[Il 14 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Poiché stamane l'Assemblea ha deliberato la chiusura della discussione generale, darò ora facoltà di parlare ai relatori sul Titolo IV della parte seconda del progetto di Costituzione.

L'onorevole Leone Giovanni ha facoltà di parlare.

Leone Giovanni. [...] È al tema dell'indipendenza del giudice, onorevoli colleghi, che preferisco collegare sia pure con qualche innegabile ampliamento del campo di indagine, il problema della giuria e della elettività di alcune Magistrature.

[...]

Elettività di alcune magistrature. Come ho rilevato poco fa, l'impostazione integrale dell'opposta posizione (quella dell'elettività del giudice) è la impostazione più chiara e più leale. Per questa impostazione non ricorre alcuno di quei profili di critica da me formulati nei confronti della giuria.

Ed è perciò necessario che su questo campo più aperto, più leale, più integrale si accetti la battaglia. Anche qui — senza avere la più lontana pretesa di esaurire il problema, che è un problema veramente pieno di suggestione e pieno di pericoli — io vorrei esprimere soltanto, quasi elencare, alcuni argomenti, alcuni rilievi che a mio avviso si oppongono all'elettività del giudice:

1°) L'elettività è, di regola, inconciliabile con l'accertamento di quella capacità tecnica che è uno, se non il solo dei requisiti per l'esercizio della giurisdizione. Né l'inconveniente sarebbe sanato dalla predisposizione di categorie di eleggibili, giacché, pur nell'ambito di tali categorie, l'elettività non assicurerebbe l'elezione dei meglio preparati. È questa l'osservazione che vale a contrastare il rilievo dell'onorevole Gullo, secondo cui il rigetto dell'elettività del giudice suonerebbe offesa per noi, che proveniamo da una elezione. Mentre l'elezione dei deputati e dei senatori, infatti, obbedisce a criteri prevalentemente politici (l'elettore giudicherà chi è il più idoneo a far valere certe ideologie politiche o, scendendo più al concreto, a realizzare talune aspirazioni locali); l'elezione del giudice dovrebbe assicurare la scelta di un cittadino esperto e capace all'amministrazione della giustizia.

2°) L'elettività certamente sacrifica la imparzialità e, quindi, l'indipendenza del giudice. In un paese infatti come il nostro, di così ampio frazionamento politico, nessuno potrebbe evitare che le elezioni venissero ad assumere uno spiccato carattere politico.

3°) L'elettività, importando necessariamente una temporaneità nella durata delle funzioni, si risolverebbe indubbiamente in un grave limite per l'indipendenza del giudice.

4°) Il quarto motivo è rappresentato, poi, dall'esperienza dei Paesi dove il sistema dell'elettività del giudice ha avuto, in tempi recenti o lontani, pratica applicazione. L'elettività del giudice fu sancita dalla Costituzione francese del 1789, ma fu assai presto soppressa; dato che, come osservò Zanardelli, «le scelte furono per lo più ispirate dalle passioni politiche e la mediocrità dei giudici fu eguale alla loro oscurità». Solo in Isvizzera il sistema elettivo ha resistito; ma, per un provvidenziale intervento del costume, i giudici vengono di regola rieletti per molte volte consecutive: è evidente allora che in tal caso viene meno uno dei principali motivi che ci inducono a ripudiare il sistema.

Il Bryce afferma che le cause delle critiche sul funzionamento della giustizia negli Stati Uniti sono principalmente da individuare nel sistema elettivo dei giudici fra il 1830 e il 1850; ed il Laski afferma: «Una volta che una persona sia stata nominata al posto di giudice, nulla deve intralciare l'assoluta indipendenza del giudizio: elezione, rielezione, facoltà del Governo di esonerarlo, sono tutti metodi incompatibili con la funzione cui il giudice deve adempiere».

Ma nell'orientamento di coloro che propendono per l'elettività, per lo meno, delle magistrature minori, bisogna scorgere un elemento di verità, un'ansia che non può cadere nel vuoto.

La enunciava l'onorevole Gullo quando esattamente osservava che al magistrato si deve essenzialmente chiedere capacità e carattere. Ora, è evidente che, se con l'assunzione mediante concorso, si viene ad assicurare il primo di questi due requisiti, non si viene invece ad assicurare per nulla il secondo.

Ma si risolve il problema con il sistema elettivo?

Una cosa intanto è certa; ed è che il sistema elettivo è, per lo meno, il meno idoneo ad assicurare il requisito della capacità.

Ma, a mio giudizio, neppure il requisito del carattere è assicurato con tale sistema: nelle inevitabili deformazioni della democrazia non è raro incontrare casi di uomini che, proprio a cagione del loro spiccato carattere di indipendenza e di fierezza, non sono stati fortunati alle urne. Comunque, non sempre quegli elementi che valgono a rivelare un carattere sono facilmente rilevabili dal popolo. Sicché l'elettività, mentre non assicura il requisito della capacità; mentre costituisce una sicura insidia all'indipendenza del giudice; non rappresenta, d'altro canto, neppure una garanzia per quello che riguarda il suo carattere.

In verità, onorevoli colleghi, su questo delicatissimo problema — che noi consegniamo al futuro legislatore dell'ordinamento giudiziario — non è facile dire l'ultima parola. Quello che occorre studiare è la ricerca d'un congegno che possa assicurare l'assunzione di giudici forniti di capacità e di doti morali. Questo problema ha agitato per il passato le menti degli studiosi e degli uomini politici. E mi è caro ricordare qui che Enrico De Nicola, il quale oggi nobilmente ed austeramente impersona la più elevata Magistratura dello Stato, sentì nella sua coscienza di giurista e di avvocato l'importanza del problema, quando in un lontano articolo, confinato in un modesto giornale giudiziario, proponeva la costituzione di accademie particolari per la formazione dei magistrati.

[...]

E veniamo ad un altro argomento che, sia pure con collegamento arbitrario, si può legare al problema dell'indipendenza del giudice: ed è il problema dell'inserzione della donna nella magistratura, il problema della donna-magistrato. Tacere di questo problema potrebbe sembrare o vigliaccheria di fronte all'aggressiva presa di posizione delle onorevoli colleghe, o eccesso di cavalleria. Che alla donna non si debba e non si possa negare una maggiore partecipazione alla vita pubblica non si può negare. Questa maggiore partecipazione è stata già riconosciuta.

Ma, per quanto riguarda il problema dell'ammissione alla Magistratura, io ritengo che solo in alcune limitate funzioni giudiziarie si possa introdurre la donna; in quelle funzioni cioè in cui la donna possa partecipare con profitto per la società e per l'amministrazione della giustizia, per le qualità che le derivano dalla sua femminilità e dalla sua sensibilità.

Io mi riferisco, oltre che alla giuria (nel caso che, contrariamente alla mia opinione, possa venire ripristinata), a quei procedimenti in cui è richiesto un giudizio che prescinde da esigenze non strettamente giuridiche, come può essere il tribunale dei minorenni, che è la sede più adatta per la partecipazione della donna!

Ma alle più alte magistrature, dove occorre resistere e reagire all'eccesso di apporti sentimentali, dove occorre invece distillare il massimo di tecnicità, penso che la donna non debba essere ammessa; perché solo gli uomini possono avere quel grado di equilibrio e di preparazione necessario per tali funzioni.

Perciò la formula del progetto di Costituzione mi sembra la più idonea, perché è una formula che pone la possibilità del limite dell'ammissione della donna alla magistratura.

Io direi che è già una conquista concreta, perché apre le porte all'ammissione delle donne in questo potere, pur stabilendo la possibilità, non l'obbligatorietà, di un limite; possibilità da studiare in sede di legge sull'ordinamento giudiziario.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti