[Il 17 gennaio 1947 la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discute sulle autonomie locali.]

Perassi desidera far rilevare che nella attuale seduta, in cui saranno discussi argomenti di notevole importanza, riguardanti l'ordinamento regionale, i Deputati del gruppo repubblicano sono per la maggior parte assenti, in quanto impegnati nel congresso di Bologna.

Il Presidente Ruini ricorda che, in base a quanto è stato deciso dalla Commissione, questa esaminerà le questioni che hanno implicato un dissenso sostanziale in seno al Comitato di redazione.

Per quanto riguarda le autonomie locali, in seno al Comitato di redazione vi è stato accordo pieno sul punto che, essendo state già concesse o promesse a quattro Regioni (le due grandi isole, il Trentino-Alto Adige e la Val d'Aosta) forme di autonomia particolarmente ampie, non era il caso di estendere tali forme a tutte le altre Regioni italiane per le quali si sarebbe dovuto adottare nella Costituzione un tipo comune di autonomia. Dissenso si è invece determinato sui poteri da dare alla Regione e, soprattutto su un punto, sul quale il Comitato di redazione richiama l'attenzione della Commissione. La seconda Sottocommissione, su relazione dell'onorevole Ambrosini, che ha particolarmente curato questa materia, ha stabilito che alla Regione siano date facoltà legislative.

Queste facoltà di legislazione nel primo progetto Ambrosini, avevano due manifestazioni: una per così dire esclusiva, ed una integrativa dei principî e dei criteri direttivi stabiliti dallo Stato nelle sue leggi. La Sottocommissione, ampliando questa casistica, ha creato tre tipi di legislazione: un primo tipo che può sempre chiamarsi di legislazione esclusiva, un secondo di legislazione suppletiva o concorrente, nel senso che lo Stato può, in determinati casi, stabilire i criteri entro i quali la Regione dovrà legiferare; un terzo infine di carattere integrativo, quando cioè la Regione ha facoltà di integrare con proprie norme i principî stabiliti dalle leggi dello Stato.

Si sarebbe voluto aggiungere anche un quarto caso, quello della facoltà regolamentare, ma il Comitato di redazione si è trovato di fronte a deliberazioni sostanziali che non ha potuto modificare. Ha dovuto, perciò, conservare le tre forme anzidette, salvo a far rientrare la facoltà di emanare regolamenti nella terza categoria proposta.

Queste le proposte che vengono ora portate all'esame della Commissione.

Osserva che, in primo luogo, occorre risolvere la questione di principio, cioè se sia opportuno o meno concedere alla Regione potestà legislativa esclusiva in determinate materie.

I sostenitori della prima tesi, che è stata quella che ha prevalso nella seconda Sottocommissione, hanno fatto rilevare che anche con il loro testo si tengono presenti delle limitazioni che valgono a non intaccare l'unità dello Stato. Infatti, anche per la legislazione esclusiva, è prescritto che essa deve svolgersi in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell'ordinamento dello Stato, e con il rispetto degli interessi e degli obblighi internazionali dello Stato.

Dall'altra parte è stato risposto che una tale legislazione, sebbene entro questi limiti generali, implicherebbe una funzione legislativa vera e propria di cui verrebbe spogliato lo Stato, ed è stata sostenuta l'opportunità di concedere alla Regione soltanto una facoltà legislativa di integrazione e di attuazione «per adattare alle condizioni locali le norme generali direttive stabilite con leggi della Repubblica».

Un emendamento in tal senso, sostitutivo degli articoli 4, 5 e 6 del testo predisposto dal Comitato di redazione, è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Lami Starnuti e Bozzi. Esso è così formulato:

«La Regione ha facoltà legislativa di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive stabilite con leggi della Repubblica.

Tale facoltà si esercita, oltreché nelle materie i cui servizi sono di competenza della Regione (di cui al successivo articolo), nelle altre che, pur sempre entro i limiti dell'interesse regionale, concernono:

l'agricoltura, l'industria e il commercio;

le miniere e cave;

le acque pubbliche e l'energia elettrica;

l'istruzione;

le altre materie indicate da leggi speciali».

Apre la discussione generale sulla questione di principio, invitando l'onorevole Ambrosini a voler riassumere il punto di vista che ha prevalso in seno alla seconda Sottocommissione.

Ambrosini fa presente che, senza dubbio, dal punto di vista teorico, appare una differenza profonda tra i vari sistemi progettati e specialmente tra quelli che erano stati presentati dal Comitato di redazione e dalla maggioranza della Sottocommissione da una parte e l'emendamento proposto dagli onorevoli Lami Starnuti, Laconi e Bozzi dall'altra. Sennonché, questa differenza, in fatto, può ridursi a ben poco quando le materie di competenza cosiddetta esclusiva della Regione siano limitate nel numero o, comunque, circondate da garanzie tali da salvaguardare in modo assoluto i principî generali della legislazione statuale e quando, d'altra parte, si estenda di molto la categoria delle materie per le quali la Regione può emanare delle norme cosiddette di integrazione o di applicazione, secondo il sistema dell'emendamento in discussione.

Ricorda che la seconda Sottocommissione, durante la prima discussione generale in materia, si pronunciò in modo nettamente e decisamente favorevole alla concessione alla Regione di una vera facoltà legislativa, tanto che a grande maggioranza respinse una proposta secondo la quale la Regione avrebbe avuto soltanto la facoltà di emanare norme giuridiche. Il fatto stesso di avere differenziato nettamente le espressioni «facoltà legislativa» e «facoltà di emanare norme giuridiche», e di avere adottato la prima espressione sta a indicare qual era il pensiero della maggioranza della Sottocommissione; pensiero al quale si attenne il Comitato di redazione per l'autonomia regionale e che la stessa Sottocommissione ribadì nell'approvare il testo definitivo, sia pur con una ulteriore differenziazione delle categorie di leggi regionali rispetto a quella più semplice che era stata proposta dal Comitato di redazione.

Non crede di dover scendere ai particolari; personalmente sarebbe stato per il mantenimento del sistema proposto dal Comitato di redazione, ma l'integrazione fatta dalla Sottocommissione può costituire una ulteriore specificazione che conferma il principio di tale sistema.

Esprime l'avviso che l'emendamento proposto dagli onorevoli Lami Starnuti, Laconi e Bozzi non sia da accettare, in quanto contrasta col carattere che si è voluto dare alle Regioni. Mette in rilievo che, costituendole come enti autonomi dotati di funzioni e poteri propri, si è voluto differenziarle e porle in un piano superiore a quello degli enti autarchici. Se quindi oggi si concedesse alla Regione soltanto la potestà di emanare norme giuridiche di integrazione, dal punto di vista concettuale e pratico si arriverebbe a non porre il nuovo ente nella categoria in cui la Sottocommissione ha deciso di collocarlo. Per compiere una effettiva riforma adeguata agli sforzi prestabiliti, bisogna compiere un deciso passo innanzi, dando alla Regione la potestà legislativa.

I sostenitori della riforma non si sono nascosti le preoccupazioni e le apprensioni che la concessione di una siffatta potestà potrebbe suscitare ed hanno esaminato la questione da tutti i punti di vista, arrivando all'elaborazione di un sistema, che, pur affermando l'autonomia della Regione, non pregiudica affatto i diritti e l'interesse superiore dello Stato anche nel campo legislativo.

Rileva anzitutto che impropriamente si è parlato di una potestà legislativa esclusiva, la quale si ha soltanto quando un determinato ente può dettare, su una determinata materia, norme senza alcuna limitazione od alcun controllo.

Qui, invece, la Regione non è completamente libera di dettare norme giuridiche in quanto vi sono dei limiti i quali sono precisi e tassativi: si è detto infatti che alla Regione compete questa potestà legislativa in armonia con la Costituzione ed inoltre con i principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato. Questa aggiunta, che a taluno può esser sembrata superflua, è stata espressamente introdotta perché i principî generali che regolano la vita dello Stato non possono essere tutti compresi nella Costituzione. Non solo, ma è stata aggiunta una limitazione ancora più significativa e che dovrebbe — a suo avviso — eliminare qualsiasi perplessità: quella che le norme emanate dalle Regioni debbono rispettare gli interessi nazionali e delle altre Regioni e gli obblighi internazionali dello Stato. Ora si domanda: se sono state poste queste limitazioni, se la potestà legislativa della Regione, pur nelle materie limitate, è così infrenata, ci può essere il pericolo che la Regione esorbiti da questi limiti e violi i principî generali che vigono nello Stato o danneggi gli interessi delle altre Regioni? Crede che questo pericolo non vi sia.

Aggiunge che questa disposizione fondamentale deve essere riguardata insieme con le disposizioni successive concernenti l'interferenza del Governo centrale sulla vita delle Assemblee regionali e sul procedimento di formazione della legge regionale. Bisogna infatti riguardare il sistema nel suo complesso, per accertare se sussistano o meno tali pericoli di un'eventuale esorbitanza della Regione nell'esercizio del potere legislativo.

Quanto alla vita dell'Assemblea regionale, è stato attribuito al potere centrale il diritto di scioglierla, quando essa compia atti contrari all'unità nazionale o gravi violazioni di legge. Passando all'esercizio della potestà legislativa della Regione, espone il sistema concreto adottato dal progetto, che dà al Governo, anzitutto, il diritto di rinviare con le sue osservazioni all'Assemblea regionale i disegni di legge da essa approvati, e successivamente, nel caso che questa li approvi nuovamente, di ricorrere contro di essi alla Corte Costituzionale per motivi di legittimità e al Parlamento per il merito, arrestando in ambedue i casi l'entrata in vigore della legge.

Occorre dunque tener presente che la legislazione della Regione è imbrigliata da vari limiti: rispetto dei principî della Costituzione e dell'ordinamento giuridico dello Stato; obbligo di non interferire e violare non solo i diritti, ma anche gli interessi dello Stato o di singole altre Regioni; sindacato dell'esercizio della potestà legislativa da parte del Parlamento. Si domanda perciò se veramente questo potere legislativo attribuito alla Regione presenti pericoli per l'unità, non solo politica, ma giuridica dello Stato, tali da dover indurre a respingere il testo della Sottocommissione e ad accettare l'emendamento proposto.

Ritiene che la costituzione del nuovo Ente sia stata progettata in una forma così precisa e marcata da fargli sentire tutto il peso della propria responsabilità. Conclude invitando la Commissione a voler tener conto delle osservazioni svolte e respingere l'emendamento proposto dagli onorevoli, Laconi, Bozzi e Lami Starnuti.

Bozzi, premesso che in seno alla seconda Sottocommissione, tutti i colleghi, tranne l'onorevole Nobile, il quale assunse una posizione isolata rigidamente unitaria, furono d'accordo nel senso che si dovessero ammettere le autonomie regionali, come reazione a quell'accentramento statale per tanto tempo invalso in Italia e come garanzia per la democrazia e la libertà, fa presente che tutti furono pure d'accordo sulla necessità di creare un sistema il quale desse garanzia e sicurezza che l'unità nazionale non verrebbe infranta. Ha però l'impressione — ed è per questo che ha presentato con altri colleghi l'emendamento in discussione — che il sistema di competenza amministrativa della Regione incida sull'unità dello Stato per quella che è la manifestazione prima di tale unità, cioè la funzione legislativa.

Orientamento della nuova Costituzione dovrebbe essere quello di far sì che il Parlamento nazionale non si occupasse di leggi troppo particolari, ma commettesse invece ad altri organi, come appunto la Regione, l'ufficio di integrare queste norme per adattarle alle esigenze locali. Ma il sistema adottato dalla seconda Sottocommissione va molto al di là, in quanto prevede quattro tipi di competenza legislativa da attribuire alla Regione. Il primo tipo è quello che si fonda sul principio del non intervento dello Stato in determinate materie, nei confronti delle quali lo Stato può solo intervenire successivamente con una potestà di annullamento e di impugnativa; il secondo tipo concerne la sfera di competenza in cui lo Stato, come legislatore, concorre con la Regione; il terzo, concerne la sfera inerente alla potestà integrativa assegnata alla Regione; il quarto la sfera in cui invece la Regione ha una potestà regolamentare. Ora, già il determinare diverse sfere di competenza crea — a suo avviso — in tale materia delicatissima, una estrema incertezza, soprattutto fra la competenza della Regione e quella dello Stato, con tutte quelle conseguenze che facilmente si possono immaginare in un sistema in cui è prevista una facoltà di impugnativa. Per questo ritiene che tutto il sistema vada semplificato. Crede altresì che, per mantenere veramente l'unità dello Stato sul piano politico e su quello economico — sottolinea il piano economico — lo schema proposto dagli onorevoli Laconi e Lami Starnuti e da lui risponda alla giusta esigenza di tutelare l'unità dello Stato e dare insieme un giusto riconoscimento ad una sfera di competenza della Regione.

Illustra lo schema proposto, rilevando che, con esso, si stabilisce il principio che non vi possono essere materie per le quali sia negata allo Stato la potestà di dire una sua parola in materia legislativa. Alla Regione è commessa quella che si è chiamata competenza di attuazione e di integrazione. Questo è infatti il compito precipuo che deve avere la Regione: adattare le norme direttive e generali che lo Stato intende emanare alle esigenze particolari della Regione. Ma al di là non si deve andare.

Il problema è — a suo parere — veramente fondamentale. Nella nuova struttura che si vuol dare alla Nazione, occorre mantenere l'unità dello Stato nel decentramento e non creare un sistema come quello proposto che, anche se oggi non lo è, possa scivolare domani in un sistema federale.

Ritiene che accogliendo l'emendamento si darà al nuovo ente che sorge una giusta competenza con largo decentramento amministrativo, con larga sfera di attribuzioni, mantenendolo però sempre nel campo dell'attuazione delle norme e delle direttive generali che lo Stato intende emanare.

Laconi premette anch'egli che nessuno, in seno alla seconda Sottocommissione, pose in discussione la questione di principio della opportunità di creare un ordinamento fondato sulle Regioni, e tutti furono concordi nel riconoscere che la Provincia era una circoscrizione artificiale che non rispondeva a nessuna analoga unità organica esistente in Italia. Da questo, però, si è passati ad una concezione così avanzata e così nuova, che offre indubbiamente un vasto campo di discussioni e di dissensi.

Pensa che per apportare una variazione tanto profonda alla struttura costituzionale ed all'ordinamento di un Paese come l'Italia, che ha così laboriosamente concretato la sua unità politica e realizzata la sua unità economica, culturale e sociale, dovrebbero sussistere ragioni immensamente gravi. Si domanda ora se tali ragioni sussistano veramente.

A chi cita i nomi di Minghetti, Mazzini e Cattaneo, come quelli di persone favorevoli ad un sistema autonomista, fa presente che i motivi che allora li spingevano ad una tale concezione, non possono più essere fatti valere oggi che l'unità nazionale in Italia è realizzata. Oggi il problema non può essere posto negli stessi termini in cui si poneva un secolo fa. Non può comprendere che vi siano oggi degli autonomisti i quali, soltanto per il fatto che hanno determinate tradizioni di partito da difendere o determinate concezioni arretrate rispetto alla situazione politica italiana, vogliano attuare una innovazione così profonda che non risponde affatto al sentimento popolare italiano e che non trova la sua ragione in una situazione politica, sociale ed economica quale è quella attuale dell'Italia.

Osserva che se si esamina lo sviluppo dell'unità italiana, ci si può convincere che, in sostanza, soltanto per alcune Regioni il problema sussiste tuttora. Vi sono infatti Regioni in Italia che sono rimaste avulse dal processo formativo dell'unità nazionale: ciò vale per la Sardegna, per la Sicilia, per la Regione mistilingue, che hanno veramente delle ragioni per poter rivendicare una autonomia. Ma altrove, nella maggior parte delle regioni di Italia, il problema viene introdotto nel modo più artificiale.

Perciò egli ed altri Commissari proposero in sede di Sottocommissione un trattamento differente per le diverse Regioni.

Tenuto presente che esiste realmente in Italia una necessità di decentrare l'unità statale, egli era d'avviso che si dovesse accedere ad un ordinamento fondato sulle Regioni, limitando però l'ordinamento autonomista soltanto a quelle Regioni in cui questa esigenza si era manifestata in modo più profondo. Il progetto in esame prevede invece un ordinamento che, se venisse domani attuato, porterebbe ad una completa disintegrazione dello Stato italiano.

All'onorevole Ambrosini, il quale ha affermato che non si può parlare di una potestà legislativa di carattere esclusivo per le Regioni, fa presente che, quando al legislatore regionale si fissano come limiti le norme costituzionali, gli interessi nazionali e l'ordinamento giuridico dello Stato, non si fa in sostanza che porgli gli stessi limiti che ha il legislatore statale.

Pensa che con il sistema proposto si andrebbe verso una Costituzione federale dello Stato, creando inoltre un enorme appesantimento della burocrazia.

Si sono già viste le prime conseguenze del progetto. Non appena se ne è avuta notizia in Italia, ci si è trovati dinanzi ad una pletora di richieste, provenienti da zone che non avevano mai avuto rivendicazioni autonomistiche; si sono visti gruppi di politicanti locali richiedere per le loro Regioni strane ripartizioni.

Ritiene che le conseguenze di un sistema quale è stato proposto non possano essere se non conseguenze anarchiche, e che con una soluzione del genere si aprirebbe in Italia una fonte continua di conflitti mentre il Paese, perduto il suo carattere unitario, finirebbe con il restare diviso in una serie di piccoli Stati.

Invita pertanto la Commissione a rivedere con molta attenzione il progetto, soprattutto nelle sue parti essenziali, e ad accedere ad una soluzione che risponda realmente alla situazione reale della democrazia italiana.

Lucifero dichiara di condividere in gran parte il pensiero degli onorevoli Bozzi e Laconi, e di aderire alla soluzione da essi proposta, unitamente all'onorevole Lami Starnuti, soluzione che considera la meno cattiva.

Non condivide peraltro l'opinione espressa dall'onorevole Laconi, secondo il quale l'unità italiana politica ed economica sarebbe perduta con l'adozione del progetto, perché l'unità economica deve ancora essere raggiunta in un Paese come il nostro geograficamente diviso da una parte in un mercato di produzione e dall'altra in un mercato di consumo. Ed egli teme appunto che un regionalismo troppo spinto finisca con il creare in Italia uno stato di disintegrazione, che è altamente deprecabile.

Deve infine fare una riserva. Vede con preoccupazione la creazione delle marche di frontiera, di quattro Cantoni, cioè, di quattro zone italiane privilegiate, le quali si troverebbero in confronto alle altre in una situazione di maggiorascato. Non entra in dettagli, non essendone questa la sede, ma ritiene opportuno fare tale riserva su una questione che un giorno forse potrà risultare più grave di quanto non sembri oggi.

Lami Starnuti, associandosi alle osservazioni dei colleghi Bozzi e Laconi, aggiunge di aver concepito con essi la Regione come lo strumento ed il mezzo per quel decentramento amministrativo di cui vi è tanto bisogno in Italia per svincolare le attività locali dal centralismo dello Stato.

Ricorda che nel Comitato di redazione egli aveva proposto una formula più attenuata di quella contenuta nell'emendamento, formula che dava alla Regione la facoltà di applicare la legge dello Stato secondo i bisogni locali. Aderisce a questa formula più ampia, non per addivenire ad un compromesso, ma perché gli sembra che questa formula salvi anch'essa le ragioni essenziali per le quali si era opposto alla soluzione sostenuta dall'onorevole Ambrosini, soluzione secondo la quale — a suo credere — si mette veramente in pericolo la sovranità dello Stato. Quando infatti, per alcune materie, si esclude interamente lo Stato da ogni facoltà di intervento e di disciplina, si giunge ad uno Stato unitario sui generis e ci si avvicina veramente alla forma dello Stato federale.

Per questa ragione, mantiene la sua contrarietà sia alla formula adottata dalla seconda Sottocommissione, sia al testo predisposto dal Comitato di redazione e dichiara che voterà l'emendamento proposto a sostituzione degli articoli 4, 5 e 6 del progetto.

Perassi non si richiama né a Minghetti né a Mazzini né a Cattaneo, poiché non crede sia l'ora di fare della letteratura o della retorica. Per restare al tema concreto, osserva che il punto di cui oggi si discute è se alla Regione, una volta che tutti sono d'accordo nel creare questo Ente nell'ambito dello Stato, si debba attribuire una competenza legislativa e di quale tipo. Ora, nel testo elaborato dalla Sottocommissione, si sono formulati diversi articoli che indicano vari tipi di legislazione regionale. L'articolo che ha dato luogo a maggiore discussione è il 4; ma egli rileva che le critiche mosse dai precedenti oratori si sono fermate alla prima parte dell'articolo senza tener conto del seguito. L'onorevole Laconi, ad esempio, ha osservato — e giustamente in un certo senso — che anche la legge dello Stato è una legge che incontra dei limiti nei principî costituzionali. Ma l'articolo 4 non si limita al primo comma: la parte essenziale dell'articolo sta nei commi successivi, che specificano le materie nelle quali la Regione è chiamata ad esplicare una potestà legislativa.

A coloro che affermano che con il nuovo ordinamento si andrebbe incontro alla disgregazione dello Stato, domanda se effettivamente l'unità dello Stato possa essere compromessa dalla facoltà concessa alla Regione di legiferare in materia di ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali, di modificazioni delle circoscrizioni comunali, della polizia urbana e locale, di fiere e mercati, di beneficenza pubblica, di scuola artigiana, urbanistica, ecc.

L'onorevole Ambrosini ha già esaurientemente illustrato la portata del sistema e quali sono le cautele e le garanzie per assicurare che l'esplicazione di questa potestà legislativa della Regione non porti ad alcun pericolo.

È stato rilevato che con i diversi articoli del progetto si crea una serie di tipi diversi di leggi regionali. Riconosce giusta l'osservazione, ma rileva che in questo non v'è nessun pericolo. Vi sono infatti questioni di interesse strettamente locale, nelle quali una legislazione regionale può essere più direttamente competente; vi sono invece materie nelle quali l'interesse regionale non è esclusivo od assolutamente prevalente e per queste è concepito un tipo di legislazione che consiste nella fissazione da parte di una legge dello Stato di principî generalissimi, lasciando alle Regioni un'ampia libertà di legislazione. Vi è poi un terzo tipo di legislazione che consiste nell'attribuire allo Stato la fissazione di norme abbastanza larghe e nel lasciare alle singole Regioni una competenza legislativa di integrazione e di adattamento.

Vi è infine un'altra formula sulla quale non vi è discussione: ed è la disposizione che leggi dello Stato possano demandare alle Regioni il potere di emanare le norme regolamentari per la loro esecuzione. Inserire quest'ultima formula nella Costituzione potrebbe essere, da un punto di vista strettamente giuridico, superfluo, ma l'inserzione nella Costituzione è suggerita da una ragione per dir così di incitamento, in quanto è opportuno richiamare volta per volta gli organi dello Stato, quando si fa una legge, a questa possibilità ed opportunità.

Per le considerazioni svolte, ritiene opportuno mantenere in pieno l'adesione ai risultati cui è giunta la seconda Sottocommissione, attraverso un esame molto approfondito, compiuto con gran senso di responsabilità e partendo dal concetto che l'unità nazionale non si discute né si mette in pericolo.

Togliatti, associandosi alle considerazioni svolte dal collega onorevole Laconi, prende in esame il progetto presentato all'approvazione della Commissione, rilevando come ci si trovi di fronte ad un complesso di norme, che, lungi dall'essere coerenti, sono, anzi, contraddittorie ed alcune volte vanno persino — senza voler offendere coloro che vi hanno faticosamente lavorato — a cadere nel ridicolo. Ciò deriva — a suo avviso — dal fatto che, probabilmente, si sono trovate di fronte due concezioni diverse, una federalistica e una di decentramento amministrativo. Un compromesso di principî non è stato trovato; è stato trovato invece un compromesso di formule, il quale poi si è spostato da una parte o dall'altra, a seconda delle vicende delle presenze nella Sottocommissione. Questo ha portato a singolari decisioni quale, ad esempio, quella che fa rientrare i provvedimenti circa la torba nella facoltà legislativa della Regione; mentre lo stesso non avviene per il carbone.

Osserva che nel complesso di norme presentate come testo v'è un difetto fondamentale: vi rimangono profonde le tracce del federalismo, mentre non esiste il decentramento; anzi si hanno norme che appesantiscono in modo molto grave l'apparato amministrativo.

Rileva come si sia sentita la necessità di inserire nella Costituzione una norma che vieti l'istituzione di dazi di importazione e di esportazione o di transito tra una Regione e l'altra; ed osserva che una norma del genere è assurda, poiché non dovrebbe nemmeno essere presupposta l'eventualità di un attentato alla libertà di circolazione nel Paese.

All'articolo 8 è poi detto che le Regioni hanno autonomia finanziaria; anche su questo punto chiede spiegazioni. Egli è favorevole alle autonomie, ma vorrebbe che la questione della autonomia finanziaria venisse spiegata meglio, poiché egli trova nella norma la traccia di quella che chiamerebbe una economia regionale.

Sostiene, invece, la necessità di venire incontro alle esigenze delle singole Regioni sul piano dell'economia nazionale, evitando il pericolo di creare una divisione economica fra le singole Regioni.

Aggiunge che il progetto si risolve in una misura antimeridionalistica: viene sbarrata la strada per la quale la ricchezza del Nord potrebbe andare ad elevare il livello economico del Sud.

Gli sembra che, accettando i criteri contenuti nel progetto, si darà modo inevitabilmente agli egoismi regionali di manifestarsi e si impedirà la circolazione, verso il Mezzogiorno, delle ricchezze, accumulate oggi prevalentemente nel Nord. Lo sviluppo economico d'Italia, per un certo periodo di tempo, rimarrà cristallizzato al punto in cui è arrivato, mentre invece è necessario favorire la elevazione del Sud, mediante un più stretto contatto con le Regioni settentrionali, attraverso quel sistema di vasi comunicanti, che può essere dato da una unità economica indivisibile.

Ritiene inaccettabile il progetto, poiché con esso non vi è decentramento, ma si crea un'altra istanza, senza sopprimere nessuna di quelle precedenti; si crea l'istanza legislativa subordinata, vastissima: si crea il vero staterello federale. Con il nuovo sistema sarà possibile, è vero, attuare la riforma agraria in Emilia; tale riforma però va attuata in tutte le Regioni, sia pure più modestamente, ma tuttavia su un piano nazionale, onde elevare il livello dell'economia generale.

Inoltre il funzionamento di questa nuova istanza è legato ad una serie tale di controlli, per cui, alla fine, sarà la Corte costituzionale a decidere; il che potrà paralizzare il funzionamento delle Regioni.

Accennando infine alla facoltà che verrebbe concessa alle Regioni di emanare norme legislative in materia di fiere e mercati o di porti lacuali, fa presente che alle amministrazioni comunali spetta il compito delle relative decisioni.

Mette in guardia contro il pericolo di fissare barriere, che non corrispondono alla necessità di sviluppo della vita nazionale. È d'accordo con l'onorevole Perassi, quando questi afferma la necessità di salvaguardare l'unità nazionale, che è una conquista; ma osserva che non è ancora una conquista concreta, e sovrattutto, non è così solida come dovrebbe essere.

Conclude dichiarandosi favorevole sì al più largo decentramento amministrativo ed alle autonomie dei Comuni, ma contrario ad un apparato macchinoso, come quello progettato, che rende più pesante la nostra organizzazione amministrativa; e sovrattutto è in funzione antimeridionale, è una barriera allo sviluppo economico del Mezzogiorno, e stimola contro il Mezzogiorno gli egoismi delle Regioni settentrionali più ricche.

Per questi motivi, ritiene che tutta la questione debba essere profondamente riveduta.

Colitto dichiara che, personalmente, non ha grandi simpatie per la progettata ripartizione del territorio dello Stato in Regioni e non sa quanto il costituendo nuovo ordinamento gioverà a mantenere salda l'unità politica, economica e morale della Patria.

Ha, d'altra parte, l'impressione che il nuovo ente non giovi a rendere migliore, nei suoi vari aspetti, la vita delle singole parti del Paese. Non si nasconde, inoltre, di aver ricevuto notevole impressione dalle ragioni, per le quali da ogni parte d'Italia si è, in questi giorni, affrontata la difesa dell'ente Provincia.

Pensa, comunque che, nel caso in cui l'esperimento dell'ente Regione si voglia fare, sia necessario attribuire alla Regione, senza scendere ad inutili specificazioni, soltanto un potere legislativo di integrazione ed in funzione delle leggi dello Stato.

Afferma che la legge deve essere, non può non essere, la stessa per tutti gli italiani, quale che sia la materia, più o meno importante che disciplina. Potrà essere la legge adattata alle diverse condizioni dei vari settori del territorio nazionale e completata; ma deve asserirsi, ovunque e in ogni momento, che una è la legge regolatrice della vita nazionale.

È perciò d'avviso che debba approvarsi — nel caso in cui l'esperimento s'intenda fare — l'emendamento proposto agli articoli 4, 5, 6.

Einaudi ricorda che nel corso della discussione in seno alla Sottocommissione, manifestò talvolta il suo dissenso da alcuni dei principî stabiliti nel progetto. Le ragioni di tale dissenso stanno nella sua impressione che il progetto, in alcune parti, vada contro alle esigenze più profonde dell'economia moderna. Crede inutile affermare che le Regioni possono legiferare sia in maniera esclusiva, sia in maniera concorrente su alcune materie le quali necessariamente tendono ad essere regolate non soltanto dallo Stato, ma da enti che sono superstatali. Ha visto, ad esempio, con grande sospetto parlare di regolamentazione regionale delle acque pubbliche e dell'energia elettrica, anche se si è aggiunta la limitazione «in quanto il loro regolamento non incida sull'interesse nazionale e su quello di altre Regioni». Crede che la Regione non debba avere ingerenza nella materia delle acque pubbliche, in quanto esse debbono essere per la loro utilizzazione — nell'interesse del Paese e della singola Regione — unificate e non si può dare una utilizzazione razionale in nessun paese alle acque pubbliche, se questa utilizzazione non è di carattere nazionale.

Così non vede come sia possibile regolare nelle Regioni il credito, l'assicurazione, il risparmio, le miniere: sono tutti argomenti che devono essere regolati dallo Stato.

Dal punto di vista economico, si è trovato perciò in disaccordo nella discussione in seno alla Sottocommissione con coloro che sostenevano che di questa materia si dovesse occupare la Regione. Da questo punto di vista, approva le considerazioni fatte dall'onorevole Togliatti. Non comprende però perché egli abbia criticato la norma dell'articolo 8, dall'oratore proposta, relativa al divieto di porre ostacoli alla circolazione delle merci.

Togliatti osserva di essersi soltanto meravigliato del fatto che si sia stati costretti a proporre una norma simile.

Einaudi fa presente che si tratta di una necessità legislativa riconosciuta in tutte le legislazioni federali: svizzera, americana, ecc., e che se non si afferma esplicitamente tale principio, si corre il rischio che ogni singola Regione, ogni singolo Cantone, ogni singolo Stato, adottino dazi di importazione e di esportazione, stabilendo divieti per il commercio interregionale, che sono funesti non solo per l'unità del Paese ma anche per la ricchezza e la prosperità delle medesime Regioni che li stabiliscono.

Detto questo, e quindi spiegato come egli si sia trovato in disaccordo per alcune materie contemplate negli articoli 5 e 6, non vede ragione di non dare il suo voto all'articolo 4, il quale si riferisce a materie che, come ha rilevato l'onorevole Perassi, sono assolutamente locali. Non c'è nessuna ragione che lo Stato venga ad interferire negli argomenti elencati in tale articolo e che possono essere regolati molto meglio sul luogo da un Consiglio regionale, che conosce come nella propria Regione debbano essere amministrati tanti piccoli servizi i quali hanno caratteristiche esclusivamente regionali. Sono così diverse in Italia le condizioni di clima, economiche, ecc., che — ad esempio — la legislazione sull'urbanistica deve necessariamente essere una legislazione locale.

Rileva poi come non sia stato posto nella dovuta luce un elemento fondamentale dell'attività regionale, quello riferentesi all'insegnamento, che afferma appartenere sia nel ramo elementare, che in quello medio e superiore, alla Regione, e più ancora ad enti che sorgono entro la Regione e che possono essere regolati localmente in base a principî generali. Osserva essere stato un danno grave che durante il periodo fascista l'istruzione elementare sia passata dai Comuni allo Stato, ed afferma che la creazione di una burocrazia ufficiale di maestri e professori, i quali dipendono tutti da un Ministero della pubblica istruzione che risiede a Roma, è una delle piaghe della vita italiana. Sostiene quindi la necessità, non solo di un decentramento, ma di un'amministrazione locale di tutto ciò che appartiene alla intelligenza ed alla cultura. Lo Stato in questa materia non deve avere alcuna ingerenza.

Conclude che voterà a favore dell'articolo 4 e non degli altri articoli, che gli sembrano pericolosi dal punto di vista economico e manchevoli dal punto di vista intellettuale.

Lussu si dichiara convinto che la massima parte delle disgrazie che attraversa il Paese è dovuta principalmente alla organizzazione centralista dello Stato e che se si fosse potuti arrivare ad una organizzazione federalistica dello Stato, ci si troverebbe oggi in una situazione molto migliore. Ma egli non ha posto il problema federalistico come attuale in seno al Comitato per le autonomie, come non l'ha posto in seno alla seconda Sottocommissione, perché riconosce che una coscienza federalistica non esiste in Italia.

In questo problema egli si trova quasi isolato nelle sinistre; è d'accordo peraltro con qualche corrente che ha i suoi esponenti nel movimento socialista, nonché comunista alla periferia, mentre si trova in gran parte d'accordo con la democrazia cristiana, e crede che il concetto autonomistico di questa sia espressione di una profonda esigenza democratica.

È d'opinione che la riforma autonomistica non sia soltanto una riforma di carattere amministrativo, giuridico o tecnico, ma soprattutto un problema di organizzazione democratica, di creazione di una coscienza democratica; ed è convinto che se il Paese fosse stato organizzato negli anni precedenti in questo modo, sarebbe stato impossibile al fascismo impadronirsi di tutta l'Italia. La coscienza democratica deve, può avere ed avrà grandi basi nell'organizzazione autonomistica dello Stato, per cui anche alla periferia il cittadino, l'organizzazione comunale, regionale, ecc. si sentono partecipi e quindi difendono e presidiano le conquiste democratiche locali e sono partecipi insieme della vita e della costruzione dello Stato.

Ritiene errata l'opinione dell'onorevole Togliatti che vede nel progetto un attentato alla vita del Mezzogiorno; afferma invece che da quando l'Italia esiste è stata l'organizzazione centralistica dello Stato che ha trattato il Mezzogiorno, più o meno consapevolmente, come una colonia, ciò che ha portato non soltanto alla rovina del Mezzogiorno, ma ai grandi disastri nazionali.

Il movimento autonomistico, che è ricerca di vita nuova nel campo politico, amministrativo e sociale, è sorto proprio nel Mezzogiorno ed è sorto attraverso l'elemento intellettuale e la massa dei contadini che intendevano, attraverso una organizzazione autonomistica, di crearsi la base di partenza per futuri progressi.

Movimento di avanguardia della democrazia, quindi, e non movimento di reazione.

Egli che ha partecipato, subito dopo l'altra guerra, ad un movimento autonomistico non soltanto per la Sardegna, ma per tutto il Mezzogiorno, dichiara che il problema autonomistico non è soltanto un problema che possa riguardare le Isole, ma è un problema di esigenza nazionale.

A chi parla di un pericolo per l'unità nazionale, risponde che è stato proprio il centralismo unitario che ha fatto piombare il Paese nei più grandi disastri.

Crede anche che siano infondate le preoccupazioni di una riforma federalistica, ed esprime la certezza che da un ordinamento siffatto nessun ostacolo potrà venire alle grandi riforme e soprattutto a quella agraria, che non potrà non essere nazionale e che sarà data per tutta l'Italia dal Parlamento italiano, senza nulla togliere alle Regioni, e senza impedire che queste attuino nel loro interno quelle riforme che crederanno più opportune.

Termina rilevando che nessun pericolo questa riforma può presentare per l'unità nazionale. L'unico pericolo può essere che la burocrazia, convinta in buona fede di difendere nella organizzazione centralizzata la migliore organizzazione del mondo, tenti di sabotare questa grande riforma dello Stato italiano.

Nobile, rilevando come la concezione regionalistica affiori e si affermi soltanto nei periodi di tempo in cui lo Stato è debole, osserva che da qualche mese la situazione in Italia è mutata ed egli che nel difendere la tesi antiregionalistica era in compagnia di pochi, constata con compiacimento che col ricostituirsi dello Stato le tendenze regionalistiche si sono andate affievolendo.

Avrebbe capito che si fosse proposto un ordinamento federalistico. Esso, certo, sarebbe stato un anacronismo storico, ma tuttavia sarebbe stato un ordinamento, forse anche efficiente. Invece il progetto in esame non rappresenta un ordinamento statale; ma, al contrario, è la disorganizzazione dello Stato, è l'anarchia.

Tutti sentono l'esigenza di attuare un serio radicale decentramento amministrativo, ed egli la sente non meno degli altri. Non comprende invece come si possa parlare di un decentramento economico nel mondo moderno, in cui le tendenze sono tutte verso un ordinamento mondiale dell'economia.

È contrario anche alle autonomie che si vorrebbero dare alle Isole. Riconosce che lo Stato italiano debba attuare ordinamenti speciali per le Regioni che sono ai confini, perché questo è imposto dagli accordi internazionali; ma non vede perché si voglia dare un'autonomia speciale alla Sardegna e alla Sicilia. Le esigenze di carattere politico, che sono alla base del riconoscimento di questa speciale autonomia alle Isole, hanno un carattere temporaneo: tra qualche tempo saranno dimenticate e sorpassate; e quelle stesse ragioni, così acutamente messe in evidenza dall'onorevole Togliatti, le quali portano a concludere che un'autonomia regionale, così come è intesa nel progetto, si risolverebbe in un danno per il Mezzogiorno, valgono anche — a suo avviso — per la Sardegna e per la Sicilia.

All'onorevole Ambrosini, il quale ha accennato alle limitazioni poste dal progetto alla potestà legislativa regionale, osserva che vi è anche una parte negativa, cioè che la Regione potrebbe omettere di fare certe cose che sarebbe nell'interesse nazionale di fare. Su questo punto importante il progetto tace, e viene così a mancare la doverosa tutela dell'interesse nazionale.

Mortati, riferendosi alla affermazione dell'onorevole Laconi, secondo il quale il progetto non sarebbe attuale, rileva come lo stesso cada in una contraddizione, quando subito dopo afferma che il problema è attuale per la Sardegna e per la Sicilia. Non vi sono infatti due problemi, ma vi è solo il problema del Mezzogiorno. Riconoscere che esiste una situazione particolare per le Isole e non riconoscerla per le altre terre del Mezzogiorno, è una contraddizione.

In sostanza, il problema regionale nasce da questa frattura che c'è fra Regione e Regione italiana e la costituzione della Regione autonoma deve tendere appunto a modificare e ad eliminare questa frattura.

Contesta l'affermazione dell'onorevole Togliatti, secondo il quale la situazione del Mezzogiorno verrebbe aggravata dalla costituzione dell'Ente Regione, rilevando come ad essa l'onorevole Lussu abbia esattamente risposto.

Afferma che l'esigenza di un decentramento si fonda sul bisogno attuale di adattare la legislazione generale alle necessità locali derivanti dalle differenze di struttura delle varie Regioni.

In proposito si sono fatte affermazioni contraddittorie, poiché si è detto che la Regione impedisce una politica unitaria, ed insieme il regionalismo pregiudica le autonomie locali. In realtà, l'intervento del potere centrale deve servire semplicemente per fissare le direttive, nell'ambito delle quali deve svolgersi il potere legislativo della Regione, adattando le direttive generali alle esigenze dei singoli istituti giuridici nella sfera locale. Così può dirsi, ad esempio, per la mezzadria. Bisogna che il regionalismo serva ad educare il sentimento civico, serva ad avviare la partecipazione dei cittadini alla pubblica amministrazione. Anche la finanza regionale deve tener conto delle differenze di situazioni economiche e finanziarie delle singole Regioni. Fa presente, poi, un'ultima esigenza fondamentale, quella di far sentire agli organi centrali dello Stato i bisogni locali. A questo deve provvedere il Senato regionale, ma non potrebbe farlo se non avendo alle spalle il complesso unitario della Regione che, in certi limiti autonomi, ha meglio la possibilità di sondare e di approfondire le proprie esigenze.

Questi i motivi che, a suo avviso, giustificano l'ordinamento regionale.

Riconosce, naturalmente, la necessità di pervenire ad un organismo armonico e, quindi, conviene in alcune delle critiche che sono state mosse. Gli articoli che sono stati predisposti risentono, come osservava l'onorevole Togliatti, del fatto che le votazioni sono avvenute in momenti successivi. Ma non è difficile armonizzare le disposizioni del progetto; l'importante è che rimanga il principio fondamentale.

Piccioni dichiara che non avrebbe chiesto di parlare, se la base della discussione non si fosse spostata dall'esame tecnico particolareggiato dei singoli articoli a tutta l'impostazione del problema regionale. Sull'argomento si è parlato in maniera molto diffusa, in seno alla seconda Sottocommissione, e la Commissione plenaria dei 75, non appena nominata dalla Costituente, prese in esame in linea pregiudiziale, come primo argomento, rispetto a tutti gli altri problemi, quello delle autonomie regionali. Ciò sta a dimostrare, anche dal punto di vista storico, se così si può dire, che effettivamente l'argomento risponde ad un sentimento largamente diffuso nell'Assemblea Costituente. Aggiunge che, a conclusione della prima larga discussione — svoltasi in seno alla seconda Sottocommissione — fu approvato alla quasi unanimità un ordine del giorno, da lui proposto, che costituisce il fondamento essenziale di tutto l'ordinamento regionale attraverso tutti gli elementi che sono stati poi contraddetti da coloro che hanno manifestato parere contrario. Rilegge tale ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione,

presa in esame la questione delle autonomie locali, sulla cui larga attuazione si è trovata concorde per il rinnovamento democratico e sociale della nazione, in aderenza alla sua tradizionale naturale struttura;

riconosciuta la necessità di dar luogo alla creazione, sancita dalla nuova Costituzione, dell'Ente Regione (persona giuridica territoriale):

a) come ente autarchico (cioè con fini propri d'interesse regionale e con capacità di svolgere attività propria per il conseguimento di tali fini;

b) come ente autonomo (cioè con potere legislativo nell'ambito delle specifiche competenze che gli verranno attribuite e nel rispetto dell'ordinamento giuridico generale dello Stato);

c) come ente rappresentativo degli interessi locali su basi elettive;

d) come ente dotato di autonomia finanziaria;

demanda ad una propria sezione la formulazione di un progetto di ordinamento regionale, tenute presenti le situazioni particolari esistenti (Sicilia, Sardegna, Val d'Aosta, Trentino-Alto Adige) e gli altri criteri informatori risultati dall'ampia discussione svoltasi in seno alla Sottocommissione».

Osserva che su questi principî, che furono accettati da tutti, anche dai colleghi comunisti, si è orientato l'ordinamento generale del nuovo Ente. Se mai, si può osservare che nell'ordinamento effettivo si è avuta un'applicazione restrittiva — e non più ampia — delle basi accettate da tutti. Tutti oggi sono liberi di cambiare opinione; ma non si può dire che l'impostazione del problema da parte della Costituente sia l'espressione di una singola parte o di una visione particolaristica o personale, anziché di un problema fondamentale della vita nazionale.

A prescindere da questo, concorda pienamente con alcune delle osservazioni fatte dal collega Lussu. E innanzitutto ritiene necessario affermare che l'ordinamento regionale risponde ad una profonda esigenza democratica. La nota più profondamente democratica, più originale della nuova Costituzione italiana sarà data precisamente — a suo avviso — dall'ordinamento regionale, se esso sarà condotto a fondo, e seriamente.

Il Partito democratico cristiano concepisce l'esigenza democratica come una partecipazione sempre più attiva e più vasta del popolo a quelli che sono i suoi interessi. Questa partecipazione, già riconosciuta nell'ambito della vita amministrativa locale, con l'autonomia comunale, non può non essere riconosciuta anche nell'ambito più vasto della Regione.

Ritiene inutile parlare di decentramento amministrativo, quando, in mancanza di una specificazione più esatta e concreta, questo deve intendersi enunciato come decentramento di amministrazione nel quale gli interessi della Regione e del Comune, sono affidati ad organi burocratici, emanazione diretta di un lontano potere centrale, mentre l'educazione politica dei cittadini si può formare esclusivamente facendoli partecipi diretti della pubblica amministrazione e lasciando ad essi il compito di risolvere i propri problemi e di tutelare i propri interessi.

Senza scendere ad un esame particolare dei singoli articoli del progetto, fa presente che una dimostrazione che il progetto abbia in sé le tracce del federalismo non è stata, e non poteva essere data.

Il progetto, infatti, lascia al potere centrale tutte le funzioni sostanziali dello Stato e nulla vi è che possa ferire l'unità fondamentale dello Stato, della quale si dichiara geloso come chiunque altro.

Quanto al carattere antieconomico o antimeridionale che si vorrebbe attribuire alla struttura regionale, così come è stata progettata, osserva che l'onorevole Lussu ha già chiaramente dimostrato l'inconsistenza della critica. L'Italia meridionale ha sperimentato per 70 anni l'accentramento statale; si vorrebbe continuare su questa strada, sia pure con intenzioni diverse. Ma i risultati dell'esperimento fatto sono tali che non possono suggerire nessuna continuazione del genere, proprio nell'interesse dell'Italia meridionale. Questa richiede, più che qualsiasi altro settore d'Italia, un ordinamento politico ed amministrativo diverso, che valga, oltre tutto, ad eccitare quelle energie locali che invano si cercherebbe di valorizzare con un ordinamento centralizzato.

Rileva che somma meraviglia ha destato oggi in lui la constatazione del fatto — del resto già vagamente previsto anche in precedenti discussioni — che vi siano degli autonomisti o dei regionalisti in partibus, ed osserva che non vi è coerenza logica né politica nel sostenere l'autonomia per la Sardegna, per la Sicilia, per la Val d'Aosta e nel rifiutarla per le altre Regioni italiane.

Un'altra critica che ha udito muovere alla riforma pretende che questa sia stata concepita per deviare l'attenzione o l'interesse del popolo. A questa critica risponde che le riforme, e specialmente quelle sociali, non si realizzeranno in Italia soltanto per imposizione dall'alto da parte del potere centrale, bensì con la comprensione della loro necessità e della loro utilità, anche dal punto di vista economico e sociale, e questa comprensione non la si raggiunge se non attraverso l'esperienza locale, regionale, che è quella che deve riuscire a modellare la riforma stessa secondo le esigenze particolari.

Termina esprimendo la certezza che, attuando il progetto per l'autonomia locale, si potrà tranquillamente guardare all'avvenire democratico del Paese, anche dal punto di vista economico e sociale.

Il Presidente Ruini comunica che è stata chiesta la chiusura della discussione generale, riservando la parola ai deputati già iscritti ed al Relatore. Pone a partito tale richiesta.

(È approvata).

Codacci Pisanelli, dopo le dichiarazioni dell'onorevole Piccioni, rinuncia a parlare.

Mannironi, ricollegandosi agli argomenti già accennati dall'onorevole Piccioni, rileva la profonda contraddizione in cui si sono posti i colleghi comunisti, quando hanno voluto sostenere che era giustificata una larga autonomia per quattro Regioni e non per tutte le altre. Osserva che se si riconosce che la Sicilia e la Sardegna, per potere uscire dallo stato di inferiorità economica e sociale in cui si trovano, hanno bisogno di una larga autonomia, vuol dire che si riconosce all'autonomia il carattere di mezzo politico efficiente perché le Regioni — tutte le Regioni — possano essere messe in grado di fare da sé.

Aggiunge che non è esatto che l'autonomia, così come è stata formulata nel progetto della Sottocommissione, non contenga tracce di un compromesso sostanziale, perché, tra coloro che aspiravano a dare alla Regione un'ampia autonomia (più ampia di quella che è stata prevista) e coloro che invece vi si opponevano, ci si trova di fronte ad una soluzione che non può non essere di compromesso, e che non risulta affatto pericolosa per l'unità dello Stato, in quanto si ammette che il Governo centrale abbia la possibilità di controllare tutta l'attività della Regione. È d'avviso, anzi, che il potenziamento delle autonomie regionali, si trasformerà in un potenziamento dell'economia della stessa Regione e, non esistendo compartimenti stagni, dell'economia nazionale.

Ambrosini intende aggiungere all'esposizione già fatta alcune delucidazioni dal punto di vista tecnico, poiché dal punto di vista politico il problema è stato dibattuto e, dai difensori del progetto, sono state chiaramente esposte le ragioni che militano in suo favore.

Desidera sottolineare che le ragioni sostenute da Mazzini, Cavour e Minghetti, a favore delle autonomie locali, non hanno perduto la loro ragion d'essere, poiché i pericoli dell'accentramento statale, già gravi nel 1860, quando le funzioni dello Stato erano molto ridotte, oggi sono diventati gravissimi, appunto in proporzione della aumentate funzioni statali.

Prendendo in esame il congegno approvato dal Comitato, per l'ordinamento regionale, respinge la critica mossa da alcuni colleghi secondo i quali il progetto presenterebbe forti tracce di federalismo, e fa presente che nella distribuzione delle competenze, mentre nel sistema federale si affermano quelle del potere centrale rimandando tutte le altre agli Stati membri, qui si è fatto completamente il contrario, determinando tassativamente le materie di competenza delle Regioni e lasciando tutte le altre allo Stato. E inoltre non solo non si è parlato, neanche lontanamente, di alcuna cittadinanza regionale, ma non s'è data alla Regione la benché minima parte di potere giudiziario. Manca quindi una delle funzioni fondamentali che, seppure in forma ridottissima, devono appartenere ad una entità politica, perché si possa, sia pure lontanamente, metterla sullo stesso piano o su un piano simile a quello degli Stati membri di uno Stato federale.

Quanto alle critiche di eccessiva complicazione mosse al sistema adottato dalla Sottocommissione con la creazione di quattro categorie di norme giuridiche regionali, rileva che non possono derivarne i pericoli prospettati, poiché sono state configurate in modo preciso le competenze delle Regioni di fronte allo Stato. Ad ogni modo, sarebbe sempre possibile procedere ad una semplificazione, tornando alla doppia divisione che era stata proposta dal Comitato di redazione.

È stato osservato non essere sufficiente che il progetto preveda dei limiti ed un sindacato sulla potestà legislativa della Regione, perché in sostanza la Costituzione metterebbe l'Assemblea legislativa delle Regioni nella stessa posizione giuridica del potere legislativo dello Stato. Dissente da questa opinione, perché il progetto contempla un limite alla Assemblea regionale, uguale al limite posto al legislatore ordinario, in quanto l'una e l'altro non possono, con le loro norme giuridiche, violare la Costituzione, ma pone per il resto i due organi legislativi, cioè l'Assemblea regionale da un lato e il Parlamento dall'altro, su un piano assolutamente diverso. Richiama in proposito le delucidazioni date nel precedente intervento, ed osserva che basterebbe il fatto della sottoposizione dell'attività legislativa dell'Assemblea regionale al sindacato del Parlamento per dimostrare l'infondatezza della suaccennata opinione.

Non si addentrerà in altri particolari di carattere tecnico; non può tuttavia esimersi dal dichiarare che l'ordinamento regionale è stato concepito non solo e non tanto nell'interesse delle Regioni, quanto nell'interesse dello Stato e dell'unità nazionale.

Il Presidente Ruini dichiara chiusa la discussione generale.

Avverte che l'onorevole Togliatti ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La Commissione dei 75, d'accordo sulla necessità di un ampio decentramento amministrativo e sul più ampio sviluppo delle autonomie locali; d'accordo sulla necessità di un regime di ampia autonomia per la Sicilia, la Sardegna e le zone mistilingui; è però contraria a che vengano introdotti nella Costituzione elementi anche indiretti e attenuati di federalismo.

La creazione dell'ente Regione dovrà essere fatta attenendosi a questa direttiva e in questo senso debbono essere riveduti gli articoli relativi alle autonomie locali».

Vi è poi un ordine del giorno presentato dall'onorevole Grieco tendente a limitare la legislazione speciale nella Val d'Aosta ed inoltre un ordine del giorno Targetti per la conservazione della Provincia. Questi ordini del giorno potranno essere discussi in seguito, poiché ora si tratta di risolvere la questione di merito.

Pone in votazione l'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti, che significa negazione del sistema seguito dal progetto e l'invio per una revisione degli articoli.

Togni chiede che la votazione per questo ordine del giorno, come per l'emendamento testé discusso, abbia luogo per appello nominale.

Piccioni dichiara che, in coerenza con le dichiarazioni precedentemente fatte e in considerazione del carattere negativo che presenta l'ordine del giorno Togliatti, voterà contro l'ordine del giorno stesso.

Lami Starnuti dichiara che voterà contro l'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti, poiché riteneva che su una parte almeno del concetto fondamentale dal quale la seconda Sottocommissione era partita per la istituzione delle Regioni, intese come organi di decentramento amministrativo autarchico, tutti fossero d'accordo. L'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti suona, invece, in modo diverso, e le sue enunciazioni generiche riportano in discussione tutto il problema. Dichiara però di riservarsi di prendere in esame, volta per volta, gli articoli di mano in mano che verranno in discussione, per attenuarne o modificarne le singole disposizioni, poiché su alcune di esse non concorda.

Lussu dichiara che voterà contro l'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti; essendo però tale ordine del giorno composto di tre parti, dichiara di consentire con quanto è affermato nella parte centrale, concernente la necessità di concedere ampia autonomia alle quattro Regioni indicate.

Togliatti, allo scopo di dissipare un equivoco che gli pare sia stato suscitato dalla dichiarazione di voto dell'onorevole Lami Starnuti, chiede di aggiungere, al principio del suo ordine del giorno la parola «regionale», dopo le parole «decentramento amministrativo».

Il Presidente Ruini avverte che l'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti viene posto in votazione con questa modifica.

Bozzi dichiara che voterà contro l'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti, perché il problema dell'autonomia regionale, a suo avviso, non va ristretto soltanto al campo amministrativo, ma va anche esteso ad un campo di decentramento legislativo misurato e contenuto; ciò che ritiene si realizzi con gli emendamenti proposti da lui e dai colleghi Lami Starnuti e Laconi.

Lucifero, premesso che non sarebbe contrario ad una revisione di tutto il sistema, dichiara però che, essendo nell'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti contenute delle direttive per il futuro che non condivide completamente, si asterrà dal voto.

(Segue la votazione per appello nominale).

Rispondono sì: Basso, Di Vittorio, Farini, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, La Rocca, Marchesi, Merlin Lina, Noce Teresa, Pesenti, Ravagnan, Targetti, Terracini e Togliatti.

Rispondono no: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Canevari, Cappi, Codacci Pisanelli, Corsanego, De Michele, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Fuschini, Grassi, Lami Starnuti, La Pira, Lussu, Mannironi, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Perassi, Piccioni, Rapelli, Ruini, Togni, Tosato, Tupini e Uberti.

Si astengono: Bocconi, Cevolotto, Colitto, Lucifero, Marinaro e Rossi.

Il Presidente Ruini comunica che l'ordine del giorno dell'onorevole Togliatti è stato respinto con 15 voti favorevoli, 32 contrari e 6 astenuti.

Pone ai voti la proposta di emendamento presentata dagli onorevoli Bozzi, Laconi e Lami Starnuti.

Piccioni dichiara di votare contro la proposta di emendamento, perché il carattere distintivo dell'autonomia locale e regionale è, secondo un principio comunemente accettato, la potestà legislativa sia pure limitata, potestà che l'emendamento nega riducendola ad una semplice funzione di integrazione o applicazione delle norme generali dello Stato.

Terracini dichiara che, coerentemente a tutto l'atteggiamento mantenuto nel corso dei lavori di preparazione del progetto, voterà a favore dell'emendamento.

Fabbri fa una dichiarazione analoga a quella dell'onorevole Terracini.

(Segue la votazione per appello nominale).

Rispondono sì: Basso, Bozzi, Canevari, Cevolotto, Di Vittorio, Fabbri, Farini, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lucifero, Marchesi, Merlin Lina, Molè, Pesenti, Ravagnan, Rossi, Ruini, Targetti, Terracini, Togliatti.

Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Corsanego, De Michele, Dominedò, Dossetti, Einaudi, Fanfani, Federici Maria, Fuschini, Grassi, La Pira, Lussu, Mannironi, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Perassi, Piccioni, Rapelli, Togni, Tosato, Tupini, Uberti.

Si astengono: Colitto, Marinaro.

Il Presidente Ruini comunica che l'emendamento sostitutivo presentato dagli onorevoli Bozzi, Laconi e Lami Starnuti è stato respinto con 23 voti favorevoli, 26 contrari e 2 astenuti.

Constata che, essendo stato respinto l'ordine del giorno Togliatti di rinvio globale del progetto; essendo stata egualmente respinta la proposta di limitare la potestà legislativa della Regione ad una funzione di integrazione e di attuazione, resta approvato di massima, salvo i dettagli di forma, il sistema proposto nel progetto presentato.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti