[Il 14 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Poiché stamane l'Assemblea ha deliberato la chiusura della discussione generale, darò ora facoltà di parlare ai relatori sul Titolo IV della parte seconda del progetto di Costituzione.

L'onorevole Leone Giovanni ha facoltà di parlare.

Leone Giovanni. [...] Indipendenza del giudice. [...]

Quali sono gli strumenti che noi abbiamo inventato; anzi abbiamo perfezionato? Eccoli:

1°) Inamovibilità. È veramente singolare che questa parola — che risale ai tempi della venalità delle cariche giudiziarie in Francia; e serviva ad attestare i diritti di proprietà acquistati dal compratore, concernenti pertanto il grado, la sede e perfino la facoltà di trasmissione ereditaria della carica di magistrato — sia entrata nella storia, dura e gloriosa, della Magistratura come espressione della massima garanzia di indipendenza del giudice.

Naturalmente, come purtroppo recenti esperimenti insegnano, il termine è elastico; sicché l'ordinamento giudiziario fascista (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) all'articolo 219 prevedeva il trasferimento dei magistrati inamovibili nel caso in cui «per qualsiasi causa, anche indipendente da loro colpa, non possono nella sede che occupano amministrare la giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario».

A questo proposito va segnalato il deciso ripristino, attuato con regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 511, dell'integrale inamovibilità del magistrato. La Costituzione, nel riaffermare solennemente l'inamovibilità del giudice, non può, per il divieto di passare a formulazioni dettagliate, che limitarsi all'affermazione di principio che l'inamovibilità non può essere toccata se non nei casi e con le garanzie previste dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Ma è evidente che la nuova legge sull'ordinamento giudiziario dovrà assicurare a questa garanzia dell'inamovibilità il massimo rispetto, trattandosi della fondamentale, elementare, indefettibile condizione per l'indipendenza del giudice. Questo non è soltanto un augurio; è una certezza, anzi è qualche cosa di più che, nella qualità e con la responsabilità di Relatore della Commissione, ho il dovere di sottolineare: è una direttiva che la Carta costituzionale intende segnalare al futuro legislatore dell'ordinamento giudiziario italiano.

[...]

4°) Maggiore riduzione possibile delle preoccupazioni ed ansie di carriera. L'esperienza e la conoscenza della più elementare psicologia ci dicono quanto influisca il complesso delle preoccupazioni di carriera a rendere spesso il giudice agitato, perciò non sereno e talvolta — che è peggio — ad indurlo ad assumere atteggiamenti di non assoluta imparzialità. Giuseppe Zanardelli nel suo noto discorso, che più volte è stato qui opportunamente ricordato, esattamente individuava in questo uno dei massimi pericoli dell'indipendenza del giudice quando scriveva: «Ciò che maggiormente può compromettere l'indipendenza del magistrato è la febbre delle promozioni, la smania di varcare rapidamente numerosi gradi di carriera con la conseguente necessità di ingraziarsi il potere da cui le promozioni stesse dipendono per conseguire, attraverso sollecitazioni e condiscendenze, le ambite promozioni». E indicava due notevoli rimedi a tale pericolo: diminuire la molteplicità e la distanza fra i vari uffici; attribuire ai collegi giudiziari la nomina del presidente.

Orbene, questi due notevoli accorgimenti non potevano costituire oggetto di disciplina costituzionale. La legge e l'ordinamento giudiziario li prenderà in considerazione; e in particolare prenderà in considerazione quel problema della elettività dei capi degli organi giudiziari che, per quanto pericoloso, è stato impostato in larga misura proprio dai magistrati. Ma un principio non doveva restare fuori della Costituzione; un principio, che, affondando le sue radici nella tradizionale essenza della potestà giurisdizionale, postulava una espressa, solenne formulazione quella contenuta nel terzo comma dell'articolo 89: «I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado». Tale affermazione sta a significare che l'ordine giudiziario si articola non in base ad una gerarchia di gradi, che è incompatibile con la pienezza dell'essenza giurisdizionale, ma in base ad una distinzione di attribuzioni, cioè di competenze.

Da tale principio possono derivarsi alcune applicazioni pratiche notevoli, e cioè:

a) innanzitutto, si realizzerà quell'auspicato sganciamento della carriera dei magistrati dalla equiparazione ai gradi dell'amministrazione statale, che costituisce un serio ostacolo per una urgente impostazione del problema della retribuzione dei magistrati;

b) in secondo luogo, si potrà ritenere, come esattamente avvertiva l'onorevole Calamandrei, che lo stipendio del magistrato ed, in generale, la stessa carriera dal magistrato, come progettava Zanardelli, non debba essere in relazione al grado, bensì ad altri elementi, tra i quali l'anzianità.

Ma lo strumento più idoneo a svincolare la Magistratura dalle preoccupazioni della carriera sta nell'autogoverno, cioè nella indipendenza del potere giudiziario, del quale mi occuperò in seguito.

Devo dire fin da ora, però, che le accese e ripetute aspirazioni dei magistrati ad una indipendenza del loro ordine non mirano, come ad un superficiale osservatore potrà apparire, ad assicurare loro un privilegio, bensì a svincolarne la carriera dal potere esecutivo, realizzando così al massimo le condizioni per l'indipendenza della loro funzione.

[...]

Il pericolo, però, di un autogoverno (così delimitato) staccato del tutto dagli altri poteri statali, come tale suscettibile di instaurare una organizzazione di casta, non poteva essere dissimulato e ad eliminarlo tre congegni si presentavano idonei:

a) assegnare al Ministro di giustizia il potere di promuovere l'azione disciplinare a carico del magistrato. Le critiche su questo punto del progetto tralasciano di considerare che, mentre si tratta soltanto di facoltà di promuovere l'azione disciplinare (non di potestà di applicare sanzioni disciplinari), mentre si tratta solo di potestà di promuovere l'azione disciplinare, sulla quale deciderà il Consiglio Superiore (pertanto, in analogia al citato regio decreto-legge 3 maggio 1946 n. 511, al Ministro è stato tolto ogni potere di giudicare in sede disciplinare), non si può togliere al potere esecutivo (per quel necessario coordinamento che deve esistere tra tutti i poteri dello Stato, nei quali circola la sovranità) la facoltà di esercitare un'azione stimolatrice verso il potere giudiziario per quanto concerne la sfera della giurisdizione disciplinare;

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti