausi Congratulazioni).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti