[Il 19 novembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]

Il Presidente Terracini comunica che, a proposito dell'articolo 3 del progetto elaborato dal Comitato di redazione per l'autonomia regionale — del quale si era iniziato l'esame nell'ultima seduta — è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Lami Starnuti, Bozzi, Ravagnan, Targetti, Fabbri, La Rocca, Nobile, Rossi Paolo, Bocconi, Finocchiaro Aprile e Calamandrei, il seguente emendamento:

«I sottoscritti, salva ogni altra proposta relativa alla materia da attribuirsi alle Regioni, chiedono che alla prima parte dell'articolo 3 del progetto sia sostituita la seguente formulazione:

«La Regione ha la potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con legge dello Stato. Tale facoltà si esercita, oltre che nelle materie i cui servizi possono passare alla Regione, nelle altre che, pur entro i limiti dell'interesse regionale, concernono: ...».

L'emendamento dovrà poi essere integrato con l'elencazione delle materie.

Zuccarini ricorda che nell'ultima seduta egli e l'onorevole Mortati avevano sostenuto il concetto che gli articoli 3 e 4 dovessero essere esaminati insieme e proposto che si addivenisse alla formulazione di un solo articolo, considerando la ripartizione delle materie fatta dal progetto come arbitraria ed inaccettabile.

Aggiunge di avere osservato fra l'altro che non si comprende perché nell'articolo 3 sia stata compresa, come materia di legislazione esclusiva della Regione, l'agricoltura, mentre l'industria si trovi inclusa nell'articolo 4. A suo avviso, alla Regione dovrebbe competere, entro i limiti delle leggi generali dello Stato, piena libertà legislativa. Prega pertanto il Presidente di far sì che la discussione odierna verta sulla proposta di fusione dei due articoli già presentata nella seduta precedente e comunque che la discussione venga fatta sui due articoli unitamente.

Tosato osserva che nel progetto sono preveduti due tipi di legislazione regionale e cioè un'attività legislativa primaria, considerata dagli articoli 3 e 12, ed una secondaria, considerata dall'articolo 4.

A suo avviso, l'articolo 3, combinato con l'articolo 12, non prevede una legislazione esclusiva — come è stato affermato da qualcuno — perché la legislazione di cui all'articolo 3 trova un limite non soltanto nei principî fondamentali della Costituzione e nell'ordinamento giuridico dello Stato, ma anche negli interessi nazionali, tanto è vero che l'articolo 12 stabilisce che, quando il Governo centrale ritenga che le norme giuridiche con forza di legge approvate dall'Assemblea regionale contrastino con l'interesse nazionale, può rinviare i provvedimenti con le sue osservazioni all'Assemblea regionale, che potrà, approvandoli nuovamente, farli senz'altro diventare legge. È ben vero che rimane sempre salvo il diritto del Governo centrale di ricorrere alla Corte costituzionale; ma a questo punto sorge il dubbio se tale ricorso possa farsi soltanto per motivi di legittimità — in quanto il Governo ritenga che le norme giuridiche emanate dalla Regione siano contrarie alla Costituzione o ai principî generali dell'ordinamento giuridico — oppure anche per motivi di merito, il che, peraltro, darebbe luogo ad una legislazione del tutto nuova in Italia.

Chiede che su questo punto sia fornito un chiarimento perché, qualora si ammettesse il ricorso anche per motivi di merito, si potrebbe pensare che la legislazione prevista dall'articolo 3 combinato con l'articolo 12, più che una legislazione primaria, sia una vera e propria legislazione esclusiva.

Bozzi riconosce che il Comitato di redazione ha compiuto uno sforzo apprezzabile nel tentativo di sistemare la difficile materia delle attribuzioni legislative della Regione. Tuttavia, il piano proposto non garantisce la certezza nelle fonti di produzione giuridica; può creare pericoli di conflitto di competenza normativa fra Stato e Regione e instabilità nell'ordinamento giuridico.

Rileva che bisogna tener fede a due principî fondamentali: salvaguardare quello che è stato definito nell'articolo 2 «il quadro dell'unità ed indivisibilità dello Stato», ossia la sovranità dello Stato, che trova la sua prima manifestazione nella potestà legislativa; affidare, d'altra parte, alla Regione, secondo l'orientamento fissato nell'ordine del giorno Piccioni, la regolamentazione autonoma dei propri particolari interessi.

L'articolo 3, proposto dal Comitato, assegna alla Regione una sfera di competenza esclusiva. Ciò significa che lo Stato, nelle materie indicate, non ha potere di legiferare, nemmeno con norme di carattere direttivo o generale, esso può soltanto esaminare i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali e proporne l'annullamento alla Corte costituzionale, qualora ritenga che essi siano contrari alla Costituzione, ai principî fondamentali dell'ordinamento giuridico o agli interessi nazionali. Lo Stato, cioè, interviene successivamente, e deve instaurare un giudizio. Secondo il suo punto di vista, questa forma di non intervento legislativo dello Stato non è ammissibile; incrina l'unità dello Stato, anche sotto il profilo della unitarietà del processo economico-produttivo. Scorrendo le materie affidate alla competenza esclusiva della Regione, nota che fra esse è l'agricoltura. Ne deriva che lo Stato non potrebbe dettare norme generali e comuni a tutto il territorio nazionale in tema di riforma agraria. Si potrebbe avere la collettivizzazione in Emilia, e non, ad esempio, in Toscana.

Prospetta l'opportunità di regolare con una sola e chiara norma le attribuzioni legislative della Regione. Secondo il suo parere bisogna escludere che la Regione abbia un ambito di materie nelle quali possa legiferare senza che lo Stato abbia potere d'intervento. Occorrerebbe, piuttosto, determinare largamente una sfera di materie, per le quali lo Stato abbia soltanto la potestà di dettare norme direttive o generali, e la Regione di emanare le norme necessarie per l'attuazione o l'integrazione, al fine di adattare le leggi statali alle esigenze peculiari regionali. Le norme direttive sono quei principî che di per sé non sono suscettibili di applicazione, ma che hanno bisogno appunto di ulteriori norme che li specifichino, conformandovisi; le norme generali rappresentano, invece, una forma di più penetrante legiferazione, che tuttavia lascia margini in bianco per gli adattamenti a situazioni particolari. Precisa che, in tal guisa, lo Stato potrebbe intervenire in modo più o meno penetrante, secondo una sua discrezionale valutazione di politica legislativa (e vi sarebbe al riguardo la garanzia del Senato regionale): alla Regione, d'altra parte, sarebbe riservata una sfera di competenza esclusiva nell'ambito dell'attuazione o dell'integrazione delle leggi direttive o generali emanate dallo Stato.

Rileva poi l'opportunità di completare le ipotesi previste dall'articolo 12 con una norma che stabilisca il diritto, azionabile, della Regione verso lo Stato, nel caso che questo, nell'esplicazione della sua potestà legislativa, ecceda dai limiti della legiferazione semplicemente direttiva o generale nella sfera di materie assegnate.

Infine, quanto al quesito sollevato dall'onorevole Tosato, osserva che è esatto distinguere, in tema di articolo 12, fra violazione di competenza ed esame del merito; sono situazioni giuridiche che comportano valutazioni diverse, e diversi dovrebbero essere gli organi chiamati a compierle. Tuttavia, a volte la questione pregiudiziale è intimamente collegata con la questione di merito. Ad esempio, il limite dell'interesse nazionale posto dall'articolo 3 involge una questione di merito, che si risolve però in una questione di competenza. Se la Corte costituzionale accerta che un disegno di legge regionale ha violato l'interesse nazionale, accerta necessariamente che la Regione ha ecceduto dai limiti della sua competenza normativa.

Propone, comunque, che di questi più particolari problemi si discuta quando verrà in esame l'articolo 12.

Calamandrei, esaminando la materia dei conflitti, osserva che nel progetto non è regolata l'ipotesi di un conflitto negativo, il caso cioè che tanto il Governo centrale quanto l'Assemblea regionale si ritengano incompetenti a deliberare su una determinata materia.

Si domanda poi, esaminando l'ipotesi di conflitto positivo prevista dall'articolo 12, per quale ragione il compilatore del progetto — dovendo scegliere fra l'opinione del Governo centrale e quella dell'Assemblea regionale — abbia dato la prevalenza al punto di vista della seconda. Prospetta l'opportunità che in casi del genere si invochi — per la risoluzione del conflitto — l'intervento di un terzo organo e che, nell'attesa, il progetto di legge in contestazione rimanga in sospeso; e quindi suggerisce che all'articolo 12 si stabilisca che se l'Assemblea regionale, respingendo le osservazioni governative, insiste nel suo punto di vista, si apra il conflitto davanti alla Corte costituzionale.

Fabbri dichiara di aver sottoscritto l'ordine del giorno presentato, in quanto ha sempre ritenuto che la potestà delle Regioni debba essere limitata esclusivamente a norme di attuazione e di integrazione.

Riprendendo il concetto della possibilità di conflitto tra le leggi della Regione e le leggi dello Stato — che a suo parere dovrebbero essere preminenti — fa un'osservazione di carattere pratico e di natura contingente e politica: si domanda cioè se la legislazione esclusiva su determinate materie, ipotizzata per la Regione, implichi l'abrogazione automatica di tutto l'imponente complesso di leggi statali concernenti dette materie. Pur ritenendo assurda una simile tesi, domanda in proposito un chiarimento.

Fa presente la necessità da parte degli organi statali di coordinare e snellire l'attuale complesso legislativo sulle materie indicate nel progetto, al fine di conservare soltanto i principî basilari di cui l'attività normativa della Regione stabilirà l'applicazione e l'attuazione. Raccomanda altresì che si proceda gradualmente all'attuazione di questa riforma, al fine di evitare il formarsi di situazioni tumultuarie ed il sorgere di conflitti tra l'organo legislativo centrale e quelli periferici.

Nobile, parlando contro l'articolo 3 del progetto, osserva che, sotto il profilo politico, la ripartizione legislativa tra lo Stato e le Regioni porterebbe inevitabilmente a sviluppare la tendenza di queste verso un sistema federale e condurrebbe quindi alla disgregazione dell'unità nazionale. Sotto il profilo economico, rileva che non si può ammettere che la legiferazione su materie di importanza vitale per l'intera Nazione sia attribuita alle Regioni.

All'osservazione del Relatore che, per giustificare la creazione del nuovo ente autarchico, sostiene che le funzioni che si vogliono trasferire dal centro alla periferia non potrebbero essere attribuite alla Provincia, in quanto riguardano interessi che trascendono l'ambito provinciale, risponde che tale presunzione si ritorce contro il sistema regionalistico, perché oggi gli interessi economici tendono ad allargare sempre più la loro sfera di attività.

Scorge, poi, una contraddizione tra la tesi sostenuta dal Relatore, secondo cui la tendenza odierna unificatrice sarebbe utile solo riguardo ai fini da raggiungere e non già nei confronti dei congegni di esecuzione, e il disposto dell'articolo 3 che conferisce alla Regione potestà legislativa su materie di importanza fondamentale, e non dà allo Stato la possibilità di regolare tali materie per i fini generali da raggiungere.

Ritiene poi assurda l'elencazione fatta negli articoli 3 e 4. Col primo di questi articoli si concede alle Regioni nientedimeno che il diritto esclusivo di legiferare su materie di importanza fondamentale per tutta la Nazione, quali, ad esempio, l'agricoltura, le foreste, le strade, i ponti, gli acquedotti. Su questioni così vitali per il Paese si avrebbero quindi diciotto legislazioni differenti!

È del parere che la legislazione primaria si debba riservare esclusivamente allo Stato, e che anche la regolamentazione — almeno per certe materie — debba in molti casi essergli attribuita. A suo avviso, è imprudente fare nella Costituzione un elenco delle materie di interesse locale, la cui disciplina giuridica si ritiene opportuno decentrare, perché ciò che oggi interessa lo Stato potrebbe domani divenire di interesse locale, o viceversa.

L'articolo 3, come è formulato, rappresenta uno sconvolgimento dell'attuale organizzazione statale, i cui meccanismi hanno bisogno di essere riformati e riordinati, e non già sconvolti. Tutti riconoscono la necessità di decentralizzare le funzioni dello Stato. Ma l'articolo 3 decentralizza proprio ciò che non va decentralizzato: il potere legislativo, che, per la sua stessa natura, deve conservare un carattere unitario. Approvando l'articolo 3, anziché ridurre e semplificare i meccanismi amministrativi, se ne accrescerebbe il numero.

Sostiene che il progetto proposto — il quale rappresenta un vero e proprio anacronismo storico — non solo non è democratico, ma è profondamente antidemocratico; e cita, a sostegno della sua opinione, quanto scrive in proposito un'illustre regionalista, Pietro Bertolini.

Gli sembra infine illusorio il concetto di taluni, secondo cui il frazionamento del Paese in regioni autonome, dotate di larghi poteri legislativi, possa costituire una garanzia contro eventuali rivoluzioni o colpi di Stato, perché ritiene che un'esperienza troppo audace — mentre non porterebbe alcuna conseguenza, se fatta nell'ambito ristretto di una provincia o di un comune — operata nell'ambito di una regione, che rappresenta la diciottesima parte del territorio dello Stato, potrebbe rischiare di compromettere l'unità nazionale.

Conclude dichiarando di essersi limitato a sottoscrivere l'ordine del giorno presentato dall'onorevole Laconi ed altri, al quale aderisce subordinatamente, in quanto, a suo parere, anche la regolamentazione da affidare alle Regioni dovrebbe essere assai limitata.

Cappi, dopo aver rilevato come gli interventi di alcuni oratori abbiano avuto il merito di mettere a fuoco il dissenso concettuale esistente in seno alla Sottocommissione circa il principio regionalistico, dichiara, rispondendo all'onorevole Nobile, di dubitare che si possa combattere quel principio con una elencazione di inconvenienti, i quali potranno essere eliminati in seguito, secondo quanto l'esperienza consiglierà.

Ritiene di estrema facilità la soluzione del quesito posto dall'onorevole Fabbri, in quanto la legislazione statale relativa alle materie per le quali la potestà legislativa è stata concessa alle Regioni rimarrà in vigore fino a quando una determinata Regione, ritenendola non più rispondente ai propri bisogni, si varrà del potere legislativo concessole per abrogarla.

Osserva poi che il punto di vista dell'onorevole Bozzi, secondo il quale lo Stato deve fare le leggi direttive e le Regioni hanno un potere integrativo di regolamentazione — oltre a far sorgere la domanda se varrebbe la pena di apportare mutamenti così profondi nella struttura dello Stato per dare alla Regione un semplice potere di regolamentazione — non è, a suo parere, molto chiaro. Non vede infatti come sia possibile emanare una legge direttiva — la cui formulazione l'onorevole Bozzi affiderebbe allo Stato — dal momento che i principî direttivi sono contenuti nella Costituzione e le leggi hanno sempre un contenuto concreto; né comprende quale possa essere il contenuto di un potere di integrazione della legge, perché, se consisterà nella facoltà di modificare la legge precedente, darà luogo ad una nuova legge e quindi in pratica sarà potere legislativo.

Riafferma quindi l'opportunità che alla Regione sia concesso, pur entro determinati limiti, un vero e proprio potere legislativo.

Mannironi riconosce la gravità della questione sollevata dall'onorevole Bozzi, il quale ha fatto presente che, con l'approvazione integrale del testo del progetto, sarebbe preclusa allo Stato ogni possibilità di occuparsi della riforma agraria; ma osserva che a tale inconveniente si potrebbe rimediare aggiungendo la materia della riforma agraria a quelle elencate nell'articolo 4.

Rispondendo poi all'onorevole Nobile, contesta che tutte le strade abbiano interesse nazionale; ad ogni modo, ritiene che si possa aggiungere alla dizione del progetto, là dove si parla di «strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici», la specificazione «che non siano d'interesse nazionale».

Conti fa rilevare che nel medesimo articolo è già detto che la potestà legislativa deve esplicarsi «nel rispetto degli interessi nazionali».

Mannironi ritiene comunque non inutile la specificazione da lui suggerita.

Assolutamente ingiustificata crede poi la preoccupazione dell'onorevole Nobile, che la legislazione varia e contrastante che potrebbe derivare dal fatto di aver concesso la potestà legislativa primaria alle Regioni possa determinare delle incrinature nella compattezza dello Stato. Le materie attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni riguardano, infatti, aspetti locali della vita economico-amministrativa; e questi possono essere regolati dalle rispettive Regioni in forma autonoma, senza che la varietà legislativa che ne risulterà possa intaccare l'unicità della legislazione statale.

Dichiara perciò di essere favorevole al testo dell'articolo proposto dal Comitato, salvo lievi ritocchi di forma.

La Rocca si dichiara contrario alla formulazione dell'articolo 3, il cui accoglimento darebbe origine ad una serie di legislazioni discordanti, tali da minacciare l'unità nazionale. Riconosce che ogni Regione ha delle esigenze e delle aspirazioni proprie, delle quali non si può non tener conto; ma ritiene che non si debba, partendo da questo presupposto, lasciar libera la Regione di legiferare, senza possibilità da parte dello Stato di intervenire in modo positivo, su materie di notevole importanza nazionale, quali l'agricoltura, i porti, ecc.

È quindi del parere che si debba tener conto di tali necessità particolari, ma senza esporsi al pericolo di scardinare il potere centrale e di spezzare l'unità economica e politica della Nazione.

Lussu non vede come la norma sottoposta all'esame della Sottocommissione possa costituire un pericolo per l'unità nazionale e per la struttura generale dello Stato e si meraviglia, anzi, dell'atteggiamento assunto al riguardo dai gruppi socialista e comunista, tanto più che ritiene esservi, più che un dissenso, un malinteso su questa questione.

Premesso che la legge sulla riforma agraria costituisce evidentemente un provvedimento fondamentale e, come tale, deve essere studiato e approvato dal Parlamento nazionale, rileva che la citazione dell'agricoltura nell'articolo 3 è da intendere, a suo avviso, nel senso che ogni Regione deve essere lasciata libera di interpretare e di attuare, secondo le proprie particolari esigenze, le direttive di carattere tecnico date sul piano generale.

Così, per ciò che riguarda le belle arti, la caccia, la pesca e le altre materie considerate nell'articolo 3, ritiene che la Regione, con la possibilità concessale di interpretazione delle norme generali e di adattamento di queste alle proprie esigenze, non distrugga affatto l'autorità centrale, né rechi alcun pregiudizio all'unità nazionale.

Si dichiara convinto che le organizzazioni socialiste, superato il periodo in cui non erano che opposizione, divenute maggioranza anche nel nostro Paese, saranno tratte ad affrontare e risolvere i problemi dell'ora con la consapevolezza che si vive oggi in un nuovo mondo.

Con tale spirito dichiara di essere favorevole alla formulazione proposta dal Comitato di redazione.

Laconi, a proposito di quanto ha detto l'onorevole Tosato nei riguardi dell'articolo 12, osserva che il ricorso per annullamento alla Corte costituzionale può farsi soltanto per motivi di legittimità e quindi, in caso di dissenso sul merito, la prevalenza dell'Assemblea regionale sarebbe assoluta; donde la conclusione che si rimette alla Regione una legislazione di carattere assolutamente esclusivo.

Rileva che gli inconvenienti pratici derivano dal fatto che si sostengono principî storicamente e logicamente incongruenti. Si vuole imporre alla Nazione uno schema di ordinamento non studiato su problemi ed esigenze reali e attuali, ma derivante da schemi logici preformati o da particolari esigenze di ordine politico, che non coincidono con quelle nazionali e democratiche.

Rispondendo all'onorevole Lussu, esprime il parere che nel momento attuale il processo di unificazione culturale, politica ed economica del Paese sia giunto ad un punto tale da escludere la necessità di larghe autonomie legislative per la maggior parte delle regioni. Sussiste invece la necessità di un largo decentramento. Ritiene però che ad alcune Regioni, nelle quali tale processo di unificazione non si è ancora compiuto, sia opportuno lasciare la possibilità di risolvere direttamente i loro problemi affinché possano entrare in forma autonoma nel circolo della vita nazionale. Così, ad esempio, la Sardegna si trova, per ragioni che ha già illustrato in una precedente seduta, in una situazione diversa da altre Regioni, la quale richiede soluzioni speciali.

All'onorevole Mannironi, che proponeva di fare una eccezione per la riforma agraria, osserva che tale riforma è costituita da un complesso di leggi, e che quando si riconosce allo Stato questa facoltà normativa si torna nel concetto di una potestà di integrazione.

Vanoni rileva che, per poter avere un quadro delle materie citate negli articoli 3 e 4 che fosse corrispondente alle condizioni storiche ed alle necessità economiche del Paese, sarebbe necessario introdurvi qualche variante.

Riconosce che, per quanto riguarda la delicata questione della legislazione in materia di agricoltura e foreste, non si possono non tener presenti due esigenze vive nella storia nazionale quella di liberare le Regioni dal vizio del centralismo e quella di conservare unito il complesso economico nazionale, la cui rottura potrebbe essere molto pericolosa. Prospetta la necessità di trovare una soluzione tale da permettere all'attività legislativa in materia agricola di tener conto delle esigenze locali estremamente diverse da una regione all'altra; e sarebbe favorevole a trasferire la citazione dell'agricoltura e foreste dall'articolo 3 all'articolo 4.

Aggiungerebbe nell'elenco delle materie citate nell'articolo 3 l'igiene e la sanità pubblica, circa le quali ritiene che una diversità di legislazione da regione a regione prepari un miglioramento di vita — da tutti auspicato — del popolo italiano; tanto più che la legislazione unica, la quale tendeva allo scopo di portare tutto il Paese al medesimo livello, non ha dato i risultati desiderati.

Non vede poi perché non si voglia lasciare alle Regioni la possibilità di integrare le leggi statali, oltre che in materia di istruzione elementare, anche per ciò che riguarda le scuole medie e universitarie. A tale proposito ricorda la cattiva prova data dalla legislazione unica, i cui tentativi per risolvere il problema universitario hanno sempre urtato contro tradizioni e resistenze locali; mentre cita l'organizzazione esemplare data all'istruzione elementare, e in parte a quella post-elementare, dal comune di Milano, sotto l'amministrazione socialista, nel periodo precedente il fascismo, modello di organizzazione per una grande città industriale moderna, tesa verso uno sviluppo sociale di grande avvenire.

È del parere che, nei limiti di una legge generale che garantisca un minimo di sicurezza e di serietà, quello dell'istruzione sia un campo nel quale il regionalismo si può affermare in modo deciso. Non è possibile infatti stabilire un unico sistema di istruzione in un Paese le cui varie zone si trovano in gradi diversi di evoluzione sociale ed hanno proprie esigenze, le quali richiedono propri tipi di istruzione che possono essere disciplinati da una legislazione di carattere regionale.

Un dubbio solleva circa l'opportunità di separare le scuole professionali dalle altre, separazione operata nel progetto con l'intento di affidare le prime alla competenza esclusiva della Regione. Fa presente a tale riguardo che l'istruzione professionale — che il fascismo tentò invano di estendere — è un'esigenza viva del Paese, il quale deve tendere a sostituire la massa dei lavoratori non qualificati con una classe di lavoratori qualificati che siano veramente la forza e il nerbo della Nazione. Ritiene che affidare l'ordinamento di queste scuole alle iniziative regionali possa suscitare qualche preoccupazione, mentre uno stimolo dal centro potrebbe, in questo caso, essere utile. Una volta ammesso, come fa il progetto, che l'istruzione richiede l'intervento del centro e della Regione, è del parere di non separare il problema della scuola professionale da quello generale dell'istruzione, che ha le medesime esigenze, anzi ne ha una maggiore per ciò che riguarda le scuole professionali. Aggiunge di non presentare per ora proposte di modificazioni, in quanto ritiene che la discussione potrà portare altri chiarimenti in proposito.

Non è invece favorevole alla citazione, nell'articolo 4, della disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio, che sono attività che tendono ad andare al di là di ogni confine, la cui legislazione non può essere che nazionale, se non si vogliono creare fratture nell'ambiente economico di tutta la Nazione. Coglie l'occasione per far presente la gravità dell'errore in cui cadono coloro che — specie nelle province meridionali — vorrebbero, attraverso una legislazione particolare, evitare l'esodo del risparmio verso zone dell'Italia settentrionale, perché il risparmio deve essere investito là dove è più utile e più domandato, dove migliori sono le condizioni per l'investimento. Si potrà, se mai, auspicare che lo Stato operi in modo da creare anche nelle province meridionali occasioni di impiego utile e sicuro del risparmio, sì da determinare una corrente inversa degli investimenti.

In linea di massima, è d'accordo sull'elencazione delle altre materie comprese negli articoli 3 e 4 del progetto.

Mortati fa presente come molti dei dissensi siano originati dal fatto di aver compreso nel medesimo elenco materie per le quali l'iniziativa locale si può considerare sufficiente a soddisfare l'interesse pubblico, e materie che non possono essere affidate in modo esclusivo alle Regioni. In considerazione di ciò, pensa che sia opportuno procedere alla rielaborazione degli articoli 3 e 4 in base ad una triplice distinzione, a seconda che si tratti di materie che possono senza preoccupazioni affidarsi in modo esclusivo alla Regione, o che dovrebbero esser regolate dallo Stato limitatamente alla determinazione dei criteri direttivi o principî generali, o che infine dovrebbero rimanere affidate alle Regioni soltanto per ciò che concerne la potestà regolamentare.

Contrariamente a quanto è stato sostenuto da altri, ritiene che la distinzione fra norme direttive e norme che, essendo generali, non consentono altra successiva normazione se non quella regolamentare, sia praticamente rilevante e ricorda precedenti legislativi — come quello della Costituzione di Weimar — che distinguono due specie di legislazioni: una, in cui lo Stato si limita a porre principî generali ed un'altra, in cui esso interviene in modo più particolare senza limiti giuridicamente apprezzabili nella materia da regolare.

Rileva che la norma direttiva differisce dall'altra appunto perché si limita a sancire principî generali, lasciando un margine di libertà alle Regioni per tutto ciò che riguarda gli adattamenti alle situazioni specifiche, mentre la norma emessa in esecuzione di direttive differisce dalla norma regolamentare appunto per la latitudine che le è consentita nell'esecuzione delle medesime.

Prospetta inoltre l'opportunità di determinare una competenza esclusiva dello Stato per talune materie (strade di interesse militare, porti di particolare importanza, ecc.) e di porre qualche limite circa la delega della potestà legislativa che, in base alla formulazione dell'articolo 4 del progetto, verrebbe fatta dal Parlamento nazionale alle Regioni.

Perassi presenta il seguente emendamento alla prima parte dell'articolo 3: dopo le parole «e nel rispetto degli interessi nazionali», aggiungere le altre: «e degli obblighi internazionali dello Stato».

Zuccarini osserva che la sua proposta è ispirata dalla preoccupazione che egli ha, ed in altre occasioni ha manifestato, di realizzare un sistema di autonomie eguale per tutte le Regioni, eliminando la distinzione fra alcune Regioni che verrebbero dotate di una vera e propria autonomia comprendente una potestà di legislazione, e tutte le altre Regioni alle quali verrebbe concessa invece una potestà limitata, tanto da fare di esse solo degli organi di decentramento amministrativo.

Non può intanto nascondere la sua meraviglia di fronte al fatto che i più convinti assertori dell'autonomia, mentre ne pretendono una privilegiata per alcune Regioni, e precisamente gli onorevoli Laconi e Finocchiaro Aprile per le loro isole, si preoccupino poi di limitare l'autonomia di tutte le altre. Dichiara di non poter accettare la loro tesi, perché se l'autonomia giova alla Sicilia e alla Sardegna — come essi sostengono — per potersi elevare e sviluppare come non hanno potuto fare nello Stato centralizzato, non è possibile sostenere che la stessa autonomia, se venisse concessa alle altre Regioni, determinerebbe un arretramento dalle posizioni economicamente e culturalmente più avanzate in cui queste ora si trovano. Non si capisce, cioè, come ciò che si reputa necessario per certe Regioni debba risultare dannoso e deprecabile per tutte le altre.

Riferendosi all'articolo 3, fa presente che in seno al Comitato di redazione, sostenendo una tesi opposta a quella caldeggiata dall'onorevole Grieco, il quale era del parere di trasferire nella elencazione dell'articolo 4 tutte le materie elencate nell'articolo 3, propose di riunire nell'articolo 3 anche le materie indicate dall'articolo 4. Fa rilevare che tale proposta non significherebbe affatto spingere l'autonomia fino al punto di prescindere dagli interessi generali e dalle leggi generali dello Stato. Nel suo progetto è infatti precisato che le leggi di carattere generale sono di competenza dello Stato che, nell'Assemblea legislativa, ne determina i principî, le finalità e i criteri direttivi, mentre è lasciato alle Regioni l'applicarle con criteri e mezzi propri, quindi con una applicazione che può essere diversa da Regione a Regione, in funzione delle necessità locali. Per le materie che sono invece di esclusivo interesse locale, la potestà legislativa della Regione deve essere piena: ciò non esclude che lo Stato possa comunque emanare leggi generali riguardanti, ad esempio, le strade e i porti di importanza nazionale oltre che locale e regionale.

Non crede poi, contrariamente a ciò che sostiene l'onorevole Vanoni, che l'intervento dello Stato sull'istituzione e l'ordinamento delle scuole professionali, particolarmente di quelle agricole, possa risultare più proficuo di quello delle iniziative regionali e locali. Ricorda che Ghino Valenti, che fu un grande competente in economia agraria, sosteneva proprio la necessità che l'iniziativa in quanto si riferisce all'insegnamento agricolo, come per tutto ciò che riguarda l'agricoltura, fosse lasciata alle Regioni. Egli invocava anzi il regionalismo — e pubblicò anche degli scritti in proposito — soprattutto in funzione della risoluzione dei problemi agricoli.

A suo avviso, la stessa cosa può ripetersi per le materie del commercio e dell'industria. È vero che l'articolo 4 riserva una potestà legislativa di integrazione alle Regioni su altre materie, come ad esempio, le miniere. Ritiene tuttavia preferibile l'emanazione di leggi regionali anche per le miniere, a completamento e perfezionamento di una legge generale.

Fa inoltre presente come nel suo progetto fosse anche specificato che alla Regione spettava di legiferare su tutte le materie che lo Stato non avocasse a sé con una legge del Parlamento. Concludendo, si dichiara contrario a mantenere cogli articoli 3 e 4 una competenza della Regione diversa a seconda delle materie, giacché qualunque classificazione risulterebbe arbitraria.

Osserva infine che l'articolo 12 può essere benissimo esaminato a parte e afferma che il suo progetto, per quanto non sia stato accettato come base per le proposte che in merito alla Regione sono state presentate, non solo non avrebbe favorito la disgregazione d'Italia, ma avrebbe servito invece a rafforzare maggiormente l'unità nazionale.

Bulloni, rispondendo all'onorevole La Rocca, il quale ha affermato di veder minacciata l'unità dello Stato attraverso l'applicazione delle norme dell'articolo 3, osserva che non bisogna confondere l'unità statale con l'accentramento burocratico, il quale ultimo si può eliminare soltanto con una riforma sostanziale. Non è del parere dell'onorevole La Rocca che, per avvalorare il suo asserto, ha affermato che, demandando alla Regione la facoltà di legiferare in materia agraria, la riforma agraria in Italia non sarebbe più realizzabile; rileva anzi che l'autonomia regionale, risvegliando le iniziative locali in relazione ai bisogni delle singole Regioni, sarà un mezzo per attuare meglio la riforma agraria, nel rispetto delle esigenze locali.

Non comprende come l'onorevole Laconi abbia voluto affermare che l'istituzione della Regione è addirittura contraria alla democrazia. Se democrazia è governo di popolo, con l'istituzione della Regione la democrazia non può essere contrastata, appunto perché il regionalismo avvicina sempre più il Governo al popolo.

Circa gli articoli 3 e 4, si dichiara d'accordo, in linea di massima, con gli onorevoli Zuccarini e Vanoni. Ai rilievi fatti da quest'ultimo riterrebbe opportuno aggiungerne un altro: quello di veder considerata in modo particolare l'assistenza sanitaria e ospedaliera.

Propone il seguente emendamento sostitutivo dei due articoli: «Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione, con le leggi generali e con i principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali:...».

Fa presente che, evidentemente, là dove lo Stato ritiene di dettare norme di carattere generale, la Regione dovrà attuare questi principî, mentre là dove lo Stato non ritiene di emanare tali norme, la Regione avrà la potestà di legiferare.

Perassi, a proposito della questione se alla Regione debba attribuirsi una potestà legislativa primaria, secondo il disposto dell'articolo 3, ricorda quanto ha detto l'onorevole Laconi, secondo il quale i limiti di tale potestà sarebbero gli stessi che incontra la legge dello Stato ed afferma che ciò è, a suo avviso, inesatto: l'articolo 3 infatti, oltre ai limiti che funzionano anche per la legge dello Stato (cioè il rispetto della Costituzione), ne considera altri afferenti all'attività legislativa della Regione e cioè: i principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato ed il rispetto degli interessi nazionali. Resta però aperta la questione di sapere quali siano le materie rispetto alle quali la Regione ha una competenza di legislazione primaria. A questo riguardo reputa forse opportuno che le singole materie siano esaminate separatamente, considerato anche che la discussione fin qui svoltasi ha fatto sentire la necessità di alcune precisazioni, in modo da non dare l'impressione che tutte le materie indicate siano, interamente e senza restrizione alcuna, riservate alla competenza regionale.

Dà ragione dell'emendamento aggiuntivo da lui proposto, inteso a porre ancora un limite alla competenza regionale per quanto riguarda gli obblighi internazionali dello Stato, osservando che per alcune delle materie indicate potranno intervenire accordi internazionali che devono impegnare sempre la legislazione dello Stato, e quindi anche quella delle Regioni.

Mortati fa presente l'opportunità che il rispetto delle convenzioni internazionali sia considerato tra i principî generali dell'ordinamento.

Perassi risponde che è meglio fissare tale concetto in questa sede, salvo a provvedere ad una migliore collocazione in sede di ordinamento.

Lami Starnuti manifesta la propria avversione agli articoli del progetto, contro i quali aveva già votato in sede di Comitato. Dichiara di aver accettato la proposta Laconi, che potrebbe diventare materia di compromesso fra le due tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione, in quanto essa racchiude quasi completamente la sostanza dell'emendamento Bulloni, cioè la concessione alla Regione della potestà di integrare le leggi dello Stato per adattarle alle esigenze locali. A tal proposito osserva che l'emendamento Bulloni, pur facendo qualche passo sulla strada del compromesso, potrebbe dar luogo a qualche complicazione e contrasto, per quanto di non difficile soluzione, tra lo Stato e le Regioni; e fa presente come non sia opportuno tenere il Paese in un perpetuo stato di contrasti.

Illustra lo scopo della riforma, che ha sopra tutto carattere amministrativo e di decentramento, al fine di liberare l'amministrazione centrale di tutto ciò che supera la sua capacità di decisione e di esecuzione, per trasferirlo agli enti locali dove tali bisogni sono sorti ed esigono una immediata soddisfazione. Invita i colleghi del gruppo democratico-cristiano ad abbandonare ogni idea di potestà legislativa, divenuta inutile nei limiti in cui la presenta l'onorevole Bulloni nella sua formula.

Bulloni avverte che la sua proposta ha un valore puramente personale.

Lami Starnuti, concludendo, fa presente l'opportunità di fondere la prima parte degli articoli 3 e 4; ed aggiunge che, se nell'articolo 3 alla Regione dovrà assegnarsi soltanto una potestà integrativa, la prima parte dell'articolo 4 non avrà più ragion d'essere. Sostiene che anche i due elenchi di materie dovranno essere fusi — previo esame di ogni voce — perché non è favorevole a che la potestà integrativa della Regione si svolga su tutte le materie elencate negli articoli 3 e 4 del progetto. Solo così sarà possibile fare della Regione un ente robusto, di grande influenza nella vita politica e amministrativa del Paese.

Ambrosini, Relatore, ritiene anzi tutto far presente, rispondendo ai rilievi fatti dagli onorevoli Laconi e Nobile, che il progetto non presenta alcun pericolo per la compagine dello Stato, ma che anzi tende a rinsaldarla, giacché la riforma regionale è concepita ed intesa, siccome altre volte ha detto, a decongestionare l'organismo centrale dello Stato e a renderlo così più efficiente nel perseguimento degli scopi essenziali, mentre d'altra parte le Regioni, potenziate nelle loro energie, coopererebbero più volenterosamente all'opera comune di ricostruzione del Paese.

Rileva che i passi della sua relazione, a cui ha fatto riferimento l'onorevole Nobile, non si prestano all'impressione che egli sembra averne avuta, che importino cioè la giustificazione del passaggio alla Regione soltanto di funzioni prevalentemente esecutive ed amministrative. Nella relazione infatti è espressamente propugnato il principio dell'attribuzione alla Regione di un certo potere legislativo, con il chiarimento esplicito che è proprio in ciò che consiste la differenza dal sistema proposto dall'onorevole Lami Starnuti, giacché è proprio col conferimento della potestà legislativa che si darebbe alla Regione una funzione che non hanno gli enti autarchici, e che da questi andrebbe a differenziarli.

Deve, d'altra parte, rilevare che il progetto non consacra affatto un sistema simile o analogo al sistema federalistico, anche soltanto larvato. Nella relazione ne ha detto le ragioni, dando la dimostrazione di questa affermazione, e non crede perciò necessario di ripetersi. Basta far presente che non ha accolta la proposta, presentata dall'onorevole Zuccarini nel paragrafo 29 del suo schema di progetto, di indicare tassativamente le materie di competenza legislativa dello Stato e di attribuire conseguentemente tutte le altre materie alla competenza legislativa della Regione, perché tale proposta importava un richiamo al sistema proprio dello Stato federale. Nel progetto del Comitato, corrispondente a quello da lui elaborato, si adotta invece il sistema inverso, indicandosi tassativamente quali sono le materie di competenza legislativa della Regione e lasciandosi quindi tutte le altre allo Stato. E si ha inoltre di più, giacché l'esercizio della potestà legislativa da parte dell'Assemblea Regionale deve svolgersi entro determinati limiti ed è soggetto al potere di coordinamento dello Stato.

Per quanto si riferisce alle materie di cui all'articolo 3, la Regione può legiferare, ma entro certi limiti, e precisamente: in armonia anzitutto con la Costituzione ed i principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, ed inoltre (e si ha qui un limite più profondo, di merito) «nel rispetto degli interessi nazionali». Per quanto riguarda poi le materie di cui all'articolo 4, la Regione ha una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con legge dello Stato. Anche qui non vi è quindi il pericolo che possano mettersi in essere una congerie di leggi regionali contrastanti, giacché la varietà della legislazione rifletterà le particolari condizioni locali, ma uniformandosi alle norme generali fissate con le sue leggi dallo Stato.

Riferendosi alla proposta già presentata dall'onorevole Grieco e fatta ora propria dall'onorevole Lami Starnuti, di fondere cioè la prima parte degli articoli 3 e 4, dando alla Regione per tutte le materie in essi indicate una potestà legislativa soltanto di integrazione, riconosce che forse, con questo emendamento, non si apporterebbe un colpo mortale al proposto sistema della riforma regionale, giacché nel quadro dell'articolo 3 il potere dell'Assemblea Regionale ha, come si è detto, dei notevoli limiti, sia formali quanto alla competenza, che di merito specie riguardo al rispetto dovuto agli interessi nazionali.

Malgrado ciò, non si sente di rinunciare all'articolo 3, perché con una simile rinuncia, si ridurrebbe troppo il potere di autonomia della Regione.

Per altro, se la differenza fra il congegno dell'articolo 3 e quello dell'articolo 4 non è molto rilevante, non vede il motivo per cui l'onorevole Lami Starnuti ed i colleghi che assecondano la sua proposta di emendamento debbano tanto insistervi chiedendo la soppressione dell'articolo 3.

Aggiunge, allo scopo di cercare di dissipare le preoccupazioni da essi manifestate a proposito di tale articolo 3, che la valutazione di esso deve esser fatta tenendo presenti altre disposizioni successive del progetto, e specialmente, quella del capoverso dell'articolo 8 — con la quale si vieta tassativamente alla Regione di istituire dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l'altra, e di prendere comunque provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale — e più ancora la disposizione dell'articolo 12, con la quale si determina la potestà che spetta al Governo centrale di interferire nell'esercizio dell'attività legislativa dell'Assemblea Regionale, quando i disegni di legge da essa approvati esorbitino dai limiti della sua competenza o contrastino con l'interesse di altre Regioni o dello Stato in generale. Rammenta che, in proposito, aveva proposto un altro sistema di coordinamento fra il potere della Regione e quello dello Stato, ancora più profondo di quello adottato dal Comitato, nel senso che la decisione sui contrasti per il merito delle leggi regionali in questione fosse affidato al Parlamento Nazionale, mentre resterebbe alla Corte Costituzionale la competenza a decidere per le questioni soltanto di legittimità.

Sull'adozione o meno dell'uno o dell'altro sistema, o di un altro ancora fra quelli proposti e che figurano come «varianti» all'articolo 12 del progetto, si potrà tornare a discutere.

Gli sembra comunque che l'interesse del potere centrale dello Stato sia salvaguardato in ogni caso, quale che sarà il sistema specifico che verrà prescelto. E se è salvaguardato, e sicuramente [è] salvaguardato, l'interesse dello Stato, trova che sarebbe possibile a tutti i colleghi di accettare, oltre l'articolo 4, anche l'articolo 3.

Desidera far presente alla Sottocommissione l'opportunità che esamini il sistema dei due articoli e che voti su di esso in via di massima, senza preoccuparsi troppo in questo primo momento delle singole materie tassativamente indicate in ciascuno dei due articoli, giacché il numero di tali materie potrebbe essere diminuito od aumentato, e potrebbesi inoltre trasportare qualche materia dall'uno all'altro articolo, senza infrangere o comunque cambiare il congegno e l'essenza del sistema. È adunque principalmente al sistema che bisogna riguardare, prima di arrivare alla votazione, e non solo al sistema isolato degli articoli 3 e 4, ma anche al sistema dell'articolo 8 e più ancora dell'articolo 12, che ne costituiscono un'integrazione essenziale.

Quando si tengono presenti le disposizioni combinate di tutti gli articoli suddetti, allora non solo è possibile augurarsi e fondatamente sperare che diminuiscano le apprensioni manifestate circa l'articolo 3, ma è anche possibile affermare senza tema di esagerazione che la differenza fra il sistema del progetto e quello sostenuto dall'onorevole Lami Starnuti — che dal punto di vista teorico può apparire rilevante — si riduce in concreto a ben poco, e che quindi è possibile arrivare ad un incontro delle due correnti.

Per altro non esita a riconoscere che il progetto, come egli lo elaborò e come poi fu approvato con emendamenti ed aggiunte dal Comitato, è il frutto di parecchie transazioni intese a conciliare i diversi punti di vista in un sistema complessivo armonico. Non condivide pertanto l'apprezzamento dell'onorevole Zuccarini, ma ritiene all'inverso che il progetto è tanto più apprezzabile e presumibilmente più aderente alla realtà, in quanto concilia le diverse esigenze, specialmente in ciò che riguarda l'interesse generale dello Stato e quello particolare delle Regioni, dando però sempre la prevalenza all'interesse dello Stato. Ed è per ciò che insiste affinché sia approvato.

Passando ad alcuni punti particolari, risponde affermativamente al dubbio sollevato dall'onorevole Tosato, se cioè il ricorso che il Governo ha facoltà di avanzare avverso le leggi regionali possa investirle anche nel merito. Osserva in proposito che il testo dell'articolo 12 è esplicito, perché esso non parla soltanto dei limiti di competenza, e quindi di legittimità, ma comprende, con la espressione «che contrastino con l'interesse nazionale o di altre Regioni», anche il merito.

Laconi osserva che l'interesse nazionale è richiamato soltanto per quello che riguarda il Governo.

Ambrosini, Relatore, ripete e chiarisce ancora che il Governo potrà interferire sulla legge regionale non solo per questioni di legittimità, ma anche per questioni di merito.

All'onorevole Calamandrei fa notare che il conflitto negativo non è stato regolato dal Comitato, perché difficilmente si verificherà, mentre molto più probabile si presenta l'ipotesi del conflitto positivo.

Quanto all'altra osservazione relativa all'attribuzione al Governo di un intervento soltanto repressivo, anche in riguardo alle leggi regionali che eccedano dai limiti di competenza della Regione, fa osservare che, in una «variante» all'articolo 12, aveva prospettato anche il sistema del veto preventivo; ma che il Comitato ritenne di attenersi al sistema dell'articolo 12 del progetto attuale, per la considerazione che un intervento preventivo avrebbe interferito troppo e troppo diminuito il sistema dell'autonomia.

Dichiara da ultimo di accedere alla proposta fatta dall'onorevole Perassi relativamente all'aggiunta: «e nel rispetto... degli obblighi internazionali dello Stato».

Concludendo, riafferma che il sistema adottato dal Comitato risponde alle varie esigenze e le armonizza, e che pertanto può essere accolto senza preoccupazioni, giacché non lede affatto gli interessi generali dello Stato.

Il Presidente Terracini, riassumendo la discussione, illustra le due tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione: da un lato quella che vuole attribuire alla Regione due distinte facoltà — una legislativa ed una integrativa — la quale sostiene la necessità di fare due articoli separati; dall'altro quella, caldeggiata dall'onorevole Zuccarini (il quale sostiene nel suo ordine del giorno che alla Regione deve competere esclusivamente una potestà legislativa) e dall'onorevole Laconi ed altri (i quali ritengono che alla regione competa soltanto una facoltà di carattere integrativo), secondo la quale, essendo una sola la facoltà — che si può sviluppare più o meno largamente — attribuita alla Regione, non è più necessario fare due articoli separati, i quali possono quindi fondersi in uno.

Prospetta l'opportunità di votare pregiudizialmente, senza fare riferimento ad un testo specifico di emendamenti, una formula come la seguente: «La Regione ha soltanto potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione», con l'intesa che, se tale principio sarà approvato, gli articoli 3 e 4 si fonderanno e si procederà all'esame dell'elencazione delle materie; mentre, se sarà respinto, si passerà alla votazione degli articoli così come sono stati proposti dal Comitato.

Fabbri, premesso che il primo passo che farà l'ente Regione dopo la sua instaurazione (e conseguente soppressione della Provincia) sarà quello di assumere in sede regionale tutte le facoltà che aveva la Provincia per i servizi specifici dell'ente autonomo Provincia, solleva l'obiezione che, con la dizione «soltanto potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione», si vengano ad attribuire alla Regione minori compiti di quelli che attualmente ha la Provincia, i quali sono appunto quelli di un ente autonomo.

Ambrosini, Relatore, osserva che nelle norme transitorie si provvederà a risolvere l'obiezione mossa dall'onorevole Fabbri.

Laconi domanda che, seguendo la procedura finora seguita dalla Sottocommissione, venga posto in votazione l'emendamento da lui e da altri colleghi presentato.

Conti concorda con l'onorevole Laconi.

Il Presidente Terracini, aderendo alla richiesta fatta dagli onorevoli Laconi e Conti, pone in votazione l'emendamento presentato dall'onorevole Laconi e da altri colleghi, mirante a sostituire alla prima parte dell'articolo 3 del progetto la seguente formulazione:

«La Regione ha la potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con legge dello Stato. Tale facoltà si esercita, oltre che nelle materie i cui servizi possono passare alla Regione, nelle altre che, pur sempre entro i limiti dell'interesse regionale, concernono:...».

Piccioni dichiara di votare contro questo emendamento, perché ferisce sostanzialmente la precedente deliberazione della Sottocommissione, la quale parlava di enti autonomi con specificazione concreta di potestà legislativa; perché è nettamente in contrasto con la disposizione dell'articolo 3 che il Comitato, incaricato di redigere il progetto, aveva elaborato e approvato in maggioranza; e infine perché con una disposizione simile non si potrà dar vita ad un ente atto a trasformare in un ordinamento veramente regionale in senso democratico e decentralizzato l'ordinamento centralizzato dello Stato.

Ambrosini, Relatore, dichiara di votare contro l'emendamento perché esso è contrario al principio al quale il Comitato si è ispirato quando è stato affrontato il problema. Ricorda che l'onorevole Grieco nel suo progetto, all'articolo 4 proponeva: «Sono materie di competenza della Regione le strade, i ponti, gli acquedotti, i porti di importanza non nazionale, i lavori pubblici di interesse non nazionale, la pesca, le acque interne, le antichità e belle arti, il turismo, la pubblica beneficenza ecc.»; riconosceva, cioè, alla Regione la potestà legislativa su parecchie materie.

Laconi rileva, circa la proposta dell'onorevole Grieco ricordata dall'onorevole Ambrosini, che la dizione dell'articolo 4 va intesa alla luce di quanto disponeva l'articolo 3 del medesimo progetto.

Perassi dichiara di votare contro l'ordine del giorno Laconi e di accettare la formulazione del progetto; del resto tale accettazione poteva ritenersi implicita nel fatto di aver egli presentato un emendamento aggiuntivo all'articolo 3 del progetto proposto dal Comitato.

Piccioni domanda che si proceda alla votazione per appello nominale.

Il Presidente Terracini, aderendo alla richiesta fatta dall'onorevole Piccioni, pone in votazione per appello nominale l'emendamento proposto dall'onorevole Laconi e da altri colleghi:

Rispondono sì: Bocconi, Bozzi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fuschini, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

(Con 11 voti favorevoli e 16 contrari, non è approvato).

Zuccarini ritira la sua proposta di emendamento.

Bulloni ritira la sua proposta di emendamento.

Il Presidente Terracini mette ai voti la prima parte dell'articolo 3 del progetto proposto dal Comitato di redazione:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali».

(È approvata).

Pone in votazione l'emendamento aggiuntivo proposto dall'onorevole Perassi e così formulato:

«e degli obblighi internazionali dello Stato».

(È approvato).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti