[Il 30 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Bosco Lucarelli. [...] Circa la facoltà legislativa concessa alla Regione, dopo il discorso del collega Mannironi io potrei anche fare a meno di parlare. Egli ieri ci ha ricordato che delle funzioni normative, in fondo, hanno anche i Comuni, perché il diritto regolamentare dei Comuni, se non può dirsi un diritto legislativo, certamente è qualche cosa di più del regolamento di esecuzione del potere centrale, perché il regolamento comunale non è la norma per l'esecuzione della legge, ma è qualche cosa che dà una norma per sé stante. Potremmo dire che è un regolamento d'attuazione; e in questo regolamento vi sono anche delle penali; questi regolamenti danno il diritto di elevare contravvenzioni, quindi attribuiscono l'esercizio forse più alto della sovranità, quale è il diritto penale. E la facoltà di ordinanza attribuita ai sindaci non costituisce una particella di sovranità, quando si commina una pena e questa pena dà luogo ad un procedimento penale?

E allora, non mi pare che sia soverchiamente da spaventarsi se alle Regioni si concede e si dà una facoltà legislativa. È questione di limiti, di confini, perché giustamente a me pare qui delle obiezioni sopra alcune determinate materie sono state sollevate; e certamente vanno prese nel più largo conto le giustissime osservazioni del senatore Einaudi circa il regime delle acque.

Nella Commissione dei settantacinque, come risulta dai verbali, un altro componente, che in questo momento non ricordo, sollevò la questione delle miniere e ritenne che, mentre faticosamente l'Italia era riuscita a riunire in una legge unica le frammentarie, divise e discordi legislazioni sulle miniere — che si riportavano alle legislazioni singole degli antichi stati ed era stato ritenuto un progresso averle riunite — oggi con le facoltà legislative date alle Regioni può quasi sembrare che si voglia fare un passo indietro.

Sono questioni che potranno essere discusse e vagliate; ma che non potranno attardare l'istituzione delle Regioni, quando noi diamo tutte le garanzie che esse non possono sovrastare né contrastare il potere centrale.

Il prof. Guicciardi, che qui è stato ricordato nelle scorse sedute dall'onorevole Preti, nella memoria presentata al Congresso di Venezia del febbraio, al Congresso delle province venete, diceva che l'attribuire un potere legislativo alle Regioni significava attribuire ad esse il potere della sovranità e quindi fatalmente si veniva a creare uno Stato federale.

Ora, queste particelle di sovranità sussistono in molti organi statali, anche quando non vi è la Regione. E l'amico Clerici, in occasione della discussione sull'articolo relativo allo sciopero, fece notare come particelle di questa sovranità risiedessero nel magistrato quando emetteva una sentenza.

Non mi sembra quindi che questa riflessione dell'illustre professor Guicciardi possa avere tale consistenza da farci abbandonare un sistema che riteniamo opportuno e necessario perché nel campo tecnico, nel campo che non investe i problemi unitari e fondamentali dello Stato, quella che è la legislazione, per una delega statutaria, attribuita alla Regione — perché in fondo noi non facciamo che una delega statutaria alla Regione — possa esplicarsi secondo le esigenze e le condizioni speciali dei singoli luoghi.

Così, si è accennato alla riforma agraria. Certo, le linee generali dovranno essere date da criteri generali, ma il problema agrario è fondamentalmente diverso da Regione a Regione e da zona a zona; e quindi la Regione che vive gli interessi locali potrà creare quegli accomodamenti e quelle leggi sussidiarie che consentiranno di poter applicare le leggi generali con efficacia.

Quante leggi non si fanno infatti, onorevoli colleghi, che non si possono poi applicare perché altrimenti non potremmo amministrare, perché molte volte la legge è difettosa e l'esperienza e l'equità debbono sovente far modificare il testo scritto, riportandolo alla mente del legislatore!

Si tratta quindi, io penso, di una questione di limiti, di una questione di confini; e noi potremo con obiettività, con serenità, qualunque siano le nostre idee politiche, studiare e convenire in quella che possa essere e debba essere la materia delle leggi che può, in linea generale e sussidiaria, emettere la Regione.

[...]

Carboni. [...] Però, se l'esistenza d'interessi che non si amministrano convenientemente a Roma stante il loro carattere regionale, consiglia o meglio impone la creazione dell'ente autarchico Regione, e se ciò giustifica pienamente l'attribuzione di vaste funzioni amministrative all'istituendo ente, non c'è bisogno di attribuirgli anche poteri politici, di farne cioè un ente investito dei larghi poteri legislativi previsti nel progetto di Costituzione. È su questo punto che la mia simpatia e la mia adesione alla riforma si arresta e subentra una forte preoccupazione, la quale m'induce ad un apprezzamento contrario.

L'onorevole Bosco Lucarelli, il quale nel suo discorso ha espresso i dati dell'esperienza di un uomo che ha vissuto la sua lunga vita nelle pubbliche amministrazioni, ammoniva saggiamente sulla necessità di andare cauti. Andare cauti, hanno detto anche altri oratori pur favorevoli al progetto di Costituzione; e questa cautela non deve cedere il passo alla suggestione della novità, che, congegnata dall'onorevole Ambrosini e dai suoi valorosi collaboratori col nobile intento di gettare le basi di un migliore avvenire, io temo che nella sua attuazione non corrisponderà all'interesse del Paese.

La pietra di paragone sulla quale dobbiamo saggiare l'opportunità della riforma ci è fornita, come già accennavo, dall'esperienza del passato, dalle condizioni attuali e concrete del Paese; in ragione delle quali dobbiamo ricercare le conseguenze che questo progetto — se attuato — potrà portare nella vita italiana. Guardando il progetto di Costituzione sotto questo profilo, non ritengo necessario fare un esame particolareggiato sulle singole materie rientranti nel potere legislativo dell'istituenda Regione; indagare ad esempio se sia opportuno attribuirle la potestà di legiferare in tema di trasporti o di scuole artigiane. Basta considerare il problema nell'aspetto generale: se cioè convenga la creazione di un ente politico costituzionale, con potere legislativo, il quale, se non erro, farà concorrenza allo Stato. Ciò è ammesso dalla relazione dell'onorevole Ruini, che, parlando dei tre aspetti del potere legislativo attribuito alla regione, specifica: esclusivo, concorrente e di attuazione; e l'onorevole Einaudi, con la sua alta autorità e competenza, ha dimostrato luminosamente la rischiosità di questa concorrenza legislativa.

L'attribuzione alle Regioni di un vasto potere legislativo, con esclusione ed in concorrenza dello Stato, è compatibile con l'esigenza dell'unità nazionale, che l'onorevole Bosco Lucarelli, poco fa, con appassionata parola, dichiarava dover essere non solo difesa ma rafforzata? Questo è il punto cruciale della questione. Valorosi colleghi hanno risposto affermativamente, proclamando anzi che lo Stato regionale attutirà i contrasti tra le varie parti d'Italia. Altri hanno espresso un'opinione opposta, che io ritengo più esatta e più aderente alla realtà. Quando si creano 22 Regioni, con assemblee munite di potere legislativo, in effetti si creano 22 parlamentini locali, che potranno fare leggi contrastanti fra di loro. L'onorevole Persico dice di no; ma invece è una possibilità innegabile, che genererà anche l'incertezza del diritto. Basterà che un cittadino attraversi, forse senza accorgersene, il confine tra due Regioni, per non essere più soggetto alla legge della Regione di partenza ma a quella della Regione di arrivo. E questo è un inconveniente da considerare attentamente.

Qualcuno ha creduto di scorgere nello Stato regionale ideato dall'onorevole Ambrosini affinità con lo Stato federale. Io non condivido questa opinione, ma temo ch'esso contenga in sé il germe degli stessi difetti e pericoli del federalismo; e non trovo convincente l'argomento di coloro che si tranquillizzano considerando che, se tali pericoli potevano preoccupare quando si trattava di fare l'unità d'Italia, non preoccupano più ora che essa è fatta. Non dobbiamo nutrire soverchie illusioni. Oggi l'unità esiste, ma da troppo poco tempo, perché si possa considerare stabilmente consolidata, ed è una unità contro la quale, purtroppo, si manifestano movimenti separatisti, dai quali dobbiamo difenderla.

L'onorevole Ambrosini si è preoccupato della obiezione, dedicando bellissime parole della sua pregevolissima relazione alla Commissione, per dimostrare che una cosa è lo Stato federale e altra cosa è lo Stato regionale. Riferendosi alla diversa genesi degl'istituti, l'onorevole Ambrosini ha osservato che nello Stato federale i singoli Stati membri, nell'atto di creare mediante un patto la federazione, non rinunziano alla loro sovranità originaria; nello Stato regionale, invece, il processo generatore è perfettamente l'opposto; non sono le Regioni che creano lo Stato, ma questo crea le Regioni come enti dotati di autonomia politica e ne stabilisce in concreto i poteri e le funzioni. Poi ha soggiunto: è vero che i diritti attribuiti alla Regione dallo Stato sono diritti costituzionali propri, garantiti in modo più efficace di quelli degli enti autarchici in genere; ma restano sempre diritti attribuiti dallo Stato e che, occorrendo, potranno essere modificati, o limitati con un'altra legge costituzionale.

Ora, io non nego che la genesi degli istituti nello Stato regionale dell'onorevole Ambrosini sia diversa da quella che è nello Stato federale. Però io penso che, per giudicare se il sistema proposto possa cagionare inconvenienti simili a quelli del federalismo, non bisogna guardare al processo generatore, ma alle funzioni e ai poteri concretamente attribuiti alle Regioni, perché sarà appunto nell'esercizio di queste funzioni e di questi poteri che si potranno verificare quegli inconvenienti. Ed è vano cercare di tranquillare la coscienza e di eliminare le preoccupazioni con la prospettiva di porre riparo ai mali, che si manifestassero, con successiva modificazione costituzionale dei poteri e delle funzioni. Se pericolo c'è, bisogna evitarlo sin d'ora; non attendere che si trasformi in danno per ripararvi.

I compilatori del progetto ammettono la possibilità del pericolo e, prevedendo conflitti fra la Regione e lo Stato, oltre che fra le singole Regioni, hanno proposto che il Governo possa rinviare i disegni di legge al Consiglio regionale, e, qualora sieno confermati, possa impugnarli per incostituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale, o nel merito dinanzi all'Assemblea nazionale.

Ma la necessità di organizzare una procedura apposita per dirimere i conflitti deve consigliare a procedere con estrema cautela ed a considerare se non sia meglio creare la Regione come ente autarchico dotato di larga competenza amministrativa, ma non di poteri legislativi e specialmente di poteri legislativi tanto vasti e complessi. Perciò vorrei consigliare alla Commissione di riprendere in attento esame il tema per stabilire se non sia il caso di sopprimere l'attribuzione del potere legislativo o, quanto meno, di limitarlo alla sola attuazione delle leggi generali dello Stato per adattarle alle condizioni particolari delle singole Regioni, o meglio di ridurre questo presuntuoso potere legislativo delle Regioni ad un semplice potere regolamentare, il quale, senza offendere il carattere autarchico della Regione, non ne farebbe un organo antagonista dello Stato.

Una voce. Questo è centralismo.

Carboni. Non è centralismo, ma rispetto della unità dello Stato, con attuazione di quel vasto decentramento amministrativo, che è la sola esigenza del popolo italiano in questo momento. Il di più non è un'esigenza sentita dal popolo — mi permetta l'onorevole interruttore — ma soltanto una idea concepita e propagandata, sia pure con nobiltà d'intento, da una ristretta cerchia di studiosi e di politici.

[...]

Cicerone. [...] E così, quando voi avete dato alle Regioni le facoltà elencate all'articolo 109, avete fatto molto poco di più di quanto non fosse fatto per la Provincia 80 anni fa. Ma, quando poi considerate gli articoli 110 e 111, in cui questo orizzonte sembra allargarsi, voi forse non vi accorgete di urtare immediatamente contro i poteri centrali, perché quei due articoli rimarranno lettera morta o saranno fonte di eterni cavilli fra il potere centrale ed il potere periferico, per cui ad un certo punto la periferia si adatterà.

[...]

Mastino Pietro. [...] Ora, questa coscienza nazionale rimane; e perché dovremmo aver paura di una diminuzione dell'unità italiana, quando, fra l'altro, è detto che quella competenza legislativa, che viene attribuita alla Regione, ha dei limiti nei principî generali della legge e nel rispetto dell'interesse della Nazione; quando è sancito l'obbligo e il diritto alla residenza nel capoluogo della Regione di un Commissario del Governo; quando gli stessi disegni di legge, formulati dalla Regione, dovranno essere trasmessi al Governo centrale per una preventiva approvazione?

Tutti gli Stati usciti vittoriosi da questa guerra, a incominciare dall'Inghilterra, la quale, pur mantenendo ricordi e forme feudali, ammette però principî di autogoverno, a continuare con la Russia e con gli Stati Uniti, rispondono a criteri di governo locale.

Sono state manifestate trepidazioni, perché un articolo stabilisce la facoltà, non so se primaria o secondaria, nella regione, di avere un corpo di polizia, o di avere la vigilanza sulla polizia. E già la fantasia, veramente accesa, degli oppositori al progetto, ci ha voluto parlare in quest'Aula di corpi armati che domani potrebbero rappresentare l'ausilio militare per eventuali ribellioni.

Ma, onorevoli colleghi, mentre io assistevo all'enunciazione di queste critiche, pensavo a quello che avviene da qualche secolo proprio in Sardegna in cui vi è un corpo che è intitolato dei barraccelli e che è uno dei corpi più salutari nella lotta contro la delinquenza nelle campagne.

Nessuno pensa ad organi di polizia locale in contrasto con quella centrale; nessuno pensa ad organi di polizia che possano eventualmente rappresentare un'arma per la Regione, ove essa si ponga in opposizione col potere centrale.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti