[Il 7 giugno 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Conti. [...] Onorevoli colleghi, per la seria, organica, pratica trasformazione del sistema politico e amministrativo, creiamo, dunque, la Regione! Nella Regione siano trattati tutti i problemi che interessano da vicino le popolazioni: i problemi della viabilità, dell'agricoltura, dell'industria, del commercio: i problemi della vita economica delle popolazioni.

Allo Stato, al Parlamento si attribuiscano la politica internazionale, i grandi lavori pubblici, la difesa nazionale, la politica monetaria, poche altre materie. Soltanto quando si attribuiranno al Parlamento nazionale i grandi problemi nazionali e internazionali, solo allora avremo una Camera nella quale i competenti e i preparati alla trattazione dei grandi problemi, potranno risolverli con competenza e con dignità.

Non vi illudete, onorevoli colleghi, che si possa fare diversamente. Vi sono problemi regionali che impressionano ai quali noi non sapremmo dare soluzione. Due giorni or sono ho avuto una conversazione con rappresentanti della Regione trentina. Ho con essi parlato di tante cose. Su molti problemi era facile intendersi, perché le soluzioni erano possibili, anche per noi. Per altri problemi abbiamo avuto delle rivelazioni. L'onorevole Bonomi e l'onorevole Perassi, che hanno avuto la bontà di intrattenersi lungamente con quei rappresentanti del Trentino, hanno udito da questi esperti considerazioni di grandissima importanza sul problema delle acque, considerazioni che fanno molto riflettere sulle riserve che l'onorevole Einaudi ha fatto anche nel suo ultimo discorso in questa Assemblea. Si tratta lassù di affrontare un monopolio capitalistico, che determina e decide la fine di tante organizzazioni e imprese locali di lavoro e di produzione. Ma io non debbo occuparmi ora del problema.

[...]

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. [...] Venne la Commissione dei Settantacinque che sono stato chiamato a presiedere. Lunghe discussioni. In seno alla Commissione vi fu unanimità (meno uno) nel riconoscere che sarebbe stato opportuno istituire la Regione. I rappresentanti di ciascuna parte aderirono a questa idea. Vi furono due correnti di pensiero. Naturalmente l'amico Conti che oggi ha attaccato così fieramente il totalitarismo non ammetterà che tutti pensino, anche quelli che sono per la Regione, con una data forma mentale. Vi furono due correnti. Come era mio compito di presidente, ho cercato di portare chiarezza e semplificare più che fosse possibile l'ampio materiale predisposto dalla Sottocommissione; ho cercato che si ponessero due rotaie fra cui l'Assemblea Costituente potesse poi scegliere.

Una tendenza riteneva che per l'istituzione della Regione bastasse attribuire a questo Ente dei poteri di legislazione, non primaria, non diretta, ma integrativa, di attuazione dei principî generali stabiliti dalle leggi della Repubblica. Ciò va messo in relazione con un'esigenza che ho avuto più volte occasione di mettere in luce, anche davanti a voi. Noi dobbiamo, onorevoli colleghi, trasformare profondamente il metodo della legislazione italiana (come del resto avviene anche in altri Paesi). Qualche tempo fa alla Costituente francese Herriot disse che come una Camera incapace di governare direttamente deve avere un Governo, sia pure di sua fiducia, così è incapace ormai di legiferare direttamente in un modo completo. Alle vecchie comunità, che legiferavano e governavano assieme, in una piazza, in un prato, sono succeduti i Parlamenti ed i governi che sono sempre a base dello Stato popolare, ma qualcosa deve essere mutato nel modo di lavoro per la legislazione.

Se tiro giù dallo scaffale della mia biblioteca una raccolta delle leggi dopo il 1870, trovo che non erano molte, decine o centinaia all'anno; oggi sono migliaia. La funzione legislativa si dilata, inevitabilmente per lo stesso sviluppo dello Stato. Credete che le Camere possano adempiere a questa funzione minutamente, con gli stessi metodi del passato? Abbiamo visto cosa è avvenuto, qui, nella discussione dei ritocchi della legge comunale e di quella sulla cinematografia. Sarà necessario, come anche in altri paesi, adottare un altro metodo. Le leggi approvate dai Parlamenti stabiliranno principî e direttive generali, secondo il tipo delle Rahmengesetzen di cui ci parlavano i giuristi tedeschi; e nei limiti di queste «leggi cornice» potranno essere emanate dalle Regioni norme legislative secondarie, integrative, di applicazione, per poter adattare quei principî alle esigenze ed alle condizioni locali.

Ecco la prima tendenza alla quale io diedi personalmente il mio voto, in perfetta coerenza con la tesi che ho sempre sostenuto, non solo nei miei discorsi di tanti anni fa, ma in uno studio pubblicato di recente, dopo la nostra liberazione; con due concetti base; podestà di legislazione integrativa della Regione; passaggio graduale ad essa di funzioni amministrative.

Vi fu nella Commissione una seconda tendenza, che credeva di attribuire alla Regione anche un potere di legislazione primaria, diretta, esclusiva, sia pure entro i limiti della Costituzione, dell'ordinamento giuridico generale dello Stato, e nel rispetto degli interessi nazionali e delle altre Regioni. Non sarebbe dunque una legislazione illimitata: ma pei sostenitori della prima tendenza presentava il pericolo di intaccare la sovranità legislativa dello Stato e di far sorgere conflitti di attribuzione e diversità di ordinamenti troppo radicali fra le leggi delle varie Regioni.

Erano due tesi. Si venne alla votazione in seno alla Commissione dei settantacinque. La tesi più spinta vinse per due voti. Anche l'altra tesi aveva dunque con sé un rispettabile patrimonio di idee e di aderenti. Era stata proposta da tre commissari: da Bozzi, liberale democratico del gruppo di Nitti, da Laconi, comunista, da Lami Starnuti, socialista (allora il partito socialista era unico). Era una tesi regionalista, sebbene in grado diverso dall'altro.

Cosa avviene ora? La questione è portata qui. Sorge prima di tutto il problema della Provincia. Si sente e si riconosce da molte parti, credo di poter dire da tutti, che non si può sgretolare e distruggere la Provincia, ente che, pur avendo funzioni ristrette, ha una sua organizzazione e tradizione, sentita e difesa dalle popolazioni, e non si può metterlo nel nulla. La conservazione della Provincia porta a modificazioni nel sistema approvato dalla Commissione.

Ciò, d'altra parte, può portare un bene, perché dà occasione a rivedere tutte le funzioni non solo della Provincia, ma anche dei Comuni. La Costituzione dovrà, a mio avviso, dare con una sua norma rilievo e dignità ai Comuni, alle Province, alle Regioni: rinviando ad apposita legge di valore costituzionale la determinazione e la distribuzione delle loro funzioni e dei loro servizi amministrativi. Sarà un'opportuna revisione, se alla Provincia, che ha oggi magri compiti e buoni uffici, verranno affidati altri servizi che oggi, ad esempio, sono adempiuti meno efficientemente dai Comuni (ad esempio per le strade). Alla Regione saranno attribuiti servizi propri da compiere — almeno normalmente — mediante ed attraverso gli uffici provinciali e comunali, in modo da evitare una nuova burocrazia, una quinta ruota del carro, come dicevo nel discorso del 1914, che l'onorevole Conti mi ha fatto l'onore di citare. Si aggiunga che, nella mia concezione, alle Regioni sarebbero da affidare, oltre e direi più che funzioni proprie, funzioni di coordinamento delle attività amministrative provinciali e comunali. Queste le idee che espongo qui, dal mio seggio di deputato, e non da quello di presidente della Commissione dei settantacinque. Sono idee di oggi, in piena coerenza con quelle di ieri e di domani.

[...]

Cassiani. [...] Non è chi non veda come la soluzione proposta sia lontanissima da ogni forma di autonomia federalista, essendo di parziale autogoverno amministrativo e legislativo: basta infatti soffermarsi sugli articoli 110 e 111, dove sono elencate le materie sulle quali cade la potestà dell'Ente Regione, per dedurne, per convincersi che si tratta di una potestà prevalentemente regolamentare.

È allo Stato repubblicano che spetterà la prerogativa di dettare leggi, intese queste come comando pieno emanante dall'attività superiore, intese come «iussus populi». Ed è per questo, penso, che l'onorevole Piccioni diceva, da regionalista convinto, che personalmente ne era scontento.

Se e vero che il regolamento è la norma stabilita dal Governo in virtù del suo potere discrezionale e trova il suo limite nel diritto nazionale, evidentemente la dizione dell'articolo 110 e l'altra dell'articolo 111 non possono avere altro significato che non sia in prevalenza quello del regolamento inteso secondo i dettati del diritto costituzionale; del regolamento il quale, per dire uno degli aspetti più comprensivi della sua natura, vincola l'autorità solo condizionalmente, cioè in quanto non sia contrario al diritto nazionale.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti