[L'8 novembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Colitto. [...] Ma da chi la giustizia è amministrata? All'interrogativo io risponderei con un articolo così redatto: «La giustizia è amministrata da magistrati, secondo le norme stabilite dalla legge». Appunto questa dizione io propongo che sia adottata come primo comma dell'articolo 95 al posto della dizione del progetto: «La funzione giurisdizionale in materia civile e penale è attribuita ai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario».

Si può, nell'articolo 95, a mio avviso, aggiungere che la «la legge determina anche i casi in cui la giustizia è amministrata con la partecipazione di cittadini esperti» e che «non possono istituirsi giudici speciali in materia penale». Ma altro non è necessario dire. Nel progetto si parla di partecipazione di cittadini esperti «secondo le norme sull'ordinamento giudiziario»; ma è agevole rilevare che norme regolatrici della partecipazione di esperti alla funzione giurisdizionale possono essere dettate, oltre che dalle leggi sull'ordinamento giudiziario, anche da altre leggi e dai Codici.

Di esperti, per esempio, si parla negli articoli 4-12 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile e nell'articolo 231 delle disposizioni transitorie per l'applicazione di tale Codice.

[...]

Ma non da soli magistrati, od esperti, la giustizia, secondo il progetto, dovrebbe essere amministrata. L'articolo 96 dispone infatti che «nei processi di Corte d'Assise all'amministrazione della giustizia partecipa direttamente il popolo mediante l'istituto della giuria».

A tale istituto io personalmente sono nettamente contrario. Non ritengo idoneo, al fine di una retta amministrazione della giustizia, l'istituto della giuria perché — che volete? — una sentenza (e tale è il verdetto dei giurati) non motivata ed inappellabile non può non far tremare le vene e i polsi a qualsiasi cittadino onesto.

D'altra parte, a me appare molto strano che nell'articolo 101 della Costituzione si proclami che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati e che poi si consenta la ricostituzione della giuria, che emette verdetti, cioè provvedimenti giurisdizionali, non motivati.

La partecipazione, ad ogni modo, del popolo all'attività giurisdizionale nei giudizi di Assise, anche ove voglia accogliersi, esige delle garanzie, per cui non appare opportuno pregiudicare con una norma costituzionale la soluzione del problema. L'articolo 96 perciò dovrebbe essere soppresso, anche perché il contenuto dell'articolo costituisce materia di ordinamento giudiziario.

In ogni caso, è opportuno che siano eliminate le parole «mediante l'istituto della giuria», in modo che la costituzione della Corte d'Assise non sia necessariamente vincolata ad un sistema che, sopprimendo la garanzia della motivazione della sentenza, renda impossibile qualsiasi controllo.

[...]

Alla Magistratura deve essere, da una Costituzione democratica e civile quale è la nostra, assicurata la più completa indipendenza. La Costituzione lo riconosce. Nell'articolo 97 si legge appunto che «la Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente».

Ma come il principio viene poi tradotto in realtà?

È noto che una vera indipendenza si realizza solo ove due altri principî trovino attuazione: il principio dell'autogoverno — termine forse tecnicamente improprio, ma facilmente comprensibile — e il principio della unità di giurisdizione, in forza del quale il potere giudiziario deve accentrare nei suoi organi tutta l'attività giurisdizionale, civile, penale ed amministrativa.

[...]

Quanto al principio della unità di giurisdizione, mi permetto di rilevare che il progetto non lo realizza integralmente: non sancisce, infatti, espressamente l'abolizione dei giudici speciali civili e penali attualmente esistenti, ma ne prescrive la revisione entro i cinque anni (articolo 7 delle disposizioni transitorie), il che implicitamente ammette, almeno per quanto riguarda quelli civili, la possibilità di conferma da parte del potere legislativo con le modalità di cui all'articolo 95, quinto comma. Si riconosce che con le stesse modalità possono essere creati ad libitum nuovi giudici speciali civili. Anche in materia penale è permessa la costituzione presso gli organi giudiziari ordinari, di sezioni specializzate con la partecipazione di cittadini esperti, in numero non precisato. E ciò è da evitare, onorevoli colleghi, ove si voglia impedire che, quando che sia, si accampi da uno o più partiti dominanti la pretesa, ad esempio, di costituire tribunali penali misti e Corti d'assise speciali.

[...]

Bellavista. [...] Per quanto poi riguarda l'articolo 95, io penso che la terminologia non tecnica dei passati legislatori, la cui difettosità la dottrina aveva già avvertito, abbia indotto alla repetitio d'un errore i compilatori del progetto. Ho pertanto proposto un emendamento al quinto comma dell'articolo 95. In tale comma infatti si dice: «Non possono essere istituiti giudici speciali se non per legge approvata nel modo sopra indicato. In nessun caso possono istituirsi giudici speciali in materia penale».

Io devo in proposito ricordare a me stesso la distinzione corrente e corretta che si fa in dottrina sul giudice (il diritto non si preoccupa di insegnare, jus est quod jussum est, ma soltanto di comandare), il quale, nella legislazione abrogata, era chiamato speciale, quando era sì non solo speciale, ma soprattutto «straordinario», perché era un'eccezione stridente contro la normalità giuridica processuale. Era il caso del famigerato tribunale speciale per la difesa dello Stato. Ora, il giudice si distingue in ordinario e straordinario, in comune e speciale.

Lo spirito della legislazione, la intenzione dei compilatori del progetto ha voluto evidentemente bandire dalla Carta costituzionale il giudice penale «straordinario», come possibile bieco strumento d'una più bieca tirannide, ma non penso che si sia voluto mettere scientemente contro quella che è l'aspirazione della dottrina processuale: la specializzazione del giudice penale. E questa improprietà terminologica evidentemente deve essere corretta e si deve perciò dire rectius che «in nessun caso possono istituirsi giudici straordinari in materia penale», altrimenti la conseguenza che ne deriverebbe sarebbe, per esempio, l'abolizione del tribunale dei minorenni, che è un giudice speciale e ordinario. (Commenti). Sì, è una sezione speciale della Magistratura ordinaria, non c'è dubbio!

Una voce al centro. Più elementi estranei.

Bellavista. Ma, sempre, una sezione speciale del magistrato ordinario.

[...]

E veniamo alla vexata quaestio, alle Corti di assise. Non ho inteso nessuna voce favorevole alla giuria; e nemmeno l'onorevole Carboni ieri ha potuto negare la lunga serie di critiche che ad essa da tutti i banchi, e specialmente dagli avvocati, sono state rivolte. Io debbo ascrivere ad onore degli avvocati, che spessissimo hanno mietuto allori facili avanti ai giurati, questo leale e disinteressato verdetto di condanna nei confronti della giuria. Io ricordo un bravo giurista e bravissimo avvocato, il quale, con le giurie romagnole, nei famosi tempi dei conflitti fra socialisti e repubblicani in Romagna, arrivò a far contrabbandare l'istituto della «legittima difesa reciproca», nel quale invece di un offensore ingiusto, se ne trovavano inopinatamente due, con quanta tranquillità per i cultori del diritto, lascio a voi d'immaginare.

Non c'è dubbio che le ripetute ed ascoltate critiche vadano condivise. Io mi sforzerò di riportare queste critiche al loro fondamento dogmatico. E qual è? Ma se noi siamo favorevoli al principio della specializzazione del giudice, non possiamo non essere contrari alla giuria, perché il giurato è il giudice qualunque (senza nessun riferimento politico a quello di Giannini), e cioè il giudice più impreparato che esista, non soltanto per quella logica mancanza di conoscenza delle scienze ausiliarie della giustizia penale, di cui ha parlato così egregiamente ieri il collega Crispo, ma anche perché è il giudice tipicamente atecnico, nella materia penale e para-penale. Il principio della specializzazione del giudice importa un continuo travaglio, un lavoro di cesello che va perfezionato continuamente, e che non può fare colui che ha la sola licenza elementare, complicandosi poi questo semplicismo giudiziario con la immissione — che va criticata! — e con l'intervento dell'elemento femminile. Mi consentano le onorevoli colleghe. Ma chi è stato qualche volta in commissione di esame di Stato con delle egregie professoresse sa come sia tipicamente femminile il giudizio dato da loro: gli idola mentis baconiani formano generalmente una costellazione nell'animo delle esaminatrici! È addirittura un'esperienza dolorosa! Se può anche ammettersi per quel che riguarda l'istruzione pubblica, non deve assolutamente ammettersi questa possibilità dannosa per l'amministrazione della giustizia!

[...]

Persico. [...] E passo all'articolo 95. L'articolo 95 è quello che stabilisce l'unicità della giurisdizione. Badate, senza unicità nella giurisdizione cessa la stessa indipendenza della Magistratura. Nel libricino da me ricordato io non ammetto nessuna giurisdizione all'infuori di quella del magistrato ordinario. Mi sono anche manifestato contrario al Consiglio di Stato, e credo che bene le sue funzioni giurisdizionali potrebbero essere attribuite a speciali tribunali amministrativi, sia regionali, sia centrale; ma sempre nell'ordine della Magistratura, sempre come una forma di Magistratura ordinaria, che sarebbe specializzata in tali determinate materie. Noi, però, abbiamo già approvato l'articolo 93, secondo il quale sia per il Consiglio di Stato, sia per la Corte dei Conti è stabilita una disciplina autonoma, e quindi non possiamo ritornare su questo argomento. Quando faremo le leggi speciali per stabilire le funzioni e l'organizzazione della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, potremo in qualche modo coordinare le loro attribuzioni con quella della Magistratura ordinaria, soprattutto attraverso il ricorso alla Corte di Cassazione unica di Roma, che dovrà decidere anche le questioni riguardanti il diritto amministrativo. E questo sarà uno dei modi per unificare la giurisdizione.

[...]

E vengo all'argomento cruciale di questo dibattito: io non ero purtroppo presente quando ieri sera ha parlato l'amico onorevole Carboni, ma non ho inteso nessuno, finora, difendere l'istituto della giuria. Questo tormentato istituto è stato assalito da ogni parte ed è curioso che sia stato criticato sopra tutto dai suoi figli più cari e prediletti.

Ho inteso parlare a questo riguardo anche il collega Alessandro Turco, del quale sono amico da tanti e tanti anni, e che ha formato la sua fama di studioso e di avvocato battendosi con eccezionale valore dinanzi a tutte le Corti di assise della sua Calabria.

Così, o amico Porzio, lei che è anche oggi un trionfatore dinanzi a tutte le giurie d'Italia, ed è colui che ha fatto sempre prevalere le ragioni della giustizia, non credo che abbia mai captato ai giurati con le lusinghe della sua eloquenza smagliante un verdetto ingiusto.

Ora, il giurato è il giudice popolare per eccellenza: attraverso la giuria la giustizia viene amministrata dal popolo, e non perché «in nome del popolo» si pronuncia la sentenza, come diceva ieri il collega Villabruna, perché questo non significherebbe proprio niente.

La giustizia viene dal popolo solo in quanto nei processi delle Corti di assise vi è la giuria, e la giuria non è, come si è detto, un istituto solamente inglese. È vero che non possiamo dimenticare le affermazioni di Lord Brougham, il quale diceva «che Parlamento e Gabinetto non esistono se non per far raccogliere dodici indipendenti giudici in una Corte d'assise», e dello storico Karcher, il quale scriveva «che il Foro e la Magistratura, assistiti dal giurì, costituiscono il fondamento più solido nel quale sono piantate le libertà della vecchia Inghilterra». Ma non è vero che in Italia la giuria non si sia acclimatata: è entrata nel 1848 nell'amministrazione della giustizia per i delitti di stampa e nel 1859 fu estesa a tutti i reati più gravi. È quindi quasi un secolo che funziona, salvo la parentesi fascista, che travolse con la giuria tutti gli istituti giudiziari. Anche il nostro illustre collega Calamandrei ha affermato, nell'articolo 21 del suo progetto, le necessità della giuria. E tra i nostri antichi proceduristi ricordiamo il Casorati, il quale scriveva: «non appena ad un popolo è concesso di respirare le prime arie di libertà, tosto compare nella sua legislazione l'istituto dei giurati: se questo è combattuto e distrutto per un istante, ritorna alla vita poco dopo più rigoglioso di prima».

Del resto, il problema in Italia è già risolto. Noi abbiamo una legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 luglio 1946, il regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 546, firmato dall'onorevole Togliatti, col quale si ristabiliscono le Corti d'assise. E il collega Gullo, qui presente, ha presentato all'Assemblea tre disegni di legge, nn. 3, 4 e 5, coi quali si fissano le norme di procedura per i reati di competenza delle Corti d'assise e quelle per l'ordinamento delle Corti stesse, progetti che dovremo presto discutere.

Quindi, amico Turco, se mi dice che l'istituto della giuria è imperfetto, posso anche convenire con lei. Già, istituti perfetti non ne conosco nessuno. Forse soltanto da qui a centomila anni, in un regime di perfetta bontà, in cui ogni cittadino faccia il suo dovere per impulso del suo animo, senza bisogno di leggi e di magistrati, potremo avere istituti perfetti. Oggi abbiamo degli istituti imperfetti, ma non imperfettibili, amico Turco, anzi perfettibilissimi. Ho proposto un emendamento che farà un po' sorridere i colleghi, perché lo troveranno avveniristico e troppo rivoluzionario.

Io propongo di sostituire le ultime parole dell'articolo 96 «nei processi di Corte di assise» con le altre «nei processi penali». Direte: che roba è questa? È una mia antica idea, che ho illustrato in quel piccolo libretto di cui vi ho fatto cenno. Eccetto la giustizia penale pretorile, che è quella delimitata dall'articolo 31 del Codice di procedura penale, più tutte le contravvenzioni, più i reati colposi, più quelli punibili a querela di parte, e che si potrebbe anche estendere ad un maggior numero di reati, ritengo che tutti gli altri processi penali dovrebbero essere giudicati da una giuria. E distinguo: quelli che oggi andrebbero alle Corti d'assise, secondo i concetti tradizionali, dovrebbero essere di competenza di una «grande giuria», mentre gli altri andrebbero davanti ad una «piccola giuria».

Una voce al centro. E l'appello?

Persico. Nella mia «Nuova Magistratura» c'è anche l'appello; vuol dire che il libro, per quanto breve, non è stato letto da nessuno. Piccola giuria: tre giurati, presidente e giudice relatore; grande giuria: cinque giurati, presidente e giudice relatore. Con questa specialità: che tutte le volte che, per dichiarazione delle parti o per la natura del processo, sorga una questione tecnica, almeno due dei giurati dovranno essere esperti della materia. Si tratterà di falsificazione di moneta, ci saranno due giurati funzionari della Zecca; saranno reati di falsa scrittura, vi saranno due periti calligrafici, ecc.

È complicato questo congegno? Tutti i congegni nuovi sono complicati; tutte le macchine, prima di cominciare a girare, hanno l'avvio faticoso, ma poi saranno lubrificate e si correggeranno i difetti.

Anche la Regione è ancora una cosa nuova; non sappiamo come funzionerà: chissà quante leggi dovremo fare per poterla attuare. E così sarà di queste «piccole e grandi giurie» da me ideate.

E badate, i giurati, secondo me, dovranno essere eletti e non estratti a sorte. Saranno eletti dai Consigli regionali che ne formeranno le liste, e dovranno avere un titolo di studio non inferiore alla maturità classica o tecnica, cioè dovranno essere arrivati alle soglie dell'università. Quindi saranno giudici competenti e responsabili, e non avranno soltanto la licenza elementare, come nel progetto proposto, e saranno in numero limitato. Sarà un alto onore per i cittadini italiani sedere come giudici, perché questo dovete pensare, o amici miei: noi vogliamo instaurare una nuova e moderna democrazia, ma quando c'è un dovere da compiere non la vogliamo più. Vogliamo tutti gli onori, tutti i vantaggi, ma, quando c'è un fastidio, non ne vogliamo sapere. Quando si estraevano i giurati, tutti trovavano mille scuse per essere scartati: «debbo partire», «debbo fare questo o quello», «non posso partecipare per impegni del mio ufficio», ecc. Questo significa, onorevoli colleghi, che non si è intesa l'importanza di alcune istituzioni democratiche. Molti vogliono la democrazia senza le forme democratiche! (Interruzioni).

E allora seguitiamo ad arare la terra con il pungiglione di Noè, o di Abramo. Non possiamo ripetere ad ogni novità: così faceva mio nonno. Oggi dobbiamo fare diversamente. Ecco perché non possiamo avere pochi magistrati. L'Inghilterra ha invece quindici o ventimila magistrati onorari, cioè dei giudici non professionali, che danno la loro valida opera all'amministrazione della giustizia.

Io credo quindi che, mutato il sistema, cioè eletti i giurati, e non estratti a sorte, ridotto il loro numero, elevata la loro dignità e la loro funzione, noi potremo veramente creare un corpo di giudici popolari che non daranno più luogo a quei verdetti scandalosi, per cui, in altri tempi, si fece tanto chiasso. Ricordo però migliaia di processi nei quali la giuria fece il suo dovere; ricordo, per esempio, il processo Murri, in cui, nonostante tutte le pressioni da ogni parte esercitate, i giurati fecero giustizia coraggiosa ed esemplare.

L'istituto della giuria, onorevoli colleghi, non ha ancora fatta la sua completa esperienza: questo è il problema. Noi dobbiamo dare la possibilità a questo istituto di funzionare seriamente, nel clima della riconquistata libertà: esso sarà veramente la prova del fuoco della nuova democrazia.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti