[Il 14 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Mancini. [...] Ciò detto, dichiaro subito che noi socialisti non siamo favorevoli ad una Magistratura elettiva. Non siamo favorevoli per un doppio ordine di ragioni. Innanzitutto perché la Magistratura elettiva, come nella Svizzera, non ha dato risultati migliori del sistema assuntivo. Anche perché colui che fu eletto la prima volta è stato costantemente confermato al posto dagli ulteriori suffragi. E ancora perché l'eleggibilità rappresenta un controsenso col nostro sistema della legalità, cioè del diritto codificato; mentre il sistema della eleggibilità aderisce perfettamente al sistema del diritto libero. In Russia, nei primi tempi della rivoluzione, vigeva il sistema del diritto libero: il collegio giudicante improvvisava la sua formulazione giudiziaria in base alla politica, che si trasformava in diritto. Oggi però vige colà lo stesso sistema di legalità che esiste negli altri Paesi, cioè la elaborazione del diritto a mezzo degli organi legislativi, e quindi la sostituzione del sistema della eleggibilità con altro sistema.

L'elezione sarebbe preferibile soltanto per il conciliatore, nei limiti di un elettorato passivo ed attivo molto ristretto, onde sottrarre la sua nomina agli arbitrî informativi del solito maresciallo dei carabinieri, così influente presso i magistrati.

[...]

Passiamo ora alla donna-magistrato.

La Magistratura vuole chiudersi in una casta senza sesso, in una torre di avorio — come diceva il mio carissimo amico onorevole Turco — quando sbarra la via e chiude la porta della sua casa alla donna. Disdegna che un gentile sorriso venga a rompere l'austerità e la grinta (per non dire la mutria!) di tanti magistrati. Io non voglio rendere omaggio a nessuno, perché, parlando della donna, rendo soltanto omaggio a me stesso; poiché l'uomo si umanizza vicino alla donna. Io ho sempre pensato e penso che l'intervento della donna in tutte le umane attività, dalle più alte alle più modeste, dalle più pietose alle più umili, è stato sempre provvido e benefico. La storia e la cronaca ci insegnano con le loro vicende di bene e di male, che la donna, anche quando non era stata innalzata dal cristianesimo a turris eburnea, a vas electionis, ed era soltanto strumento di piacere, ella, con la sua bellezza e col suo genio somatico, ha influito a determinare avvenimenti e vicende di grande importanza. Dal naso di Cleopatra fino all'imperatrice senza impero, la duchessa di Castiglione, vi è una dorata catena di vezzi, che insidiano il movimento storico! Ma noi, che abbiamo concesso senza riserve alla donna parità di diritti in tutti i settori della vita sociale e ci sentiamo onorati della presenza di tante graziose colleghe, la nostra legislazione, che prima fra tutte, ha consentito l'ascesa della donna nelle cattedre delle scuole superiori ed universitarie, onde la cattedra di chimica a Napoli è tenuta da una donna che è l'orgoglio della scienza chimica, che è nostro orgoglio, perché è la figlia di Bakunin, mentre nell'Università di Firenze una avvenente giovinetta trentaduenne ascende per concorso nella cattedra di fisica, dovremmo nella nostra legge fondamentale sancire un divieto per la Magistratura! Ma, signori, non dimentichiamo che l'Italia ha dato al mondo una legislatrice, Eleonora D'Arborea, che dettò di suo pugno norme e regole così giudiziose, che pur oggi non ci lasciano indifferenti e dimostrano che la donna, anche nella speculazione giuridica, ha lasciato la sua orma.

Il mio amico Dante Veroni cercava di ammorbidire e rendere indulgente l'intervento della donna nella Magistratura, affermando che la donna, come è fallita nella professione forense, fallirà nella carriera giudiziaria. E ricordava in proposito con ingenerosità non degna di lui il caso di Teresa Labriola. Io, che fui preferito discepolo del padre, che fra breve rammenterò parlando della giuria, debbo dire che Teresa Labriola tenne con grande onore la cattedra di filosofia del diritto nell'Università di Roma e, come tutti i cattedratici, non eccelse nella avvocatura, perché la dogmatica sovente è in conflitto con la pratica giudiziaria.

Ma questo non è argomento, perché tanti giovani laureati in legge sono falliti nella professione e sono poi, attraverso la disciplina dei concorsi, saliti ai più alti gradi della Magistratura giudiziaria e amministrativa.

Del resto la donna, con il suo naturale intuito, porta nella difficile arte di giudicare un prezioso elemento: quell'istinto infallibile del sentimento di equità, che è la forma sentimentale della giustizia, mentre la giustizia è la forma razionale dell'equità. Ma che volete? Volete una giustizia che rappresenti soltanto qualche cosa di ieratico, di estraneo al popolo, del quale la donna è parte integrante e indispensabile? Ebbene, se si vuole una giustizia fatta di umanità, di storicità, che rifletta la coscienza popolare, che abbia, insieme col tecnicismo giuridico, anche il pregio del tecnicismo etico-affettivo, si dia il benvenuto alla donna. Quanto è più generoso e gentile il cuore del magistrato, che pur batte e pulsa sotto la sua fredda toga, tanto più la giustizia diventa degna di monito e di coazione psicologica. Ebbene, quale cuore più generoso e più gentile del cuore di una donna, che valuta i fatti umani e vivifica col sentimento la dura norma della legge? ché la giustizia non è più faida o vendetta sociale.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti