[Il 22 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo IV della Parte seconda del progetto di Costituzione: «La Magistratura».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo ora all'articolo 96, nel testo iniziale della Commissione.

Se ne dia lettura.

Molinelli, Segretario, legge:

«Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia mediante l'istituto della giuria nei processi di Corte d'assise».

Presidente Terracini. A questo articolo sono stati presentati numerosissimi emendamenti, in modo particolare soppressivi. Sono stati svolti gli emendamenti soppressivi degli onorevoli Monticelli, Rossi Paolo, Colitto, Ruggiero Carlo, Villabruna, Badini Confalonieri, Mastino Pietro, Merlin Umberto, Scalfaro e Castiglia. Vorrei che gli onorevoli Gabrieli, Rescigno, Perrone Capano e Nobili Tito Oro, presentatori anch'essi di emendamenti soppressivi, dichiarassero se si rimettono allo svolgimento già fatto dai suddetti numerosi colleghi di questa stessa proposta, oppure intendano aggiungere qualche cosa.

Ha facoltà di parlare l'onorevole Gabrieli.

Gabrieli. Mi rimetto alle dichiarazioni già fatte in sede di discussione generale.

Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare l'onorevole Rescigno.

Rescigno. Anche io mi rimetto alle argomentazioni che sono state svolte dagli altri colleghi.

Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare l'onorevole Perrone Capano.

Perrone Capano. Desidero aggiungere soltanto che sono stato portato a proporre il mio emendamento soppressivo particolarmente per la mia esperienza di avvocato penale. In virtù di questa esperienza, contratta nei molti anni durante i quali ho praticato la Corte d'assise coi giurati, mi sono convinto della necessità imprescindibile di unificare la giurisdizione penale. Desidero rilevare inoltre che il mantenimento della giuria determinerebbe alcune contraddizioni nel testo del progetto di Costituzione. Il progetto, infatti, afferma innanzitutto il principio che i magistrati non debbono appartenere a partiti politici, e poi affida l'esame e la decisione dei giudizi penali di maggiore entità a cittadini i quali potrebbero essere iscritti a partiti politici.

Il progetto di Costituzione afferma il principio che ogni sentenza debba essere motivata, e poi con l'articolo 96 viola questo concetto, perché pone il presupposto per cui, per i giudizi relativi ai delitti di alta criminalità, il pronunciato del giudice non sarà motivato.

Infine, sancisce il principio che ogni sentenza deve essere soggetta a impugnazione e per i giudizi di Corte di assise compromette tale possibilità, mentre, a mio avviso, sarebbe più che mai necessario un giudizio di appello nei riguardi dei processi relativi ai delitti di alta criminalità.

Presidente Terracini. Ricordo che sono stati svolti anche i seguenti altri emendamenti:

«Sopprimerlo.

«Subordinatamente, sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa unitamente ai magistrati all'amministrazione della giustizia nei processi di Corte d'assise, secondo le norme di legge.

«Murgia».

«Sopprimerlo.

«Subordinatamente, sopprimere le parole: mediante l'istituto della giuria.

«Colitto».

«Sostituirlo col seguente:

«Nei processi di Corte di assise la giustizia è amministrata da una Corte criminale composta di magistrati designati dal primo presidente della Corte di cassazione, sentito il parere del Consiglio superiore della Magistratura.

«Abozzi».

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia mediante l'istituto della giuria nei processi per reati politici.

«Sardiello».

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia nelle Corti di assise, alle quali è attribuita la cognizione dei delitti contro la personalità dello Stato.

«Romano».

«Sostituire le parole: nei processi di Corte d'assise, con le seguenti: nei processi penali.

«Persico».

«Aggiungere in fine:

«Le sentenze delle Corti di assise sono soggette ad appello nei modi stabiliti dalla legge.

«Mannironi».

Segue l'emendamento dell'onorevole Nobili Tito Oro così formulato:

«Sopprimerlo, in relazione agli emendamenti presentati al secondo e all'ultimo comma dell'articolo 94».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobili Tito Oro. Il mio emendamento in realtà non è un emendamento soppressivo. È un emendamento modificativo; ma io non ho nessuna difficoltà di consentire alla soppressione dell'emendamento stesso con i criteri che sono stati stabiliti.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Targetti, Costa, Carpano Maglioli, così formulato:

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

L'onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

Targetti. Nel presentare quest'emendamento io ho cominciato coll'emendare me stesso, perché la storia dell'articolo a cui si riferisce è questa. Innanzi alla Sottocommissione, che era incaricata di occuparsi del Titolo relativo al potere giudiziario, stavano due proposte: una del collega onorevole Leone ed una del collega onorevole Calamandrei. Mentre il progetto conclusivo della relazione dell'onorevole Calamandrei prevedeva una generica partecipazione di giudici popolari nei giudizi di competenza della Corte di Assise senza specificarne le modalità, che rimetteva alla legge, l'onorevole Leone, coerentemente al suo temperamento battagliero, non si era accontentato di fare un accenno indiretto alla questione della giuria, ma si era proposto di risolvere definitivamente il problema proponendo, senz'altro, di ricondurre la competenza dell'Assise, come egli si espresse, nell'ambito della competenza del Tribunale. Fu in contrapposizione di questa sua proposta che perpetuava il bando della giuria dalla nostra legislazione, che io formulai e sostenni l'articolo che poi la Commissione dei settantacinque approvò e che figura nel testo sottoposto all'esame dell'Assemblea Costituente.

Si comprende facilmente come possa nascere la domanda perché io abbia, poi, preso l'iniziativa di emendare questa proposta che era partita da me. Per questa considerazione: mentre la formula suggerita da me in sede di Commissione, e che ebbe la fortuna e l'onore di essere approvata dalla Commissione dei settantacinque, diceva: «Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia attraverso l'istituto della giuria», io ho ritenuto opportuno modificare questa formula, mantenendone però intatta la prima parte, cioè quella nella quale si afferma che il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia. A questo proposito si potrà domandare perché questo avverbio «direttamente». A me è sembrato, e così ai colleghi della Commissione dei settantacinque, opportuno e non superfluo, perché se in un certo senso si può dire che il popolo partecipa indirettamente all'amministrazione della giustizia, partecipando alla costituzione del Parlamento il quale, a sua volta, elegge il Consiglio Superiore della Magistratura, che nomina i magistrati, qui occorreva specificare che si trattava di un'altra specie di partecipazione, di una partecipazione diretta.

L'espressione «direttamente», è stata usata non per fare un'affermazione demagogica, che i colleghi sanno non sarebbe stata di mio gusto, ma per la necessità di esprimere un concetto che non si prestava ad essere denunziato diversamente. Mentre, dunque, manteniamo la formula: «Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia» invece di dire «attraverso l'istituto della giuria» proponiamo di dire «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge».

Ciò perché, onorevoli colleghi, io credo che in questa sede non sia dare prova di eccessiva condiscendenza, ma di una necessaria saggezza, se ciascuno di noi, se ciascuno dei Gruppi in cui si divide questa Assemblea, fa tutto il possibile per dividersi il meno possibile nelle decisioni che si devono prendere in tema di Costituzione, cercando di rinunziare a tutto ciò che possa creare delle diversità, delle differenze, dei disaccordi evitabili senza fare nessuna concessione di sostanza, nessuna rinunzia di idee fondamentali.

Quindi, con la dizione «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge» intendiamo lasciar aperto il campo a qualsiasi forma di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. Detto questo, però, dobbiamo dichiarare, non solo per onestà e per franchezza, ma anche perché la nostra disposizione non possa prestarsi ad interpretazioni equivoche, che per noi socialisti, per gli appartenenti al mio Gruppo, la giuria è la forma, nella quale meglio si manifesta una diretta partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia.

L'Assemblea non si spaventi se ho ricordato la giuria, non tema cioè che io voglia tornare su quest'argomento che è stato, in un senso e nell'altro, così largamente ed egregiamente trattato in questa discussione.

Noi siamo favorevoli alla giuria per tutte quelle ragioni che sono state esposte da colleghi valorosissimi; fra gli altri dall'onorevole Macrelli, dall'onorevole Veroni e dal nostro carissimo compagno onorevole Mancini, che ha pronunziato in questa occasione uno di quei discorsi che fanno onore non soltanto a chi li pronunzia, ma anche all'Assemblea a cui l'oratore appartiene.

Io mi limito a fare un solo rilievo.

Dagli avversari della giuria è stata citata l'alta autorità di Enrico Ferri. Alta nel campo della criminologia. Altri campi, in questo momento, non ci interessano. In realtà, sì, il Ferri era contrario alla giuria, ma era però ugualmente contrario anche ai giudici togati, così come sono reclutati. Egli aveva, infatti, una concezione ben precisa di quella che avrebbe dovuto essere la funzione punitiva, che invece che ad uomini esperti nel diritto, egli avrebbe voluto in gran parte affidare a psicologi, a psichiatri, a medici, a biologi. Insomma, ad uomini di scienza piuttosto che a giuristi.

Io ricordo tuttavia la conclusione cui egli pervenne nell'ultima intervista che ebbe occasione di concedere su questo argomento nel 1922. Fra gli altri difetti Enrico Ferri, aveva quello di ripetersi. Gli accadde così, anche in quella circostanza, di servirsi contro i giurati di un argomento che gli era in questo tema consueto. Se io ho un orologio guasto — disse — non andrò certamente per farlo riparare da un calzolaio. Così anche le cause penali dovrebbero essere portate dinanzi a dei competenti a giudicare. Ma, alla domanda specifica se egli intendesse proporre alla Commissione per la riforma del Codice penale, di cui era Presidente, la soppressione della giuria, Enrico Ferri si strinse nelle spalle eppoi finì col dire che i giudici popolari avrebbero continuato a far giustizia finché non si fosse avuta una magistratura tecnica, realmente capace di giudicare anche i reati più gravi.

Onorevoli colleghi! Noi potremmo additarvi anche altri inconvenienti, anche altri difetti oltre tutti quelli che i nostri contraddittori hanno messo eloquentemente in luce per combattere la giuria, ma, arrivati ad un certo punto, spunterebbe forse l'alba e l'alba ci sorprenderebbe ancora a discutere, ci sorprenderebbe ancora nel momento critico della discussione, quando noi torneremmo a chiedervi che cosa voi vorreste sostituire a questo istituto della giuria e nessuno di voi sarebbe in grado di rispondere.

Nessun giurista, nessun legislatore ha potuto mai suggerire né trovare una forma di giudizio che potesse degnamente sostituire questo istituto. Si è discorso di tante cose, si è parlato dello scabinato, si è parlato della gran corte criminale. Ma, onorevoli colleghi, anche la gran corte criminale napoletana non emanava forse delle sentenze che erano inappellabili proprio come quelle che emana la giuria popolare? Ed allora perché scandalizzarsi dell'inappellabilità dei verdetti popolari? Ma i giurati, si dice, hanno commesso molti errori. Sì, onorevoli colleghi, ne hanno commessi molti e molti ne commetteranno, come ne hanno commessi, ne commettono e ne commetteranno i giudici togati; come è destinato a commetterne chiunque si trovi a dover giudicare un suo fratello, ad assolverlo o condannarlo. Siano pure destinati, i giurati, a commetterne ancora e molti, ma sempre dalla loro giustizia emanerà qualche sprazzo di luce, qualche raggio di bontà che andranno ad illuminare quello che spesso è il grigiore della legge amministrata da giudici togati, che la vita ha reso scettici e stanchi.

Se, onorevoli colleghi, anche il legislatore più saggio, non è riuscito, nella freddezza del suo studio a fissare, a prevedere e ben regolare, a seconda del movente, della personalità, dell'animo di chi è trasceso a violare la legge penale, tutti i casi da giudicare, lasciamo che ci siano i giurati. Ben vengano allora i giurati che, nella loro, sia pure impetuosa e tumultuosa passionalità, possono rompere tutte queste impalcature, che il legislatore aveva creduto di erigere incrollabili, possono rompere questi compartimenti stagni in cui il legislatore aveva creduto di poter incasellare tutti i moti dell'animo, e in casi nei quali e la legge e la giurisprudenza e il magistrato dicevano: «condanna», possono dire «assoluzione». Non domandate ragioni, giudizi motivati di questi che possono essere errori giuridici, ma che spesso sono grandi riconoscimenti di esigenze della legge umana.

E non vi dico altro, onorevoli colleghi, e mi scuso anche di avervi parlato di quello di cui mi ero proposto di non parlare: cioè dei difetti e dei pregi della giuria, per venire a questa conclusione: noi proponiamo una formula, nella quale — ripetiamo — è compresa, è contemplata, in primo luogo, per il nostro convincimento, la giuria. Però è una formula che permetterà alle Assemblee legislative di domani di far partecipare il popolo, in modi anche diversi, all'amministrazione della giustizia.

Quando noi diciamo «nei limiti», indichiamo che sarà la legge a determinare la competenza: problema arduo, anche questo, della competenza che deve essere attribuita ai giurati. Da più parti si dice: soltanto reati gravissimi, e si può aver ragione; da un'altra si dice: soltanto i reati politici, e si può aver ragione; ma si può in questo anche aver torto, almeno in certi momenti che abbiano determinati caratteri politici. Io ricordo nei tristi inizi del tristissimo periodo fascista di aver trovato una maggiore possibilità di giustizia presso i giudici togati che presso certe giurie, che erano influenzate politicamente, o erano costrette a dire una parola diversa anche da quella che pensavano, per quella intimidazione che si esercitava più facilmente dal fascismo sopra i giurati che non sui magistrati togati. E a proposito dei magistrati — dei quali tanto si dice male e spesso con ragione — lasciatemi anche ricordare che vi sono stati, nel tristissimo periodo fascista, dei magistrati che hanno avuto il coraggio, in mezzo a difficoltà che non si possono apprezzare senza averle conosciute, e sfidando dei pericoli che non si possono giudicare se non si sono sfidati, di mantenere fede, nonostante tutto e tutti, al loro dovere: quello di amministrare giustizia senza guardare in faccia a nulla e a nessuno. Sacrifici talvolta eroici e mai riconosciuti né apprezzati nella misura giusta.

E se, onorevoli colleghi, si dice nel nostro emendamento «nei limiti determinati dalla legge», non pregiudichiamo neppure la questione della competenza; se noi diciamo «nei modi stabiliti dalla legge», non pregiudichiamo nessuna forma di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.

È per questo che facciamo le insistenze più vive presso tutti i nostri colleghi di voler aderire a questa nostra proposta. Non aderirvi vorrebbe dire chiudere la via oggi come domani, fino al giorno in cui non si arrivasse ad una revisione della Costituzione, all'istituzione di questa forma di Magistratura — ed è l'ultima osservazione che mi permetto di fare — che è adottata da tutte le Nazioni. Non si può dire: c'è l'obbligo di fare in un determinato modo perché tutti fanno così; quest'obbligo non c'è; ma sarà sempre lecito dire che prima di fare in un modo diverso da quello di tutti i popoli che sono anche organizzati, ordinati come noi, democraticamente, bisogna un po', onorevoli colleghi, esitare; perché altrimenti una mancanza di esitazione non vorrebbe dire un'esuberanza di coraggio, ma una vera audacia; una determinazione non ragionata. Rifiutarsi ad ammettere l'istituzione della giuria anche per un domani più o meno vicino, persino per un domani un po' lontano, non ostante che la Francia, che l'Inghilterra, che la Polonia, che l'Ungheria, che l'Austria, che tutte le Costituzioni del dopoguerra stabiliscano in modo tassativo, non quella che per noi si limiterebbe ad essere una possibilità di istituzione, ma la vera e propria istituzione, per decisione inderogabile, costituzionale, della giuria popolare, vorrebbe dire chiudere gli occhi dinanzi a fatti, ad esperienze che istruiscono ed ammoniscono.

Confidiamo per questa realtà — e non per la modestia della nostra argomentazione — che questa nostra proposta venga accolta! (Applausi Congratulazioni).

Presidente Terracini. L'onorevole Cairo e l'onorevole Carboni Angelo hanno presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Possono istituirsi per legge e per la cognizione e la decisione di determinate materie, sezioni specializzate degli organi giudiziari civili e penali con la partecipazione, regolata dalle norme dell'ordinamento giudiziario, di cittadini esperti e di giudici popolari».

L'onorevole Cairo ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Cairo. Onorevoli colleghi, l'emendamento da me proposto mi sembra in parte sostanzialmente superato dal criterio che è stato introdotto ieri nell'articolo che è stato per ultimo approvato. Infatti il nostro emendamento tendeva ad affermare il principio che nelle giurisdizioni criminali fossero chiamati a partecipare cittadini esperti o giudici popolari.

Ieri si è approvata la partecipazione generica di cittadini idonei. Quindi si è, in certo senso, anticipato il principio della partecipazione di giudici popolari o giudici non togati all'amministrazione della giustizia.

Comunque io farò qualche rilievo anche di carattere formale.

Mi consentano gli estensori della formula consacrata nel progetto, ed anche in qualche emendamento, di dire che l'esordio della formula stessa degli emendamenti — «il popolo partecipa direttamente» — mi sembra, mi si consenta, un po' enfatica.

Comunque, che il popolo partecipi alla giustizia, sia pure per il tramite degli organi giudiziari, è certo. La formula che mi permetto di contestare sembra quasi contraddire al principio che la stessa Magistratura, l'ordinamento giudiziario, la Magistratura ordinaria sia emanazione — indiretta, ma emanazione — del popolo.

Quindi riterrei più opportuno fermarsi su una dizione così come è stata formulata da me: «Possono istituirsi per legge e per la decisione di determinate materie, giudici popolari e cittadini esperti».

Si è molto discusso ed argomentato sulla giuria. Io, a questo proposito, ho una profonda incertezza, che ha il proprio riflesso nel mio emendamento, il quale potrebbe anche essere tacciato di compromesso o di transazione. Comunque, all'animo democratico di tutti noi ripugna — come diceva benissimo poc'anzi l'onorevole Targetti — di respingere senz'altro l'intervento del giudice popolare e della sua umanità, della sua integrale umanità nei giudizi penali.

La confessione di molti illustri ed egregi colleghi, che hanno esercitato per tanti anni la professione dinanzi alle Corti d'assise, ci dice che le Corti d'assise non corrispondono più oggi alle necessità di tecnica e di competenza che esige la vita umana, ogni manifestazione della vita umana, e specialmente questa della giustizia, che delle manifestazioni della vita umana è forse la più difficile e la più alta.

Quindi il mio emendamento non fa che protrarre questa decisione — che, come dico, è ardua — sulla esistenza della giuria, rimandandola ad un esame che verrà fatto da un'assemblea, la quale avrà a propria disposizione degli elementi tecnici (e questo non si ritenga offensivo per l'Assemblea) più completi per potere giudicare se la giuria dovrà rimanere così com'è o se dovrà subire quelle trasformazioni, che del resto tutti gli istituti giuridici subiscono col tempo.

Io non aggiungo altro.

Ho introdotto anche: «organi giudiziari civili» oltre che penali, appunto per affermare questo criterio basilare del mio emendamento, cioè introduzione e la partecipazione dell'elemento umano, dell'elemento che direi civico, estraneo alla tecnica della Magistratura, non solamente per il giudizio penale, ma anche per i giudizi civili, cioè l'esigenza che vicino al giudice tecnico e togato ci sia anche il giudice popolare o il rappresentante della cittadinanza che non veste la toga.

Per quanto riguarda l'esistenza della giuria così come è, io ho già richiamato la confessione fatta dai maggiori assistiti che sono intervenuti in questa discussione. Oserei dire che nella formazione della giuria c'è qualche cosa di romantico, qualche cosa di melodrammatico, qualche cosa di superato. Noi tutti, che esercitiamo da molto tempo la carriera forense, sentiamo che effettivamente nella giuria manca qualche cosa, sentiamo che la giuria ha rappresentato un'affermazione notevole dei principî di libertà nel secolo scorso, ma che oggi non rappresenta più quella esigenza tecnica che io ritengo sovrana in tutte le materie.

Quindi il mio emendamento potrà essere accolto sia da coloro che caldeggiano il ritorno della giuria, sia da coloro che sentono che la giuria non risponde più alle esigenze attuali.

C'è un ostacolo ad aderire ancora alla sopravvivenza della giuria; un ostacolo grave di carattere umano: è la mancanza della sentenza e, quindi, della doppia giurisdizione; è una esigenza sentita da tutti, perché, onorevoli colleghi, o ammettiamo che il giudice popolare sia infallibile e rappresenti qualche cosa di insuperabile nella sua sentenza e nei suoi verdetti, ed allora possiamo venir meno alla esigenza fondamentale di una revisione di secondo grado, o noi non ammettiamo a priori questa infallibilità al verdetto dei giudici popolari, ed allora dobbiamo escogitare una nuova formula la quale sancisca anche la possibilità di un appello contro la sentenza, contro il giudicato popolare. Problema difficile che io non pretendo di risolvere. Per questo ritengo che oggi sia opportuno e saggio rimettere all'Assemblea legislativa la risoluzione tecnica di questo problema. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia, nei processi di Corte di assise, nei limiti e secondo le forme che saranno stabiliti dalla legge».

L'onorevole Ghidini ha facoltà di svolgerlo.

Ghidini. Onorevoli colleghi, veramente io sono rimasto incerto fino a questo momento se dovessi mantenere o ritirare questo mio emendamento, perché ho il dubbio che la questione sia pregiudicata dalla votazione che si è fatta ieri sull'articolo 95. Alludo precisamente al capoverso primo dell'articolo 95 e al commento fattone dal Relatore.

Il secondo comma dell'articolo 95 è in questi termini: «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla Magistratura».

Mi sono chiesto se in queste sezioni specializzate che si istituiscono presso gli organi giudiziari ordinari siano comprensibili anche le giurie.

L'onorevole Leone Giovanni ha detto sì ed allora sarebbe inutile che io insistessi sull'articolo 96.

Ma per la verità, io non sono della stessa opinione o, per lo meno, non ho affatto la certezza che si possa dire che l'istituto della giuria sia compreso in questo secondo comma dell'articolo 95, cioè che si possa considerare la giuria come una sezione specializzata istituita presso un organo giudiziario ordinario. Sono perfettamente d'accordo nel ritenere che di fronte alla legislazione attuale non è un giudice speciale, perché la Corte di assise non è che una sezione della Corte di appello; e poi c'è una ragione anche più sostanziale, ed è questa, che se si trattasse di un giudice speciale, le sue sentenze dovrebbero essere impugnate dinanzi alla Cassazione a sezioni unite, mentre invece si sa che le sentenze della Corte di assise sono impugnate dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione. Quindi, indiscutibilmente, secondo la legge attuale, non ci troviamo di fronte ad un giudice speciale. Però, nella realtà delle cose, si può per lo meno dubitare, ed io ne dubito profondamente, per queste ragioni: prima di tutto perché è indubitato che la giuria è un giudice il quale si occupa soltanto di determinate categorie di reati.

In secondo luogo, i giurati non possono essere considerati come giudici ordinari, secondo l'articolo 95 votato ieri, dove si dice testualmente: «la funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari istituiti secondo le norme sull'ordinamento giudiziario». Fra questi non si possono comprendere i cittadini giurati.

Per queste ragioni io penso che realmente si tratti di un giudice speciale. Altrimenti si potrebbe pensare dello scabinato, nel quale il giudice popolare giudica unitamente al magistrato ordinario e le sentenze vengono fatte insieme, e la motivazione appartiene ad entrambi. Invece, nel caso della giuria, intesa secondo la tradizione legislativa italiana e la comune accezione, il giurato giudica da solo e in modo elusivo del fatto e della responsabilità. Per questo motivo ritengo che l'emendamento possa essere mantenuto.

Il mio emendamento somiglia a quello dell'onorevole Targetti, ma vi è una differenza fra il mio ed il suo, che è sostanziale. L'onorevole Targetti dice: «Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia nei casi e nei modi stabiliti dalla legge». Dunque, secondo l'onorevole Targetti la partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia si dovrebbe effettuare in qualsiasi giudizio, non soltanto in quelli di Corte di assise.

Se questo non è stato il pensiero dell'onorevole Targetti, ne prendo atto; e se anche egli ritiene che è soltanto alla Corte di assise che il popolo deve partecipare, allora siamo d'accordo in tutto ed il mio emendamento è identico al suo, salvo la diversa espressione verbale.

Nel mio emendamento è detto: «Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia nei processi di Corte di assise». Io elimino dal testo la frase: «mediante l'istituzione della giuria», perché, secondo il mio modo di vedere, l'istituto della giuria ha una sua significazione, che è quella consacrata da una lunga tradizione legislativa.

Nella giuria, com'è oggi intesa, esistono dei difetti che furono rilevati da molti colleghi e sono: la mancanza di motivazione ed il verdetto monosillabico. Il verdetto monosillabico contrasta anche con una disposizione della nostra Carta costituzionale, articolo 101, dove si dice che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Il sì ed il no non rappresentano una motivazione.

Si tratta di un giudice il cui verdetto, mancando di motivazione, non consente il doppio grado di giurisdizione, cioè il controllo di merito. Ecco perché io penso che si debba trovare una forma di giudizio; la quale consenta da un lato la motivazione e dall'altro il ricorso di merito. Sarà difficile trovare questa forma, ma non dispero.

A proposito della giuria v'è ancora un inconveniente sul quale hanno insistito i colleghi, ed è «l'incompetenza del cittadino giurato». È una verità parziale, come tutte le verità. Ma è certo che in talune materie, come sarebbe ad esempio nei delitti di falso documentale, di bancarotta, ecc., difficilmente potrebbe decidere un profano del diritto. Non ammetto la competenza del giurato neppure in materia di reati politici e contro la personalità esterna ed interna dello Stato.

La struttura dei reati contro la personalità dello Stato è squisitamente tecnica e sarebbe quindi pericoloso affidarne il giudizio ai giurati. E penso altrettanto pei reati politici, nei quali si disfrena più violenta la passione popolare; quella passione che indiscutibilmente è l'antitesi della giustizia che è soprattutto misura e serenità. È vero, come diceva l'altro giorno l'onorevole Avanzini, che vi sono state delle cause in cui nel giudicare i reati politici i giurati hanno emesso sentenze altamente serene, ma disgraziatamente furono un'eccezione.

D'altro canto vi sono reati che è bene siano demandati al giudice popolare: parlo dei reati gravi di sangue, dell'omicidio e dell'infanticidio. Non è che io diffidi del magistrato ordinario, per il quale anzi professo altissima stima e in virtù della mia esperienza posso ben dire che le critiche che gli sono state rivolte sono eccessive ed ingiuste. È però certo che il giudice ordinario ha minore aderenza alla realtà della vita e meno avverte l'umanità di certe cause, che devono essere risolte non soltanto in linea di puro diritto, ma col criterio della più alta equità.

Bisogna che la sentenza del giudice non sia soltanto corrispondente alla legge, ma anche alla coscienza giuridica e morale del popolo per essere efficace. La sentenza non è soltanto accertamento del fatto e degli elementi giuridici che ne fanno un reato, ma deve essere anche una norma di condotta per il cittadino.

Per questa ragione ritengo che in certi casi debba essere mantenuta la giuria, però nelle forme e nei modi dei quali parlava l'onorevole Targetti. Ecco il mio emendamento:

«Il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia nei giudizi di Corte di assise, nei limiti e secondo le norme che saranno stabiliti dalla legge».

Le norme riguarderanno la struttura dell'istituto e le condizioni di nomina dei giurati, affinché siano in grado di fare una motivazione ragionata e seria. Del resto il caso si è già verificato.

Ricordo una causa discussa a una Corte di assise dell'Emilia, nella quale vi fu un contrasto irreducibile fra i magistrati, presidente e relatore, e gli assessori: questi volevano e vollero assolvere, mentre i magistrati volevano condannare. Quei magistrati onestamente non fecero una sentenza suicida, fenomeno questo deplorevole e eccezionale, tanto che non può certamente essere motivo per ammettere una riforma dell'organo in un senso o nell'altro. La fecero invece i giurati e fu tale da riscuotere unanime plauso per la logicità e la serietà della sua motivazione.

Per queste ragioni credo che limiti precisi di competenza dovranno essere segnati dalla legislazione ordinaria ad un nuovo e diverso istituto della giuria, tale che risponda a quelle necessità di giustizia e a quelle esigenze di umanità e di equità, che sono vive e perenni nella coscienza dei popoli civili. (Applausi Congratulazioni).

Presidente Terracini. L'onorevole Coccia ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Il verdetto viene emanato dai giurati ed è inappellabile».

Ha facoltà di svolgerlo.

Coccia. Eravamo d'accordo che questo emendamento aggiuntivo sarebbe stato discusso dopo decisa la soppressione o meno.

Presidente Terracini. Sta bene. La stessa cosa si può dire dell'emendamento presentato dall'onorevole Sapienza, che è del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«I giurati sono eletti, per il tempo e con le modalità stabilite nell'ordinamento giudiziario, dai Consigli comunali dei Comuni compresi nella circoscrizione giudiziaria».

L'onorevole Mannironi ha già svolto il seguente emendamento:

«Le sentenze delle Corti d'assise sono soggette ad appello, nei modi stabiliti dalla legge».

Rescigno. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Rescigno. Vorrei, con riferimento all'emendamento dell'onorevole Mannironi ed anche a quello dell'onorevole Coccia, ed anche alle proposte qua e là avanzate da altri colleghi su questa eventuale appellabilità delle sentenze pronunciate dalla giuria popolare, dare un chiarimento.

Noi dobbiamo, poiché questa Costituzione dovrà essere letta, speriamo, anche dai posteri, non offendere certi principî fondamentali filosofici. I verdetti della giuria popolare non possono essere appellabili e non v'è bisogno di scriverlo qui, che essi sono inappellabili, perché il concetto su cui si fonda il verdetto della giuria è che esso rappresenta l'espressione della coscienza popolare. Ora, la coscienza popolare non si può esprimere sullo stesso fatto che una sola volta, per non correre il rischio di contraddire se stessa. Perciò il pronunziato, nella Corte di assise, della giuria popolare è inappellabile. Quindi non vi può essere speranza di appellabilità ed è questo l'argomento per cui sono contro la giuria, perché non mi posso persuadere come sia data la revisione per una condanna a lire 2001 di pena pecuniaria e non possa essere data revisione per la condanna all'ergastolo.

Rubilli. La Corte di assise è una sezione della Corte di appello.

Rescigno. E che vuol dire? Finché v'è la giuria, non può la sua sentenza, per ragioni di indole logica, essere impugnata nel merito. (Commenti).

Presidente Terracini. È così esaurito lo svolgimento degli emendamenti.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 11 di lunedì prossimo, avvertendo che darò la parola al Presidente della Commissione, onorevole Ruini, perché esprima il parere sugli emendamenti.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti