[Il 20 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la votazione degli ordini del giorno sui seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] l'onorevole Merlin Umberto ha facoltà di svolgere il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente riafferma:

che base e fondamento di un regime democratico deve essere la autonomia e la indipendenza assoluta della Magistratura, la quale non deve dipendere da alcun altro potere dello Stato;

che, per assicurare tale indipendenza, bisogna vietare la istituzione di giudici sia speciali, sia straordinari, che il più spesso nascondono organi che il potere esecutivo si crea per giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti di prepotenza, violatori delle libertà fondamentali del cittadino;

che la eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sarebbe cosa vana senza la unicità della giurisdizione civile, penale ed amministrativa e che, in particolare, va mantenuta la Cassazione unica, come supremo giudice di diritto, e va evitato qualsiasi trasferimento delle sue funzioni ad altro organo con conseguente menomazione dei diritti dei cittadini;

che, per assicurare la indipendenza dei magistrati, occorre dare ad essi la libertà dal bisogno;

che il reclutamento dei magistrati deve essere fatto solo per concorso o per titoli, con divieto ai magistrati di appartenere a partiti politici o ad associazioni segrete;

che la giuria popolare va abolita avendo fatto pessima prova in tutte le materie che vennero sottoposte al suo giudizio;

che, infine, ad accentuare il carattere giurisdizionale della Corte costituzionale, a coordinare l'attività delle due Supreme Corti e ad evitare la possibilità di conflitti, è giusto che la Corte costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Cassazione.

«Accettando i principî affermati in queste premesse,

delibera

1°) che nella nuova Costituzione sia garantita alla Magistratura piena autonomia e perfetta indipendenza;

2°) che siano aboliti i giudici speciali o straordinari e sia affermato il principio della unità della giurisdizione civile, penale, amministrativa;

3°) che conseguentemente sia mantenuta la Cassazione Unica per tutte le materie civili e penali;

4°) che sia rimessa all'ordinamento giudiziario la questione della giuria popolare;

5°) che sia data ai magistrati una posizione economica adeguata alle loro funzioni, alla loro dignità ed al necessario prestigio».

Merlin Umberto. [...] Sapete voi quanti sono in Italia i giudici speciali? Se voi andate in biblioteca e consultate il Caliendo, che oggi se non erro è Primo Presidente della Corte di Appello di Roma, voi trovate che i giudici speciali in Italia sono 300. Voi credete forse che io scherzi? Ebbene, vi prego di leggere quel volume e di consultarlo, e voi vedrete che non c'è stata mai una legge in Italia con cui si sia riformato questo o quello istituto, la quale legge o per ragioni tecniche, o per necessità, o per alleviare i magistrati dalle loro fatiche o per inserire esperti nel Collegio giudicante (ciò che ammetto anche io, ma che può essere fatto anche accettando il mio principio) non abbia creato un giudice speciale. In questa maniera, evidentemente, si viene ad offendere l'indipendenza della Magistratura, perché è chiaro che non si rispetta un organo se gradualmente gli si sottraggono le sue naturali funzioni.

Posso ammettere la necessità di rispettare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, ma nessun altro giudice speciale o straordinario deve ammettersi.

Io vi ricordo semplicemente questo: nel corso della storia di ogni popolo, la creazione del giudice speciale è stata sempre un atto di prepotenza del potere esecutivo, con cui questo potere ha cercato di giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti contro la libertà, ed è per questo che io prego la Camera di voler accogliere l'emendamento che io propongo e che serve a garantire ancor più le libertà fondamentali del cittadino.

[...]

Vi dirò ora molto brevemente della giuria. Anche qui, io reco la mia esperienza. Io sono contro la giuria popolare. Anche se io rispetto il parere di coloro i quali hanno manifestato un'opinione diversa, non posso non affermare che in Italia oggi non c'è più un giurista che sostenga la giuria popolare: sono tutti contrari ed anche coloro che sono favorevoli riconoscono tutte le manchevolezze dei giudici popolari. Difettano i requisiti dei giudici, le modalità di esercizio delle loro funzioni, la natura delle decisioni che ne promanano e soprattutto manca la saldezza della pietra angolare su cui dovrebbe poggiare il giudizio: e cioè una precisa e netta separazione del fatto dal diritto.

Non esiste questa distinzione tra fatto e diritto: è una finzione perfetta. Manca nei giurati la competenza, il senso critico, la freddezza d'animo. È viva in loro la passionalità, l'emotività, tanto che è facile persino che essi piangano; e quando il giurato piange è finita: l'imputato è assolto. (Ilarità a sinistra).

Maffi. Che peccato!

Merlin Umberto. È davvero un peccato, perché non si rende giustizia. E poi c'è la faccenda della scheda: la scheda del giurato che non ha capito niente, la scheda del giurato che non ha nemmeno saputo vergare un sì o un no, la scheda bianca, le scheda mal scritta o sgorbiata.

Mancini. Ma, da che mondo è mondo, il dubbio è per il reo.

Merlin Umberto. Per i reati che hanno un'importanza lievissima, ci può essere un primo giudizio, un secondo giudizio, la Cassazione: ma, per le Assise dove si decide della vita di un cittadino, non vi è alcuna possibilità di rimedio.

Ma poi senta, collega Mancini: io rispetto la sua opinione, ma sa lei il fascismo a chi ha principalmente dovuto il suo rafforzamento, per lo meno iniziale? Proprio alle Corti d'assise ed ai giudici popolari che hanno assolto tutti gli assassini fascisti ed hanno in questa maniera glorificato proprio coloro che hanno ucciso i suoi compagni di fede, ed anche i miei. (Commenti).

C'è qui infatti il collega Costa che può darmene fede. Nel mio Polesine 13 assassini fascisti a danno dei socialisti (Interruzioni) ed un altro assassinio a danno di un popolare. Ebbene, tutti gli imputati assolti dal giudici popolari.

Mancini. Basile è stato assolto adesso.

Merlin Umberto. Ed è stato assolto proprio da giudici popolari. Ed anche quando voi farete anche un reclutamento il più severo possibile, arriverete allo stesso risultato, perché il giurato, comunque reclutato, non può essere un buon giudice.

[...]

Mannironi. [...] L'altro argomento di merito e più grave, che si adduce contro l'opportunità del giudizio di appello per i reati gravi, lo si fa consistere nel fatto che i reati di Corte di assise sono di competenza della giuria popolare. E poiché la giuria è sovrana in tale suo giudizio, non si può consentire che un altro giudice superiore sia in diritto di giudicarne l'operato.

Qui si potrebbe riaprire nuovamente e a lungo la discussione sulla questione della giuria. Per quello che mi riguarda personalmente vi dirò che sono anch'io contrario alla giuria popolare, così come lo sono molti avvocati che hanno fatto l'esperienza del giudice popolare. In quest'Aula abbiamo potuto ascoltare il parere di autorevolissimi colleghi, che sono lustro del Foro e sono considerati meritatamente dei maestri. Io vorrei però dimostrarvi che l'ammettere oggi il principio dell'appello anche per i reati di Corte di assise, non porta come conseguenza all'abolizione della giuria. Vi sono dei colleghi che hanno proposto un emendamento tendente a far sopprimere il giudice popolare; vi sono altri colleghi che hanno chiesto che questo argomento sia rimandato al legislatore ordinario. Ora, se voi vi orientaste in questo senso e decideste di demandare al legislatore di domani la decisione sulla giuria popolare o se voleste anche fin d'ora conservarla, pare a me che oggi possiate, senza contraddirvi, affermare il principio della necessità del secondo grado di giurisdizione anche per i reati di Corte d'assise.

Quando voi parlate di giudice popolare, credo che non dobbiate cristallizzarvi a quell'ordinamento di giurati che vigeva nella legislazione passata; credo che anche quelli che sono sostenitori tenaci della giuria popolare, debbano ammettere che la giuria è suscettibile di modificazioni e di perfezionamenti e che, per esempio, la giuria popolare non escluda la necessità della sentenza motivata.

In sostanza, con questo si tornerebbe al parere ed all'opinione espressi da un autorevolissimo politico e studioso di diritto, quale era Giuseppe Pisanelli. Egli era uno dei più tenaci difensori della giuria popolare, come ebbe a manifestarsi nelle discussioni avvenute alla Camera nel 1874; ma fu anche autore di un libro nel quale sosteneva che tutte le sentenze dovessero essere motivate, comprese quelle dei giurati. Egli disse tra l'altro che «nessuno può dubitare che l'obbligo imposto al giudice di rendere ragione della sua sentenza è una delle maggiori garanzie della innocenza in quanto la motivazione era, ad un tempo, sussidio e freno per i magistrati, ecc.».

E si potrebbero richiamare qui anche altri principî fondamentali, enunciati dal Pisanelli in quel suo pregevole libro.

Ora, onorevoli colleghi, se anche voi siete dei tenaci assertori della giuria, potete e dovrete ammettere che questa giuria non debba essere considerata come un oracolo. Nessuno può essere ritenuto infallibile: neppure i giurati popolari. Anche a loro perciò bisogna imporre l'obbligo della motivazione del giudizio, perché soltanto in tal modo avremo dato la possibilità di esercitare un utile controllo anche su di loro e sui loro giudizi. Così soltanto si potrà inspirare, nelle cause più gravi, la necessaria fiducia nel popolo, che guarda all'operato della giustizia e della Magistratura, e vuole essere però in grado di controllarlo.

[...]

Adonnino. [...] Ma prima, ritorniamo brevemente al concetto della giustizia quale noi la vogliamo per tutto il popolo, e che deve essere giustizia vera: è stato già detto che questa giustizia si fonda sui due concetti fondamentali: unicità della giurisdizione e indipendenza assoluta della Magistratura. Anche la materia dell'unicità della giurisdizione ha stretta attinenza con la Corte costituzionale: vedremo infatti più innanzi che l'Alta Corte costituzionale, pure essendo emanazione dei tre poteri dello Stato ed organo centrale che tutti tre li armonizza, costituisce sempre una giurisdizione, e le sue funzioni sono di carattere prettamente giurisdizionale; è un'eccezione dunque al principio dell'unicità della giurisdizione, e, da un punto di vista teorico, dovrebbe essere l'unica eccezione. Vedremo in seguito come si giustifica teoricamente la sua esistenza nella nostra Costituzione. Qui basti aver rilevato il suo carattere giurisdizionale; e basti rilevare che la sua esistenza non infirma per nulla la necessità assoluta dell'unicità della giurisdizione ai fini della vera giustizia.

Ed è in relazione a ciò che occorre esaminare, sia pure fugacemente, se tale unicità sia raggiunta ed attuata nel progetto che ci sta dinanzi. Non mi pare che lo sia. È vero che è ammesso il ricorso per cassazione contro tutte le decisioni di giurisdizioni speciali. Ma ciò non significa unicità di giurisdizione; significa invece soltanto unicità d'interpretazione della legge da parte di tutte le giurisdizioni, anche molteplici e varie. La verità è che la giurisdizione non è unica, come teoricamente dovrebbe essere, ma varie importanti giurisdizioni speciali sono conservate.

Si dice che ci sono delle ragioni per la conservazione o per la creazione di certe giurisdizioni speciali. In fatto di giurisdizioni speciali, in sostanza, credo che — indipendentemente dai molti argomenti portati pro e contro — due sono gli argomenti fondamentali su cui esse si basano. Un argomento ingiusto, da respingere, e un argomento veramente serio e giusto, da accogliere. L'argomento da respingere è che in sostanza il mantenimento o la creazione delle giurisdizioni speciali è voluto principalmente dai partiti e dall'interesse degli uomini politici. Parlo dell'influenza che sulla giustizia, principalmente attraverso speciali giurisdizioni appositamente create, cercano di esercitare i partiti politici e gli uomini politici per loro particolari interessi, e non dell'influenza delle grandi correnti di idee politiche e sociali che guidano la vita del Paese. Queste esercitano le loro influenze psicologiche, e specialmente culturali, su tutti gli uomini, specialmente di pensiero e di studio, che vivono nel Paese, e non se ne possono astrarre o isolare; e perciò, anche su tutti i magistrati ordinari nei limiti — s'intende — dell'ossequio alle leggi; onde non hanno bisogno di ricorrere alla creazione artificiosa di giurisdizioni speciali per influire sulla giustizia. Come grandi correnti di idee e di cultura, del resto, non potrebbero nemmeno creare giurisdizioni speciali. Le giurisdizioni speciali le creano i partiti e gli uomini di parte che positivamente agiscono ed operano nella sfera politica. E costituiscono così il più grave pericolo per la giustizia, come, del resto, costituiscono il più grave pericolo per l'amministrazione della cosa pubblica. Quando Silvio Spaventa nel 1880 pronunciò, dinanzi all'Associazione costituzionale di Bergamo, quel celebre discorso che viene ancora ricordato come fondamento della nostra giustizia amministrativa, cominciò il suo dire ricordando una precedente riunione tenutasi pochi mesi prima a Napoli, nella quale erano intervenuti i più autorevoli uomini politici italiani, i quali tutti avevano concordemente rilevato e proclamato, il più grave pericolo per le istituzioni del nascente Stato italiano essere costituito dall'illegittima ingerenza dei deputati nell'amministrazione.

La stessa cosa si può dire ora della possibile influenza di deputati e di partiti sull'amministrazione della giustizia, influenza che può principalmente esercitarsi mediante la creazione di giurisdizioni speciali.

Ricordo l'episodio del discorso di Silvio Spaventa, onorevoli colleghi, perché in esso si trattava dei deputati... del 1880! Comunque il principio, la vera spinta, la vera molla delle giurisdizioni speciali è questa.

Ma c'è un'altra ragione, che è una ragione giusta e logica e perfettamente accoglibile, dell'esistenza delle giurisdizioni speciali, cioè che in tante materie speciali — e nei tempi moderni tutte le materie si vanno sprofondando sempre più nella specializzazione — il giudice ordinario non è adatto, perché il giudice ordinario ha un sistema rigido, dagli spigoli netti, dal sillogismo rigoroso quale s'addice al vigile senso del diritto, e non può essere pronto a quegli apprezzamenti duttili, elastici che sono richiesti da tanti ambienti e da tante materie speciali. Prendiamo, ad esempio, la materia amministrativa, in cui prevale l'interesse pubblico, pur commisto con l'interesse individuale. In essa più che il criterio rigido del giudice ordinario, occorre la duttilità dell'amministratore, del giudice proveniente dall'amministrazione il quale ha viva la sensibilità di tanti interessi contrastanti, e dell'interesse collettivo in ispecie.

Ecco la ragione fondamentale per cui le giurisdizioni speciali sono necessarie. È una ragione profondamente diversa, da quella che giustifica l'esistenza della Corte costituzionale, giurisdizione speciale anch'essa, come vedemmo, richiesta però al fine dell'equilibrio e dell'armonia fra i tre fondamentali poteri della sovranità. Ora, per un compiuto parallelo tra queste varie speciali giurisdizioni, e per l'esame del grado di indipendenza che a ciascuna di esse devesi assicurare, è mestieri indagare come il progetto le configuri e le congegni.

A quali criteri, a quali principî il progetto si informa? Vediamo brevemente qui la struttura e l'indipendenza che dà alle giurisdizioni speciali; vedremo dopo, a confronto, quelle della Corte costituzionale. Il progetto, in primo luogo, riconosce la giurisdizione ordinaria. In questa giurisdizione ordinaria si propone poi di creare delle sezioni speciali con l'intervento di tecnici per le materie speciali, che dovrebbero avere speciali giurisdizioni. Passi pure, ma io devo dire che non è una cosa che mi soddisfi completamente. Ho parlato con illustri magistrati che moltissime volte nella loro carriera si sono trovati in questi collegi composti da giudici e da laici, e mi hanno detto che le due parti non si fondono, non avviene una composizione intima fra l'una e l'altra, in modo da dar vita a un organismo nuovo, differente dai due organismi originari. I giudici restano giudici, i laici restano laici. Le questioni giuridiche sono decise soltanto dai giudici, come se i laici non ci fossero; le questioni tecniche vengono decise dai laici come se i giudici non ci fossero.

Non è dunque, una soluzione che possa lasciare completamente tranquilli.

[...]

Abbiamo così accennato ai quattro settori principali di giurisdizioni speciali, in contrapposto alla speciale giurisdizione costituita dalla Corte costituzionale. Possiamo cominciare a delineare le fondamentali differenze che caratterizzano le une e l'altra. Le une agiscono ciascuna dentro un determinato settore; l'altra non ha un settore proprio (tranne per i giudizi sulle accuse alle alte cariche dello Stato, attività accessoria e secondaria) ma garantisce l'osservanza dei limiti posti ai poteri della sovranità, sta, cioè, in un piano superiore a quello delle altre giurisdizioni speciali che restano entro l'ambito del potere giurisdizionale. Altre giurisdizioni speciali vi sono, e l'onorevole Merlin vi ha detto che sono numerosissime; vi sono molteplici collegi arbitrali, vi sono i Consigli di Prefettura, i Consigli di leva, le attribuzioni giurisdizionali dei Ministri. Il progetto dice che di esse si dovrà fare una revisione entro cinque anni; e che per crearne di nuove occorrerà la maggioranza assoluta dei membri delle due Camere. Norme, queste, insufficienti di certo. A me pare che un progetto organico e completo possa essere questo: alla base, la giurisdizione ordinaria, sia pure con delle sezioni specializzate per speciali materie; poi i quattro settori già esaminati di giurisdizioni speciali: amministrativa, contabile, fiscale, militare; e, all'infuori di esse, stabilire una netta direttiva tendente al divieto di creare nuove giurisdizioni speciali. E siccome a rendere veramente efficace tale direttiva è insufficiente la remora proposta nel progetto, cioè la maggioranza assoluta dei membri delle Camere, io propongo che si renda più grave tale remora richiedendo la maggioranza dei due terzi dei membri delle Camere e il parere del Consiglio Superiore della Magistratura ed altresì della Corte costituzionale. A di sopra di tutte, e a garanzia dei limiti posti all'attività dei vari poteri dello Stato, la giurisdizione della Corte costituzionale. Entro tre anni, revisione delle giurisdizioni speciali ora esistenti, permettendone la conservazione solo se approvata da una maggioranza di due terzi dei membri delle Camere, e su parere del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale. Questo mi parrebbe un complesso architettonico, del quale i piloni fondamentali sarebbero i tre poteri dello Stato, in cui le varie giurisdizioni ordinarie e speciali, comprese nell'ambito del potere giudiziario, sarebbero regolate dalla Cassazione e i tre poteri sarebbero regolati dalla Corte costituzionale.

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente:

afferma che l'indipendenza dei magistrati, considerata non come privilegio loro concesso, ma come garanzia essenziale per i cittadini, impone sia costituzionalmente fissato l'assoluto divieto di essere iscritti ad un partito politico e di partecipare comunque a pubbliche manifestazioni politiche per tutti coloro che fanno parte dell'Ordine giudiziario,

delibera che:

1°) istituita la giuria popolare, sia demandata alla legislazione del futuro Parlamento la fissazione delle norme che ne disciplinino il funzionamento, ne organizzino la formazione e ne disciplinino la competenza, tenuto conto dei dati dell'esperienza e delle necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti necessari, intellettuali e morali per l'esercizio della loro grave funzione;

2°) siano conservati i tribunali militari, il cui funzionamento e la cui competenza saranno regolati da leggi del futuro Parlamento;

3°) con la creazione del Consiglio superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell'amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l'iniziativa dell'azione disciplinare da parte del Ministro responsabile, ed il controllo parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

Mastino Gesumino. [...] Ed io, che vi ho promesso di essere rapidissimo, passo senz'altro alla discussione dell'argomento intorno al quale tanta vasta eloquenza è corsa in quest'Aula: l'argomento della istituzione delle giurie popolari.

Permettetemi che vi dica che anche su questo punto è bene che si precisino più esattamente i concetti. La maggior parte degli oratori, che hanno negato l'opportunità dell'istituzione della giuria popolare, l'hanno negata affacciando le grandissime deficienze che la giuria popolare ha manifestato finora; hanno cioè negato, discusso, dichiarato inammissibile non l'istituto, ma la giuria popolare così come ha finora funzionato.

Ma noi non possiamo partire dal presupposto che la giuria popolare debba necessariamente funzionare nel futuro come sempre ha funzionato nel passato; e che non sia possibile costituirla diversamente e creare della giuria popolare un organismo giuridico tale che funzioni senza i difetti che giustamente sono stati affacciati, in modo da potere inserire nell'amministrazione della giustizia un istituto circondato dal prestigio e dalla forza derivantigli dalle sue fonti naturali, popolari, dirette. Si sono prodotti, a sostegno delle diverse tesi, molti esempi. Permettetemi che vi dica che anche io potrei fornirvi esempi numerosi e citarvi casi diversi, avendo indossato la toga del procuratore generale nelle Corti d'assise, e successivamente, per molti anni oramai, indossato la toga del difensore; sicché ho potuto valutare, partendo dalle diverse concezioni, da un campo e dall'altro, e i difetti e i pregi dell'istituto. Io ho iniziato la mia missione di avvocato, difendendo la parte civile in un processo in cui erano imputati vari fascisti che avevano selvaggiamente assassinato nel piccolo paese di Portoscuso, due poveri pescatori. Si era all'inizio del movimento fascista, e tutte le bande armate, assoldate dal potere, che ancora non si era fortemente costituito, ma che cercava in tutti i modi di fortemente costituirsi, premevano alle porte dell'aula dove si svolgeva il processo, affinché gli imputati fossero assolti. Ogni mezzo terroristico fu usato; ma i giurati non piegarono, e condannarono.

Successivamente io difesi in Corte di assise, per tre mesi, alcuni imputati di aver ucciso il segretario politico di un piccolo comune. Le forze del fascismo erano allora in piena esplosione di violenza; ed anche allora tutti i mezzi furono usati perché gli imputati venissero condannati. Quattro testimoni di difesa furono arrestati. Il processo durò tre mesi. Il collegio di difesa dovette in gran parte abbandonare l'aula ed affidare la difesa ad uno solo degli avvocati. I giurati — con fermissimo animo — assolsero gli imputati ad unanimità di voti.

Per darvi un esempio dell'altro campo, vi dico che ancora echeggia nel mio cuore il pianto di una povera donna ottantenne che ho difeso davanti al tribunale. Era imputata di aver dato un litro di olio per un poco di grano. Io la difesi d'ufficio, disperatamente. Chiesi al tribunale che concedesse almeno, se non voleva accedere alla tesi dell'infermità mentale o della semi infermità mentale, la sospensione condizionale della pena.

Il tribunale non applicò la legge; ma applicò una circolare ministeriale che vietava la concessione della sospensione condizionale della pena, anche nei casi in cui la legge tale diritto attribuiva all'imputato condannato. Questo vi dico, perché è mia profonda convinzione che gli errori della Magistratura togata siano pari, nella linea morale e di fatto, agli errori che ha commesso l'antica giuria popolare. Dalla mia esperienza ho tratta la profonda convinzione che la giuria popolare ha in grado eminente quella dote essenziale che dovrebbero avere tutti coloro cui spetta il tremendo dovere di giudicare i propri simili: la particolare sensibilità derivante dall'essere il giudice prodotto dell'ambiente in cui il delitto nacque. Se un insegnamento profondo io ho tratto dalla mia vita e dalla mia passione di avvocato, l'insegnamento è questo: che allorquando si tratta dei più gravi delitti, soprattutto di quelli di sangue, non ci troviamo mai di fronte ad un fatto normale. Non è esatto che giudicare un ladro sia lo stesso che giudicare un assassino. Esiste tra i due giudizi una differenza essenziale. Nelle profondità stesse di ogni essere umano c'è un profondo ribrezzo per il sangue. Per superare questo ribrezzo, ed uccidere; per commettere questo atto che è tremendo per tutti, devono concorrere, insieme col crollo psicologico di tutte le barriere opposte dalla coscienza e dall'istinto, speciali situazioni di fatto, speciali condizioni ambientali, specialissime posizioni subiettive. Tutto deve essere valutato con sincerità e, direi, con naturalità, senza contorsioni dialettiche molte volte abili, troppe volte aberranti. La Magistratura ordinaria, attraverso la professione del giudicare, qualche volta perde la prontezza della facoltà di reagire con sensibilità umana al fatto umano.

Ed allora, per quali ragioni noi dobbiamo privare il cittadino di questo mezzo di giudizio, unicamente partendo dai difetti di funzionamento finora rilevati?

L'essenziale è che noi studiamo i mezzi per migliorarlo.

Affermiamo ora nella Costituzione il principio istitutivo della giuria popolare. Rimandiamo al futuro legislatore le norme, con cui questa funzione sarà disciplinata. Questa è la conclusione cui giungo nel mio ordine del giorno: della giuria popolare dovrà essere organizzata la formazione e disciplinata la competenza, tenuto conto dei dati dell'esperienza e della necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti intellettuali e morali richiesti per l'esercizio di questa grave funzione.

Penso che una giuria diversamente organizzata, diversamente scelta, diversamente composta, possa contemperare i pregi della Magistratura togata coi grandissimi pregi della Magistratura popolare.

Una delle ragioni, per cui penso che la giuria popolare è da conservare, è anche la seguente: il modo egregio con cui funzionano i tribunali militari. Non credo che questo debba parer strano a chi ha pratica dei tribunali militari. È mia profonda convinzione, formatasi attraverso l'esperienza personale, che, sia in pace come in guerra, i tribunali militari funzionino con tanto profondo senso di giustizia proprio perché si attua in essi quella formazione speciale della selezionata ed idonea giuria popolare, che io invoco.

L'istituto della giuria popolare rappresenta pertanto una necessità di giustizia, non formale ma sostanziale, anche se rapportato al tribunale militare, che ha sempre dimostrato prontezza di reazione psicologica e profondo senso di umanità.

L'obiezione fondamentale mossa contro l'istituzione della giuria, cioè la inappellabilità delle sue sentenze, deriva anch'essa dal presupposto che la giuria debba rimanere tale quale è stata organata finora. Non è obiezione insuperabile, perché non è impensabile una sentenza della giuria popolare riesaminata da una sezione della Corte di cassazione, anche nel merito, e rimandata ad altra Corte di assise per il riesame.

Non si dica, come con superficialità si è detto, che ciò snaturerebbe la Corte di cassazione; perché non è esatto che la Corte di cassazione non giudichi mai sul merito, che la sua funzione si esaurisce sempre in una pura indagine di diritto. In tutte le materie che attengono ai conflitti di giurisdizione e di competenza, la Cassazione giudica necessariamente anche pel merito. Perciò l'obiezione giuridica non regge, essendo sempre possibile che la Cassazione riesamini, anche nel merito, i giudizi delle Corti di assise li annulli, e rimandi al giudizio di altra Corse di assise.

In quanto al sì ed al no, in cui si concentra tutto il giudizio dei giurati e che tanti clamori di disapprovazione ha suscitato in vari oratori, mi si consenta di dire che tutti i giudizi umani si concretano e si concludono in un sì od in un no. È la motivazione del sì e del no, quella che a noi sta a cuore. Anche qui si commette l'errore di dare come immutabile il funzionamento attuale della giuria, il quale non è altro che una trasformazione malfatta dell'antico funzionamento. Infatti anticamente i giurati si radunavano per il verdetto e discutevano in camera di consiglio per ore ed ore, in modo che il sì od il no era il frutto di una lunga meditazione e di una approfondita discussione.

In quanto alla motivazione, è possibile che voi, esperti giuristi, che qui siete convenuti da ogni parte d'Italia, vi fermiate di fronte ad un obiezione la quale può essere in molti modi, giuridicamente, superata? Come il magistrato togato può associarsi tecnici estranei alle sue file in certi giudizi, così non è impensabile che alla Magistratura popolare si aggreghi un giudice togato il quale partecipi al processo ed, in camera di consiglio, alle decisioni. Io non intendo presentare una conclusione, ma voglio prospettare una proposta unicamente per rilevare che le impossibilità affacciate da alcuni colleghi sono soltanto apparenti e non insuperabili, in quanto vengono dedotte da un dato di fatto inesatto ed aberrante. Si afferma la inaccettabilità della giuria popolare perché ha funzionato male; invece di studiare i mezzi e le forme perché funzioni bene.

[...]

Presidente Terracini. [...] Sono del parere che noi possiamo votare questi ordini del giorno, se mai, mano a mano che incontreremo gli argomenti specifici che essi trattano.

Occorrerebbe che in precedenza, però, i presentatori dei vari ordini del giorno, che toccano problemi comuni, con soluzioni eguali, si mettessero d'accordo, per presentare un testo solo, in maniera da togliere all'Assemblea la preoccupazione della scelta dell'ordine del giorno da porre in votazione.

Non vorrei che, accingendoci poi a votare quegli ordini del giorno che presentano una analogia e che sono confondibili tra di loro, sorgesse la questione della precedenza.

[...]

io sono del parere che (essendo stato utile ed interessante ascoltare in soprannumero, oltre agli oratori iscritti nella discussione generale, anche i presentatori degli ordini del giorno), giunti a questo punto, possiamo passare all'esame degli emendamenti.

Se non vi sono obiezioni, o se qualche presentatore di ordine del giorno non rivendica il diritto di porlo in votazione, propongo dunque all'Assemblea di passare all'esame degli emendamenti relativi all'intitolazione di questo titolo.

L'onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a questo riguardo.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco pienamente alla proposta del Presidente.

(Così rimane stabilito).

[...]

[Per la parte seguente, il testo completo della discussione è riportato a commento dell'articolo 101.]

Presidente Terracini. L'onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: La funzione giurisdizionale, sostituire: La giurisdizione;

sopprimere l'inciso: espressione della sovranità della Repubblica;

alle parole: è esercitata in nome del popolo, sostituire: è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo italiano».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all'esercizio della giurisdizione nei processi di Corte d'assise nei modi stabiliti dalla legge».

«Sopprimere l'ultimo comma».

L'onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgerli.

Nobili Tito Oro. [...] precisare che la giurisdizione è esercitata in nome del popolo non è soltanto riallacciarsi alla formula d'investitura della potestà giusdicente, che nel nostro ordinamento repubblicano abbiamo sostituita alla quasi secolare, aulica e non veritiera formula d'investitura cesarea, come requisito formale delle sentenze che sono il prodotto della giurisdizione, ma è precisare la fonte prima dalla quale la giurisdizione deriva: giacché dai primordi della umana società, dal periodo matriarcale e patriarcale alle prime civiltà, fu sempre nel popolo, e non soltanto simbolicamente, il potere di rendere giustizia. Per questo dicevo che il primo articolo del Titolo quarto riguarda la fonte della giurisdizione; per questo ho proposto che anche la norma dell'articolo 96, che al popolo riserva la diretta partecipazione all'esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise, sia qui trasferita.

[...]

Riassumendo. Vanno soppressi, secondo la mia proposta, i commi due e tre. Ma, poiché, come ho spiegato, nell'articolo 94 io vedo l'indicazione delle fonti della giurisdizione, in quanto vi si afferma che la Magistratura esercita la giurisdizione in nome del popolo, io vorrei qui completare lo sviluppo di questo concetto, col trasferirvi la disposizione che è contenuta all'articolo 96, per quanto riguarda la possibilità della partecipazione diretta del popolo all'esercizio della giurisdizione nei processi di Corte di assise. In altri termini, poiché nel primo comma è affermato che la giurisdizione è esercitata dalla Magistratura in nome del popolo, il che implica il riconoscimento che il potere di giustizia risiede originariamente nel popolo, io chiedo che al popolo sia riservato di partecipare direttamente ai processi di Corte d'assise nei modi stabiliti dalla legge. Non faccio richiamo specifico alla giuria, ma chiedo sia affermata la possibilità che coll'ordinamento giudiziario o coll'ordinamento processuale si riconosca al popolo questo diritto nelle forme che saranno stabilite; mi pare che questa formula possa soddisfacentemente risolvere i contrasti che si sono rivelati: dacché rimane impregiudicata la forma della reclamata partecipazione del popolo a questi giudizi, che riguardano anche i più gravi processi politici; come rimane impregiudicata la reclamata necessità d'imporre anche per essi la motivazione delle decisioni e di riconoscere contro queste il diritto di appello.

[...]

Presidente Terracini. [...] Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

Nobili Tito Oro. [...] Per quanto poi si riferisce al trasferimento dell'articolo 96, come da me emendato, all'articolo 94, l'onorevole Presidente della Commissione non ha esposto il suo pensiero. Io tuttavia vi insisto: perché trasferendo l'articolo 96 all'articolo 94, noi completeremmo la disposizione relativa alle fonti della giurisdizione...

Presidente Terracini. Onorevole Nobili Tito Oro, la prego, poiché lei mantiene il suo emendamento, non è più necessario che lo motivi ulteriormente, avendolo già fatto in precedenza.

Nobili Tito Oro. Volevo dire solo che in proposito non ho avuto modo di conoscere il pensiero della Commissione: comunque, non insisterò in questa sede nel proposto trasferimento dell'articolo 96, ma tornerò ad insistervi quando di questo si discuterà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io prego l'onorevole Nobili Tito Oro di considerare che il mettere qui questa disposizione significherebbe risolvere incidentalmente una questione sulla quale ci potremo pronunciare per mezzo di altri emendamenti più chiari. Vi sono altre formule proposte in questo senso. Ve n'è una dell'onorevole Targetti che dice che il popolo partecipa alla giustizia direttamente, nei casi stabiliti dalla legge; vi sono altre formulazioni che ammettono che si possano stabilire presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate con la partecipazione di elementi estranei alla Magistratura; il che potrebbe dare la possibilità di qualcosa d'analogo alla giuria. Vedremo allora; non è il caso qui di una risoluzione incidentale e dubbia. E poi non comprendo perché si dovrebbe, con l'accenno desiderato dall'onorevole Oro Nobili, spezzare la linea semplice e solenne di un'affermazione che apre l'intero Titolo.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti