[Il 4 luglio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avendo l'Assemblea approvato nella seduta di ieri la formulazione definitiva del primo periodo del testo unificato degli articoli 109, 110 e 111, dobbiamo ora passare all'esame della seconda parte, e precisamente alla elencazione delle materie, per le quali è conferita all'ente Regione la potestà legislativa.

Pertanto, dobbiamo esaminare i vari emendamenti presentati. Ritengo che, a questo proposito, possiamo seguire la seguente procedura: invece di esaminare materia per materia e cioè di considerare come emendamento a sé stante ogni singola indicazione di modificazione di ciascuna materia, ai presentatori degli emendamenti sarà data la parola una volta sola, anche se essi propongano modificazioni di più materie indicate o, eventualmente, la loro soppressione. Prego pertanto gli onorevoli colleghi, che hanno presentato emendamenti di questo tipo, di volerli svolgere nel loro complesso.

Desidero aggiungere, in ordine al metodo di votazione, che ritengo sia pacifico che le proposte di soppressione di materie — e gli emendamenti proposti sono nella massima parte soppressivi — non siano messe in votazione come proposte soppressive. Nei confronti degli emendamenti soppressivi praticamente si realizza la decisione votando sopra la proposta positiva. Coloro, i quali sostengono la soppressione, votano contro la proposta positiva, sia pure avendo la parola per giustificare, in sede di svolgimento di emendamento, le ragioni per le quali ritengano che quella determinata materia debba essere soppressa nel testo della elencazione.

Se non vi sono obiezioni a questo proposito — e penso che non ve ne possano essere — passiamo allo svolgimento degli emendamenti, i quali propongono modificazioni o aggiunte nell'elencazione.

Tosato. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Tosato. Nella seduta di ieri, l'emendamento da me proposto all'articolo 109 è stato approvato con l'emendamento proposto dall'onorevole Perassi. Il testo approvato dispone pertanto: «La Regione emana norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti» non già dalle singole leggi dello Stato, ma, semplicemente, «dalle leggi dello Stato». La soppressione dell'aggettivo «singole» ha fatto sorgere qualche dubbio nel senso di una possibile confusione tra i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato in ciascuna materia, deferita alla competenza della Regione, con i principî generalissimi dell'ordinamento giuridico. Noi abbiamo chiaramente ripetuto e ci sembra che la formula adottata sia chiara, sufficientemente chiara, che per «principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» intendiamo precisamente i principî fondamentali posti dallo Stato nelle singole materie deferite alla legislazione regionale, e non i principî generalissimi dell'ordinamento giuridico.

Quando ieri, prima della votazione, il signor Presidente mi ha chiesto se intendevo conservare il testo integrale dell'emendamento da me proposto in confronto al nuovo emendamento proposto dall'onorevole Perassi, ho dichiarato che la soppressione della parola «singole», chiesta dall'onorevole Perassi, non modificava affatto la sostanza normativa dell'articolo.

Ora, a precisazione e a conferma della identità del nostro pensiero, io presento un articolo, che indico come 109-bis, ma che propriamente andrebbe collocato nelle disposizioni finali e transitorie della Costituzione, del seguente tenore:

«Nel termine di 5 anni dall'entrata in vigore della presente Costituzione, il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell'articolo 109».

Resta così ben chiaro che fino a quando il Parlamento non provvederà alla revisione delle leggi che attualmente regolano in modo completo e totale le materie attribuite alla competenza regionale, per contenerle e limitarle alla posizione dei principî fondamentali, fino a quel momento la legislazione regionale non potrà intervenire. Così il contenuto delle disposizioni dell'articolo 109, integrato da questo 109-bis che propongo, resta chiarito e precisato, escludendo qualsiasi seria possibilità di dubbio.

Questo è il nostro pensiero, senza sottintesi.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prendo atto con soddisfazione di quello che ha dichiarato l'onorevole Tosato, perché conferma che l'emendamento da lui accettato, su proposta Perassi, e votato dall'Assemblea, non modifica lo spirito e la portata del testo che egli aveva precedentemente formulato, e che era stato accolto dal Comitato.

Per quanto riguarda l'emendamento nuovo che egli propone, si tratta di disposizione transitoria, e credo sia necessario esaminarlo in quella sede.

Nitti. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Nitti. Sono dolente di non essermi trovato presente ieri sera alla fine della seduta. Devo ora soltanto chiedere all'onorevole Relatore, Presidente della Commissione, dovendo addentrarci nell'esame di questo sviluppo di argomenti complicatissimi in cui è necessario decidere seriamente, che mi si dica se la Commissione, che si è trovata di fronte a questi complessi problemi, si è messo davanti il problema dell'esecuzione. Ha un programma? Ha idea dei mezzi necessari?

Il Relatore Presidente, ha nella sua relazione parole di melanconia. Comincia con il dire che a spingere verso le Regioni vi è stato non un ragionamento ma una valanga di sentimenti e di passioni. Contrariamente a quello che fu nel Risorgimento, queste passioni hanno agito nel senso opposto.

In realtà il movimento dei nostri grandi uomini del Risorgimento fu uno sforzo di coesione e di unione nazionale. Dopo tanti anni di tirannia e tante guerre perdute, si è manifestato ora uno spirito di dissoluzione. Le autonomie che sono state chieste, senza che nessuno ne avesse prima mai parlato, sono la negazione alla generale tendenza del mondo moderno che va, attraverso le grandi unità, verso il rinsaldamento dei vincoli nazionali. Nessun paese che sia libero della sua volontà ha manifestato dopo la guerra le tendenze di discordia dell'Italia.

L'onorevole Ruini ha detto che il movimento per le autonomie si è prodotto quasi irresistibilmente. Io ho la convinzione che si tratti di un equivoco. Il fascismo aveva tutto statizzato e accentrato: vi è stata reazione per tornare verso la normalità, non mai verso quella forma di disgregazione che è rappresentata ora dal tentativo di Regioni autonome, con poteri legislativi.

Vi sono i sogni e vi è la realtà. Quando diciamo che sarà dato alla Regione di occuparsi anche con poteri legislativi di una materia, dobbiamo ammettere che vi siano i mezzi per poterlo fare. Ora non vi sono mezzi per nulla e in gran parte si può prevedere che non vi saranno. Il Presidente della Commissione fa una malinconica constatazione: dopo aver notato come questo movimento è stato generale ed imposto, si direbbe, da un'opinione generale della Commissione, non si ferma a dire se la Commissione si è posto mai il problema dei mezzi. Egli stesso anche ora non solo non si pone il problema, ma accennandolo, non solo lo rinvia, ma ha quasi un accento di tristezza nel dire che in questa materia è assai difficile provvedere ai mezzi di esecuzione.

Ed invece di precisare quelle che dovrebbero essere le condizioni finanziarie che sono necessarie, non solo sembra volere rinviare di occuparsene, ma poi le trascura. La convinzione che io ho, dall'esame dei disordinati progetti sulla Regione, è che prima di tutto si dovrà costituire una massa enorme di nuovi impiegati e di nuovi uffici. Non è una ipotesi, è una certezza. Il Presidente-Relatore difficilmente potrà negarlo. Nuovi disordinati e incomposti uffici e come una elefantiasi di nuovi funzionari dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Non solo non vi sarà semplificazione, ma vi sarà un aumento enorme di funzionari. Questa non è soltanto un'impressione, ma è anche, purtroppo, la constatazione di una realtà. Come si può provvedere, quando si parla di uno di questi argomenti, ad esempio agricoltura e foreste? Piccolo argomento pare, ma se non è semplice burla, bisognerà creare numerosi uffici speciali e speciali tecnici di ognuna di queste cose, che nelle attuali Province non sono rappresentati. Ogni Regione domanderà nuovi uffici di tecnici e di funzionari. Personale tecnico, personale amministrativo, personale di esecuzione specializzato come quello delle foreste. Gran parte del personale come sarà formato? Molti servizi che si vuole regionalizzare non possono funzionare seriamente, se non con mezzi e forme nazionali. Tutti i servizi tecnici, anche nei più grandi paesi, sono nazionali.

L'onorevole Ruini ci mette in imbarazzo quando nella sua relazione constata nell'ultima parte che bisognerà occuparsi anche di questo argomento, cioè dei mezzi e ne dice le difficoltà. Egli scrive testualmente: «Nell'atto di dare il via a così rilevante forma strutturale della vita italiana, la Commissione non si è celata la complessità e le difficoltà di pratica attuazione». Basta pensare all'autonomia finanziaria, non agevole a congegnarsi «ma che pur bisogna prospettarsi», e che non potrà fare a meno di un riparto delle imposte che implichi un contributo di solidarietà delle Regioni provviste di maggiori mezzi a quelle che con le proprie risorse, non sarebbero in grado di adempiere i loro servizi essenziali. Pericolo da evitare è che, mentre si tende ad un alleggerimento della macchina amministrativa, il decentramento non dia origine ad una nuova moltiplicazione di burocrazia nelle Regioni senza toccare quella centrale.

Vi è grande pericolo che con questa riforma delle Regioni non si verrà a diminuire la burocrazia centrale, ma ad aumentarla, e nello stesso tempo si formerà una numerosissima burocrazia locale. Io credo sarà enorme, perché la Regione rimane, la Provincia rimane, i Comuni non solo rimangono ma, essendo autonomi, vorranno avere maggiore larghezza. Si accenna anche a servizi che possono rendere i circondari. E perché non i mandamenti?

Noi avremo presto un ordinamento assurdo che sarà l'elefantiasi della burocrazia, una massa enorme di impiegati. Al milione e 600 mila impiegati che vi sono attualmente, tra Stato ed enti locali, corrisponderà un aumento più grande, tanto per gli impiegati dello Stato, quanto per gli impiegati di enti di nuova creazione. Ora si riesce a pagarli con difficoltà, si riescirà ancor meno o non si riescirà. In definitiva tutto cadrà sullo Stato che è già, con le integrazioni, base della finanza locale. Lo Stato deve pagare ciò che gli enti locali non possono: e lo Stato si avvia a non poter più pagare.

Quale sarà la finanza dell'ordinamento regionale? È un argomento questo che non si tocca e che il Presidente-Relatore, pur così esperto in materia di finanza, non ama toccare. Forse si troverebbe egli stesso, con la sua intelligenza e la sua perspicacia, in un tale groviglio di difficoltà che non potrebbe rispondere. E allora si rinvia. Si rinvia a quando? Io dico che queste difficoltà ce le dobbiamo porre fin da ora. Non si può fare una nuova pesante e costosa istituzione senza denaro. Chi darà i mezzi? Io spero di non annoiarvi obbligandovi a riflettere sulle attuali disastrose condizioni della nostra finanza di Stato. Ora, col pretesto di una lotta all'accentramento burocratico attuale, lotta che non si farà, vogliamo creare nuovi organi e nuove funzioni di Stato e locali? Ma io vorrei veder funzionare le ventidue Regioni come piccoli Stati più o meno seri, più o meno efficienti, più o meno inutili, ma certamente costosi. Non sono eccessivo se desidero sapere almeno in linea generale a quale forma di finanza ricorreranno questi nuovi organi politici e amministrativi. Il Relatore parla di imposte nuove e di imposte addizionali, ma quali? e come concepite e regolate? Poi che tutti vogliono essere autonomi come sarà regolata questa finanza autonoma? Si instaura la Regione costosa e disordinatrice ma rimane la Provincia, rimane il Comune, tutti autonomi. Anche altri enti autonomi sorgeranno. Vi è lavoro per tutti oppure ozio per tutti. Più cresce il numero degli impiegati, più cresce la loro inefficienza e più diminuisce il loro rendimento. Si può anche non pretendere che lavorino, ma si può pretendere di non pagarli? Chi pagherà? Questo disgraziato contribuente italiano, che non sa oramai fra quali difficoltà deve dibattersi, lo mettiamo di fronte a un fatto nuovo, ad una nuova elefantiasi amministrativa; e nuove formazioni, leghe, coalizioni di impiegati.

Io vi prego di riflettere. Nel dare nuove funzioni, delle quali parliamo con tanta facilità, si crea sempre una nuova burocrazia. E non vi è fatuità o sciocchezza cui non si pensi per ingrandire quelle Regioni cui nessuno pensava e che sono destinate, se anche sorgono, a disordinare l'Italia e alla sterilità. Si parla con tanta facilità perfino del controllo del credito e della previdenza. Ora queste sono cose veramente assurde per la vita locale, perché questa è una vera funzione di Stato. E sono anche stupidità. Molte materie che si vuole trasferire alle Regioni non si possono senza danno della Nazione intera (come le acque pubbliche, ad esempio). Ognuna delle funzioni che si vogliono dare alla Regione dovrebbe essere studiata seriamente e ponderata e sono sicuro che non sarà nemmeno materia di riflessione. Tutto diventa materia di partito. Vi sono partiti che sono impegnati nelle Regioni. Le voteranno senza considerare, per il prestigio del partito. E prepareranno una serie di fallimenti nazionali per soddisfare l'equivoco e la vanità regionale.

La mia preoccupazione è che si ottenga l'effetto contrario a quello che si vuole ottenere. Un vero decentramento si poteva fare molto facilmente, dando alle Province diversi indirizzi, dando ad esse la possibilità di una maggiore agilità ed arrivando a fare, dove era necessario, unioni di Province di carattere generale e permanente o solo consorzi per scopi determinati.

La Provincia, che ha organizzazione e tradizione, sarebbe stata base di azione più economica ed efficace. Non si è potuto abolirla e non si sa perché rimanga se non si fa a meno della Regione. Per avere la Regione dobbiamo creare un Governo alla cui organizzazione non si è ancora pensato. Come si formerà e come sarà organizzato? Da quali funzionari sarà formato? Si utilizzeranno impiegati attuali dello Stato? Si inventerà una burocrazia nuova? Tutto in questa materia è stato pensato con leggerezza e sarà fatto con disordine.

Ora ci sono gli impiegati delle Province e dei Comuni. Vi sono poi tutti gli impiegati dello Stato, che non toglierete, prima di tutto perché ci debbono essere al centro; anche per la coordinazione. Nelle Regioni voi creerete Parlamenti per ridere e Ministeri embrionali. Se volete piccoli Parlamenti dovete avere anche piccoli Ministeri e prima o dopo i Capi delle Regioni si considereranno veri Ministri e dovranno anche essi essere pagati. Non vi viene il dubbio che non avrete i mezzi? Riservandomi su qualcuno dei singoli argomenti della Regione di parlare in seguito, se sarà il caso, io mi limito per ora a queste poche e semplici considerazioni.

Il Presidente-Relatore ci dovrà pure dire prima di esaurire questo argomento a quali fonti di entrate intende riferirsi, e dovrà pur dire se ha fatto un calcolo, almeno approssimativo, di ciò che verranno a costare questi meccanismi inutili, che io credo saranno enormi ed ingombranti. Io attendo da lui una risposta rassicurante a questo proposito e non è questa richiesta indiscreta.

Presidente Terracini. Desidero far presente all'onorevole Nitti che la materia alla quale egli ha accennato sarà esaminata quando l'Assemblea sarà chiamata ad intrattenersi sull'articolo 113 che tratta dei problemi finanziari riguardanti la Regione, e sulla VIII disposizione transitoria relativa ai funzionari e ai dipendenti dello Stato.

Micheli. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Micheli. Io debbo ringraziare il Presidente di avere con questa sua osservazione detto per la maggior parte quanto intendevo osservare io all'onorevole Nitti. In questo momento non siamo ancora arrivati al punto di stabilire quale debba essere la finanza della Regione.

La finanza della Regione sarà certamente coordinata a quelle che saranno le sue funzioni, perché allora solo si potrà vedere quali dovranno esserne le spese, e proporzionare ad esse le entrate.

Comunque, non siamo giunti ancora all'articolo relativo e così anche per quanto si riferisce agli impiegati ed alla organizzazione degli uffici e ad altri argomenti similari dovremo discutere a proposito di altri articoli.

Io, come modesto fautore della Regione, desidero avvertire l'onorevole Nitti che, spiacente di trovarmi in contrasto con il suo pensiero, il concetto della Regione che egli ha è un po' diverso dal nostro, specialmente per quanto si riferisce alle spese e quindi anche alle entrate. Noi in questa nuova forma di organizzazione cercheremo di avere spese il meno possibile, e provvederemo a dividere le entrate opportunamente. È ovvio che una parte dei redditi andranno alla Provincia, che si è conservata. Ma anche questo è troppo presto stabilirlo ora, perché non sappiamo ancora quali siano le competenze che noi affidiamo alla Regione, quelle che aggiungeremo eventualmente alle Province e non sappiamo ancora in quanti rami dovrà la Regione esplicare la sua attività. Siamo evidentemente in anticipo.

Quanto agli impiegati, siccome io penso, ad esempio — e dichiaro di parlare per mio conto personale — che la Regione è soprattutto la forma di sburocratizzazione del centralismo che incombe ancora sopra tutte le attività dello Stato italiano, è evidente che se noi insistiamo a voler concretare una nuova forma di organizzazione statale, lo facciamo per diminuire l'aggravio che il sistema impiegatizio burocratico viene a portare sul bilancio e quindi sul sacrificio dei contribuenti.

Per eliminare ogni equivoco io devo avvertire il mio illustre contraddittore che noi intendiamo espressamente, attraverso la Regione, arrivare alla diminuzione dei carichi, in quanto vogliamo che le grandi impalcature burocratiche dello Stato siano snellite e diminuite, non solamente per ciò che ha riguardo alle competenze, ma anche pel numero di coloro ai quali viene affidata l'esplicazione di esse e l'organizzazione degli uffici.

Ora, non è possibile che noi continuiamo nello stato attuale; l'aggravio che ne deriva è troppo grande e l'onorevole Nitti può essere certo che in questa parte egli avrà noi suoi alleati, perché noi vogliamo la Regione anche per diminuire le spese, il che si potrà fare solamente eliminando tutto il peso formidabile che la burocrazia ci porta oggi. E soprattutto, non possiamo condividere l'accenno alla tristezza con cui egli ha cominciato il suo discorso; noi speriamo invece che il sorgere di questa nuova forma di organizzazione statale sarà accompagnata dalla lieta serenità di questo nostro popolo, illuminato e confortato da essa nella lunga via che per la sua rinascita deve percorrere. (Applausi al centro).

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarò molto breve nel rispondere all'onorevole Nitti.

Ammiro, anzitutto, la grande freschezza e tenacia con cui egli difende le sue idee. In realtà, nell'intervento di oggi, è ritornata l'idea fondamentale che la Regione non si deve istituire. Ma ormai la questione è stata decisa; l'Assemblea Costituente ha deliberato che la Regione esista; e di fronte ad una deliberazione come questa mi pare che sia democratico non discutere più inutilmente su una deliberazione già adottata, ma cercare, invece, di superare le difficoltà che sorgono dalla istituzione della Regione. Vi possono essere delle riforme necessarie, che presentano delle difficoltà. Quando si parla di difficoltà, non significa che una riforma debba essere respinta; bisogna superare le difficoltà che porta con sé.

Bisognerebbe essere ciechi per non vedere le difficoltà inerenti alla creazione dell'ente Regione, ma difficoltà non è impossibilità; né si può ritornare sopra un principio acquisito. La Regione c'è ormai nella Costituzione; e c'è in quella maniera che abbiamo deliberato ieri.

Io, ripeto, sono contento che sia venuto oggi dagli onorevoli Tosato e Perassi un chiarimento e che si sia confermato lo sforzo degli ultimi tempi del Comitato di trovare una formulazione, sui poteri normativi della Regione, nei limiti che lo Stato può, legge per legge, stabilire, così che anche per questo aspetto vi è la maggiore elasticità; e ciò rientra nel criterio generale del Comitato e dell'Assemblea, che sia consentito all'esperienza ed alla realtà pratica di graduare la vita ed il funzionamento della nuova istituzione che abbiamo fondata.

Con questo criterio realistico e sperimentale affronteremo anche le difficoltà che si presentano. L'onorevole Nitti vorrebbe che tutte le difficoltà fossero risolte a priori. Egli ha, tutti lo ricordiamo, impersonato finora la tendenza che voleva rimandare tutto ciò che riguarda il funzionamento della Regione a leggi future. Ora invece sembra che voglia non solo stabilire con precisione quali devono essere tutte le attribuzioni, ma anche dettagliatamente, gli uffici ed i mezzi, coi quali la Regione potrà, passo per passo, funzionare.

L'onorevole Nitti ha espressamente indicato due punti di precisazione; che, come ha già e benissimo risposto il Presidente dell'Assemblea, saranno esaminati al loro luogo. Il primo punto è quello dell'elefantiasi burocratica che, a suo avviso, si determinerà nella Regione. Un pericolo, se anche in proporzioni non così gravi, l'abbiamo visto, e ne abbiamo parlato anche noi, perché non siamo ciechi, onorevole Nitti. Se stabiliamo un nuovo gradino, dobbiamo preoccuparci che non venga a costituire un elemento di ulteriore pesantezza, ed un aggravio burocratico. Abbiamo cercato di prevenire il pericolo in un articolo transitorio, l'VIII, nel quale è detto che «Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si renda necessario in conseguenza del nuovo ordinamento. A queste disposizioni potremo dare anche una più estesa espressione. Ne parleremo a suo luogo; in concreto; senza fermarci ad un grido, del resto eccessivo, d'allarme.

Il secondo punto è della finanza. Ho raccolto al riguardo dati, e sono risalito anche ai classici studi dell'onorevole Nitti, di mezzo secolo fa, che adombrano il concetto di sperequazioni fra Regioni e di un necessario equilibrio finanziario. Questi dati sono a disposizione dell'Assemblea; ma ne parleremo al posto adatto; a proposito dell'articolo 113.

Basti ora un cenno al sistema, che è stato adottato dal Comitato ed è questo: ad ogni Regione debbono essere attribuite, come del resto avviene anche per le Province e i Comuni, entrate adeguate ai compiti affidati; e ciò sia come tributi propri, sia come quote di tributi erariali, in modo che col loro gettito complessivo le Regioni potranno adempiere ai loro compiti essenziali. Ma non basta pensare ai compiti essenziali; vi sono per le Regioni altri compiti e scopi determinati, per uno sviluppo ed una elevazione maggiore; — quale potrebbe essere, ad esempio, la lotta contro il latifondo — ed a questi scopi si deve provvedere mediante fondi di solidarietà, col concorso delle altre Regioni, o con speciali contributi dal tesoro dello Stato. Vedremo di determinare, nell'articolo 113[i], il congegno. Ma un sistema c'è; ed io attendo che l'onorevole Nitti lo critichi, dandoci tutto l'apporto della sua competenza; intanto non si può dire che noi non vi abbiamo pensato.

Abbiamo affrontato, con senso di responsabilità le difficoltà che una riforma di tal natura presenta e che sarebbe errore volersi nascondere. Non dobbiamo indugiare sul ritornello che la Regione non deve farsi; dobbiamo cercare di farla nel modo migliore — o almeno, per chi l'ha avversata — meno peggiore possibile. Anche da parte di coloro che erano contrari all'istituzione della Regione, si serve meglio il Paese, inchinandosi democraticamente al volere della maggioranza e cercando, insieme con chi l'abbiano patrocinato, che l'istituto sorga e si sviluppi come meglio si può. Questo è, onorevole Nitti — piuttosto che un'eterna scomunica, o piuttosto che il proposito di fare all'estero una propaganda avversa alla volontà della maggioranza — questo è il compito che si attende da una personalità così alta come la sua: contribuire, anche per la Regione, al bene del Paese.

Romita. Ma non si tratta di idee particolari, onorevole Ruini: si tratta di una preoccupazione patriottica.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Romita, io non ho mai detto che chi combatteva la Regione si ispirava ad idee particolari. Ho detto che, una volta che la maggioranza ha deliberato, noi abbiamo tutti il dovere di inchinarci alla sua volontà. (Applausi).

Presidente Terracini. Onorevole Ruini, non vi sono dubbi su quanto ella ha inteso di significare.

Onorevoli colleghi, mi sembra che si possa continuare nello svolgimento degli emendamenti.

Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi e Azzi hanno proposto il seguente emendamento:

«Nel primo comma, dopo: Ordinamento degli uffici, ecc., inserire: Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali; e dopo: Agricoltura e foreste, inserire: Artigianato, industria e commercio».

L'onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

Perassi. Dirò solo due parole. Come primo oggetto delle competenze legislative attribuite alle Regioni, dall'articolo che stiamo esaminando si indica l'ordinamento degli uffici ed enti amministrativi della Regione.

Mi pare che, se pur già in parte non si entra in questa nozione si dovrebbe, per affinità di materia, attribuire alle Regioni anche di regolare lo stato giuridico ed economico del personale della Regione e degli enti locali.

Su questa materia potranno esistere, come esistono di già per altri enti, delle leggi generali dello Stato che fissano alcuni principî fondamentali; ma entro l'ambito di questi principî è opportuno che la Regione, per quanto concerne i suoi impiegati e salariati, abbia la possibilità di stabilire norme dettagliate relative allo stato giuridico ed economico.

E per la stessa ragione è opportuno che la Regione, nell'ambito del suo territorio, possa stabilire anche norme integrative delle leggi dello Stato che siano dei limiti alle deliberazioni degli enti locali in ordine allo stato giuridico ed economico del personale degli enti locali medesimi. Anche in questo campo un'assoluta uniformità di norme per tutto il territorio dello Stato non è né necessaria né conveniente.

Mi pare dunque che l'aggiunta di questa materia non dovrebbe incontrare opposizione.

Il mio emendamento si propone anche di aggiungere dopo «Agricoltura e foreste» le parole: «Artigianato, industria e commercio».

Io ricordo che questa materia figurava già, in particolare, in forma più generica (Industria e commercio) nell'articolo 111. Ora, che cosa si è fatto fin qui? Si sono unificate ad un livello molto basso le formule dei diversi articoli relativi alla funzione legislativa della Regione. La formula unica adottata è quella che è stata approvata ieri sera. Data questa formula, che limita in maniera così modesta questa funzione legislativa, è evidente che quelle preoccupazioni che in alcuni potevano sussistere nell'allargare l'elenco delle materie da attribuirsi alla competenza delle Regioni, così subordinata, non hanno più ragione d'essere. Ora, come già nell'articolo 111 si comprendeva «industria e commercio», così mi pare che nell'elencazione delle materie del nuovo articolo (che è dominato dalla formula adottata ieri) debba comprendersi anche «artigianato, industria, commercio».

È una materia nella quale è opportuno che le Regioni abbiano un certo potere legislativo, anche per interessarle ai relativi problemi. Un modo di interessarle è appunto di far sì che esse abbiano la possibilità di disciplinarli in una maniera particolare, avuto riguardo alle esigenze locali. Si pensi, in particolare, all'artigianato che è una forma caratteristica regionale. È una materia nella quale può essere opportuno che le singole Regioni interessate possano emanare certe norme che disciplinino questa attività e ne promuovano lo sviluppo. Per questa ragione ho proposto di aggiungere «Artigianato, industria e commercio».

Presidente Terracini. Poiché sono stati presentati proprio ora alcuni emendamenti, fra i quali otto di un solo deputato, portanti una sola firma; vorrei pregare gli onorevoli colleghi di presentare tempestivamente gli emendamenti, ricordando che per quelli presentati nel corso della discussione occorrono dieci firme.

L'onorevole Zuccarini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il comma terzo aggiungere:

«Stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione e degli enti locali».

«Dopo il comma sesto aggiungere:

«Igiene e sanità pubblica».

«Modificare il comma undici così:

«Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche e altri mezzi di trasporto regionali».

«Modificare il comma tredici così:

«Porti e navigazione interna e lacuale».

«Modificare il comma diciannove così:

«Agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari».

«Dopo il comma diciannove aggiungere:

«Industria e commercio, Camere di commercio».

«All'ultimo comma modificare la parola: esecuzione, in: attuazione».

Ha facoltà di svolgerli.

Zuccarini. L'autonomia delle Regioni, dalla quale eravamo partiti con grandi prospettive, è venuta via via riducendosi fino a diventare una cosa, lasciatemelo dire, pressoché ridicola.

Si è legittimata così la ostilità verso il progetto e anche si sono giustificate certe critiche che vengono molto spesso rivolte contro il progetto stesso. Invece di aumentare l'autonomia o, per lo meno, di rendere il sistema delle autonomie un sistema veramente operante nello Stato italiano secondo il principio espresso in un primo momento, abbiamo creato un sistema il quale rende possibile una moltiplicazione di uffici ed anche il pericolo di un nuovo accentramento. Il Comitato di redazione, per andare incontro alla opposizione, ha creduto di limitare via via le competenze della Regione. Anche con questo articolo abbiamo visto come, oltre ad avere ridotto le facoltà legislative, si siano tolte anche alcune competenze che nel progetto primitivo erano state riconosciute alla Regione. Ora io credo che ciò sia dannoso e che in sede di emendamenti, si debba ritornare a dare alla Regione quell'insieme di possibilità e di capacità che la rendano un organismo veramente effettivo, veramente una forma di decentramento dell'Amministrazione dello Stato.

Altrimenti non ci sarà decentramento; anzi, riducendo a tanto poche le facoltà e le funzioni della Regione si renderà giustificatissima la preoccupazione che poco fa è stata sollevata dall'onorevole Nitti, che accanto ad una burocrazia statale, che resterebbe tale e quale, si venga a creare una burocrazia regionale. Noi pensiamo, invece, alla Regione come ad un sistema destinato ad assorbire molte funzioni dello Stato e, che assorbendo queste funzioni, farà diminuire il numero degli uffici e degli impiegati. Il solo fatto che determinate materie, anzi il maggior numero delle materie — direi quasi la totalità — passino alla Regione, significa eliminare, secondo me, tutto quel personale intermediario che serve oggi per fare arrivare, passare e ripassare le pratiche dalla Regione a Roma. Basterebbe solo questa considerazione per rendersi conto di quanto l'autonomia regionale, qualora fosse estesa al maggior numero di materie, anzi, secondo me, a tutte le materie gioverebbe alla semplificazione dell'organismo dello Stato e anche alla diminuzione della burocrazia. Io spero poi che, dopo le battaglie di questi giorni, l'accanimento contro questo istituto abbia a cessare. Gli amici di sinistra tengano conto che, se persistessero nel loro atteggiamento, non gioverebbero alla migliore soluzione del sistema il quale, posto e approvato in linea di massima dall'Assemblea, deve ora essere portato a termine nel miglior modo. Creare un organismo incompleto, diminuirne le funzioni, creare fra le attribuzioni dello Stato e le attribuzioni della Regione un'infinità di interferenze, significa creare, per la vita del nuovo Stato italiano, nuove difficoltà.

Faccio pure presente che, con il continuare la battaglia che credo debba cessare senza portarla sugli emendamenti stessi, anzi sulle materie da attribuire alla Regione, ripetendo cioè, quello che è avvenuto fino a ieri con la richiesta di scrutinio segreto, si finirà coll'approfondire da questa parte dell'Assemblea una divisione che non si doveva creare. Noi repubblicani continuiamo una vecchia tradizione democratica. La Regione entra in una concezione democratica che fino a venti anni fa, almeno, era di tutta la democrazia italiana, in cui si confondevano, insieme ai repubblicani, i socialisti, i radicali e tutti gli altri democratici.

Ora, non so se convenga proprio su questo concetto generale della democrazia, che è concetto di libertà e di autonomia, approfondire il dissenso e creare tra noi una barriera; per cui qualcuno di noi debba domandarsi se affinità esistono davvero fra noi e gli altri deputati di questa parte dell'Assemblea. Il dissidio si determinerebbe anche nel seno di ciascuno degli stessi partiti di democrazia di sinistra. Sappiamo tutti come in quei partiti molti vi siano ancora che credono nella utilità della Regione e nella sua opportunità come mezzo per la democratizzazione dello Stato.

E vengo agli emendamenti.

Presidente Terracini. Onorevole Zuccarini, la prego di tener conto del tempo che le è concesso per svolgerli.

Zuccarini. Io dovevo giustificare anche il perché delle aggiunte che penso debbano essere introdotte nell'elenco preparato dalla Commissione. Ho notato già in precedenza che il Comitato ha eliminato alcune di quelle competenze che erano state comprese nel progetto primitivo. Non mi fermerò ad alcune esclusioni, che possono essere anche giustificate dal fatto che per certe materie, come per la Scuola e per l'Antichità e le Belle Arti, il progetto di Costituzione ha preso già deliberazioni che naturalmente impediscono in un certo senso che queste materie entrino nell'elenco. A torto, secondo me.

Ve ne sono però altre, che sono state escluse; e male escluse. Incomincio dallo stato giuridico ed economico degli impiegati, su cui si è fermato poco fa l'onorevole Perassi; ragione per cui non insisto sui motivi da lui esposti. Ma c'è una considerazione da fare, a proposito del personale degli enti locali: è utile, sommamente utile, che gli impiegati degli enti locali siano, per quanto possibile, legati alla Regione ed agli enti locali della Regione. Questo passaggio continuo di impiegati da una Regione all'altra, in ambienti che essi non conoscono, è assolutamente deleterio per l'Amministrazione locale. Vi sono amministratori, che non conoscono l'ambiente nel quale essi devono svolgere la loro opera. Lo si è lamentato per i prefetti e per il personale delle prefetture; a maggior ragione, dopo il fascismo, lo si è lamentato per il personale degli enti locali, il quale, poi, nell'amministrazione locale, è parte importantissima nell'Amministrazione, anzi, in certo senso, il padrone dell'Amministrazione. Padrone lo era già diventato col fascismo, ma continua ad esserlo, in qualche modo, anche oggi, in quanto le Amministrazioni elettive non si sono ancora impossessate dell'organismo dell'Amministrazione.

Queste ed altre ragioni rendono consigliabile che il personale degli enti locali della Regione abbia un legame regionale, che gli impiegati restino, per quanto possibile, nell'ambiente nel quale devono operare ed esplicare la loro attività, si rendano conto, cioè, dei problemi che devono affrontare ogni giorno, li conoscano perfettamente e siano in grado anche di portarli innanzi, di fronte agli organi regionali, e altresì di fronte agli organi dello Stato.

Igiene e sanità pubblica. Oggi esiste un'organizzazione provinciale della sanità. Non capisco perché anche questa materia non debba rientrare nei compiti della Regione; tanto più che in materia di sanità pubblica, i problemi da Regione a Regione non sono gli stessi. Per esempio, vi è il problema della malaria; ve ne sono altri, i quali devono essere riguardati con occhio regionale, con un criterio regionale, cioè diverso da zona a zona. Da qui l'utilità che in questa materia esistano personale ed uffici che studino i problemi e li risolvano nell'ambito della Regione.

E passo ad altra materia: ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali.

Il progetto della Commissione limita alle tranvie ed alle linee automobilistiche la competenza della Regione, linee secondarie, di carattere prettamente regionale, che nascono e finiscono entro la Regione e che quindi devono restare di competenza, se non esclusiva, per lo meno principale della Regione.

Io, riferendomi solo alle Marche che conosco meglio delle altre Regioni, potrei osservare che in quella Regione ve ne sono almeno quattro di queste ferrovie. Non si capisce perché esse, che assolvono a funzioni locali, non debbano restare di competenza degli organi regionali. In nessuna materia, forse, la Regione può assolvere la propria attività meglio che in questa; tanto più che le tramvie e i servizi automobilistici non esauriscono il problema dei trasporti.

Noi abbiamo poi nuovi mezzi di trasporto, e ve ne sono anche di vecchi che possono riuscire utilissimi nell'ambito della Regione. Vi sono le filovie; vi sono le teleferiche; vi sono altri mezzi di trasporto e di comunicazione per cui questa materia, se veramente la Regione vorrà assolvere bene il suo compito, deve essere sufficientemente vasta e comprensiva delle varie forme di trasporto lasciando pure che le linee principali restino legate o subordinate ai criteri dell'Amministrazione centrale.

Navigazione interna. Gli articoli modificati contemplano: porti e navigazione lacuale. Non si capisce perché i piccoli porti, che servono per la pesca, per il piccolo cabotaggio, che hanno una funzione locale e regionale, insomma molto ristretta, debbano essere sottratti alla competenza della Regione. Non si capisce neanche perché la navigazione interna, che per quello che esiste in Italia è ristretta a certe Regioni ed è il risultato di un'opera svolta attraverso il tempo da iniziative locali, non debba essere anch'essa attribuita alla Regione. In questo modo la Regione verrebbe ad avere un complesso di attività in questa materia che può essere largamente utile. La navigazione del Tevere, fino al porto di Roma ed oltre fino ad Orte, è un problema esclusivamente laziale; il sistema di navigazione interna dell'Arno non si capisce perché non debba restare di competenza della Regione toscana. E così via.

La creazione di laghi artificiali, che avviene adesso con una certa frequenza anche per una necessità dello sviluppo idroelettrico, può permettere dei sistemi di navigazione interna, sia pure per brevi tratti, che, secondo me, devono pure restare di competenza della Regione.

Ho poi aggiunto, là dove si parla di agricoltura e foreste, i consorzi, le bonifiche e altri miglioramenti agrari.

I consorzi agrari furono una creazione squisitamente locale e assolsero magnificamente le loro funzioni quando furono organi locali. Il fascismo ne fece degli organi burocratici dello Stato, ma effettivamente se i consorzi devono restare degli organi locali bisogna che ritornino alle loro forme primitive e si adeguino a quei criteri di autonomia e di iniziativa spontanea degli agricoltori, attraverso cui hanno ottenuto il maggiore risultato. Invece degli ispettori di agricoltura, i quali esercitano un compito investigativo e quanto mai limitativo, occorrerà ritornare al sistema delle cattedre ambulanti di agricoltura, le quali assolsero molto efficacemente una funzione veramente utile, contribuendo molto allo sviluppo agricolo italiano.

Sembra a me che questa parte, cioè tutto ciò che si riferisce all'attività agricola, allo sviluppo dell'agricoltura, alla organizzazione economica in tutte le questioni agricole, debba restare alla Regione. I consorzi agrari, cessando di essere organi burocratici che si muovono in funzione di criteri e di direttive centrali che sono spesso contro gli interessi e contro i desideri degli stessi agricoltori, ritornino intanto ad essere organi autonomi, e si sviluppino nell'ambito della Regione e tornino a basarsi su un sistema di spontanee iniziative locali come quello sul quale si crearono.

Presidente Terracini. La prego di concludere.

Zuccarini. Io mi attengo all'argomento. Sono sette i miei emendamenti. Mi permetta di svolgerli uno per uno tutti.

Presidente Terracini. Lei li può svolgere uno per uno, tenendo però conto che c'è un limite di tempo. Io non desidero fare osservazioni sul modo con cui i colleghi svolgono gli emendamenti, ma vorrei che si comprendesse che vi sono una quantità di argomenti che sono impliciti e lo svolgerli ampiamente significa occupare il tempo che dovrebbe essere destinato a giustificare l'emendamento e non a dirci cose interessanti ma non pertinenti all'argomento. La pregherei quindi, onorevole Zuccarini, di voler tener presente che il nostro tempo ha un certo valore.

Zuccarini. Mi permetta, signor Presidente, ma io le faccio osservare che il mio emendamento, essendo comprensivo di almeno 6 o 7 emendamenti, deve consentire per lo svolgimento una tolleranza di tempo maggiore di quella che può essere consentita ad un solo emendamento.

Presidente Terracini. Le sue proposte riguardano un solo articolo e si possono considerare pertanto come un solo emendamento. La prego quindi di voler concludere.

Zuccarini. Le modifiche e i miglioramenti agrari sono poi così strettamente legati all'attività delle Regioni per cui non si capisce perché queste materie non debbano restare di competenza della Regione.

V'è un'altra materia sottratta alla Regione la cui soppressione non si giustifica in nessun senso: industria e commercio, a cui io ho aggiunto anche le Camere. Se la Regione ha competenza per occuparsi dell'agricoltura, non si capisce perché non debba occuparsi dell'industria e del commercio, almeno di quello che l'industria e il commercio hanno di regionale. Non vi è una industria a carattere unitario, come non v'è un tipo unico di agricoltura. Ogni Regione ha le sue particolari industrie e le sue particolari attività, anche artigiane che possono svilupparsi in industrie. Non vi è quindi motivo perché venga esclusa alla competenza del nuovo organismo una materia che fin qui venne riconosciuta come di competenza della Provincia attraverso le Camere di commercio e di industria, Camere di commercio e industria che io vorrei restassero legate all'ordinamento regionale.

È tutta una materia che non potrebbe essere esclusa, se non con il criterio che l'industria debba essere materia esclusiva dell'attività dello Stato; il che non può essere, a meno che non si pensi di creare in Italia un nuovo protezionismo industriale, un sistema di autarchia, al quale credo invece che si debba rinunciare in ogni modo.

E sono alla fine, cioè all'ultimo emendamento, laddove propongo che la parola. «eseguire» sia sostituita con la parola «attuare». Si eseguiscono gli ordini. «Attuare» invece dà il senso della autonomia della Regione. Siccome noi vogliamo che l'autonomia sia assicurata alla Regione, così proponiamo, come ultimo emendamento, che alla parola «eseguire» sia sostituita la parola «attuare». (Applausi).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Merighi e Fornara hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere al comma 6°): Assistenza sanitaria ed ospedaliera».

«Sopprimere al comma 15°): Acque minerali e termali».

In assenza, dell'onorevole Merighi, ha facoltà di svolgerli l'onorevole Fornara.

Fornara. Gli emendamenti che noi proponiamo sono emendamenti soppressivi per quanto riguarda il problema di una legislazione regionale dell'assistenza ospedaliera, dell'assistenza sanitaria, e per il problema delle acque termali.

Svolgerò rapidamente questi tre emendamenti, e chiedo scusa se parlo io in sostituzione dell'onorevole Merighi: sarò meno eloquente, ma molto breve.

Vi parlo come ex-prefetto socialista della provincia di Novara e come tale vi dirò che abbiamo inteso il bisogno di un ente Regione, ma che abbiamo però in esso visto prevalentemente lo scopo di ridurre quella che è l'attuale elefantiasi amministrativa, più che lo scopo legislativo.

In tal senso noi socialisti siamo stati regionalisti, e siamo ancora favorevoli alla Regione, se Regione vuol dire abolizione della Prefettura. Noi abbiamo visto nella carica di Sua Eccellenza il Prefetto, una piccola gloria, ma molte miserie. In tal senso siamo regionalisti, se questo vuol dire anche diminuzione dell'ente Provincia, limitato a puro organo amministrativo della futura Regione. E, accanto all'ente Regione, noi domani vedremo volentieri una reale, completa autonomia comunale. Noi siamo favorevoli all'ente Regione, inteso essenzialmente come ente di decentramento amministrativo. Ma vediamo il pericolo, quando si vuol dare all'ente Regione un'ampiezza legislativa che ci preoccupa, e ci preoccupa prevalentemente nei tre punti che svolgerò.

Primo punto è quello della capacità legislativa in problemi di assistenza ospedaliera.

Poco fa ha parlato l'onorevole Zuccarini, che, pur non essendo medico, ha trattato di argomenti medici. Ha parlato oggi di nuovo di malattie regionali, ed io dico all'onorevole Zuccarini (Interruzione dell'onorevole Zuccarini) che sul problema della malaria al Congresso dell'ottobre 1946, il professore Izar, Relatore al Congresso nazionale di medicina, ha messo in evidenza questo doloroso fatto; che la malaria si è diffusa in Regioni italiane in cui prima non esisteva. Oggi è un problema nazionale, direi di più, un problema mondiale, quando sul British Medical Journal del 21 giugno di quest'anno si vede citato il moltiplicarsi di casi autoctoni di malaria a Londra, dove malaria non c'era mai stata.

Quando vediamo moltiplicarsi casi di malaria in Regioni in cui la malaria non c'è mai stata, e vediamo nelle nostre zone montane, e a Siena finanche, come ha constatato il professore Izar, moltiplicarsi casi autoctoni di malaria, dobbiamo concludere che il problema della malaria — che credevamo limitato ad alcune Regioni — è oggi un problema nazionale, che va risolto con legislazione nazionale e con pieni poteri nazionali. L'affidare questa lotta antimalarica ad una legislazione regionale, per me rappresenta un pericolo e vi dirò il perché: noi che fummo prefetti, che ci occupiamo di problemi amministrativi, ci ricordiamo cosa era il problema della malaria dieci o venti anni fa.

In quei tempi ogni medico provinciale si faceva gloria di aver dichiarato che la propria Provincia non era più zona malarica. Era motivo di vanto.

Ed allora, quando ancora non c'era il D.D.T., per la lotta contro la malaria, si ammazzavano acchiappandole colle mani poche centinaia di zanzare, quando ve ne erano miliardi in tutte le nostre Regioni. Ma il problema era questo: accanto al medico provinciale che, per avere una promozione, cercava di dimostrare che la propria Provincia era meno malarica delle altre, vi era il sindaco, che non voleva questo, perché dichiarare una Provincia zona non malarica significava far togliere la distribuzione di chinino, alla quale erano interessate le tabaccherie. Ora, qualcuno vuole parlare di nuovo di patologia regionale e di patologia razziale. In questi ultimi giorni, all'Accademia medica di Roma, qualcuno ha parlato di anemia di Cooley e di ittero emolitico di Rietti-Greppi-Micheli come di malattie razziali; io ho protestato. Ed io protestai anche nel 1940, quando era difficile protestare. Feci un ordine del giorno allora al Congresso italiano di pediatria del maggio 1940, protestando contro ogni affermazione che riguardava queste malattie come malattie razziali; così protesto oggi contro chi afferma che esistono malattie regionali e contro chi vuol affidare alla legislazione regionale la lotta contro le malattie sociali, lotta che non può essere che nazionale.

Uberti. Ma chi è che parla di malattie regionali?

Fornara. Io dico che c'è un altro serio pericolo ed il pericolo è che nel problema della distribuzione delle medicine si segua un criterio regionale. Nella Provincia che io ho amministrato, la distribuzione dell'insulina e della penicillina è stata fatta con tale serietà che la Provincia non ha mai sofferto della mancanza né dell'una né dell'altra medicina. In alcune Province vicine, invece, l'insulina mancava al 10 del mese e non si sapeva come fare per arrivare al 30. Tale pericolo si ripresenta ora per la streptomicina, medicina molto rara, la cui distribuzione è fatta dall'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica. Noi vogliamo appunto che tutte le medicine vengano distribuite da quest'organo, unico sistema per potere veramente disporre di queste medicine rare, che saranno rare ancora per molti mesi, e che rappresentano un rimedio efficace contro alcune malattie che infestano l'umanità, ma vogliamo che la distribuzione sia fatta attraverso tutti gli Ospedali.

Vi è ancora un altro pericolo: quello della nomina dei medici ospedalieri e dei medici condotti affidata a Commissioni ospedaliere regionali. Voi sapete a che cosa porta un regionalismo mal compreso. C'è già il doloroso fenomeno di professori universitari nominati dal Governo militare alleato per le cattedre siciliane e che non sono stati confermati dal Governo italiano. Noi speriamo che il Ministero della pubblica istruzione risolva chiaramente questo doloroso problema. Ma non vogliamo che domani vi siano dei primari o dei medici condotti, nominati da una Commissione regionale, che non possano espletare le loro delicate mansioni in tutti gli Ospedali, in tutte le condotte d'Italia.

E c'è infine il problema delle acque termali, che rappresenta l'unica ricchezza che ha l'Italia, tanto povera di materie prime e di prodotti minerari. Ma è una ricchezza che deve servire a tutti gli italiani e specialmente a tutti i lavoratori.

Ricordiamoci che se domani, ad esempio, nella mia provincia di Novara — che ha la sorgente termale di Bognanco molto conosciuta — dovessero affermarsi dei diritti particolari dei suoi abitanti, anche relativamente ai proventi delle acque termali, succederebbe quello sconcio che è capitato quando un Ministero ha permesso che sorgesse un Casino da giuoco, e ogni paese voleva sorgesse a proprio vantaggio. Le acque termali italiane siano dunque per tutti gli italiani, siano soprattutto per tutti i lavoratori italiani. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Miccolis, Penna Ottavia, Rodi, Patrissi, Abozzi, Venditti, Castiglia, Colitto, Quintieri Quinto, Trulli hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alla dizione: Istruzione artigiana e tecnico professionale, l'altra: Istruzione artigiana».

L'onorevole Miccolis ha facoltà di svolgerlo.

Miccolis. Nel progetto originario della onorevole Commissione dei Settantacinque, fra le materie attribuite alle competenze regionali, all'articolo 108 vi è la scuola artigiana, al successivo articolo 110 l'istruzione tecnico-professionale ed all'articolo 111 la scuola elementare.

Nel testo dei tre articoli unificati dal medesimo onorevole consesso, già approvato nella parte generale, sono stati messi sullo stesso piano di competenza locale la scuola artigiana e l'istruzione tecnico-professionale.

Non a caso — ed io mi azzarderei chiedere il perché — è stata lasciata in pace ed allo Stato la scuola elementare, la quale, proveniente appunto dagli enti locali, ha già fatto l'esperienza della incuria, abbandono e deleterie intromettenze locali. In generale va osservato che la scuola, sotto certi punti di vista, come la magistratura, ha bisogno di libertà ed indipendenza per potere assolvere alla sua missione di educazione e sereno giudizio. Ricordo e non ritengo giusti gli amari apprezzamenti dell'onorevole Einaudi per quei pochi insegnanti elementari che si dibattono tra stipendi di fame e mancanze di alloggi nelle sedi dove dovrebbero esplicare il loro lavoro. Se vi sono state buone ragioni per lasciare allo Stato la scuola elementare, di più ve ne sono per la scuola tecnico-professionale.

L'onorevole Ministro della pubblica istruzione, onorevole Gonella, ha un giorno riconosciuto in quest'Aula la necessità di un dibattito sulla nostra scuola, che ha bisogno di essere rivista, riordinata su moderni concetti e restituita alla fiducia dei docenti e delle famiglie degli allievi.

Non è questo il momento per aprire questo dibattito; ma non è neppure il caso di ignorare e non considerare il pericolo che corre la scuola professionale col passaggio alle competenze legislative della Regione. È il modesto avviso di un uomo che ha sempre vissuto in quel tipo di scuola, che oggi il dibattito non dovrebbe essere che sull'educazione professionale, nel quadro generale del progresso tecnico ed operativo mondiale.

Due organismi ben diversi e distinti sono la scuola artigiana e quella cosiddetta professionale. Nella prima sono le cosiddette scuole di avviamento professionale, da qualche allegro spirito dette di «sviamento al lavoro». Nella seconda scuola sono — me ne può dare atto l'onorevole Bosco Lucarelli e, sempre da parte democristiana, che tanto si batte per la questione delle autonomie regionali, l'onorevole Firrao — vi sono le scuole professionali e gli istituti tecnici. Questi ultimi furono creati e potenziati con larghezza di mezzi e competenza dai Ministeri dell'industria e commercio, della marina e dell'agricoltura e quindi convogliati tutti dal fascismo nel Ministero dell'educazione nazionale, credo verso il 1931-32. Da essi uscirono ed escono dei valorosi tecnici minori, che sono, provenienti tutti dal popolo e dalla piccola borghesia, gli oscuri artefici delle nostre industrie nazionali, che non hanno niente a che fare con quelle di ordine regionale e locale.

Noi dobbiamo puntare, onorevoli colleghi, su queste scuole, se vogliamo veramente potenziare le nostre risorse, le nostre buone braccia ed intelligenze. Affidare alle Regioni queste scuole significa, mi sia permessa la frase, mandarle a morire, arrecando un incalcolabile danno alla Nazione.

Privilegiata apparirà la scuola statale classica o universitaria e continuerà, anzi si aggraverà l'inflazione degli spostati, avvocati senza cause e senza impiego e medici senza ammalati.

L'istruzione tecnica, in quest'ora di rapidi progressi ed organizzazioni scientifiche del lavoro, è materia che non appartiene ad una Regione, ma appartiene oggi al mondo intero e non può essere affidata né ad una Regione, né ai cosiddetti consorzi dell'istruzione tecnica, che sono privi di mezzi e non hanno reale competenza e capacità per governarla.

Se mi si concede di entrare un po' in qualche sommario dettaglio, devo osservare che legiferare in materia d'istruzione tecnica significa, disporre di rilevanti mezzi per attrezzature e consumo di materiali, cui solo lo Stato potrebbe essere in condizioni di far fronte; disporre di uffici e dirigenti idonei, preparati e in continuo contatto con l'estero; disporre di programmi e curare il loro normale e proficuo svolgimento; reclutare scelto personale, capace di non fossilizzarsi in criteri e ristretti orizzonti locali, ma bensì di poter spaziare secondo il progresso della Nazione e il progresso del mondo.

Io non so che cosa sarebbe, per esempio, di un allievo il quale, seguita una parte di corso in un istituto, per differenze anche minime di programma non possa passare in un altro istituto, quando il padre, o ferroviere — perché sono tutti figli di operai o di impiegati — o ferroviere dunque, o postelegrafonico, o impiegato di qualsiasi altro ente, viene ad essere, per ragioni di servizio, trasferito da una parte all'altra della penisola.

Legiferare in questa materia significa, onorevoli colleghi, rilasciare anche diplomi; ma diplomi di valore regionale o nazionale? noi vorremmo domandare. C'è poi anche la questione del personale. Il personale infatti che è entrato in questo tipo di scuole è entrato al servizio dello Stato. Potete effettivamente voi dire a questo personale che deve passare dallo Stato alla Regione? A me pare di no; voi dovete anzi rendere libero questo personale, voi dovete anzi cercare che esso non vada ad imbrigliarsi nelle beghe locali.

È evidente dunque che non può essere consentito questo passaggio per le scuole di istruzione professionale. Io presento pertanto un emendamento che fa escludere dalla competenza regionale la scuola professionale per lasciare, pure, quella artigiana, perché io credo che effettivamente gli enti locali in materia di istruzione artigiana potrebbero rendere qualche servizio.

Io mi dovrei poi riferire alle parole pronunciate poco fa dall'onorevole Nitti a proposito dell'amministrazione. Esiste infatti al Ministero della pubblica istruzione una direzione generale che ritengo composta, oltre che del suo direttore generale, di una trentina di altri dipendenti. Ebbene, noi dovremo invece aver bisogno di qualche cosa come una trentina di queste direzioni generali, una per Regione, e non so di quanto altro personale: voi potete immaginare, egregi colleghi, quanto in ciò si verrebbe a guadagnare o perdere sul bilancio della pubblica istruzione.

Onorevoli colleghi, io vi ricordo che la scuola professionale è la scuola del popolo e va salvata dagli enti locali. (Applausi a destra).

Presidente Terracini. L'onorevole Colitto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Nell'elenco delle materie, dopo: Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera, aggiungere: sanità ed igiene».

«Sopprimere: Istruzione artigiana e tecnico-professionale».

«Alle parole: Tranvie e linee automobilistiche regionali, sostituire le altre: Tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale».

«Dopo: Acque pubbliche ed energia elettrica, sopprimere le parole: in quanto la loro regolamentazione non incida sull'interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Ha facoltà di svolgerli.

Colitto. Renderò molto brevemente conto dei miei emendamenti.

Ho proposto innanzi tutto che, al primo comma, dopo le parole «beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera», siano aggiunte le seguenti altre: «sanità ed igiene». Ed in proposito desidero soltanto aggiungere, a quanto ha detto poc'anzi l'onorevole Zuccarini, che attualmente in materia la Provincia interviene, sostenendo tutta una serie di oneri finanziari, per la provvista e la conservazione del vaccino antivaiolico, per l'acquisto e la distribuzione gratuita del chinino nelle zone malariche, per l'abbattimento di animali ammalati, per il servizio antirabbico. Per tutto ciò io penso che sarebbe opportuno che le relative norme emanassero dalla Regione.

Altro mio emendamento è inteso alla soppressione delle parole «istruzione artigiana e tecnico-professionale». A me pare, infatti, che la scuola debba avere una disciplina unitaria nazionale. Io vedo in una legislazione frammentaria per Regioni una causa di regresso della scuola. L'argomento è stato già svolto dall'onorevole Miccolis e sarà svolto ancora dall'onorevole Marchesi. Non desidero, pertanto, aggiungere altro per non far perdere tempo all'Assemblea.

Ho chiesto, poi, che siano sostituite alla parola «regionali» — che nel secondo comma accompagna le parole «tranvie e linee automobilistiche» — le seguenti altre: «di interesse regionale».

La modifica è richiesta dal bisogno che in un testo di legge siano usate le stesse parole per esprimere lo stesso concetto. Ora, le parole «di interesse regionale» sono appunto usate nello stesso secondo comma a proposito della viabilità degli acquedotti e dei lavori pubblici.

Ho chiesto ancora che siano soppresse — sempre nel secondo comma — le parole: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull'interesse nazionale o su quello di altre regioni» che si leggono dopo le parole «acque pubbliche ed energia elettrica». La ragione di questo emendamento soppressivo è stata già da me indicata in altra occasione ed è stata trovata giusta, se ho ben compreso, dal Presidente della Commissione, onorevole Ruini.

Ho chiesto, infine, che siano aggiunte — nel ripetuto secondo comma — alle parole «Agricoltura e foreste» le seguenti altre: «Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

È noto che le Province sono attualmente autorizzate all'assunzione ed alla gestione diretta dei pubblici servizi, in massima parte con le stesse regole che riguardano le assunzioni dei servizi da parte dei Comuni. I servizi provinciali più importanti sono i seguenti: costruzione ed esercizio di linee tranviarie, di reti telefoniche, produzione e distribuzione di forza idroelettrica, tenuta di essiccatoi di granturco, di semenzai, di vivai di viti e di piante fruttifere.

Io penso che sia opportuno che tutta questa materia rientri nei limiti dell'attività normativa della Regione.

Presidente Terracini. L'onorevole Marchesi ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere nell'elenco delle materie: Istruzione artigiana e tecnico professionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Marchesi. Onorevoli colleghi, ritengo che a fare inserire le scuole artigiane e tecnico-professionali nella materia soggetta al potere normativo della Regione abbia contribuito una imperfetta valutazione di quelle scuole, e nello stesso tempo l'erronea persuasione che nel quadro del territorio economico soltanto la Regione sappia indicare le attività le quali devono essere particolarmente stimolate e addestrate: di fronte ad uno Stato che si presume ignorantissimo delle esigenze della produzione locale.

A me pare sia questo argomento di grande riflessione, perché le scuole professionali tecniche ed artigiane non sono da meno delle altre scuole. Anzi io penso che alla istituzione e all'incremento di queste scuole è legata la sorte del popolo italiano.

Mentre le scuole medie e superiori accolgono la folla enorme e crescente degli spostati destinati alla disoccupazione, all'accattonaggio e all'intrigo, soltanto queste scuole artigiane e tecnico-professionali potranno venire in soccorso immediato del popolo nostro a cui resta massima, anzi unica ricchezza la propria capacità di lavoro.

L'Italia non ha bisogno di dottori, i quali in minima parte oggi sono degni di questo nome, sceso in tanta degradazione. L'Italia ha bisogno di artigiani, di operai qualificati, i quali hanno sempre reso onore al buon nome del nostro Paese. Le Regioni potranno istituire nuove scuole che lo Stato potrà rendere proprie; potranno le scuole esistenti arricchirsi di nuovi locali, di nuovi corredi, magari di nuove funzioni, ma non essere gli unici enti autorizzati a istituirli.

Certamente, vi sono Regioni nell'Italia del nord e centrale fiorenti di industrie, con larga disponibilità finanziaria, capaci di promuovere e di mantenere in floridezza le scuole professionali ed artigiane; ma altre Regioni sono in ben diverse condizioni, né solo per penuria di denaro, ma per penuria di buona volontà.

Non voglio recare onta a nessuna contrada d'Italia. Cosa vecchia e risaputa è la piaga dell'analfabetismo del Mezzogiorno; e un deputato — che fu onore della Sicilia e decoro del Parlamento italiano, Vincenzo Giuffrida, assai noto all'onorevole Nitti — in un discorso memorabile, ricordava ai suoi elettori di Catania, che non il popolo del Mezzogiorno era nemico dell'istruzione e della scuola, ma nemici dell'istruzione e della scuola erano gli enti locali, municipi, province, favoriti in questo malvolere ed in questa inerzia dalla inerzia dello Stato: perché la Sicilia è stata oppressa e danneggiata, si dice, dal Governo centrale, ma essa è stata, prima di tutto e più di tutto, oppressa dai siciliani. E quando l'analfabetismo sembrò attenuarsi nelle contrade del Mezzogiorno, questo non si dovette a provvidenze locali o statali, ma si dovette a quei contadini siciliani che nelle calate del porto di Napoli, sotto enormi sacchi, laceri e stanchi, si avviavano emigranti verso l'America, dove trovavano lavoro e quel poco di cultura che la terra nativa loro negava.

Ritengo dunque che queste scuole, destinate per qualche decennio ad assicurare al popolo italiano il lavoro e il decoro, devono essere mantenute sotto gli ordinamenti e la amministrazione dello Stato.

Onorevoli colleghi, ho finito. Se in Italia fossimo sicuri dell'applicazione rigorosa delle leggi, comprese le leggi costituzionali, io avrei paura di questo progetto di autonomia regionale. Molti di voi ritornerete nella prossima Assemblea legislativa. Ma quando da costituenti vi sarete trasformati in legislatori, vi accorgerete che cosa sia questo progetto che si sta ora votando con due, con quattro, con dieci e magari con quaranta voti di maggioranza.

Micheli. Perché non ce ne dà di più lei, di voti di maggioranza?

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Bozzi:

«Nel secondo comma sopprimere le parole: ed enti amministrativi».

L'onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

Bozzi. Onorevoli colleghi, io ho proposto, nella prima voce delle materie indicate in questo articolo, la soppressione delle parole «ed enti amministrativi». La prima voce dice: «Ordinamento degli uffici ed enti amministrativi della Regione». La ragione di questo mio emendamento soppressivo probabilmente sta nel fatto che non sono riuscito a cogliere esattamente il significato di questo inciso «ed enti amministrativi». Mi domando: si vuol dire ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione? Ciò che regge il concetto fondamentale è «l'ordinamento», ovvero si tratta di due cose distinte? Ossia la competenza della Regione si estende tanto all'ordinamento degli uffici della Regione quanto agli enti amministrativi? Quindi penserei che la prima cosa che sia da fare è quella di chiarire, perché non possiamo discutere là dove vi è ragione di dubbio e di incertezza sulla interpretazione. Cosa sono poi gli enti amministrativi della Regione? L'espressione «enti amministrativi» non è la più consueta nel linguaggio della legge e della dottrina. Si usa parlare di regola di «enti pubblici»; anche come proprietà di linguaggio, inserire una parola che non è familiare, può creare una ulteriore ragione di incertezza, che si deve eliminare. Ma se l'interpretazione è nel senso che la Regione può emanare anche norme circa l'ordinamento degli enti amministrativi, mi domando: quali sono questi enti? Le Province e i Comuni? Direi di no, perché di Province e di Comuni si parla nella seconda voce della elencazione. E se fossero Province e Comuni, non capisco perché si debba attribuire alla Regione la potestà di dettare norme di ordinamento di questi enti autarchici. Noi abbiamo mantenuto la Provincia come ente autarchico, alla pari dei Comuni; sottrarre alla autonomia della Provincia e del Comune, che oggi hanno la possibilità di dettare appunto quelle norme che reggono i loro uffici, la loro struttura, le loro funzioni, è una stortura giuridica. Quelle norme rientrano nei poteri di autonomia di ogni ente pubblico. Desidererei, soprattutto, adunque, un chiarimento. Si tratta, invece, che la Regione può stabilire norme sugli enti pubblici? La cosa non è meno grave. Vi rendete conto che l'ente pubblico ha una somma di poteri; il concederli e il disciplinarli deve competere solo allo Stato. L'ente pubblico non è soltanto l'ente pubblico della Regione. Che cosa vuol dire «della Regione»? Questa particella «della» che cosa significa? Quale legame di pertinenza denota con la Regione? È un ente pubblico che sta nella Regione o un ente pubblico della Regione, considerato cioè come ufficio, come organo della Regione?

Tutto ciò non è chiaro. È meglio toglier via la frase.

Presidente Terracini. L'onorevole Bernini ha presentato il seguente emendamento:

«Nell'elenco delle materie, sopprimere la voce: Scuola artigiana».

«Sopprimere la voce: Urbanistica».

«Sopprimere la voce: Istruzione tecnico-professionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Bernini. Onorevoli colleghi, già parecchi colleghi hanno proposto prima di me che l'istruzione artigiana e l'istruzione tecnico-professionale siano tolte dall'elenco delle materie di competenza della Regione.

Io vi prego di una qualche benevola attenzione ai pochi argomenti, che intendo aggiungere a quelli già svolti dai colleghi.

Se non sbaglio, anche l'onorevole Zuccarini ha riconosciuto che l'istruzione elementare e la media devono essere tolte dall'elenco delle materie di pertinenza della Regione. In questo credo almeno che debba essere lodato il nuovo testo proposto dalla Commissione. In realtà, se si fosse insistito a proporre che le istruzioni elementare e media dovessero essere, in una forma o nell'altra, di pertinenza della Regione, il nostro dissenso sarebbe stato totale, assoluto. Ora, io non ho nessuna specifica competenza per giudicare sulla maggior parte delle voci proposte come di potestà della Regione. Bisogna che se ne occupino i tecnici. Io spero che, prima di passare alla votazione, i tecnici, che ci sono qua dentro, si esprimano su ciascuna delle materie.

Tuttavia, credo di poter affermare che qualcosa di netto, di preciso separa tutte queste materie dalle altre.

Ritengo che la cultura e la scuola siano materie, nelle quali non sia possibile stabilire compartimenti stagno. La scuola e la cultura non possono seguire che una legge di circolarità; sono come il sangue nelle vene, il quale deve circolare: se il sangue si arresta, il corpo muore.

Io ammetto senz'altro che la scuola artigiana, più delle altre, deve adattarsi alle condizioni locali. Ma dal dire questo al credere che il toccasana sia nel fare dirigere queste scuole semplicemente da gente del luogo, al credere che queste scuole si potenzino, se si recide ogni collegamento o coordinamento, ci corre. Del resto, ciò è contraddetto dall'esperienza di molti anni.

Voi sapete, onorevoli colleghi, che le scuole artigiane, le quali sono sorte spontaneamente nei vari paesi, dopo l'unificazione del regno d'Italia, dal 1861, attraverso un processo continuo hanno cercato di essere assunte dallo Stato; è un processo naturale. Quello che noi vorremmo adesso è un processo inverso.

Così avviene anche — permettetemi che divaghi un momento — per altra voce, che è stata introdotta in modo molto curioso.

Nel progetto si attribuiscono alla Regione i musei e le biblioteche di enti locali. Io penso che se le Regioni vogliono i musei e le biblioteche degli enti locali, lo Stato non ha niente in contrario. Se li tengano pure. Nessuno vorrà toglierli. Ogni giorno c'è questo tentativo dei musei e delle biblioteche degli enti locali, di passare alle dipendenze dello Stato. Quindi, attribuire la competenza sui musei e sulle biblioteche agli enti locali è una vera ingenuità. Nessuno vuole minacciare questa autonomia. Naturalmente, lo Stato, il quale sulle biblioteche degli enti locali non ha mai avuto nessun potere, potrà interessarsi, perché una biblioteca non possa vendere all'estero qualche manoscritto prezioso perché una quadreria locale non possa barattare o vendere un quadro celebre.

Ma il centro della questione mi pare questo: la scuola artigiana non è, come forse credono quelli che hanno fatto queste proposte, la scuola della bottega. La scuola della bottega è un'immagine letteraria che va scomparendo ogni giorno. Neppure nel medio evo, il tempo aureo della scuola artigiana, ci fu questa tecnica chiusa. Chi conosce la storia della tecnica, sa benissimo che anche al tempo del medio evo ebbe uno sviluppo non solo nazionale, ma perfino internazionale. Basta pensare ai maestri Comacini, agli Antelami, ai Cosmateschi, ai maestri francesi, che hanno lavorato validamente alla costruzione delle nostre cattedrali romaniche. Se la scuola artigiana dovesse coincidere con la bottega, tanto vale che non si facessero scuole e si continuasse ancora col metodo tradizionale dell'imparare il mestiere nella bottega stessa. Ma in verità lo sviluppo della grande industria, la fabbricazione in serie, l'uso delle materie prime dei paesi lontani, la pianificazione alla quale dovremo arrivare anche in questo campo, imporranno nella vita di domani in modo tale che questa tecnica diventerà sempre meno locale.

I grandi complessi industriali sparsi in tutta Italia spostano già i loro operai specializzati da Regione a Regione. Delle fabbriche che risiedono a Milano hanno succursali che si trovano a Napoli e a Firenze, e già fin d'ora vi sono molti operai specializzati che passano da una Regione all'altra. Come potrà avvenire questo, se ogni Regione potrà regolare a suo modo con programmi, con metodi di insegnamento, con tecnica questa materia così importante? Di tali inconvenienti mi pare che si sia accorto il nostro collega onorevole Zotta, quando ha proposto quella aggiunta «in armonia con gli interessi delle altre Regioni». Ma in realtà all'onorevole Zotta vorrei domandare: ma chi promuoverà ciò, se non lo Stato?

Allora voi mi direte: vogliamo lasciare la scuola artigiana nelle condizioni presenti? Oh no!

La scuola odierna di avviamento al lavoro, che sarebbe la più vicina alla scuola artigiana, è in condizioni terribili in Italia. Forse parecchi di voi lo sanno. Le scuole di avviamento agrario, quelle di cui l'Italia ha più bisogno, sono oggi interamente disertate nel nostro Paese.

Io, provveditore agli studi, ne ho chiuse delle decine, perché non c'erano frequentatori. C'erano scuole che avevano due o tre alunni ed allora, per forza, bisognava chiuderle. E perché avviene questo? Avviene per queste ragioni:

1°) per una ragione che è stata detta con molta eloquenza dall'onorevole Marchesi, perché gli italiani hanno tutti la mania di mandare i loro figli agli studi che creano degli spostati;

2°) perché queste scuole non corrispondono praticamente allo scopo; perché il contadino si accorge che in realtà suo figlio non impara affatto a innestare la vite, meglio di quanto non sappia fare lui, con la sua tecnica millenaria.

Ma credete voi che un ordinamento regionale rimedierebbe a tutto ciò? No, certamente, perché non si toglie nessuno degli elementi di fatto, non si toglie la mania di andare verso le professioni, e non si toglie nemmeno l'incapacità all'insegnante di insegnare la materia che dovrebbe insegnare.

Ed allora, qual è il rimedio, secondo me? Il rimedio non è l'autonomia, non è il regionalismo. Il moto deve, sì, partire dalla base, non dal centro, ma il centro deve controllare, deve coordinare, deve dare le direttive, con la cooperazione delle parti.

In pratica si dovrebbero costituire degli enti misti, di dirigenti centrali e di rappresentanti delle parti, come, del resto, in qualche campo è stato fatto. E, badate, che questo in Italia c'è già. In Italia, gli istituti industriali hanno già una certa autonomia amministrativa, hanno una personalità, hanno consigli di amministrazione presieduti da esponenti di attività economiche locali. Non c'è altro, a mio parere, che procedere per questa strada.

E passo ad un argomento più importante ancora, che è quello dell'istruzione tecnico-professionale.

Naturalmente, se sono del parere che l'autonomia non debba essere data nel campo dell'istruzione artigiana, tanto più lo sono per l'istruzione tecnico-professionale. In questo campo bisognerebbe porsi il problema nella sua concretezza. Ora, la Regione dovrebbe avere la potestà di «emanare norme legislative nei limiti delle direttive generali stabilite dalla legge», ma nel concreto, riferendosi a queste scuole, quali facoltà si dovrebbero dare precisamente? Vorrei esaminare la cosa con voi, brevissimamente.

Programmi? Si può dare la facoltà alla Regione di stabilire i programmi degli istituti tecnici? La risposta è chiara. Esami, ordinamenti interni, numero di anni di scuola, materie? È impossibile. È impossibile, finché i diplomati di una Regione avranno il diritto di poter andare nelle altre Regioni e accedere negli uffici, ed allora che cosa resta? Resta lo stato giuridico degli insegnanti, resta l'ordinamento del personale, ma anche per questo non si può dare la competenza alla Regione.

Voi non potete pretendere domani di costringere l'insegnante a restare nell'interno della stessa Regione. Finché l'Italia sarà una Repubblica unitaria, sarà sempre lecito ad un professore di una scuola tecnica, per ragioni di famiglia, di essere trasferito fuori dalla sua Regione.

Resta infine, e questa è l'unica cosa che si possa realizzare, che la Regione possa indicare il luogo e il carattere dell'attività della scuola industriale, ma entro certi limiti. A mio parere, la Regione deve proporre allo Stato sia l'ubicazione della scuola, sia la qualità della scuola. Lo Stato, poi, con enti formati in parte da suoi rappresentanti ed in parte da rappresentanti elettivi o della Regione o della Provincia, dovrebbe decidere. Non c'è altro modo per uscire da una situazione di questo genere. Noi siamo d'accordo che l'istruzione pubblica, com'è oggi, così accentrata, è senza respiro e aderenza al reale, ma io credo sinceramente che il sistema regionale renderebbe il male di gran lunga maggiore.

In realtà, che cosa è oggi la scuola tecnico-professionale?

Presidente Terracini. Onorevole Bernini, tenga conto del tempo, la prego.

Bernini. Domando scusa. La mia voce risuona assai di rado qui dentro.

Penso, onorevole Presidente, che non l'autorità mia, ma l'importanza della materia da svolgere, mi consenta di parlare per qualche altro minuto.

Presidente Terracini. Tutte le materie che si svolgono sono importanti, onorevole Bernini.

Bernini. L'Istituto tecnico — lascio le esemplificazioni — ha molti corsi che portano all'Università. Ora veramente noi vogliamo dare alla Regione l'Istituto tecnico, che è una scuola di passaggio? In altri termini, lo Stato rinuncerebbe ad ogni e qualsiasi controllo su quelli che sono gli studi universitari.

Tosato. Ma i principî fondamentali sono stabiliti dallo Stato, con norma costituzionale.

Bernini. Ma cosa vuol dire questo? Appunto per questo l'Istituto tecnico, se è autonomo, potrà mandare tutti gli alunni che vuole all'Università. Mi spiace non poter continuare per mancanza di tempo.

Dunque, se oggi lo Stato centrale non riesce — ed io ne ho esperienza diretta — a resistere alle pressioni degli enti locali, per formare scuole inutili di ogni genere, quando questi enti locali abbiano i poteri per fare queste scuole, quale sarà la sorte della scuola italiana? Ora, il problema scolastico è di una gravità immensa. Se dovessi giudicare da quello che ho visto finora per le autonomie regionali già concesse, avrei di che essere spaventato. Permettete una esemplificazione. La Val d'Aosta ha competenza amministrativa sulle scuole elementari e medie. Il Provveditore agli studi di Aosta è scomparso. Lo statuto della Regione siciliana concede legislazione esclusiva in materia di scuole elementari, musei e biblioteche, accademie e legislazione concorrente in materia di istruzione media e universitaria. La Sardegna, attraverso la Consulta regionale, propone niente meno potestà legislativa per l'istruzione tecnico-professionale e anche in materia di urbanistica; legislazione concorrente per l'istruzione elementare, media e superiore, per l'ordinamento universitario e per le belle arti.

Una voce al centro. Anche in materia di scuole elementari?

Bernini. Purtroppo anche per le elementari, per quanto mi consta. Ora mi domando quale sarà la potestà che si vorrà dare alla Regione del Friuli e della Venezia Giulia, che ci è sorta di colpo davanti. Non vorrei offendere alcuno, ma mi auguro che in una materia così grave non si scherzi. (Commenti al centro). Quello che ho detto sulle autonomie sono fatti, ed io ho letto solo i testi delle autonomie, come mi sono pervenuti. Io dico che queste autonomie, così contraddittorie le une con le altre, che non hanno un fondamento ben preciso, non danno garanzia di serietà, né dimostrano molta meditazione in coloro che le hanno fatte. (Rumori al centro).

In conclusione, io propongo che la scuola tecnico-professionale e la scuola artigiana siano tolte dalle materie di pertinenza della Regione.

Naturalmente, domando anche che si voti per divisione.

Presidente Terracini. Questo lo chiederà al momento della votazione, onorevole Bernini.

Bernini. Ancora due parole in materia urbanistica. Vi sono due colleghi democratici cristiani, gli onorevoli Di Fausto e Camposarcuno, i quali hanno presentato lo stesso emendamento. Questo dimostra che in molte cose è possibile andare d'accordo. Sull'urbanistica mi limiterò a leggere alcune righe di una relazione ufficiale fatta dal Ministro della pubblica istruzione e dal Direttore generale della pubblica istruzione. Ecco cosa dice la relazione: «L'urbanistica ha un'importanza che trascende gli interessi specifici della località dove essa può applicare, più o meno bene, i suoi principî. Ricorderemo come, sotto tutte le latitudini, sempre più si vada affermando la tendenza di valutare con maggiore comprensione e interesse i complessi problemi sociali connessi con l'urbanistica. Dovunque si cerca di inquadrare tutto il territorio nazionale in una visione organica e ad attribuire conseguentemente all'Amministrazione centrale un controllo generale sulle decisioni e sui progetti di importanza urbanistica».

Questo vi prego di tener presente, nei giorni in cui l'Italia deve ricostruire se stessa. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell'ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell'interesse regionale e su quello di altre Regioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

Persico. Cercherò di essere brevissimo e di stare nei termini stabiliti dal Presidente.

Io avevo presentato un articolo che riassumeva in sé gli articoli 109 e 110. Per la prima parte c'è stato un voto, e non ci si può tornare sopra; per la seconda parte, avevo raggruppato in tredici punti le materie demandate alla potestà legislativa della Regione.

L'articolo proposto dalla Commissione in gran parte coincide quanto alle materie con quelle da me prescelte. Brevemente farò notare adesso le differenze. Però, vorrei far osservare ai colleghi, che hanno parlato finora, che essi sono caduti in un errore, perché ogni qualvolta hanno accennato ad una materia devoluta alla legislazione e all'ordinamento regionale, sono partiti dal presupposto erroneo che questa materia non competesse più allo Stato, cioè che lo Stato l'abbandonasse unicamente alla competenza regionale. Errore duplice: in primo luogo perché l'ordinamento regionale si svolge nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica; in secondo luogo perché la Regione interviene là dove vi sono manchevolezze dello Stato, e dove vi sono speciali condizioni ambientali che esigono speciale legislazione tecnica per una determinata Regione. Quindi, non è vero, per esempio, quanto osservava l'onorevole Bernini, che d'ora in poi la materia scolastica passerebbe alla Regione. La materia scolastica rimane allo Stato. Le Regioni faranno delle scuole di istruzione artigiana e tecnico-professionale, adempiendo a quella specifica funzione di sviluppare certe capacità tradizionali che in alcune Regioni si manifestano con forme squisitamente artistiche. Basti pensare ai vetri di Murano, ai pizzi di Burano, alle ceramiche umbre, ai ferri battuti di Perugia, ai coralli di Torre del Greco e a tante produzioni specializzate di altre Regioni dove esistono scuole artigiane, che non danno vita a semplici botteghe artigiane, ma che sviluppano industrie che hanno larga esportazione anche all'estero e che occorrerà che la Regione potenzi e renda sempre più perfette. Questo non vuol dire che lo Stato non debba mantenere le scuole tecniche e tutti i relativi ordinamenti, perché ciò non ha nulla a che vedere con le scuole artigiane o tecnico-professionali.

Così pure, per quanto riguarda l'osservazione che faceva l'onorevole Bozzi sugli enti amministrativi, forse c'è un piccolo equivoco perché l'ordinamento non riguarda soltanto gli uffici ma gli enti amministrativi regionali. Quali possono essere gli enti amministrativi regionali? Possono essere una quantità; tutti quelli che potranno essere creati dalla Regione, con specifiche funzioni artistiche, sanitarie, ospitaliere, ecc.; di tali enti regionali l'ordinamento è naturalmente di competenza della Regione. L'onorevole Fornara si preoccupava dell'assistenza sanitaria. Se la Regione coesiste con la Provincia ed è un nuovo gradino per arrivare allo Stato, se la Provincia si occupava prima di assistenza, ospitaliera, ecc. continuerà ad occuparsene oggi. È un gradino intermedio che rimarrà alla Provincia, come si dice nell'articolo 112. D'altra parte, se la Provincia ha funzioni sanitarie ed ospitaliere, a maggior ragione deve averle anche la Regione. Non vedo perché l'onorevole Fornara si preoccupi di questo.

Presidente Terracini. Onorevole Persico, poiché ella non ha proposto che la Regione debba essere investita della funzione sanitaria, la pregherei di attenersi alla sostanza del suo emendamento.

Persico. Su questo punto sono d'accordo con l'emendamento proposto dalla Commissione.

Presidente Terracini. Ma lei deve svolgere il suo emendamento.

Persico. Vi sono dei punti sui quali non sono d'accordo; per esempio per quanto si riferisce alla viabilità, agli acquedotti, ai lavori pubblici di interesse regionale, ecc. il mio testo diceva: «di esclusivo interesse regionale». Io mantengo questa dizione.

Per quanto riguarda l'agricoltura e foreste, credo che non sia opportuno di mettere anche questa tra le competenze della Regione, per una ragione semplicissima: perché il Ministero dell'agricoltura e delle foreste regola per tutta Italia tale materia. Naturalmente esso potrà demandare, con leggi speciali, alla Regione, quelle particolari funzioni che esso crederà opportuno. Non credo, comunque, che la Regione debba costituire anche un ufficio di agricoltura e foreste e che ogni Regione debba avere un suo ufficio speciale. Si capisce che molte funzioni il Ministero dell'agricoltura dovrà e potrà demandarle alla Regione, ma sarà il Ministero stesso a fare questa divisione di competenza.

Non possiamo noi oggi, nella elencazione delle materie da attribuirsi alla potestà legislativa regionale, aggiungere anche l'agricoltura e le foreste. Con queste modificazioni, io accetto il testo della Commissione.

Presidente Terracini. L'onorevole Nobile ha presentato i seguenti emendamenti, di cui gli ultimi tre insieme con l'onorevole Preti:

«Sopprimere il comma 3°).

«Sopprimere il comma 9°).

«Nel comma 10°) sopprimere le parole: turismo ed.

«Sopprimere il comma 11°).

«Sopprimere il comma 12°).

«Sopprimere, nel comma 13°), le parole: porti e.

«Sopprimere il comma 15°).

«Sopprimere il comma 16°).

«Sopprimere il comma 19°).

«Sopprimere nel comma 7°) le parole: e tecnico-professionale.

«Sopprimere il comma 8°).

«Sopprimere il comma 14°)».

Ha facoltà di svolgerli.

Nobile. Onorevoli colleghi, ecco che avviene ora quello avevo preveduto: si procede frettolosamente, con un'Assemblea stanca, ad un esame che avrebbe richiesto mesi di ponderazione ed anche vere e proprie inchieste. Con una discussione affrettata, di pochi minuti per ogni singola materia, si decide del campo legislativo delle Regioni, laddove qualcuna di quelle materie avrebbe richiesto, per una decisione ponderata, discussioni di intere settimane. (Commenti al centro).

La dimostrazione, la conferma della necessità di un dibattito profondo, esauriente, su ciascuna delle materie per le quali si vorrebbe riservare alla Regione la facoltà di legiferare, è data da questo fatto: basta che uno dei nostri colleghi abbia competenza specifica su una data materia, perché egli si pronunzi senz'altro contro l'assegnazione di essa alla Regione, senza preoccuparsi affatto della posizione presa al riguardo dal Gruppo politico cui appartiene.

Questo fatto caratteristico prova che, quando si conosce profondamente una data materia, si vedono tutti gli svantaggi di abbandonare una legislazione nazionale per sostituirvi legislazioni regionali.

Avete sentito quello che ha detto poco fa l'onorevole Marchesi. Egli, con la sua indiscussa competenza, ci ha dimostrato che anche le scuole artigiane non si possono abbandonare alla potestà normativa delle Assemblee regionali. A me, che non ho una particolare competenza al riguardo, era parso che si potesse farlo, ed infatti questa voce è una delle poche delle quali non avevo proposto la soppressione; ma ecco che una persona competente trova gli inconvenienti che io non trovavo.

La stessa cosa può dirsi di altre materie, ad esempio dei musei e delle biblioteche degli enti locali. Anche qui, giudicando da persona che non conosce bene l'argomento, non avevo fatto obiezioni; ma un collega che si intende della questione, l'onorevole Bellusci, mi diceva testualmente l'altro ieri: «Dare alla Regione la facoltà di legiferare in questa materia sarebbe un'enorme bestialità: non si deve farlo». L'onorevole Bellusci appartiene, badate bene, a quel Gruppo repubblicano che è il più intransigente assertore dell'ordinamento regionale.

Questo vi prova che basta conoscere a fondo una data materia dal punto di vista tecnico, perché si veda l'assurdo di frazionare l'attuale legislazione unitaria in ventitré o più legislazioni regionali.

Prendete un altro esempio: l'urbanistica. Io, e con me, credo, tutti gli altri colleghi di questa Assemblea che non hanno una specifica competenza in proposito, ritenevamo si potesse senza danno riservarne la facoltà legislativa alla Regione. Ma ecco che un collega che ha in proposito un'alta competenza, l'onorevole Di Fausto, ci dice: «No». Eppure egli appartiene a quel Gruppo democristiano, che insieme col repubblicano, sostiene tenacemente in questa Assemblea l'ordinamento regionale.

Altri esempi ancora potrei addurre, come quello dell'assistenza sanitaria, che io lasciavo alla Regione, ma che colleghi, aventi una specifica competenza, intendono riservare allo Stato.

Queste cose ho voluto farvi notare, onorevoli colleghi, per dimostrarvi come sia necessario riflettere bene prima di decidere.

Ora, fra le altre materie che, stando al testo del Comitato, si dovrebbero riservare alla Regione vi sono anche le linee automobilistiche, le tranvie extraurbane, la viabilità, i lavori pubblici, ecc.

Permettetemi di dirvi che in questi argomenti ho qualche competenza, essendomene occupato per molti anni. Conosco i problemi dell'Amministrazione che ad essi si collegano, e perciò sono convinto che è assurdo voler stabilire che su di essi le singole Regioni possano differentemente legiferare.

Vi siete domandato che specie di legge potrebbe una Regione fare in tali materie? Se si tratta di una legge con cui si stanziano i fondi per l'esecuzione di una data opera pubblica, o si determinano i contributi che per quell'esecuzione dovrebbero dare i vari Comuni interessati, questa sì che si potrebbe lasciare alla Regione. Ma questo, più che legiferare, sarebbe amministrare, e sulla necessità di un largo decentramento amministrativo siamo tutti d'accordo.

Se invece con una legge si vogliono stabilire norme tecniche per la concessione o esecuzione di un'opera pubblica in genere, queste norme devono necessariamente avere carattere unitario per tutta la Nazione, e sono perciò di competenza dello Stato. Sarebbe veramente incomprensibile che, mentre oggi in tutto il mondo si va verso la standardizzazione di molte norme tecniche, e quindi verso una specie di legislazione internazionale, noi dovessimo procedere a ritroso sostituendo ad una legislazione unitaria ventitré diverse legislazioni regionali. Questo vale non solo per le leggi vere e proprie, ma, in certe materie, ad esempio il traffico stradale, perfino per la regolamentazione!

Vedete da voi stessi, onorevoli colleghi, come gli argomenti che adduco siano, nella loro semplicità, inoppugnabili. Si parla di viabilità, ma che cosa vorrebbe dire fare una legge sulla viabilità? Se si trattasse di decidere la costruzione di una strada, bene: si lasci pure alla Regione la facoltà di farla o non farla, sebbene anche a questa facoltà negativa avrei da fare serie obiezioni. Ma quando si tratta di stabilire le modalità con cui devono essere compilati i progetti per ottenere la concessione, o quando si tratta di stabilire la larghezza minima di una strada, o la sua pendenza trasversale nelle curve, o altre questioni tecniche di tal genere, è evidente che queste norme debbono essere oggetto di un'unica legislazione nazionale. Sarebbe assurdo ritenere che per esse vi possano essere differenti legislazioni regionali. (Proteste al centro).

Non vi sembrino eresie, egregi colleghi, le cose che vado dicendo. È un argomento che conosco. Se voi lo conosceste come me, sareste con me d'accordo. Nelle materie che ho citato la legislazione deve essere unica, come fin oggi è avvenuto. Molto spesso anzi occorrerebbe addirittura una legislazione internazionale!

Una voce al centro. Una cosa non esclude l'altra.

Nobile. L'ordinamento regionale come voi l'intendete l'esclude, ed è per questo che ho proposto di sopprimere quelle voci dall'elenco delle materie sulle quali la Regione avrebbe facoltà di legiferare. Non ho bisogno di aggiungere altro: sono profondamente convinto — e con me tutti i tecnici che si occupano di queste materie — che è un assurdo voler dare alla Regione la potestà legislativa su di esse.

Vi è un punto di minore importanza, per cui ho presentato anche una proposta di soppressione: si tratta della facoltà che secondo il testo del Comitato avrebbe la Regione di modificare, a suo piacimento, le circoscrizioni provinciali. Francamente non comprendo come si potrebbe lasciare alla Regione questa facoltà, una volta che l'Assemblea ha deciso che la Provincia deve non solo essere mantenuta, ma anzi potenziata. Concedendo quella facoltà, la Regione potrebbe, ad esempio, deliberare la fusione di due Province in una sola. Se ponete mente che in media ogni Regione risulterà costituita di tre Province o poco più, verrete alla conclusione che la Regione potrebbe, di fatto, finire col sopprimere l'ente Provincia.

Altro non voglio aggiungere. Vorrei però esortare ancora una volta i colleghi a riflettere bene prima di votare. Concedendo alla Regione la facoltà di legiferare abbiamo, a mio avviso, commesso già un errore grave, del quale sicuramente ci pentiremo un giorno. Non aggraviamolo dando ora alla Regione facoltà di legiferare su materie per le quali è necessaria un'unica legislazione nazionale. Fra un anno ricorre il centenario dei moti che diedero inizio al Risorgimento e all'unificazione d'Italia. Dio non voglia che questo centenario debba celebrarsi in un'Italia che l'ordinamento regionale avrebbe sconvolto al punto da obbligare a ricominciare da capo l'opera dei nostri padri.

Presidente Terracini. L'onorevole Dugoni, insieme con gli onorevoli Tonello, Malagugini, Merlin Lina, Bernini, Tomba, Grazia, Barbareschi, Fornara e Pistoia hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere la voce: acque pubbliche».

Essendo presente, dei firmatari, l'onorevole Tonello, ha facoltà di svolgerlo.

Tonello. Onorevoli colleghi, io non posso dire quali argomenti avrebbe svolto il primo firmatario di questo emendamento: l'ho firmato anch'io, perché l'ho riconosciuto giusto nella sostanza. Se c'è una regolamentazione infatti che deve essere nazionale, è proprio quella delle acque: perché andare a turbare una regolamentazione che è certamente fra le migliori d'Italia?

Io non sono un laudatore dell'onorevole Bonomi (Commenti); ma debbo riconoscere che la riforma Bonomi è importantissima.

Sento dire: si tratta delle acque regionali; ma le acque, onorevoli colleghi, non vanno per confine, come l'aria non va per confine! Far legiferare sulla distribuzione delle forze idriche fra Regione e Regione vuol dire andare incontro anche ad una quantità di liti fra le singole Regioni, specialmente adesso che per il trasporto dell'energia elettrica risultano irrilevanti i fini della Regione in confronto all'estensione dello sfruttamento dell'industria.

Quindi, se si vuole sviluppare l'industria idroelettrica, se si vuole utilizzare la forza idrica, perché creare l'ostacolo delle Regioni? È meglio lasciar libera questa materia com'è oggi, come si è fatto finora, perché queste grandi forze della natura non hanno imbrigliamenti di confine!

Presidente Terracini. L'onorevole Caronia ha presentato i seguenti emendamenti, corredati dalle firme anche degli onorevoli Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano Antonio, De Maria, Borsellino e Codacci Pisanelli:

«All'articolo 109, sostituire il comma 6°) con il seguente:

«Igiene e sanità pubblica, beneficenza pubblica ed assistenza ospedaliera».

«Sostituire ai commi 7°) ed 8°) il seguente:

«Istruzione pubblica di tutti gli ordini e gradi, accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

«Sostituire il comma 11°) con il seguente:

«Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ed aeree nell'interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

«Sostituire il comma 12°) con il seguente:

«Lavori pubblici d'interesse regionale».

«Sostituire il comma 13°) con il seguente:

«Porti, bacini di alaggio e di carenaggio».

«Al comma 18°) dopo la parola: interne, far seguire le parole: e territoriali».

«Sostituire al comma 21°) il seguente:

«Agricoltura e foreste, industria e commercio».

L'onorevole Caronia ha facoltà di svolgerli.

Caronia. Sarò brevissimo, perché in gran parte quello che io avrei dovuto dire è stato già brillantemente detto dall'onorevole Zuccarini per alcuni emendamenti che sono uguali a quelli da me presentati.

Non vengo quindi a parlare dell'opportunità che sia estesa alla Regione la facoltà di legiferare, oltre che sull'agricoltura e foreste, sull'industria e il commercio.

Non mi fermo a parlare sulla questione riguardante le comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali, fluviali ed aeree, nei limiti della Regione; aggiungo soltanto che sarebbe opportuno riservare alla potestà legislativa della Regione le comunicazioni fra porto e porto della stessa Regione, specialmente per il piccolo cabotaggio.

E passo ai punti cui l'onorevole Zuccarini non ha accennato; in primo luogo all'istruzione pubblica.

Ho sentito che parecchi sono ostili a che alla Regione venga affidata l'istruzione pubblica, fino al punto da negare alla Regione anche la potestà di regolare l'istruzione artigiana e professionale, che ha carattere esclusivamente locale.

Io ritengo invece che sarebbe opportuno estendere a tutte le Regioni la competenza sull'istruzione pubblica di ogni ordine e grado. (Commenti). Sento delle esclamazioni di meraviglia, che non credo siano giustificate. Perché deve essere vietato alla Regione di legiferare sulle proprie accademie, sulle biblioteche, sui propri musei, sulle belle arti, sulle antichità; perché non deve regolare le proprie scuole? Quando abbiamo approvato il 1° comma dell'articolo 109, il quale stabilisce che la Regione può emanare norme legislative entro i principî generali stabiliti dalle leggi dello Stato, è più oltre giustificata la preoccupazione che l'indirizzo seguito sui problemi della scuola dalla Regione possa essere in contrasto con quello seguito dallo Stato?

La Regione può meglio tener conto dei bisogni e delle tradizioni locali, può più facilmente avvicinare la scuola al popolo, può meglio regolamentare la funzione della scuola con vantaggio proprio e della Nazione.

Insisto pertanto che anche questa materia sia compresa nella competenza della Regione.

Dirò brevemente sui lavori pubblici. Non trovo alcun motivo per cui i lavori pubblici di interesse locale non debbano essere di competenza della Regione. In che cosa questo potere della Regione può menomare le funzioni dello Stato?

Altro punto riguarda i porti. Perché la Regione non deve curare i propri porti, i propri bacini di alaggio e di carenaggio? La Regione non può che avere l'interesse di sempre meglio valorizzare i propri porti e da questo non può che venirne vantaggio allo Stato.

Il comma sulla pesca nelle acque interne è incompleto. Non avrebbe alcun valore per Regioni senza acque interne pescose, se non vi si aggiungesse le acque territoriali marittime.

Conchiudo ricordando le due principali finalità della riforma regionale. Una è quella di sempre più educare il nostro popolo all'autogoverno, di avvicinare il cittadino al Governo, abituandolo a trattare i problemi locali ed attraverso di essi comprendere anche quello dello Stato. L'altra è quella di spezzare la pesante corazza burocratica che paralizza la Nazione. Estendendo i poteri della Regione si alleggerisce la macchina burocratica centrale e si rende più agile la vita del Paese.

Il decentramento amministrativo, che parecchi onorevoli colleghi propugnano, porterebbe sì ad un più dannoso incremento della burocrazia. Insisto perciò perché il massimo di attribuzioni sia dato alla Regione, nella convinzione che da questo trarrà sicuramente vantaggio la nostra vita democratica e la nostra Nazione. (Approvazioni).

Presidente Terracini. L'onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: modificazioni delle circoscrizioni comunali, aggiungere: e delle denominazioni dei Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

Costa. Ho un'osservazione di poco conto da fare. Premetto che non corrisponde alle mie simpatie che si attribuisca alla Regione la potestà di cambiare le circoscrizioni dei Comuni.

Nell'eventualità — però — che si voglia dare alla Regione un'attribuzione di questo genere, penso che bisognerebbe completare la disposizione dicendo che la Regione può disporre degli eventuali mutamenti di denominazione dei Comuni, perché se ciò non si facesse si avrebbe questa conseguenza, che la Regione ha potestà di modificare la circoscrizione dei Comuni; viceversa, quando si tratta di cambiare il nome di un Comune (e badate che ci sono Comuni che meritano il cambiamento del nome, perché per esempio Borgo Lodigiano si chiama Borgo del Littorio; San Felice del Molise si chiama San Felice del Littorio), occorrerebbe un decreto reale, secondo la legge comunale e provinciale (adesso del Capo dello Stato), sentito il parere della Deputazione provinciale. Sarebbe assurdo, quindi, che nei riguardi del cambiamento della denominazione del Comune permanesse la competenza speciale del Capo dello Stato; mentre la Regione avrebbe la possibilità di cambiare la circoscrizione dei Comuni. Dico, se l'articolo relativo a questo genere di attribuzione passa nella Costituzione, si tenga presente che vale la pena di completare la disposizione attribuendo alla Regione la potestà di modificare, oltre le circoscrizioni dei Comuni, anche le denominazioni degli stessi.

Presidente Terracini. L'onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l'articolo 109 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell'ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione generale dello Stato, che ne assicurino unicità d'indirizzo, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell'ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste, contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d'interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

Codignola. Gli onorevoli Marchesi e Bernini hanno fatto presenti, con la competenza e l'autorevolezza che tutti riconoscono loro, le preoccupazioni che da qualche parte si nutrono circa il problema della scuola. Devo dire che le medesime preoccupazioni nutrivo anch'io quando nel primitivo progetto della Commissione si parlava di istruzione elementare e media. Ma non posso continuare a nutrirle ora, dopo la nuova formulazione accettata dalla Commissione, per due ordini di motivi: anzitutto perché mi pare si sia dimenticato che la formula approvata ieri stabilisce esplicitamente che in tutte le materie di competenza regionale lo Stato si riserva di determinare i principî fondamentali della legislazione. In queste condizioni, francamente, non riesco a vedere quali pericoli ancora sussistano. Voi sapete che io ho combattuto una medesima battaglia per la scuola con gli onorevoli Marchesi e Bernini, ma in questo caso — ripeto — non riesco a capire quali pericoli vi possano essere se lo Stato si riserva i principî direttivi fondamentali in materia scolastica, secondo la formulazione già approvata del primo comma dell'articolo 109.

In secondo luogo, la materia scolastica di competenza della Regione è stata ora così ridotta, che ogni seria preoccupazione deve sparire. L'onorevole Marchesi mi deve dare atto che, in materia di scuola artigiana, è un'antica esigenza quella di avvicinare questa scuola il più possibile alle condizioni e ai bisogni locali. L'onorevole Bernini ha accennato poc'anzi alla connessione stretta fra scuola professionale e sviluppo industriale: lo sviluppo industriale, egli ha giustamente affermato, non ha e non può avere carattere regionalistico. Ma mi sembra che la sua osservazione non fosse del tutto pertinente, perché sta di fatto che ogni singola industria presenta caratteristiche sue proprie: ed è naturale, che quelle scuole che più sono connesse con quel particolare tipo di industria, non possano non avere, praticamente, una regolamentazione conforme alle condizioni in cui operano. E, poiché, ripeto, resta fermo l'indirizzo generale ed unico dello Stato, non riesco a vedere dove sia il pericolo. D'accordo nel respingere la competenza regionale in tema di istruzione tecnica, accetto, dunque, la proposta della Commissione per quanto riguarda l'istruzione artigiana e professionale.

Dovrei aggiungere qualche parola sull'urbanistica. Ho anch'io il testo della relazione del professor Bianchi Bandinelli. Egli partì dal presupposto che l'urbanistica rientrasse fra la materia di competenza regionale esclusiva a norma del vecchio articolo 109, e in questo senso egli aveva pienamente ragione, perché l'urbanistica presenta oggi degli aspetti così generali che non sarebbe possibile affidarne alle singole Regioni la regolamentazione giuridica. Ma nella medesima relazione, il professor Bianchi Bandinelli proponeva che l'urbanistica venisse spostata dall'articolo 109 all'articolo 111: dando così chiaramente a vedere che, anche nel giudizio di un competente di primo piano, non esistevano fondate preoccupazioni nel caso che l'unità dell'indirizzo legislativo generale fosse garantita allo Stato.

Vorrei invece sottolineare, in altro ordine di questioni, il pericolo che l'autonomia regionale possa essere comunque accolta in materia economica. Bene ha affermato l'onorevole Einaudi: se l'autonomia politica è, indubbiamente, un passo verso la democrazia, l'autonomia economica significa nient'altro che autarchia, un passo indietro, dunque, non un progresso. Ecco perché sono decisamente contrario a conservare tra le materie di competenza regionale, come qualcuno ha ancora richiesto, l'industria e il commercio. Se l'industria e il commercio passassero alla competenza regionale, sia pure nella forma limitata che già si è stabilita, ciò importerebbe un serio arretramento ed un ostacolo allo sviluppo economico del Paese.

Ho poi indicato, nel mio emendamento, l'aggiunta di alcune materie, che non figurano nel progetto dell'articolo 109, particolarmente le licenze di esercizio; licenze che sono richieste per molteplici attività commerciali e industriali, sia per ragioni di pubblica sicurezza, sia per impedire i pericoli di una eccessiva concorrenza. Se c'è una materia in cui l'autonomia regionale possa servire a ridurre la burocrazia centralizzata è proprio questa materia, la quale non interessa minimamente l'organizzazione centrale dello Stato e può essere utilmente regolata nell'ambito della competenza della Regione.

Infine, io sarei molto cauto per quanto riguarda la materia delle acque pubbliche. L'onorevole Tonello ha testé espresso in proposito le sue preoccupazioni; preoccupazioni più documentate furono, a suo tempo, manifestate anche dall'onorevole Einaudi. In questa materia, a detta di tutti i competenti, la legislazione esistente è così complessa ed organica che l'Assemblea dovrebbe procedere con molta cautela nell'accettare la proposta inserzione delle acque pubbliche fra gli oggetti di competenza legislativa della Regione.

Presidente Terracini. Invito l'onorevole Ambrosini ad esprimere, a nome della Commissione, il proprio parere sugli emendamenti.

Ambrosini. Tutte le obiezioni che anche ora sono state fatte all'elenco delle materie indicate nel testo accettato dalla Commissione, a cominciare da quelle dell'onorevole Nitti, si riferiscono in sostanza, più che al dettaglio, alla questione di principio: se si debba o no creare la Regione. La risposta è semplice: quando l'Assemblea ha deciso che la Regione deve crearsi, non solo come ente amministrativo, ma anche come ente dotato della facoltà di emanare norme giuridiche legislative, la questione di principio non può riproporsi.

L'ora tarda consente solo brevi osservazioni riguardo a talune materie in discussione.

Circa la scuola, da parte di alcuni tecnici illustri ed appassionati, come il collega onorevole professor Marchesi, è stata posta la domanda perché la Commissione ha fatto distinzione fra istruzione elementare, istruzione artigiana ed altre forme di istruzione. Non era possibile, credo, seguire un criterio rigido in questa come in altre materie. Se la Commissione ha ritenuto che alcuni determinati rami d'istruzione debbono attribuirsi alla Regione, ad altri no, ciò ha fatto in considerazione della natura specifica di quei determinati rami, quale principalmente quello dell'istruzione artigiana, dell'istruzione professionale, per cui l'insegnamento è opportuno che venga adeguato alle condizioni particolari delle varie Regioni. Non sarà superfluo ricordare che la Regione è chiamata ad emanare soltanto norme supplementari, complementari, che si inquadrano nei principî fondamentali stabiliti con legge dello Stato.

Per quanto riguarda la sanità, il collega onorevole Fornara ha accennato a pretese incongruenze ed ha richiamato il parere dei tecnici. Ma a tale parere si può contrapporre senz'altro il parere dell'onorevole Caronia, che sicuramente è uno dei tecnici più illustri. Né è, in ogni caso, a temersi che la situazione generale sanitaria ed igienica possa essere compromessa da emanazione di norme giuridiche regionali. Ciò è escluso dalla considerazione fatta poc'anzi che si tratta di norme subordinate, complementari.

Se poi si tiene presente la tendenza affermata da vari colleghi e, se non sbaglio, dallo stesso onorevole Fornara, che alla Regione si affidi soltanto la funzione amministrativa e non anche la legislativa, allora si potrebbe ripetere l'osservazione che già feci altra volta, che i pretesi eventuali inconvenienti derivanti dalla emanazione di norme giuridiche da parte della Regione potrebbero ugualmente derivare dall'esercizio della semplice funzione esecutiva. In sostanza l'opposizione al progetto si fonda su una prevenzione.

Basta richiamare la considerazione polemica fatta dall'onorevole Miccolis. Parlando della scuola anche artigiana e professionale, egli ha detto: la scuola ha importanza fondamentale, è del popolo, quindi non deve darsi agli enti locali. Ma che forse gli enti locali sono, rispondiamo, contro il popolo? Che forse può ammettersi che si crei una rappresentanza della popolazione regionale che non senta, come ognuno di noi e come tutta l'Assemblea nel complesso sente, la responsabilità gravissima anche per questa materia? È quindi evidente che si parte da un punto di vista pregiudiziale, da una prestabilita diffidenza verso gli enti locali e la Regione; diffidenza che non è giustificata e non è perciò accettabile. Un'ultima considerazione e finisco. L'Assemblea ha deciso di creare l'ente Regione. Ora, per essere logici, è necessario che lo faccia nascere vivo e vitale. Se procedesse invece a limitare le attribuzioni normative, legislative di questo ente nascituro nella misura proposta da alcuni colleghi e specie dall'onorevole Nobile, allora andrebbe quasi a sabotare la precedente risoluzione, annullandola effettivamente in modo notevole, tale — dobbiamo confessarlo con tutta franchezza — che molti di noi resteremmo perplessi di fronte ad un istituto siffattamente trasformato.

Sono queste le considerazioni per le quali la Commissione insiste sul suo progetto. Adottato il principio, stabilito con coscienza — e tutti abbiamo votato sicuramente con ponderazione e con coscienza acuita dal maggiore senso di responsabilità derivante dalla gravità e complessità della riforma — stabilito il principio che deve nascere l'ente Regione, è giocoforza che questo ente Regione sia dotato di un minimo di potere normativo necessario perché possa funzionare, secondo si è voluto che nascesse. Altrimenti si creerebbe in effetti una nuova entità inutile o inadeguata al raggiungimento degli scopi prefissati.

Egregi colleghi, nessuno di noi sicuramente vuole che nasca un homunculus; noi vogliamo che nasca una creatura viva e vitale. Perciò, concludendo, la Commissione vi prega, onorevoli colleghi, di seguirla approvando l'elencazione delle materie indicate nel testo che ha proposto. (Vivi applausi al centro).


 

[i] Il resoconto stenografico della seduta riporta erroneamente «nell'articolo 110».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti