[Il 16 novembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali. — Presidenza del Vicepresidente Conti.]

Il Presidente Conti dichiara aperta la discussione sull'articolo 3:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali:

agricoltura e foreste, cave e torbiere;

strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici;

pesca e caccia;

urbanistica;

antichità e belle arti;

turismo;

polizia locale urbana e rurale;

beneficenza pubblica;

scuole professionali;

modificazione delle circoscrizioni comunali».

Bozzi osserva che l'esame dell'articolo 3 non può andare disgiunto da quello dell'articolo 4, che è così concepito:

«Compete alla Regione la potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con legge dello Stato per le seguenti materie:

industria e commercio;

acque pubbliche ed energia elettrica;

miniere;

riforme economiche e sociali;

ordinamento sindacale;

rapporti di lavoro;

disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio;

istruzione elementare;

e per tutte le altre materie indicate da leggi speciali».

Propone quindi di concentrare per ora l'attenzione sul primo comma di ciascuno dei due articoli, ove si disciplina la potestà normativa delle Regioni, e di esaminare successivamente le due elencazioni di materie.

Tosato aggiunge che va tenuto presente anche l'articolo 12, relativo all'interferenza dello Stato a tutela dell'interesse delle altre Regioni e della Nazione, così formulato:

«I disegni di legge approvati dall'Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo centrale. Essi acquistano valore di legge trascorso il mese da tale comunicazione, salvo il caso in cui il Governo, ritenendo che eccedano dai limiti di competenza della Regione o che contrastino con l'interesse nazionale o di altre Regioni, li rimandi, entro il termine suddetto, all'Assemblea regionale con le sue osservazioni.

«I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall'Assemblea regionale e diventano senz'altro leggi, se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti.

«Il Governo centrale può in questo caso ricorrere alla Corte costituzionale per chiederne l'annullamento parziale o totale.

«Le leggi della Regione devono essere inserite nella Raccolta Ufficiale delle leggi e decreti dello Stato e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Ambrosini, Relatore, aderisce a quanto è stato proposto, rilevando che le disposizioni citate sono integrate altresì dal capoverso dell'articolo 8, che pure dovrà essere tenuto presente per avere una visione d'insieme del fondamentale potere legislativo delle Regioni. Tale capoverso dice:

«Non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l'altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale».

Zuccarini si associa, in quanto ha già sostenuto la stessa tesi nel Comitato di redazione del progetto. Entrando nel merito, osserva che non si possono creare due competenze diverse e soprattutto non si possono fare due classificazioni per materie, senza stabilire con ciò limiti di competenza molto dubbi, che darebbero luogo a contrasti.

Con la costituzione dell'ente Regione ci si prefiggono due scopi: in primo luogo consentire alle Assemblee legislative nazionali un lavoro più semplice e più efficace; cioè, non tanto decentrare, quanto semplificare l'opera del potere legislativo centrale dello Stato ed aumentarne così la competenza e l'autorità; in secondo luogo si pensa di lasciare agli interessati la risoluzione dei loro problemi particolari. Basterebbe tenere presente che normalmente il 90 per cento del lavoro del Parlamento riguarda appunto problemi particolari, per comprendere quanto esso ne guadagnerebbe in snellezza ed in efficacia.

Nel suo progetto è a questo che egli ha mirato, sostenendo il concetto che la Regione dovesse assorbire, per tutta quella che è materia di legislazione particolare, l'attività e i compiti che appartengono allo Stato, provvedendovi con mezzi propri, con organizzazioni proprie, con funzionari propri. In tal modo, mentre si riduce al minimo indispensabile la funzione legislativa dello Stato, si determinano anche due limiti di competenza ben distinti.

Viceversa coi due articoli in esame si dà alla Regione una competenza esclusiva su alcune determinate materie ed una potestà di semplice integrazione su altre che sono le più importanti e in maggior numero. In questo modo il lavoro legislativo centrale si ridurrà di pochissimo e resterà enorme come prima.

Osserva inoltre che è difficile intendere l'esatta portata del termine «integrazione». Nella stessa elencazione delle materie si è caduti nell'arbitrario. Non si capisce, ad esempio, perché l'agricoltura sia stata inclusa nell'articolo 3 (potestà legislativa esclusiva) e l'industria invece nell'articolo 4 (potestà di integrazione). Agricoltura ed industria sono due branche della vita economica che, per quel che riguarda le norme direttivo generali, possono considerarsi di competenza dello Stato, ma che poi, per tutto ciò che è norma particolare, devono essere di competenza della Regione.

Quello che egli ha detto nei riguardi dell'agricoltura potrebbe dirsi anche per la pesca, per l'antichità, per il turismo, ecc.: necessariamente per tutte potranno esservi alcune leggi di carattere generale, che naturalmente dovranno essere, in quanto generali, emanate dall'Assemblea legislativa nazionale.

Per queste regioni, esprime l'avviso che si debbano riunire gli articoli 3 e 4 in un solo articolo sotto la dizione dell'articolo 3, eliminando ogni specificazione delle materie, e in modo da attribuire effettivamente alle Regioni relativamente ad esse una funzione autonoma. La potestà legislativa non dovrebbe limitarsi a quelle materie che sono già delle vecchie amministrazioni provinciali, quando non addirittura di quelle degli enti locali. Stabilendo che ciò che è generale spetta all'Amministrazione centrale e spetta quello che è particolare alle Regioni, si eviterebbe il determinarsi di conflitti, che si avrebbero, invece, in conseguenza di tale doppia classifica, fra il potere centrale, il quale è per sua natura accentratore, e le Regioni. La pratica consentirebbe poi alle Regioni di svolgere la loro opera con piena utilità e di sgravarsi da se stesse, quando il compito fosse troppo vasto, delle attribuzioni che non fossero di loro spettanza.

Se non si entrerà in quest'ordine di idee, se non si determineranno due definiti ordini di competenza e di attività tra la Regione e lo Stato, l'Assemblea nazionale continuerà a sfornare di continuo leggi, come ha fatto per il passato, e rimarrà incombente sulle Regioni il pericolo della invadenza del potere esecutivo nei loro compiti particolari.

Nota pure un'altra deficienza nelle disposizioni in esame: la mancanza cioè di un accenno alla ricostruzione postbellica. Anche in tale campo ritiene che, una volta fissate le direttive generali, nessun organo sarebbe più competente e più utilmente operante della Regione. L'errore principale di tutto l'attuale programma di ricostruzione, che non si riesce a mettere ancora in atto, a suo avviso, è proprio nell'aver voluto il Governo accentrare la risoluzione di una infinità di problemi i quali, lasciati invece alla competenza dei Comuni e di altri enti d'iniziativa locale, avrebbero già potuto essere risolti.

Conclude augurandosi che il principio della autonomia regionale, nel quale crede, non come in una forma di indebolimento dello Stato, ma come in una forma di maggiore efficienza politica, economica e ricostruttiva della Nazione, resti affermato e si realizzi. Esprime altresì il voto che il progetto presentato all'esame della Commissione, pur con le sue manchevolezze, non finisca con l'offrire il fianco alle critiche e alla offensiva contro il regionalismo e contro il decentramento da parte di organi desiderosi di continuare la loro opera accentratrice, ma sia migliorato in modo da soddisfare il più possibile tutte lo esigenze, facendo sì che i cittadini si sentano effettivamente parte della Nazione e concorrano, colla amministrazione dei loro enti locali e attraverso essi, all'opera di rinnovamento della vita nazionale.

Mortati confessa che, per quanto abbia attentamente esaminato gli articoli 3 e 4, non si è reso conto del loro criterio informatore.

Si trovano in essi quattro diversi tipi di legislazione, riuniti forse un po' confusamente:

1°) una potestà legislativa esclusiva della Regione (articolo 3), dalla quale l'intervento dello Stato in forma normativa sarebbe inibito;

2°) una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive statali;

3°) una potestà legislativa di integrazione delle norme generali;

4°) una potestà legislativa per delegazione da parte dello Stato (ultimo comma dell'articolo 4).

Trova non persuasive alcune di queste disposizioni, e anzi tutto non si rende conto — come già l'onorevole Zuccarini — del perché nel primo caso si debba escludere lo Stato da ogni possibilità di intervento normativo. La Regione può fare ciò che vuole; lo Stato può intervenire soltanto ex post, per far annullare le norme che fossero contrarie agli interessi nazionali. Non vi è quindi luogo ad una valutazione integrale, fatta anteriormente, ma ad una valutazione a posteriori, caso per caso, che trova la sua definizione ultima attraverso il giudizio della Corte costituzionale; e tutto ciò può essere dannoso agli interessi dello Stato e agli interessi della Regione.

Dannoso agli interessi dello Stato, perché è evidente che esso — come ha rilevato l'onorevole Zuccarini — potrebbe avere un indirizzo da segnare in queste materie (agricoltura, strade, pesca, ecc.) e le legislazioni particolari dovrebbero essere uniformate ad un criterio d'insieme. Solo così può dirsi che il regionalismo non disintegra l'unità nazionale, ma la rende più concreta ed efficiente.

Dannoso, inoltre, agli interessi delle Regioni, perché esse, pur avendo ampia potestà in certe materie, in realtà si trovano inceppate dal sindacato del potere esecutivo, che può far annullare, caso per caso, tutte le deliberazioni che siano contrarie agli interessi nazionali. Quindi, sotto l'apparenza di una migliore tutela degli interessi regionali, si finisce col pregiudicare gli interessi stessi e metterli alla mercé dell'arbitrio del potere esecutivo, sia pure corretto da un organo giurisdizionale, sul cui intervento però non può farsi eccessivo affidamento. L'esperienza mostra come sia poco efficiente affidare valutazioni di convenienza ad organi giurisdizionali, a meno di non volerne trasformare l'indole facendoli divenire politici.

Ritiene altresì inopportuno considerare unitamente la potestà legislativa di integrazione di norme direttive e quella di integrazione di norme generali così come fa l'articolo 4. A parte il fatto che tecnicamente è inesatto parlare di integrazione di norme direttive, si tratta di due rapporti differenti e bisogna distinguere le norme direttive dalle norme generali, ai fini del sindacato sulla costituzionalità della normazione regionale. Forse il Comitato ha voluto affermare un diritto da parte della Regione, garantito costituzionalmente, a pretendere che la legge dello Stato si limiti semplicemente a dare le direttive, senza entrare nei particolari; ma non si è reso conto del fatto che, parlando promiscuamente di norme direttive e di norme generali e conferendo allo Stato il potere direttivo e il potere di legiferare in via generale, si faceva venir meno la possibilità di far valere la pretesa di limitare l'intervento dello Stato nel senso accennato.

Altra disposizione che trova non sufficientemente chiara è quella dell'ultimo comma dall'articolo 4, a tenore del quale parrebbe che da parte del legislatore ordinario, con legge speciale, si potesse deferire al potere normativo delle regioni qualunque materia. Non resterebbe quindi in alcuna materia la competenza esclusiva dello Stato, su tutte potendo la Regione legiferare in virtù di una delega. Mentre si è ritenuto che la delega legislativa a favore di altri organi dovesse essere limitata in modo tanto rigoroso da annullarne perfino l'efficienza, qui si ammetterebbe che il legislatore potesse dare direttive su qualunque materia, lasciando poi un largo campo di attività normativa delegata alla Regione. Posta, inoltre, questa mancanza di esclusività di competenza dello Stato, diverrebbe difficile decidere con sicurezza anche della presunzione di competenza per i casi non contemplati.

Su tutti questi argomenti chiede delle delucidazioni al relatore.

Ambrosini, Relatore, comincia col rispondere all'onorevole Mortati che veramente il Comitato ha previsto solo due tipi di legislazione. La prima è quella che in un primo tempo chiamò legislazione primaria o diretta, e che poi pensò — in vista delle ripercussioni che l'espressione avrebbe potuto provocare sull'opinione pubblica — di definire semplicemente «potestà legislativa»; la seconda è la «legislazione di integrazione». Circa il significato di quest'ultimo termine — che l'onorevole Zuccarini ha trovato incerto — ritiene che non possano sorgere dubbi. Non ne sorsero infatti in seno al Comitato. L'onorevole Grieco, anzi, nel proporre la fusione degli articoli 3 e 4, sostenne che si dovesse adottare proprio tale formula: «la regione ha potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello Stato».

Quanto all'obiezione che l'articolo 3 verrebbe a configurare una ipotesi dannosa per lo Stato e forse anche per le Regioni, poiché non è concepibile che esistano materie sulle quali la Regione abbia una competenza esclusiva, fa presente che il Comitato partì dal principio che le Regioni dovessero avere un qualche campo — di interesse particolarmente locale — in cui potessero legiferare in modo autonomo; ma che d'altra parte dovesse evitarsi che l'esercizio di questa potestà legislativa esclusiva causasse un qualche nocumento agli interessi generali dello Stato. Fu appunto nel desiderio di conciliare le due esigenze, che il Comitato ritenne, nell'affermare questa competenza esclusiva della Regione in determinate materie, di salvaguardare nel contempo l'interesse generale dello Stato, integrando la disposizione con l'aggiunta che la Regione dovrà esercitare il suo potere normativo «in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato», nonché «nel rispetto degli interessi nazionali».

Conviene con l'onorevole Mortati che qui si entra in un campo particolarmente delicato, in quanto sarebbe estremamente difficile dare una definizione precisa dell'interesse nazionale. Spiega quindi che il Comitato si rese conto della necessità di regolare la materia in modo da contenere nei giusti limiti la potestà legislativa della Regione. All'uopo indugiò nell'esame dei vari sistemi, che egli, come relatore e come incaricato della redazione del primo progetto, aveva prospettati, proponendo in modo alternativo ben cinque articoli su questo punto. Il Comitato prescelse quello che costituisce l'articolo 12 dell'attuale progetto. Gli altri quattro sono riprodotti come «varianti» alla fine del progetto.

Riservandosi di ritornare sull'argomento quando verrà in discussione l'articolo 12, crede opportuno di avvertire fin d'ora, che — appunto per la considerazione, fatta dall'onorevole Mortati e da altri colleghi, che la valutazione degli «interessi nazionali» porta necessariamente ad un giudizio di merito — egli aveva, in una delle suddette «varianti», distinto il giudizio di legittimità da quello di merito, proponendo di affidare il primo alla Corte costituzionale ed il secondo al Parlamento Nazionale. Il Comitato deliberò a maggioranza di non accogliere questo sistema. Personalmente egli ritiene che sarà opportuno ripigliarlo in considerazione.

Riguardo all'altra osservazione dell'onorevole Mortati, sull'espressione «norme direttive e generali emanate con legge dello Stato» adoperata dall'articolo 4, rileva che il Comitato non intese configurare due ipotesi, ma una sola. Le parole «direttive» e «generali» debbono considerarsi come integrantisi a vicenda in modo da dar luogo all'affermazione di un unico concetto: lo Stato detta le norme generiche, fondamentali, nell'ambito delle quali le Regioni possono poi dettare le norme integrative, in base alle particolari condizioni locali; norme, queste ultime, che non debbono ridursi a norme di «attuazione», secondo proponeva l'onorevole Lami Starnuti, ma che rappresentano qualcosa di più, in corrispondenza al significato della parola «integrazione», secondo intese il Comitato e secondo affermò l'onorevole Grieco quando propose di fondere gli articoli 3 e 4, attribuendo alla Regione, per tutte le materie in essi espressamente indicate e per le altre che il legislatore potesse in avvenire determinare, la «potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello Stato».

Dichiara infine che non condivide le preoccupazioni manifestate dall'onorevole Mortati riguardo all'ultimo comma dell'articolo 4, giacché è il legislatore che di volta in volta deciderà di attribuire qualche altra materia alla competenza legislativa di integrazione della Regione; e ciò sarà fatto a mezzo di leggi speciali. Bisogna pur concedere al legislatore ordinario la possibilità di muoversi liberamente in questo campo a seconda ritenga opportuno in corrispondenza a sopravvenute necessità. Una eccessiva e pregiudiziale sfiducia nei suoi riguardi non gli sembra opportuna. D'altra parte sarebbe troppo complicato, e per ciò stesso inefficiente, richiedere sempre l'intervento dell'organo costituente.

Laconi domanda se si è inteso ammettere questa delega legislativa alle Regioni per determinate materie o non piuttosto per determinati oggetti. Nota infatti che il termine «materie» è già usato nel primo comma con un significato molto più ampio e forse nel caso in esame si sarebbe dovuto parlare di «oggetti».

Ambrosini, Relatore, non vede quale differenza possa esserci fra le due parole.

Mortati ribadisce il pensiero già espresso, mostrando su degli esempi la larghezza di intervento consentito alla Regione in virtù di delega legislativa, in contrasto con il principio generale restrittivo fatto valere in occasione della disciplina della delegazione legislativa al governo.

Ambrosini, Relatore, replica che non si deve avere una diffidenza preconcetta verso il futuro legislatore e non bisogna incatenarlo con disposizioni costituzionali particolareggiate che lo spingano ad evadere la Costituzione o ad ottenerne la modifica. Ricorda che la Costituzione americana è in vigore ormai dal 1787, appunto in virtù delle larghe possibilità di adattamento che ha lasciato al legislatore.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti