[Il 10 gennaio 1947, nella seduta antimeridiana, la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere giudiziario.]

Il Presidente Conti mette in discussione l'articolo 20 del progetto Calamandrei:

«Nomina dei magistrati. — La nomina dei magistrati è fatta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da un periodo di tirocinio. I requisiti per essere ammessi al concorso sono determinati dalla legge sull'ordinamento giudiziario; possono esservi ammesse anche le donne.

«Qualora per certi uffici della Magistratura sia necessaria una preparazione approfondita su determinate materie, possono essere banditi concorsi per l'ammissione a questi uffici tra candidati forniti di speciali titoli scientifici o professionali, o provenienti da altri uffici pubblici.

«L'apertura dei concorsi, la nomina delle Commissioni giudicatrici, la proclamazione dei vincitori, e tutti i provvedimenti relativi all'ammissione di essi al tirocinio ed alle ulteriori prove che essi devono superare secondo la legge per essere nominati giudici, sono del pari di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.

«Lo stesso Consiglio Superiore potrà, in considerazione di meriti insigni, proporre in via eccezionale la nomina senza concorso al grado di consiglieri di Cassazione di avvocati esercenti almeno da venti anni o di professori ordinari di materie giuridiche nelle università.

«I magistrati sono nominati a vita, salvi i limiti di età stabiliti dalla legge.

«Nei casi stabiliti dalla legge, privati cittadini potranno essere chiamati ad assumere temporaneamente attività giudiziarie, per integrare, come assessori esperti, la funzione dei magistrati.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura potrà, con le modalità fissate dalla legge sull'ordinamento giudiziario, disporre la nomina di magistrati onorari per tutte quelle funzioni giudiziarie che la legge attribuisce alla competenza dei giudici singoli».

Di Giovanni ritiene che il primo comma tratti materia di pertinenza della legge sull'ordinamento giudiziario.

Il Presidente Conti fa rilevare che nell'articolo si contengono tre proposte di notevole importanza: l'ammissione delle donne nella Magistratura; l'ammissione di giuristi che abbiano meriti insigni e la nomina di magistrati onorari.

Ambrosini ritiene che l'unico punto che potrebbe discutersi, e che è bene considerare nella Costituzione, sia quello della ammissione delle donne nella carriera giudiziaria. Per tutto il resto risorgerebbe la sua pregiudiziale, di rinviare alla legge sull'ordinamento giudiziario.

Leone Giovanni, Relatore, non è d'accordo con l'onorevole Ambrosini. Non solo il problema dell'ammissione delle donne, ma anche quello relativo al modo con cui si entra nella Magistratura dovrebbe essere risolto in questa sede. Su questo punto si è molto discusso da parte delle associazioni di magistrati e da parte di uomini politici. Uno dei problemi fondamentali posti da alcune tendenze politiche è appunto quello della elettività dei giudici, ed anche su questo occorre che la Costituzione stabilisca le direttive.

Il Presidente Conti legge, a questo proposito, l'articolo 2 proposto dall'onorevole Leone: «L'ammissione alle funzioni giudiziarie si consegue mediante concorso».

Leone Giovanni, Relatore, è contrario al sistema seguito in altre Costituzioni, che hanno dedicato pochi articoli al potere giudiziario. Nel Paese vi è grande aspettativa: esso vuol sapere se le donne possono essere ammesse o no nella Magistratura, vuol sapere come si eleggono i capi delle Corti, e questa è materia tipicamente costituzionale.

Il potere giudiziario deve essere, per il suo prestigio e per la sua funzione, riguardato con la massima larghezza nella Costituzione. Del resto, i problemi concernenti la Regione e gli altri poteri dello Stato sono stati trattati dettagliatamente e altrettanto pensa che si debba fare per le questioni in discussione.

Ambrosini riconosce che i due punti che possono sollevare discussioni e contrasti, nonché aspettative, sono quello della ammissione delle donne e quello dell'eventuale elettività dei Capi dell'ordine giudiziario.

Su questo secondo punto la Commissione ha già espresso il suo voto, ma, in considerazione delle osservazioni che sono state riproposte e anche per l'assenza di parecchi colleghi durante la discussione, sarebbe favorevole a che la questione fosse ripresa in esame.

Targetti osserva che, o si rispetta il principio dell'intangibilità delle decisioni prese o, se si ammette che si possa tornare sopra questa questione, a maggior ragione si dovrebbe ritornare sopra quella del Pubblico Ministero.

Di Giovanni è del parere che non si possa trattare dei concorsi per l'ammissione nella Magistratura, senza ritornare sulla deliberazione già presa, perché avere esaminato e deciso su questo punto e taciuto sull'altro potrebbe prestarsi ad interpretazioni erronee.

Targetti è dell'opinione di limitare la discussione alla questione della ammissione delle donne nella Magistratura.

Ambrosini propone che l'argomento della elettività o meno dei Capi dell'ordine giudiziario, sul quale aveva proposto la pregiudiziale, venga ripreso in esame insieme a quello dell'ammissione delle donne nell'ordinamento giudiziario.

Calamandrei, Relatore, è favorevole che le donne possano essere ammesse negli uffici giurisdizionali, perché esse hanno dato ottima prova in tanti altri uffici in cui occorrono doti di raziocinio, di equilibrio e di spirito logico pari a quelle che occorrono nella giurisdizione.

Si è obiettato che le facoltà psicologiche della donna sono soggette a periodiche variazioni che potrebbero portare ad una discontinuità dei giudizi; ma egli ritiene che in certi giudizi, come quelli di separazione coniugale, l'intervento della donna sia utilissimo per raggiungere un maggior equilibrio di giudizio. È quindi favorevole all'ammissione delle donne con qualche limitazione, per certe materie della giurisdizione penale.

Le chiamerebbe, però, a far parte della giuria nei giudizi di Assise e del Tribunale per i minorenni e in tutte le questioni di giurisdizione volontaria e in quelle familiari.

Ambrosini è d'accordo con l'onorevole Calamandrei e lo invita di precisare i suoi concetti in una formula concreta.

Cappi crede che le donne dovrebbero poter essere inserite e utilizzate in determinati giudizi, senza che avessero la possibilità di accedere alla carriera giudiziaria e diventare magistrati.

Di Giovanni pensa che le donne, anche per le condizioni della vita pubblica e sociale odierna, abbiano raggiunto un tale grado di maturità che precludere loro l'ingresso nella carriera giudiziaria significherebbe far loro un torto. Esse ormai partecipano a tutti gli uffici, fanno parte dell'Assemblea Costituente e non possono essere escluse dagli uffici giudiziari. Trova quindi opportuno affermare il principio, salvo poi a stabilire le modalità di dettaglio della partecipazione delle donne alla carriera giudiziaria nella legge sull'ordinamento giudiziario.

Il Presidente Conti richiama l'attenzione dei colleghi sull'articolo 3 del progetto Leone, nel quale si stabilisce che per i concorsi o, comunque, per le ammissioni in genere, non si richiedono che capacità tecniche e morali, allo scopo di escludere qualsiasi incapacità razziale o di altro genere.

Calamandrei, Relatore, propone di ridurre l'articolo 20 a soli tre commi: uno sulla nomina, che di regola avviene per concorso; l'altro sulla ammissione delle donne; il terzo sull'ammissibilità di giuristi insigni.

Uberti non è favorevole all'ammissione delle donne. La donna deve conquistare gradualmente la sua posizione. Si è accennato a porre dei limiti, ma non gli sembra ammissibile, nell'attuale carenza di magistrati, che la donna possa ricoprire qualsiasi carica nell'ordine giudiziario. Anche in un giudizio di carattere matrimoniale avrebbe dei dubbi sulla completezza della sua decisione.

Targetti dichiara di essere favorevole alla proposta dell'onorevole Calamandrei e vorrebbe che non ci fosse nessuna limitazione di funzioni. Non è cosa semplice portare ragioni contro l'ammissione della donna nella Magistratura e nella discussione che è stata fatta non gli sembra che sia stato portato alcun argomento persuasivo.

Il fatto che nessuna ragione fisiologica, nessuna presunta incapacità abbia impedito alla donna di essere nominata membro della Costituente e, in altri Paesi, di far parte del Governo o della Diplomazia, dimostra che non si può seriamente sostenere la sua incapacità a far parte della Magistratura.

Piuttosto pensa che qualche preoccupazione possa nutrirsi circa la serenità del suo giudizio nei giudizi su delitti passionali ed anche in quelli di separazione ai quali l'onorevole Calamandrei vorrebbe di preferenza farla partecipare; perché in moltissimi casi, senza una ragione logica, si son viste le donne infatuarsi a favore dell'uomo contro una donna. Ma la perfezione del giudice non si trova sempre nemmeno nell'uomo giudice.

Se v'è in molti una qualche diffidenza, una certa contrarietà a vedere la donna con la toga, ritiene che ciò dipenda più che altro da pregiudizi, da misoneismo superstite.

La stessa contrarietà si era manifestata all'inizio del movimento per l'emancipazione della donna, per la richiesta del voto; ma poiché questo pregiudizio è stato vinto e nessuno ormai mette in discussione la parità assoluta dei diritti della donna e dell'uomo, non si può oggi affermare che la donna non deve essere ammessa nella Magistratura. Se si vedono donne coprire degnamente cattedre universitarie, anche in facoltà di medicina e matematica, si chiede come si possa sostenere che essa ha un incapacità costituzionale a diventare giudice o consigliere di Cassazione.

Ripete quindi di essere favorevole alla proposta Calamandrei senza alcuna indicazione di specifiche né generiche limitazioni.

Cappi fa considerare che nella coscienza pubblica oggi non v'è la convinzione che le donne possano essere ammesse all'esercizio delle funzioni di giudice. Si è detto che le donne oggi sono eleggibili ed elettrici, ed è questa una conseguenza delle sofferenze, delle dure prove che esse hanno sopportato durante la guerra; ma cosa ben diversa è la funzione giudiziaria.

La ragione della diffidenza diffusa nella maggioranza di fronte ad una donna giudicante sta nella prevalenza che nelle donne ha il sentimento sul raziocinio, mentre nella risoluzione delle controversie deve prevalere il raziocinio sul sentimento. Perciò si dichiara contrario all'ammissione delle donne nella Magistratura.

Mannironi dichiara che, per ragioni di principio, è del parere che i diritti delle donne debbano essere in tutto pari a quelli dell'uomo: però fa qualche riserva. A suo avviso, nella sua costituzione psichica la donna non ha le attitudini per far bene il magistrato, come dimostra l'esperienza pratica in un campo affine, cioè nella professione dell'avvocato. Tutti avranno notato quale scarsa tendenza e adattabilità abbia la donna per questa professione perché le manca, proprio per costituzione, quel potere di sintesi e di equilibrio assoluto che è necessario per sottrarsi agli stati emotivi.

Pensa che si possa consentire alle donne di partecipare a limitate e determinate forme di giudizio nelle sezioni specializzate, ma ritiene non si possa generalizzare fino al punto da consentire loro il libero accesso alla Magistratura. Né potrebbe essere un limite sufficiente l'esame di concorso, anche se severo, perché le donne studiano e possono prepararsi al pari dell'uomo. Ma la garanzia necessaria non è offerta soltanto dalla semplice conoscenza delle materie giuridiche che formano oggetto dell'esame. Il buon giudice non è quello che soltanto conosca bene il diritto; gli occorrono altri requisiti che potrebbero chiamarsi naturali (temperamento, forza d'animo, fermezza di carattere, capacità di sintesi, ecc.) e la cui deficienza non si colma col semplice studio. Rileva infine che neppure le stesse donne rivendicano per sé il diritto ad essere ammesse nella Magistratura. Il problema quindi non è attuale.

Calamandrei, Relatore, fa osservare che v'è il periodo di tirocinio.

Mannironi non crede che in quel periodo di tre anni si possa valutare a pieno la capacità di una donna.

Concludendo, propone il seguente emendamento:

«Alle sezioni speciali della Magistratura ordinaria possono essere chiamate a partecipare anche le donne nei casi stabiliti dalla legge».

Farini dichiara di concordare con l'onorevole Targetti, e si meraviglia della resistenza, specialmente da parte degli appartenenti alla democrazia cristiana, alla ammissione delle donne nella Magistratura.

Se si vuol dare al Paese una Costituzione veramente democratica, occorre fornire alla Magistratura la base più larga possibile e non si deve impedire a più della metà della popolazione italiana di partecipare a questa funzione.

La donna ha già acquisito dei diritti in tutti i campi e ha dimostrato durante la guerra e nel dopo guerra capacità politiche e morali tali da poter assumere qualsiasi funzione nello Stato. Nessun dubbio che possa essere anche ottimo magistrato.

Calamandrei, Relatore, chiede che sia messa in votazione la sua proposta senza limitazioni. Le limitazioni potrebbero essere stabilite in seguito dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Propone quindi la seguente formulazione:

«La nomina dei magistrati è fatta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da un periodo di tirocinio. I requisiti per essere ammessi al concorso sono determinati dalla legge sull'ordinamento giudiziario: possono esservi ammesse anche le donne».

Laconi preferirebbe una formula che sancisse il principio del libero accesso delle donne alla Magistratura. È vero che le donne possono, per temperamento o per tradizione, essere meno tagliate degli uomini a ricoprire l'ufficio di giudice, ma questo influirà sulla libera scelta individuale, come influisce per gli uomini. Invece, come affermazione di diritto, tutti i cittadini, e quindi anche le donne, devono avere la possibilità di accedere a qualsiasi carriera.

Cappi domanda se il principio deve valere anche per l'esercito.

Laconi risponde affermativamente e ricorda che le donne hanno fatto parte in guerra di formazioni partigiane.

Ambrosini propone l'aggiunta: «nei casi stabiliti dalla legge».

Laconi teme che con tale aggiunta sia possibile introdurre una disposizione illogica per cui alla donna sarebbe consentito l'accesso a determinati gradi della Magistratura e non ad altri.

Si può sostenere, con l'onorevole Mannironi, che le donne non possano accedere alla Magistratura; ma, ammesso che possano accedervi, sarebbe assurdo limitare questo accesso a determinati gradi.

Targetti spiega che, in vista della ipotesi che, dopo l'affermazione del principio generale, il potere legislativo limiti il diritto delle donne, l'onorevole Laconi vorrebbe fosse trovata una formula per la quale la limitazione sarebbe possibile solo con la riforma della Costituzione.

Calamandrei, Relatore, propone la formula: «possono esservi ammesse, con parità di diritti, anche le donne».

Il Presidente Conti rammenta che nella parte generale della Costituzione è già riconosciuta la parità dei diritti.

Uberti, anche per rispondere ad una osservazione dell'onorevole Farini, si richiama alla necessità di attenersi alla realtà delle cose.

Evidentemente fra i due sessi esistono differenze che si esprimono in varie forme e non è possibile improvvisare una capacità, un'attitudine. È dunque bene cominciare gradualmente attraverso particolari limitazioni, per regolarsi in futuro secondo l'esperienza acquisita.

Ambrosini ritiene che l'accettazione della sua aggiunta faciliterebbe l'ammissione del principio e sarebbe reso così un grande servizio alla causa femminile. Ma, senza quella aggiunta, teme che il principio possa non essere ammesso.

Calamandrei, Relatore, propone il seguente emendamento:

«Possono esservi ammesse anche le donne, nei limiti e per le materie stabilite dall'ordinamento giudiziario».

Targetti chiede che si voti prima la norma generale; quella che afferma il diritto senza limitazioni.

Il Presidente Conti mette ai voti il principio generale, cioè:

«Possono esservi ammesse anche le donne».

(È approvato).

Cappi, anche a nome dei colleghi Mannironi, Uberti, Castiglia, Leone e Ambrosini, dichiara, e chiede che sia inserito a verbale, che sarebbero stati disposti a votare favorevolmente, se si fosse aggiunta la seconda parte dell'emendamento: «nei limiti e per le materie stabilite dalla legge sull'ordinamento giudiziario».

Il Presidente Conti pone in votazione il primo comma dell'articolo 20 senza l'aggiunta proposta dall'onorevole Calamandrei, essendo stato approvato il principio generale.

(È approvato).

Mette in discussione il seguente comma:

«Lo stesso Consiglio Superiore potrà, in considerazione di meriti insigni, proporre in via eccezionale la nomina senza concorso al grado di consiglieri di Cassazione di avvocati esercenti da almeno 20 anni e di professori ordinari di materie giuridiche nelle Università».

Mannironi ritiene troppo elevato il limite di 20 anni.

Ravagnan non porrebbe alcuna limitazione; è sufficiente il riconoscimento dei meriti insigni.

Calamandrei, Relatore, ricorda che, per un articolo della legge Casati, possono essere nominati professori, senza concorso, persone di chiara fama. Questa disposizione ha reso possibile, specialmente nel periodo fascista, non pochi abusi.

Ambrosini prospetta i pericoli di una formulazione troppo ampia e ritiene che occorra fermarsi al testo del relatore, magari riducendo il limite di 20 anni a 15.

Il Presidente Conti, non facendosi altre osservazioni, pone ai voti il secondo comma con la riduzione del limite da 20 a 15 anni.

(È approvato).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti